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dicembre 30, 2020

“SOCIALISTI E CRISTIANI”


Mi ricordo di aver assistito, da ragazzino, alla villa comunale, agli inizi degli anni ’50, ad un curioso dibattito, fra anziani braccianti siciliani, dal volto annerito dal sole e solcato da profonde rughe che testimoniavano il loro carico di anni e di esperienza, e tutti con l’immancabile coppola in testa, che li differenziava dai borghesi cappelli padronali.
Essi disputavano di quale fosse stato il colore politico di Gesú Cristo, utilizzando pero’ allo scopo il campionario partitico a loro contemporaneo. Le opzioni da tutti i presenti ritenute possibili erano solo due, ma capaci di dividere e accalorare quei saggi polemisti, figli di Gorgia. Il quesito che li appassionava era nientepopodimenoche quello di stabilire se Cristo era socialista o socialdemocratico!(1) Tertium non datur (2).
La cosa puo’ sembrare perfino divertente, se non fosse estremamente seria. Tanto é vero che se ne sono occupati socialisti del calibro di August Bebel (3), di Friedrich Engels (4) e di Bertrand Russel (5).
E non sono affatto rari i tentativi di conciliare le due visioni del mondo.
Qui vogliamo dare un rapido sguardo ad alcune situazioni che, in italia, videro impegnati su questa tematica socialisti cristiani e cristiani socialisti, sia come singoli, sia come aggregazioni politiche, di tutte le scuole e sfumature (6).
I tentativi, piú o meno riusciti, di contaminazione fra quelle due grandi Idee sono piú numerosi di quanto comunemente si creda.

Camillo Prampolini
Uno dei piú conosciuti é quello dell’apostolo socialista di Reggio Emilia, noto per quello che fu definito il socialismo cristiano di Camillo Prampolini, paladino della non violenza (7), della pace e della giustizia (8). Egli amava spesso richiamarsi a Cristo e al suo messaggio, come fece in particolare con la sua Predica di Natale, un articolo in cui rilevava che Cristo non voleva l’ingiustizia, ma l’eguaglianza, e che per essa egli sempre coerentemente e concretamente si batté; non predicando, come facevano certi preti, la dottrina della rassegnazione, che finiva per avallare il privilegio dei potenti e la miseria degli sfortunati. Insomma il suo era un Cristo…socialista e il messaggio socialista altro non era che l’antico messaggio d’amore dell’autentico cristianesimo, aggiornato alla sua epoca. E questo messaggio non poteva limitarsi alle sole enunciazioni, ma doveva battersi (9), con iniziative reali e palpabili (10), per l’emancipazione e il riscatto del prossimo. Per questo i socialisti, proprio come un tempo i primi cristiani, venivano spesso perseguitati (11).

Guido Miglioli

Classificare Guido Miglioli (1879-1954) come un cristiano socialista sarebbe certamente errato, giacché egli non milito’ mai in nessuna formazione politica che al socialismo tradizionale eplicitamente si rifacesse. Non sarebbe pero’ azzardato collocare la sua azione politica nell’ambito di quello che é stato definito „laburismo cristiano“ (12), non molto diverso dal laburismo classico e quindi piuttosto imparentato col socialismo:

Il laburismo cristiano, sin dall’inizio, non si presenta come un mito, ma come un programma concreto che si affatica sempre intorno alla complessitá della societá nel tentativo di dare figura politica a processi altrimenti drammatici. Esso si presenta come un insieme di riforme che non preparano alcuna rivoluzione, ma che trasformano dall’interno, nella pazienza dei processi, le dinamiche della societá civile. Se non c’é alcun mito dello Stato (di qui l’avversione viscerale per ogni forma di totalitarismo) se ne coglie tuttavia l’enorme importanza per orientare i grandi processi di ridistribuzione della ricchezza e incalzare creativamente gli stessi sviluppi dell’economia. Nessuna statizzazione, ma capacitá di intendere l’importanza dell’impresa pubblica per stimolare e sorreggere, anche attraverso il conflitto, quella privata. Importanza della riforma fiscale per creare una societá solidale, capace di sviluppare i grandi servizi sociali della scuola, della sanitá, della previdenza. Importanza della ricerca come sostegno all’impresa e allo sviluppo civile del Paese.

Un programma, come si vede, che potrebbe ben essere quello di una moderna socialdemocrazia; un programma in cui certamente rientrano l’impostazione teorica e l’azione pratica di Guido Miglioli, che qui vogliamo scorrere velocemente.
Di professione avvocato, il cremonese Miglioli, a partire dal 1904 si dedico’ completamente alla causa dei lavoratori agricoli, in particolare della Valle Padana, specialmente organizzando le leghe bianche e dirigendone le lotte sociali, per riscattare dalla miseria e dall’ignoranza quelle sfruttate plebi rurali.
Nel corso di queste lotte, sostenute anche col giornale da lui fondato L’Azione, egli ricerco’ sempre l’unitá con le consorelle organizzazioni socialiste, con le quali condivise anche un coerente neutralismo allo scoppio della prima guerra mondiale (13), adottando lo slogan No guerra, ma terra. Quando, nel 1919, partecipo’ alla fondazione del Partito Popolare Italiano, guidato da don Luigi Sturzo avrebbe voluto che la nuova formazione si fosse chiamata „Partito del proletariato cristiano“, per scoraggiare l’adesione dei cattolici conservatori (14).
Al congresso di Napoli del PPI del 1920 la corrente migliolina propose un’intesa politico-parlamentare con i socialisti.
Fervente e coerente antifascista (15), nel 1926 fu costretto a riparare all’estero (16), stabilendosi infine in Francia, dove nel 1940 fu arrestato dai nazisti e consegnato ai fascisti italiani, che lo condannarono al confino.
Dopo la guerra gli fu rifiutata l’iscrizione alla DC. Per cui costituí, con la collaborazione di Ada Alessandrini (17), il Movimento Cristiano per la Pace, che alle elezioni del 1948 si schiero’ col Fronte Democratico Popolare, accanto a socialisti e comunisti, senza pero’ottenere alcun seggio. Continuo’ tuttavia a interessarsi di politica assieme all’amico don Primo Mazzolari (1890-1959), prete antifascista, pacifista e impegnato nel sociale (18).
Di lui vanno soprattutto ricordati la strenua difesa del proletariato agricolo e la sua ininterrotta lotta per la pace.

Lucio Schiro’

Uno dei tentativi piú riusciti di conciliare cristianesimo e socialismo fu quello del siciliano Lucio Schiro’ (1877-1961), giornalista, politico e pastore metodista di Scicli, nel ragusano.
Quando arrivo’ a Scicli, nel 1908, come pastore metodista, egli aveva giá abbracciato l’ideale socialista seguendo l’esempio di Nicola Barbato, Bernardino Verro in Sicilia e di Tito oro Nobili in Umbria.
A Scicli prese subito le distanze sia dalle cricche reazionarie che vi dettavano legge che dagli elementi anarcoidi incapaci di alcuna iniziativa concreta, alternando la sua attivitá religiosa con quella politica, svolta con salda coerenza nelle file del PSI, di cui organizzo’ la sezione.
Seguendo i dettami della sua coscienza di pacifista e i principi del suo socialismo evangelico, si schiero’ contro la guerra di Libia (1911) e contro l’ingresso dell’Italia in quella mondiale (1915), poiché considerava la guerra barbara e anticristiana.
Per sostenere le sue idee, prese due importanti iniziative: fondo’ una scuola elementare per i figli dei contadini e inizio’ (23-3-1913) a pubblicare il quindicinale Simplicista, in cui mirabimente riusciva a fondere gli ideali socialisti con quelli cristiani (19).
Nel primo dopoguerra partecipo’ attivamente alla riorganizzazione del PSI, pur continuando nella sua missione religiosa.
Infatti, quando il 16 e il 17 agosto 1919 il PSI tenne (a Vittoria) il suo 1° Convegno Provinciale, in cui venne costituita la Federazione provinciale di Siracusa (20), egli venne chiamato a far parte del direttivo (21). In prossimitá delle prime elezioni politiche del dopoguerra, indette per il 16 novembre 1919, Schiro’ fu chiamato anche a far parte della lista siracusana del PSI (22).
Dopo le elezioni, alla fine di quell’anno, si svolse il congresso provinciale del PSI, che elesse segretario provinciale proprio Lucio Schiro’ (23).
Nel 1920 divenne sindaco di Scicli (24), carica da cui dovette dimettersi sotto la minaccia delle armi degli squadristi, che in precedenza lo avevano minacciato e aggredito.
Rimase sempre fedele alla linea „centrista“ del PSI, non condividendo né l’estremismo comunista né il riformismo parlamentare, che diedero vita a due altri partiti di matrice socialista, il PCdI e il PSU.
Coerente e fermo antifascista, nel Ventennio fu ammonito e vigilato, mentre la sua chiesa e la scuola elementare da lui fondata furono sempre guardate con sospetto dal regime.
Caduto il quale, dal 1944 al 1947 fu di nuovo sindaco di Scicli e successivamente attivista del PSI e dei Partigiani della pace.
Migliaia di siciliani parteciparono al funerale di questo grande campione del socialismo e del cristianesimo, entrambi da lui non solo predicati, ma coerentemente praticati.

