di Beppe Sarno
Siamo sicuri che ancora oggi esista il primo maggio? Siamo sicuri che sia ancora una festa?
Personalmente credo che il primo maggio sia un giorno come un altro in cui non c’è niente da festeggiare perché la classe operaia, i lavoratori sono stati rinchiusi in un recinto circondato da filo spinato che al posto delle sirene ci sono televisori che trasmettono senza interruzione trasmissioni di “Porta a porta” e dibattiti politici per convincerli che tutto va bene.
La retorica sul primo maggio non serve a nulla, se non ad illuderci che esiste un mondo in cui esistono i buoni e i cattivi.
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” recita il primo articolo della nostra carta Costituzionale, la legge delle leggi. I padri costituenti fecero un capolavoro che era non solo la legge fondamentale dello stato democratico che si liberava dal fascismo, ma anche e soprattutto esprimeva un programma che le future generazioni avrebbero dovuto realizzare.
Ancora oggi quel programma rimane sulla carta e allo stravolgimento del titolo quinto della Carta avvenuto nel 2001 non ha fatto seguito, grazie ad un risveglio della coscienza democratica, il tentativo di Renzi di renderla praticamente inoffensiva. Ma gli sciacalli non si arrendono e sono sempre pronti a rendere quella Carta inoffensiva perché la finanza internazionale ha decretato che è troppo socialista.
Allora ha senso oggi celebrare il Primo Maggio?
Se ci guardiamo alle spalle c’è un senso, perché il primo maggio è rosso, scusatemi la retorica, del sangue di tutti quelli che sono morti per difendere i diritti di quelli che per “lavoro” intendevano ricerca non solo del diritto di vivere da uomo libero ma anche un’affermazione della propria dignità.
“Ogni ingiustizia che si fa su una persona che lavora è calpestare la dignità umana – ha detto Papa Francesco il primo maggio2020- la dignità dell’intera umanità.”
Di fronte all’indifferenza della politica i diritti dei lavoratori vengono calpestati quotidianamente; secondo l’ISTAT in Italia oltre tre milioni di lavoratori vengono sfruttati e sottopagati per non parlare dei migranti che vivono da invisibili nelle nostre campagne. Nel nostro meridione il 50% dei giovani è disoccupato ed identica percentuale vale per le donne.
Allora di fronte ad un parlamento che ha dimenticato i lavoratori ed i loro diritti bisogna fare delle scelte perché solo se si sceglie da che parte stare si può pensare di meritare di ricordare il primo maggio.
Il capitalismo di oggi, sempre più finanziarizzato, intende il mercato del lavoro come un mercato dove si compra quello che si vuole e si lascia il resto negli scaffali. E’ necessario invece combattere il neoliberismo sfrenato che vive indisturbato da un quarto di secolo.
Primo maggio deve significare lavoro come realizzazione dell’individuo, come ascensore sociale e come fonte di benessere per l’intera collettività.
Attuare il progetto scritto nella carta costituzionale perché la Carta Costituzionale ha fatto sempre paura al capitale finanziario.
L’Assemblea Costituente con i padri fondatori cominciò a lavorare alla Carta nel 1946 il 25 giugno per approdare alla sua entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
In quello stesso periodo la mattina del 1° maggio 1947 a Portella delle Ginestre in Sicilia furono falciate 11 persone fra cui Vincenzina La Fata una bimba di otto anni. Il ministro degli interni dell’epoca il 9 maggio successivo nella seduta dell’Assemblea Costituente Mario Scelba dichiarò “Non c’è movente politico. Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto.” Ma la strage di Piana degli Albanesi non fu un episodio circoscritto: l’8 maggio venne ucciso il contadino Michelangelo Salvia, dirigente comunista della Camera del lavoro. L’attacco ai lavoratori ed alla Costituzione che stava faticosamente vedendo la luce, continuò. Il 22 giugno si ha una serie di attentati con bombe e colpi di arma da fuoco contro le sezioni comuniste di Partinico, Borgetto e Cinisi, alle sedi della Camera del lavoro di Carini e San Giuseppe Jato e alla sezione socialista di Monreale. A Partinico ci sono due morti: Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lo Jacono.
Nel 1949, al processo di Viterbo, durante un’udienza Gaspare Pisciotta dichiarò: “Furono Marchesano, il principe Alliata, l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra… Prima del massacro incontrarono Giuliano…”. Ma non si riuscì mai a provarlo.
La strage di Portella della ginestra ci ricorda che la democrazia non ci è stata regalata ma è stata conquistata giorno per giorno strappandola all’aggressione fascista che non si è fermata all’indomani della caduta del regime, ma ha continuato ad operare per anni attraverso trame oscure, depistaggi, tradimenti di servitori dello stato. In Italia ci sono state stragi attentati, morti e feriti. Una guerra civile a bassa intensità di cui hanno fatto le spese sempre e soltanto i giovani, gli studenti, i lavoratori.
Come socialista ritengo che noi non abbiamo bisogno di quella che è stata definita “ coesistenza competitiva con il capitalismo” né debbono coltivare un utopismo messianico. Il nostro dovere è quello di continuare ad essere socialisti e a parlare ai giovani, ai lavoratori da socialisti. I giovani che hanno vissuto la crisi economica sulle loro spalle fin dal 2008 e continuano a viverla in maniera sempre più drammatica hanno voglia di politica, hanno voglia di contare, di cambiare le cose. Fino ad oggi la loro voglia, la loro rabbia si è indirizzata verso populismi malsani. E’ dovere dei socialisti parlare della necessità di una progressiva modificazione delle strutture sociali per adeguarle al paradigma democratico e nella creazione di contropoteri che permettano ai lavoratori, al ceto medio impoverito, alla massa di disoccupati, ai migranti di intervenire attivamente ed efficacemente nel processo decisionale politico in Italia come in Europa.
La Carta Costituzionale deve essere il nostro vangelo laico. Ricordando Vincenzina La Fata bimba di otto anni la vittima più giovane della strage di Portella della ginestra.