Ignazio Silone

Ignazio Silone (1900-1978), politico, scrittore e giornalista, poté dirsi un socialista senza partito e un cristiano senza chiesa, giacché, al compimento del suo cammino intellettuale e spirituale era approdato ad un suo socialismo cristiano, lontano da apparati partitici e gerarchie religiose.
Allevato in una famiglia cristiana, dalla nonna paterna (25) fu avviato alle scuole medie in vari istituti religiosi. Ma la sua natura irrequieta e la sua sensibilitá umana per le miserabili condizioni dei contadini abbruzzesi, che egli definirá i dannati della terra, lo portarono ad interrompere gli studi e aderire al partito socialista (26).
Nel gennaio 1921 fu uno degli scissionisti che vollero costituire il partito comunista, della cui Federazione giovanile divenne uno dei principali dirigenti (27) e all’avvento del fascismo fiancheggio’ Gramsci nell’attivitá clandestina e piú volte, assieme a Togliatti, rappresento’ il PcdI (28) nelle riunioni del Kominter.
Durante i lunghi anni d’esilio divenne critico nei confronti dell’involuzione stalinista che ormai permeava il comunismo internazionale e, a causa delle sue posizioni critiche, nel 1931 fu espulso dal partito.
Dopo un periodo di riflessione, in cui diede sfogo alla sua vena artistica (29), aderí al Centro Estero socialista di Zurigo che dal dicembre 1941 al 1944, in seguito all’invasione nazista della Francia che ne aveva travolto le strutture all’estero, assunse la rappresentanza del PSI.
Rientrato in Italia, entro’ nella Direzione del PSI e divenne direttore dell’Avanti! e deputato alla Costituente.
Nel 1947, dopo la scissione socialdemocratica capeggiata da Saragat, lascio ‘ il PSI, ma non la politica. Alla testa del gruppo che ruotava intorno alla sua rivista Europa socialista (30), aderí poi all’Unione dei Socialisti (UdS), di cui nel 1949 diverrá segretario e, con questa, al Partito Socialista Unitario (PSU), di cui pure fu segretario nel 1950. Dopo la fusione tra il PSU e il PSLI di Saragat, Silone si allontano’dalla politica e si dedico’ alla sua attivitá letteraria.
Intanto era maturata in lui un’avversione per l’apparato clericale, ritenuto troppo incline al compromesso con la classe dominante e responsabile di instillare nei giovani l’idea della sottomissione e della rassegnazione. Questa constatazione, che contraddiceva il suo innato senso della giustizia e quindi della ribellione, non riuscí pero’ a sradicare il suo profondo sentimento religioso maturato negli anni giovanili. Egli dunque finí per convincersi che un altro cristianesimo, piú vicino ai poveri e agli umili, era possibile e che l’ideale socialista potava armonizzarsi con i valori cristiani. Egli era ormai persuaso che il socialismo non solo non era in contrasto con il disegno divino, ma che era la strada maestra perché il cristianesimo potesse realizzare la sua missione di giustizia. In questo quadro egli concluse che lotta per la fede e lotta contro la miseria erano inscindibili.
Un’esperienza originale, quella di Silone, ostile alla partitocrazia che invadeva le istituzioni, e insofferente rispetto alle intromissioni politiche delle gerarchie clericali; una posizione che pero’ rimase socialista e cristiana.

Il Partito Cristiano Sociale

Durante la Resistenza Gerardo Bruni (1896-1975), filosofo e bibliotecario, politico ex popolare legato a don Sturzo, diede vita a un Movimento Cristiano Sociale (31), alla testa del quale partecipo’ alle prime riunioni (32) aventi lo scopo di costituire il nuovo partito che avrebbe preso il nome di Democrazia Cristiana. Tuttavia, avendo constatato che il costruendo partito si sarebbe collocato nell’area moderata e che non avrebbe preso le distanze dall’ideologia capitalista, e anche a causa del suo persistente interclassismo, abbandono’ l’iniziativa.
Rifiuto’ anche di aderire al Movimento dei Cattolici Comunisti (1943) di Franco Rodano e Adriano Ossicini, poi divenuto partito della Sinistra Cristiana (1943-1945), perché ritenuto non autonomo rispetto al PCI, in cui, infatti, nel 1945 conflui’.
Nel periodo clandestino, invece, il movimento di Bruni sottoscrisse dei „patti di collaborazione“ col Partito Socialista Italiano di Unitá Proletaria e col Partito d’Azione, che pero’ non ebbero ulteriori sviluppi politici.

In prossimitá delle elezioni per l’Assemblea Costituente (2-6-1946) il movimento divenne Partito Cristiano Sociale, e si presento’ col proprio simbolo (33) e con proprie liste.
Alla Costituente noi difenderemo con fermezza – era scritto nel programma del PCS – accanto agli altri cattolici, i nostri principi cristiani e sosterremo la nostra causa socialista, che é la causa di tutti i lavoratori.
Il nuovo partito professava dunque un „socialismo cristiano“ che voleva conciliare i principi del socialismo democratico con quelli del solidarismo cristiano (34).
Il partito, convintamente repubblicano, era critico nei confronti del materialismo marxista sul piano ideologico, ma pronto a collaborare con comunisti e socialisti sul piano politico.
Esso presento’ liste solo in 7 circoscrizioni su 31 e ottenne 51.088 voti (0,22 %) e un eletto, nella persona dello stesso Bruni, che al momento della votazione sull’inserimento del Concordato nella Costituzione (art. 7) si schiero’ con i socialisti e voto’ contro, mentre i comunisti votarono a favore.
In occasione delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 si schiero’ col Fronte Democratico Popolare, senzá pero’ aderire al suo cartello elettorale, ma presentando liste proprie. , con cui raccolse 72.854 voti (0,28 %), senza pero’ ottenere alcun seggio.
In conseguenza della sconfitta elettorale, il PCS si sciolse, ma Bruni continuo’ la sua battaglia politica collegandosi con vari gruppi della sinistra cristiana.
Lo ritroviamo, nelle giornate del 28 e 29 marzo 1953, alla testa del Gruppo Socialisti Cristiani, al 1° congresso dei socialisti indipendenti, da cui nacque l’Unione Socialista Indipendente (USI) (35), che partecipo’, con proprie liste alle elezioni politiche del 7 giugno 1953, senza ottenere seggi, ma contribuendo in modo determinante ad impedire che scattasse la cosiddetta „legge truffa“.
L’USI concluderá la sua parabola nel marzo 1957, confluendo nel PSI.
Gerardo Bruni non cesso’ di interessarsi di politica, sempre su posizioni progressiste, col suo socialismo ispirato ai principi evangelici.
Nel 1973 partecipo’ al 1° convegno dei Cristiani per il socialismo. Successivamente colloquio’ volentieri col Partito Radicale.

Il Movimento Politico dei Lavoratori

Dopo il congresso di Torino (19-22/6/1969) delle Associazioni Cristiane del Lavoratori italiani (ACLI) che, con grande disappunto della gerarchia cattolica, mise fine al collateralismo con la DC, il leader che aveva guidato la svoltaLivio Labor (1918-1999), lascio’ i vertici dell’Associazione, per dedicarsi ad un’altra sua creatura, l’Associazione di Cultura Politica (ACPOL), giá costituita nel marzo 1969, che voleva essere un luogo di confronto tra laici e cattolici che guardavano al socialismo.
Da questa esperienza maturo’ poi la fondazione (29-10-1971) del Movimento Politico dei Lavoratori (MPL) che doveva dare sostanza politica alle istanze classiste e anticapitaliste emerse nelle ACLI e nella sinistra cattolica in genere.
Con Labor aderirono al Movimento Gennaro Acquaviva, Luigi Covatta, Luciano Benadusi, Giovanni Russo Spena, Marco Biagi e tanti altri.
Ma il nuovo soggetto politico, alla prima prova elettorale, le elezioni politiche del 7-8/5/1972, dovette registrare un sostanziale fallimento, avento ottenuto alla Camera solo 120.251 voti (0,36 %) e nessun seggio.
Tale risultato comporto’ la decisione di sciogliere il MPL , in seguito alla quale la maggioranza di esso (Labor, Covatta, Biagi) decise di confluire nel PSI, mentre la minoranza di sinistra (Russo Spena, Jervolino, Migone) costituí un movimento denominato Alternativa Socialista (AS) che dopo qualche mese si fuse col NPSIUP (36), dando vita (dicembre 1972) al Partito di Unitá Proletaria (PdUP).
In tal modo gli originari cristiani socialisti delle ACLI divennero socialisti cristiani all’interno delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio italiano.

Cristiani per il Socialismo

Il movimento dei Cristiani per il Socialismo (CPS), formato da cristiani progressisti, sorse inizialmente in Cile nel 1971 (37), durante la Presidenza del socialista Salvador Allende (1908-1973) (38), ma presto si diffuse in America e in Europa.
Si trattava di un movimento di cattolici che avevano individuato esserci un nesso inscindibile tra riforma della societá in senso socialista e rinnovamento delle Chiese in senso evangelico.
In Italia il principale teorico di riferimento di tale visione era il salesiano Giulio Girardi (1926-2012), autore di Marxismo e cristianesimo, che nell’aprile 1972 aveva partecipato al primo convegno dei cristiani per il socialismo in Cile. Il modello di riferimento esterno principale era la rivoluzione nicaraguense, guidata dal Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) (39).
Il gruppo di cattolici di sinistra di varia provenienza (40) che, sull’onda delle speranze suscitate dal Concilio Vaticano II, prese l’iniziativa di organizzare i CPS e che avrebbe costituito la segreteria tecnica del movimento era composto da Arrigo Colombo, Roberto De Vita, Angelo Gennari, Marco Ingrosso, Domenico Jervolino, Raffaele Morese, Romano Paci, Franco Passuello, Paolo Pippi.
Il convegno fondativo del movimento (41) ebbe luogo a Bologna dal 21 al 23 settembre del 1973, proprio durante le drammatiche giornate che seguirono il colpo di stato in Cile, che in Italia indussero Enrico Berlinguer, segretario del PCI, ad elaborare la nuova strateggia detta del compromesso storico.
Al convegno parteciparono piú di duemila persone provenienti da ogni parte d’Italia. Erano presenti intellettuali cattolici (Ernesto Balducci, Giuseppe Alberigo) esponenti comunisti, socialisti (Livio Labor, giá segretario delle ACLI e leader del MPL, poi confluito nel PSI) e della sinistra extra-parlamentare, gruppi valdesi e giovani evangelici.
I lavori furono introdotti da Roberto De Vita (42) e la relazione fu tenuta da Giulio Girardi, che cosí concluse: Il convegno non intende fondare né un nuovo partito né una nuova Chiesa, ma affermare la presenza, di fatto e di diritto, della scelta socialista nel mondo cristiano e della scelta cristiana nel mondo socialista.
Il convegno si chiuse con la riaffermazione della convergenza esistente tra le esigenze della fede e quelle dell’impegno politico e con l’elezione della Segreteria nazionale (43).
I CPS, favorevoli alla laicitá dello Stato, si schierarono contro il regime concordatario, per la difesa dei diritti civili e contro l’abrogazione della legge sul divorzio (44) e percio’ furono espressamente condannati dalla gerarchia ecclesiastica.
Il secondo convegno dei CPS, intitolato Movimento operaio, questione cattolica, questione meridionale, in cui, ancora una volta, fu dibattuto il rapporto tra fede e politica, si svolse a Napoli ai primi di novembre del 1974 (45).
Un’assemblea nazionale si svolse poi a Rimini nel marzo 1976 e un’altra ancora nel giugno 1977, a Santa Severa (Roma). Una terza ed ultima, infine, quando giá si intravvedevano segnali di crisi nel movimento, ebbe luogo ad Arezzo nel marzo 1979.
Per il movimento dei CPS non ci fu un atto formale di scioglimento; semplicemente la loro spinta propulsiva si esauriva in una con l’epoca della contestazione post-conciliare, mentre al soglio di Pietro saliva Giovanni Paolo II.

I Cristiano Sociali

Quando, nel luglio 1993, Il segretario della DC Mino Martinazzoli, nell’intento di rilanciare il ruolo dei cattolici nella politica italiana, convoco’ a Roma un’Assemblea programmatica e costituente di 500 persone (per metá esponenti del partito e per metá di area), la quale appovo’ a larghissima maggioranza, il progetto di dar vita al nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana e popolare (46), a votare contro fu solamente Ermanno Gorrieri (1920-2004), sociologo sindacalista della CISL, ex comandante partigiano ed ex Ministro del lavoro (1987). Egli, infatti, riteneva superato il principio dell’unitá politica dei cattolici, rifiutava l’idea di un centro cattolico equidistante tra i due raggruppamenti di destra e di sinistra che in Italia si fronteggiavano, mentre invece preferiva partecipare alla creazione di uno schieramento alternativo alle forze moderate. Di conseguenza, l’11 settembre 1993 lascio’ la DC.
A quel punto divenne naturale l’incontro tra il gruppo di cristiani progressisti che ne condivisero la scelta e quello dei socialisti cristiani, guidati da Pierre Carniti (1936-2018), ex segretario generale della CISL (1979-85) e parlamentare del PSI, partito ormai in piena crisi.
L’incontro dei due gruppi porto’, il 14 settembre 1993, alla costituzione del nuovo raggruppamento dei Cristiano Sociali (CS), con presidente Gorrieri e segretario Carniti (47), che si proponeva di costituire una presenza organizzata, sociale e civile, di credenti nello schieramento progressista che si candidava al governo dell’Italia.
Esso si ispirava ai principi di democrazia, solidarietá, libertá ed uguaglianza sanciti dalla Costituzione e si proponeva percio’ di fare una politica sociale e di redistribuzione delle risorse, nell’ambito di un rapporto forte tra etica e politica.
Al nuovo movimento aderirono importanti personalitá per lo piú provenienti dall’associazionismo cattolico (48), come Paola Gaiotti (49), Luigi Viviani, Laura Rozza (50), Stefano Ceccanti (51).
In vista delle elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, i CS si schierarono a sinistra, col cartello elettorale detto „Alleanza dei Progressisti“ (52), nell’ambito del quale ottennero sei senatori (53) e otto deputati (54).
Facendo tesoro degli insegnamenti derivanti dalla sconfitta del 1994, le forze riformiste presenti nella coalizione di sinistra e in quella di centro, principalmente il PDS e il PPI, per impulso di Romano Prodi, raggiunsero successivamente un accordo per dar vita ad uno schieramento unitario, „L’Ulivo“, a cui anche i CS aderirono, in vista delle nuove elezioni del 21 aprile 1996 (55).
Nel nuovo parlamento i CS, che avevano stretto un „patto federativo“ con il PDS (56), ottennero quattro senatori (57) e cinque deputati (58).
A lanciare l’idea di creare una forza unificata dell’intera sinistra riformista, collocata nell’area dei partiti socialdemocratici e laburisti europei, fu Massimo D’Alema; ma ad anticiparla pubblicamente, il 18 febbraio 1995, a Chianciano Terme, fu Ermanno Gorrieri nel corso dell’Assemblea dei CS intitolata Organizzare la speranza: i cristiani nella coalizione democratica.
Il processo di formazione del nuovo soggetto politico con la costituzione degli Stati Generali della Sinistra e con la celebrazione, il 13 febbraio 1998, del congresso costitutivo dei Democratici di Sinistra (DS) (59), in cui i Cristiano Sociali ebbero una rappresentanza del 6 %.
Il nuovo partito si collocava nell’ambito della socialdemocrazia, come dimostrava l’inserimento nel simbolo della rosa del socialismo europeo e la sua adesione all’Internazionale Socialista, ma si avvaleva dell’apporto di altre culture e tradizioni, quale, in particolare, quella cristiano-sociale.
Da allora i CS (60) si trasformarono in un’associazione di cultura politica, impegnata a coniugare i valori del cristianesimo sociale con quelli della tradizione laico-socialista e supportata dalla rivista online Italia solidarietá (61).
Nel marzo 2003, alla 7a Assemblea Nazionale, ne venne eletto Coordinatore Nazionale Mimmo Lucá, con Pierre Carniti Presidente.
Il 14 ottobre 2007 i DS si fusero con la Margherita ed altri (62), dando vita al Partito Democratico (PD).
Nell’Assemblea straordinaria del 6 maggio 2017 i Cristiano Sociali, avendo conseguito lo scopo dell’unitá dei riformisti, decisero di sciogliersi. Nel darne l’annuncio, il Coordinatore Nazionale cosí concluse:
Di noi, spero resti una reputazione positiva e un ricordo di coraggio, onestá intellettuale e buona politica.

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  1. In quel periodo non era proprio la stessa cosa, con il PSI saldamente all’opposizione, assieme agli alleati comunisti e il PSDI ben inserito nei governi centristi, accanto ai democristiani. Nelle piazze i socialdemocratici chiamavano quelli del PSI “comunisti nenniani” e ne venivano ricambiati con “socialisti del dollaro”.
  2. Non era nemmeno presa in considerazione una terza ipotesi!
  3. A. Bebel La donna e il socialismo.
  4. Engels Sulle origini del cristianesimo.
  5. B. Russel Perché non sono cristiano.
  6. La ricerca é limitata al rapporto tra cristiani e socialisti strettamente intesi; dunque essa non comprende i casi di contaminazione tra movimenti cristiani e movimenti o partiti che pure si richiamano al socialismo, ma che se ne sono storicamente differenziati, come quello anarchico e quello comunista.
  7. Prampolini (1859-1930), laureato in giurisprudenza, giornalista, pero’ sapeva opporsi anche energicamente ai soprusi: fu tra quelli che, alla Camera, rovesciarono le urne per impedire una votazione sui cosiddetti „decreti liberticidi“.
  8. Il giornale da lui fondato (1886) e diretto per molti anni fu appunto intitolato La Giustizia.
  9. Prampolini fu sempre e comunque contro la violenza e fautore del socialismo democratico. La sua fu definita una lotta senz’odio.
  10. Si pensi, ad esempio, all’imponente sistema cooperativistico che i socialisti, ai primi del ‘900, crearono a Reggio Emilia.
  11. Prampolini fu scomunicato.
  12. Giovanni Bianchi I laburisti cristiani e i democristiani Eremo e Metropoli edizioni, 2014.
  13. Si era anche opposto alla guerra di Libia del 1911.
  14. Miglioli fu eletto deputato nel 1913, nel 1919 e nel 1921. Nel 1924 fu espulso dal P.P.I. , ufficialmente con l’accusa di aver sostenuto la lotta di classe, in contrasto con la dottrina cristiano-sociale.
  15. Il 1° maggio 1922 fu stipulato un “patto d’intesa”, fortemente da lui voluto, tra cattolici e socialisti cremonesi per fronteggiare il pericolo di violenze del fascismo agrario.
  16. Aveva subito varie aggressioni fasciste.
  17. Ada Alessandrini (1909-1991), laureata in Lettere, di professione bibliotecaria, ex partigiana, lascio’ la DC nel 1947, dopo la rottura di quel partito con socialisti e comunisti. Aderí all’Unione Donne Italiane (UDI), al Movimento unitario dei cristiani progressisti e ai Partigiani della Pace, con i quali collaboro’ anche Miglioli.
  18. Le idee di Mazzolari furono in un primo momento criticate dalla gerarchia ecclesiastica, ma successivamente furono rivalutate dai papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Francesco. Il suo pensiero sull’obiezione di coscienza ispiro’ cattolici come Giorgio La Pira, famoso sindaco pacifista di Firenze, e don Lorenzo Milani, autore di Lettera a una professoressa.
  19. Il giornale sospese le pubblicazioni nel marzo 1915, a causa della guerra. Ritorno’ ad uscire dal 1°-3 – 1919 al 22-3-1924.
  20. La provincia di Ragusa, cui apparterrá la cittá di Vittoria, allora faceva parte di quella di Siracusa. La provincia di Ragusa fu istituita nel 1927.
  21. Segretario ne era Angelo Troina. Gli altri componenti erano: Lucio Schiro’ ((Scicli), Filadelfo Castro (Lentini), Carmelo Bellia (Ragusa), Peppino Di Vita (Comiso) e Giovanni Nifosi (Modica).
  22. Gli altri candidati erano: Vincenzo Vacirca, Salvatore Molé, Peppino Di Vita, Filadelfo Castro e Carlo Muccio. In Sicilia non fu eletto alcun deputato. Vacirca fu eletto, ma nel collegio di Bologna. Schiro’ sará candidato anche nel 1921 e nel 1924.
  23. Il nuovo Comitato Direttivo della Federazione comprendeva, oltre il segretario Schiro’, Salvatore Molé (Vittoria), Peppino Di Vita (Comiso), Carlo Muccio (Ragusa), Giovanni Vajola (Modica), Enrico Giansiracusa (Siracusa), Giovanni Nifosi (Modica), Giuseppe Ingafú (Noto) e Francesco Marino (Lentini).
  24. Fu eletto anche consigliere provinciale.
  25. In seguito alla morte prematura del padre e al terremoto del 1915 in Abruzzo, in cui perse anche la madre, rimase solo col fratello minore Romolo.
  26. Divenne direttore del giornale dei giovani socialisti Avanguardia e collaboratore dell’Avanti!.
  27. Al 3° congresso dell’Internazionale Comunista conobbe Lenin.
  28. Era giá divenuto membro dell’Ufficio Politico del Partito Comunista d’Italia (PCdI).
  29. Suo capolavoro é considerato il romanzo Fontamara (1933).
  30. Il giornale si batteva per l’autonomia dei socialisti e per un’Europa unita.
  31. Al Movimento Cristiano Sociale aderí Anna Maria Enriques Agnoletti (1907-1944), partigiana. Catturata dai fascisti, essa venne torturata e poi fucilata il 15-5-1944. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Ne fecero parte anche Silvestra Lea Sesini e Lorenzo Lapponi, partigiani cattolici.
  32. Le riunioni si svolsero nell’agosto 1942, per iniziativa di Alcide De Gasperi, ultimo segretario del PPI, e di Piero Malvestiti, leader del movimento neo-guelfo. Vi parteciparono anche, a vario titolo, Mario Scelba, Attilio Piccioni, Camillo Corsanero, Giovanni Gronchi, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti, Paolo Emilio Taviani e Giuseppe Alessi.
  33. Un badile e un libro aperto, con una croce sullo sfondo, chiari simboli del suo socialismo cristiano.
  34. A causa della sua scelta politica, Bruni perse il posto alla Biblioteca Vaticana e, avendo vinto un apposito concorso, si dedico’ all’insegnamento di „Storia e Filosofia“ nei licei. In seguito diventerá docente universitario di Filosofia medioevale e di Storia delle dottrine politiche.
  35. Alla creazione dell’USI contribuí prevalentemente il Movimento Lavoratori Italiani (MLI) di Cucchi e Magnani, affiancato da socialisti provenienti dal PSI, dal PSU, dal PSLI e dal Pd’Az.
  36. Il Nuovo Partito Socialista Italiano di Unitá Proletaria (NPSIUP) era stato costituito nel luglio 1972 da quei militanti del PSIUP che, dopo lo scioglimento del loro partito, si erano rifiutati di confluire nel PCI o nel PSI e avevano preferito proseguire autonomamente la loro battaglia politica costituendo appunto il NPSIUP, guidato da Vittorio Foa e Silvano Miniati.
  37. Dal 14 al 16 luglio 1971 si riunirono a Santiago del Cile ottanta religiosi per discutere sul tema Partecipazione dei cristiani alla costruzione del socialismo in Cile. Con la Dichiarazione degli Ottanta essi si dichiararono favorevoli alla collaborazione tra marxisti e cristiani.
  38. Allende, dopo aver vinto democraticamente le elezioni, governo’ il Cile dal 3-11-1970 all’11-9-1973, giorno in cui si suicido’ per non arrendersi al golpe militare guidato dal generale Pinochet, che poi instauro’ nel Paese una brutale dittatura di stampo fascista.
  39. Il FSLN fa attualmente parte dell’Internazionale Socialista.
  40. Esso si riuní per la prima volta a Bologna nel marzo 1973.
  41. Esso riprese da quello cileno la denominazione.
  42. De Vita (n. 1938) fu inizialmente referente organizzativo e coordinatore delle attivitá, per poi diventare segretario nazionale e responsabile dei CPS.
  43. Arrigo Colombo, Roberto De Vita, Ernesto Balducci, Marco Bisceglia, Angelo Gennari, Filippo Gentiloni, Gabriele Gherardi, Ghibellini, Michele Giacomantonio, Giorgio Girardet, Marco Ingrosso, Domenico Jervolino, Franco Leonori, Giuseppe Morelli, Raffaele Morese, Arnaldo Nesti, Peppino Orlando, Romano Paci, Franco Passuello, Paolo Pioppi, Marco Rostan, Pier Giuseppe Sozzi, Marcello Vigli.
  44. Referendum del 12-13/5/1974.
  45. Nel Comitato Nazionale furono inseriti due rappresentanti per ogni regione.
  46. Quello che poi sarebbe stato il nuovo Partito popolare Italiano (PPI).
  47. In precedenza Carniti aveva fondato Riformismo e Solidarietá (ReS), un gruppo detto di catto-socialisti che si proponeva la difesa della dignitá dell’uomo e della collettivitá e si presentava come alternativo al capitalismo, materialista e consumista e causa di molte disuguaglianze.
  48. La CISL, le ACLI, l’Azione Cattolica, l’Agesci (guide e scout), la Confcooperative, il volontariato.
  49. Paola Gaiotti in precedenza aveva fatto parte del movimento Lega Democratica – Cristiani per il socialismo e le Comunitá di Base.
  50. Laura Rozza proveniva dal Movimento per la Democrazia – La Rete.
  51. Ex presidente della FUCI (1985-87).
  52. Ne facevano parte, oltre i CS, il PDS, il PRC, il PSI, la Federazione dei Verdi, La Rete, Alleanza Democratica e Rinascita Socialista. Le coalizioni rivali erano quella di destra, „Il Polo“, guidato da Sivio Berlusconi, che vinse le elezioni, e quella di centro, „Il Patto per l’Italia“, capeggiato da Mariotto Segni.
  53. Pierpaolo Casadei Monti, Michele Corvino, Guido Cesare De Guidi, Enrica Pietra Lenzi, Giovanni Russo, Cosimo Scaglioso.
  54. Paola Gaiotti De Biase, Vito Fumagalli, Luciano Galliani, Lorenzo Guerzoni, Giuseppe Lombardo, Mimmo Lucá, Domenico Maselli, Sergio Tanzarella.
  55. Le elezioni furono vinte dall’Ulivo e Romano Prodi formo’ il suo 1° governo.
  56. Nella quota proporzionale della Camera i CS si presentarono nella lista del PDS.
  57. Pierpaolo Casadei Monti, Guido Cesare De Guidi, Giovanni Russo, Luigi Viviani.
  58. Franco Chiusoli, Mimmo Lucá, Marcella Lucidi, Domenico Maselli, Carlo Stelluti.
  59. Vi aderirono: il PDS, la Federazione Laburista, i Comunisti Unitari, la Sinistra Repubblicana, i Riformatori per l’Europa, Agire Solidale e i Cristiano Sociali.
  60. Nel 1999 ne divenne Coordinatore Nazionale Giorgio Tonini, con Presidente Mimmo Lucá.
  61. L’associazione faceva parte della Lega Internazionale dei Socialisti Religiosi, organizzazione associata all’Internazionale Socialista.
  62. Il Movimento Repubblicani Europei (Luciana Sbarbati). Ex UDC di Marco Follini, Alleanza Riformista di Ottaviano Del Turco, singole personalitá.

Fonte: di FERDINANDO LEONZIOTags: FERDINANDO LEONZIOIGNAZIO SILONELA RIVOLUZIONE DEMOCRATICALRDMIMMO LUCA’PIERRE CARNITIPRAMPOLINISCIRO’SOCIALISMOSOCIALISTI E CRISTIANI

dicembre 28, 2020

Ritrovare la via.

di Beppe Sarno

L’Italia è oggi un paese più povero, meno produttivo e con più disoccupazione in special modo nell’area del Mezzogiorno d’Italia dove la disoccupazione conta un milione e mezzo di disoccupati e la disoccupazione giovanile supera di gran lunga il 50%.

 La caduta del Pil, il calo della produzione industriale, l’incertezza politica, il generale rallentamento dell’economia a livello mondiale (e in particolare in Europa) descrivono un paese in marcia verso una nuova crisi economico-finanziaria, che il  fermo obbligato per la pandemia da covid sicuramente aggraverà, ma mentre le multinazionali grazie alle loro speculazioni finanziarie continuano ad arricchirsi il ceto medio e  i lavoratori continuano ad impoverirsi.

Le risorse messe in campo per affrontare la pandemia sebbene indispensabili, non risolvono la crisi in cui ci si dibatte ormai da troppo tempo. Una politica di austerità dettata dall’Europa ha ridotto il nostro paese senza risorse con un’economia povera dove fenomeni di delocalizzazione industriale l’hanno resa senza risorse e con poche industrie produttive. Le provvidenze del “recovery fund” arriveranno in parte nel 2021 per un 10% e il resto spalmato negli anni successivi fino al 2026.   Dal 2027 saremo impegnati a restituire buona parte dei soldi ricevuti e con nuovi obblighi di austerità soprattutto se passa l’accettazione del MES da parte del nostro governo.

Dall’altro canto la classe politica si è ridotta a fare pura comunicazione alla ricerca esasperata di un consenso elettorale dal momento che a primavera 2021 si vota per sindaci di prima importanza (Roma, Napoli, Milano), nel 2023 si dovrà eleggere il presidente della Repubblica e sempre durante l’anno 2023 si dovrà rinnovare il Parlamento ed il Senato con una nuova legge elettorale ancora da approvare.

E’ sotto gli occhi di tutti  che  il punto vero di criticità rimane il sistema politico e la sua crisi istituzionale. Può la nostra democrazia reggere a lungo laddove è consentito a chiunque di commettere atti di pirateria economica e politica come nel caso dell’Ilva di Taranto o della Wirlpool  e di tante altre realtà senza che da parte di chi governa non ci sia alcun controllo o sanzione solo per non compromettere equilibri politici frutto di compromessi non sempre nobili?

In questo scenario il grande assente è lo Stato.

Partito democratico e il partito dei   Cinque Stelle stanno dando una mano alla significativa crisi del nostro sistema politico. Non a caso per l’approvazione del documento di programmazione economica e finanziaria vi è stato  l’appoggio interessato di una destra responsabile di venti anni di fallimenti. L’arretramento politico dei partiti al governo ha causato una spirale involutiva che si riflette automaticamente sul loro arretramento elettorale che li vede in minoranza di fronte ad una destra forte di un consenso politico costruito su “forme di nazionalismo  chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi”(Tutti fratelli lett. enc. Papa Francesco).

La gente è sempre più convinta che la democrazia non serve più. Beppe Grillo, il giullare diventato Santo se ne è fatto profeta dichiarando che il parlamento non serve, ormai ridotto a zavorra superflua. La certificazione è venuta dall’esito  del recente referendum che ha ridotto il numero dei parlamentari.

Ma il posto i cui si sente di più il peso di questa intollerabile situazione è nei posti di posto di lavoro, anche se i lavoratori non sembrano o non vogliano accorgersene perchè drogati da decenni di assistenzialismo e attendono l’intervento salvifico dello stato, fino a quando l’ultimo lavoratore non diverrà un disoccupato in attesa del reddito di cittadinanza o nell’ipotesi peggiore manodopera a basso costo della criminalità organizzata. 

Pietro Calamandrei diceva «La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare»

Non c’è dubbio che soprattutto nelle fabbriche italiane manchi l’aria da tempo; la sospensione delle libertà è iniziata nelle fabbriche dove sempre più spesso si lavora senza tutele sanitarie adeguate senza rispetto dei diritti sindacali  con i lavoratori ridotti letteralmente a produttori senza diritti e consumatori senza libertà, per non parlare del terziario, della grande distribuzione dell’agricoltura.  

Ecco perché è dalle fabbriche, dal posto di lavoro  che deve partire l’iniziativa per combattere una battaglia politica generalizzata che comprenda l’impegno per una sanità pubblica, diritti dei lavoratori e dei loro corpi ridotti a merce, diritti di chi non ha una casa in cui rimanere né i soldi per vivere, diritto alla vita degli anziani, diritto all’istruzione e libertà di insegnamento, finanziamento della ricerca e accesso ai ruoli di responsabilità scientifica.

 Insomma, lo Stato va ricostruito dalle sue fondamenta secondo il progetto della Costituzione.

 Se è quindi vero che la democrazia va ricostruita sui posti di lavoro è pur vero che questa ricostruzione vada fatta secondo un paradigma che partendo dai principi che ispirano la  Carta Costituzionale si appoggi su questi pilastri: nazionalizzazione delle industrie strategiche ed intervento dello stato ree di crisi, revoca delle concessioni ai privati di attività economicamente produttive di proprietà dello Stato, cogestione, programmazione economica fondata su quello che in America è stato chiamato il “Il Green New Deal”. Cioè un’economia finalizzata a cambiare il sistema produttivo nazionale fondato sullo sfruttamento sull’uomo e delle risorse naturali.

Si tratta dunque di individuare con chiarezza gli scopi fondamentali, di trovare le soluzioni per portare la democrazia nei posti di lavoro per verificare gli effetti a lunga scadenza che questi obbiettivi raggiungeranno.

La cogestione

Per quanto riguarda l’applicazione della cogestione nelle fabbriche esso non deve significare portare nelle fabbriche uno strumento per massimizzare la produttività e quindi per allineare il più possibile senza contrasti i lavoratori con gli interessi dell’impresa. Questo equivoco stravolgerebbe il senso che si vuole dare alla partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa.  Lo scopo della cogestione, cioè l’intervento dei lavoratori nella conduzione dell’impresa dovrà servire a creare strumenti di democrazia all’interno del sistema produttivo per meglio realizzare gli interessi dei lavoratori e della collettività.

Fra la direzione dell’impresa e i lavoratori dovrà  sempre esistere contrapposizione, ma il  mutamento del paradigma presuppone  l’esistenza di un progetto diverso teso non ad una accumulazione di plusvalore e di incremento di profitto a favore di pochi, ma ad assicurare libertà e dignità umana a tutti. Certo si dovrà tener conto degli interessi economici ma il fine della cogestione deve essere sociale.

Con la cogestione si può raggiungere un equilibrio virtuoso: se da una parte i lavoratori sono interessati al successo economico dell’azienda, gli imprenditori, dall’altra, debbono essere interessati ad una condizione libera e dignitosa dei lavoratori.

Impossibile? Certamente no!

Se grandi multinazionali hanno adottato la cogestione come elemento fondante della gestione aziendale questo significa da una parte un razionalizzazione dei sistemi produttivi fatti da chi la produzione la fa materialmente e dall’altra la creazione di ricchezza a favore non solo dell’azienda ma anche dall’ambiente che lo circonda.

 Le acciaierie Krupp furono salvate grazie alla cogestione.

In Italia un’imprenditoria conservatrice è stata sempre contraria alla cogestione viceversa i sindacati hanno sempre cercato di   impedire l’attuazione della cogestione perché questo avrebbe ridimensionato il loro ruolo che acquista valore solo in un rapporto conflittuale con l’impresa.

Eppure in Italia è esistita l’Olivetti azienda leader nel settore dell’elettronica che vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero. Olivetti credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l’organizzazione del lavoro comprendeva un’idea di felicità collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell’ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni.(fonte Wikipedia)

Se guardiamo alla ricca Germania possiamo rilevare che la cogestione non solo viene praticata da sempre ma trova il suo fondamento nella Legge Fondamentale (che ha il valore più a meno della nostra carta Costituzionale) L’art. 14 recita “La proprietà privata è garantita nei limiti dell’interesse generale” (Eigentum verpflichtet)”la proprietà obbliga”. L’art.15 (mai applicato) rende possibile la collettivizzazione del suolo, di risorse naturali e di mezzi di produzione. La Cogestione (Mitbestimmung), fu resa stabile al termine della seconda guerra mondiale con  la promulgazione di una serie di leggi federali, sebbene le sue radici affondino ai tempi della , (1919-1933), periodo in cui si realizzò, dal punto di vista politico, l’uguaglianza fra capitale e lavoro nell’economia nazionale.

Il principio trova la sua genesi storica in un congresso dei lavoratori a Berlino avvenuto alla fine dell’ottocento. A seguito di tale congresso fu concesso il diritto di ottenere in fabbrica un capofabbrica. Dopo il periodo della repubblica di Weimar passi concreti verso la cogestione furono compiuti dopo il 1945. In questo periodo gli imprenditori del settore minerario e dell’acciaio chiesero ed ottennero la collaborazione  del movimento sindacale e nel 1951  si giunse al consolidamento di un modello “paritario” di rappresentanza dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza grazie all’approvazione della Legge sulla Cogestione da parte dei Lavoratori dei Membri degli Organi di Amministrazione e Controllo delle Imprese del Settore Minerario, del Ferro e dell’Acciaio (Montan-Mitbestimmungsgestz – MontanMitbestG).

Nel sistema cd. “duale” affermatosi in Germania  in cui operano  il consiglio di gestione e il consiglio di rappresentanza  fondamentale è il ruolo dei lavoratori perché per la legge tedesca essi hanno lo stesso potere degli azionisti  avendo poteri decisionali ed interdittori avendo rispetto agli azionisti gli stessi diritti ed obblighi ed il diritto di voto.

Grazie al modello della cogestione, nessuna delle operazioni delocalizzazione che hanno portato alla fine delle imprese di tutta Europa, sono state possibili in Germania.

La giuslavorista Roberta Caragnano ha affermato  che “la partecipazione si pone come strumento di redistribuzione della ricchezza e sviluppo economico sostenibile per gli effetti positivi che produce sulla qualità del lavoro, sulla conoscenza e sulla professionalità del dipendente, ma, al tempo stesso, è anche elemento di coesione sociale divenendo strumento di gestione aziendale”

Certo i tempi sono cambiate e anche in Germania si tende a ridimensionare la presenza dei lavoratori  nella partecipazione alle decisioni aziendali, al fine di creare un equilibrio fra i diritti dell’imprenditore e quello dei lavoratori.

Sta di fatto che la Volkswagen il sistema della cogestione funziona perfettamente tanto che l’industria automobilistica ha istituito nel 1990  il Consiglio europeo del Gruppo Volkswagen, per dare ai dipendenti il diritto di scambiarsi informazioni e per garantire azioni comuni. Successivamente è stato creata   la “Carta dei rapporti di lavoro per le società e per gli stabilimenti del Gruppo Volkswagen”.

 Ovviamente il capitalismo finanziario internazionale non vede di buon occhio questo sistema di relazioni. In Germania però gli imprenditori accettano gioco forza il principio ella cogestione perché comunque garantisce una serie di vantaggi che derivano dall’equilibrio degli interessi delle parti coinvolte e che sono nella gestione aziendale corresponsabile, risultati positivi in relazione alla crescita della produttività e dei salari, della diminuzione del tasso di turnover, della maggiore motivazione e formazione dei dipendenti.

La cogestione garantisce una mediazione non conflittuale fra proprietà e lavoro, il raggiungimento di obiettivi capitalistici e maggiore giustizia sociale, ottimizzazione del profitto e protezione dei dipendenti.

In Italia l’art. 46 della Costituzione resta di fatto inattuato da una parte gli imprenditori non amano interferenze nell’ambito delle proprie aziende e dall’altro i sindacati sono contrari a forme di collaborazione. Il mondo politico d’altronde è di fatto storicamente schierato dalla parte degli imprenditori.

Seppur l’approvazione dell’art. 46 avvenne nel 1947, l’articolo non venne attuato a causa dell’opposizione della maggior parte degli esponenti della Democrazia Cristiana (e soprattutto di Alcide De Gasperi)

Nel 1938 in Francia vennero istituiti tramite un decreto legislativo dei delegati operai eletti dai propri colleghi, anche se le radici storiche del tema della rappresentanza sembrano doversi rinvenire nella Carta del Lavoro della Repubblica di Vichy relativamente alla presenza delle figure dei comitati sociali.

Nel regno Unito Anche in questo caso però solo più tardi (nel 1947) sarebbe stata emanata una legge volta alla costituzione di organismi consultivi (l’Industrial Organization and Development Act)

Altra tappa del processo di armonizzazione è quella relativa al “Programma di azione sociale” del 1974, fondato sulla convinzione che una forma di società vincente sarebbe dovuto essere basata sulla cogestione, accompagnata dagli imprescindibili diritti di informazione e consultazione.

Per concludere merita un cenno il Libro Verde del 1975 sulla “partecipazione dei lavoratori e sulla struttura delle società nella Comunità Europea”

In Europa dopo un lungo iter a volte contradditorio di progetti e risoluzioni, il 23 ottobre 2018 l’Europarlamento ha approvato, quasi all’unanimità, una risoluzione favorevole alla partecipazione finanziaria dei lavoratori e di una maggiore partecipazione dei lavoratori nei processi decisionali aziendali. In questa risoluzione si afferma che gli Stati membri  debbono “ collaborare con le parti sociali al fine di definire gli schemi di partecipazione finanziaria dei dipendenti e a negoziarli”. Esiste quindi un’altra Europa, che i nostri governanti fingono di ignorare laddove una maggiore comprensione e attenzione  potrebbe cambiare il sistema produttivo ormai agonizzante e ridare una speranza ai lavoratori.

In Italia ha vinto la linea Marchionne che adottando di fatto un sistema “amerikano” ha di fatto reso impotenti sia i lavoratori che i sindacati. Qualcuno ricorderà che a fronte dell’approvazione del referendum con il quale Marchionne chiedeva l’approvazione del suo piano aziendale pena la chiusura degli stabilimenti prometteva   20 miliardi di investimenti nel nostro Paese.

Chi li ha visti? In cambio però oggi l’Italia non è più azienda leader nel settore automotive.

Eppure in Italia non mancano esempi virtuosi di cogestione e si sono verificati alcuni casi in cui i lavoratori hanno rilevato l’azienda fallita e l’hanno rimessa in piedi è il caso della Italcable di Cairano acquistata dal curatore fallimentare dagli operai con il contributo di Cooperazione Finanza Impresa, Coopfond e Banca Etica.

In questo modo l’azienda è rimasta collegata al territorio riuscendo allo stesso tempo a promuovere uno sviluppo sia dal punto di vista economico che sociale.

Per citare altri esempi va ricordata la Manfrotto  prevede che uno dei 350 dipendenti sieda nel C.d.A. oltre altri misure di welfare aziendale; Il regolamento RAI prevede che un membro del CDA sia scelto fra  i dipendenti RAI; Alla rinnovata  attualmente “Sider Alloy” è prevista una rappresentanza dei lavoratori nel consiglio di amministrazione ed in proprietà dei lavoratori il 5% della nuova società.

Inoltre la cd. “legge Marcora” permette che i dipendenti delle aziende in crisi ne possano prendere le redini; ripartendo sgravati dai debiti, ma accollandosi sia tutte le responsabilità di gestione sia i costi d’investimento.

Tra i casi più famosi Greslab, realtà con 68 operai nella ceramica nata a Scandiano sulle ceneri della Ceramica Magica o in Lombardia la Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio.

E’ chiaro pertanto che manca la volontà politica di impegnarsi per approfondire le reali possibilità che questo nuovo orizzonte potrebbe delineare e ciò perchè i principali ostacoli all’attuazione dell’art. 46 della Costituzione sono stati, i sindacati confederali da una parte e da  Confindustria dall’altra. I primi cercavano di impedirne la realizzazione poiché ciò avrebbe portato alla chiusura del rapporto classista vigente tra gli imprenditori e gli operai e quindi, avrebbero visto venir meno la loro figura politica e sociale. La seconda invece è stata da sempre contraria perché si sarebbe compromessa l’efficienza economica dell’impresa.

La Cogestione come equiparazione fra capitale e lavoro introduce la democrazia nei posti di lavoro rendendo concreto il precetto dell’art. 46 della nostra Carta Costituzionale.

Nazionalizzazione delle industrie strategiche.

Il ministro federale dell’Economia della Germania Altmaier ha presentato il 29 novembre  2019 la sua “Strategia industriale nazionale 2030”.

Obiettivo della “Strategia Industriale Nazionale 2030” secondo il ministro è collaborare con gli attori economici per dare un contributo al recupero e al recupero della competenza economica e tecnologica, della competitività e della leadership industriale a livello nazionale, europeo e mondiale.

La strategia industriale presentata è la prima a sviluppare una coerente strategia industriale nazionale ed europea basata su considerazioni fondamentali. Definisce i casi in cui l’azione dello Stato può essere giustificata o addirittura necessaria in casi eccezionali al fine di evitare gravi svantaggi per l’economia nazionale e il benessere generale dello Stato. È allo stesso tempo un contributo alla formazione di un’economia di mercato a prova di futuro e la base per un dibattito normativo.

Altemaier ha dichiarato “La Germania è una delle realtà industriali più competitive al mondo e dovrebbe rimanere tale. Raggiungere questo obiettivo è responsabilità congiunta delle imprese e dello Stato.”

La Germania si pone dunque il problema che l’economia libera da condizionamenti sociali non è sostenibile e non genera ricchezza per la collettività conseguentemente  il ruolo dello Stato   non può essere marginale ma deve viceversa svolgere un ruolo attivo, indirizzando e talvolta assumendo in prima persona le scelte economiche. Non a caso Altemeier parla di responsabilità congiunta delle imprese e dello Stato.

Se questo è vero per la Germania a maggior ragione è vero per l’Italia dove da troppo tempo assistiamo ad un aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza all’interno del paese e ad un generale pessimismo su un futuro apparentemente senza prospettive  perché basato su una competizione dove i lavoratori non hanno strumenti per misurarsi con gli altri.

Esempi di nazionalizzazioni in Italia non sono mancati anche di recente, ma per lo più si è trattato di esperienze negative generate dalla circostanza che le società destinate alla nazionalizzazione non trovavano acquirenti sul mercato. E’ il caso ad esempio della compagnia di bandiera aerea nazionale: l’Alitalia dopo le sciagurate esperienze del passato da quasi tre anni lo Stato italiano cercava un acquirente per la compagnia aerea nazionale, che dal 2008 costa ai contribuenti già 9 miliardi di euro. Alitalia è ora di fatto di nuovo sotto il controllo statale. Nell’ambito del pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari all’economia, il governo consente la costituzione di una nuova compagnia, sotto la cui supervisione deve essere posta la compagnia aerea. Il governo di Roma difende la sua tanto criticata decisione di continuare a pompare denaro in Alitalia. Il processo di vendita della compagnia aerea rimane in vigore. Sembra abbastanza probabile che questo fallirà di nuovo.

Per la società Autostrade, il ministro Toninelli ha provato a revocare le concessioni alla Benetton responsabile del crollo del ponte “Morandi” per la scarsa manutenzione dello stesso, ma malgrado un’apposita commissione abbia dichiarato che il grave inadempimento della famiglia Benetton, azionista di riferimento della società “Autostrade per l’Italia” avrebbe dovuto comportare  la restituzione di un bene la cui custodia era stato affidato ad Autostrade per l’Italia, che era tenuta a restituirlo integro è andata a finire in un nulla di fatto. In tempi recenti la nazionalizzazione dell’ex ILVA di Taranto, che prevede l’entrata dello Stato attraverso Invitalia in società con la Arcelor Mittal  con un piano fantasioso e non realizzabile di decarbonizzazione dell’Impianto. L’Alcelor Mittal dovunque è andata ha combinato disastri ecologici e licenziamenti di massa; da questi briganti lo Stato ricompra l’Ilva dopo avergliela praticamente regalato ed in più gli affida la gestione. Praticamente il conte Dracula alla guida dalla banca del sangue. Giustamente gli amministratori locali con a capo il Presidente della Regione Puglia si sono dichiarati contrari al progetto pur essendo favorevoli alla nazionalizzazione dell’industria ma come ha dichiarato Emiliano “ ma con l’ipotesi in cui si risolva il contratto con ArcelorMittal e si passi alla gestione della società interamente a capitale pubblico”.

La verità è che le società con struttura mista (proprietà pubblica e privata insieme) non hanno mai funzionato e questo tipo di intervento non significa nulla perché lo Stato non è in grado di garantire quei controlli che una simile soluzione richiederebbe.

Anche la Francia vuole nazionalizzare le aziende, se necessario. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha detto che il governo “farà tutto il possibile per proteggere le grandi aziende francesi”. I passi possibili sono la capitalizzazione, la partecipazione statale e “se necessario anche la nazionalizzazione”. Le Maire aveva precedentemente annunciato un pacchetto di aiuti del valore di 45 miliardi di euro per imprese e dipendenti.

Eppure storicamente l’Italia, malgrado i recenti maldestri tentativi di nazionalizzazione alla carlona ha una storia importante per ciò che riguarda l’intervento dello Stato nell’economia.

 Enrico Mattei, prima che fosse fermato in maniera violenta, grazie all’Eni riuscì a creare in Italia un monopolio sul gas e su tutte le attività estrattive, trovando dinanzi a sé pochi oppositori.

Ma la  nazionalizzazione che più segnò il dibattito politico, però, fu quella dell’energia elettrica, anche perché comportò una forte spaccatura soprattutto all’interno della Democrazia cristiana.

Tutto in qualche modo inizia quando nel 1962 il governo, guidato da Amintore Fanfani, istituisce l’Enel (Ente per l’energia elettrica) con l’esplicita intenzione arrivare ad avere un solo soggetto erogatore di energia: posseduto dallo Stato.  A  sostenere la necessità della nazionalizzazione dell’energia vi era chi a giusta ragione riteneva che lo Stato veniva pensato quale soggetto orientato a fare il bene della collettività senza avere quale fine ultimo esclusivamente il profitto. Ora di tutto questo se ne è persa la traccia e i lavoratori delle aziende in crisi attendono l’intervento salvifico dello stato che gli garantisca una cassa integrazione infinita, l’abbonamento a sky e il motorino per i figli.

Invece la nazionalizzazione sarebbe la salvezza per quei settori strategici dell’economia   dove l’intervento dei privati che in trenta anni hanno sbranato il patrimonio pubblico dello Stato hanno generato ricchezza per pochi e indebitamento dello Stato.

Certo la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia da sola non basta perché prendendo ad esempio l’energia, che dovrebbe sicuramente ritornare in mano allo Stato, sarebbe necessaria una svolta in materia energetica da parte dell’Europa: politica energetica e nazionalizzazione dell’industria elettrica hanno in questo senso una stretta correlazione. L’energia quale equivalente e amplificatore della forza-lavoro è un fattore basilare nello sviluppo industriale, oggi fortemente in crisi.  L’energia elettrica è la base di tutto il settore energetico così in rapido sviluppo con lo sfruttamento delle energie alternative di cui l’Italia è ricca: sole, acqua, vento; ebbene  solo un progetto che abbia a cuore la sostanza delle soluzioni che andrebbero proposte potrebbe affrontare il problema della stretta concatenazione fra nazionalizzazione delle fonti energetiche e adozione di una politica dell’energia. Questo i privati non sono in grado di farlo né vogliono farlo perché il loro interesse primario non è il bene comune, ma il profitto.

In questo senso è facile immaginare le difese che metterebbero in campo i detentori del potere finanziario. Si scatenerebbe l’ostruzionismo di intere fasce della classe politica, l’ostruzionismo della burocrazia statale tesa a difendere privilegi incrostati da anni di mala gestio della cosa pubblica, per non parlare dell’uso spregiudicato dei mass media. Insomma è facile parlare di nazionalizzazione, ma bisogna comprendere che la nazionalizzazione non deve significare mettere sulle spalle dei contribuenti aziende decotte per salvare qualche centinaio di posti lavoro bensì, come nel caso dell’energia, adottare nel più breve tempo possibile l’unica radicale soluzione conveniente dal punto di vista della collettività: cioè quella di creare un’azienda Statale nazionale per la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica e della creazione di organi direzione affidati alle regioni ed alle amministrazioni locali. Questo significherebbe mettere al servizio della collettività e quindi anche per l’industria l’energia idroelettrica, l’energia eolica, l’energia solare e termica, l’energia geotermica e le bioenergie, l’energia marina.

Stesso discorso andrebbe fatto per la sanità che in maniera criminale i governatori delle regioni hanno messo nelle mani private mettendo in atto un piano di tagli alla sanità pubblica chiudendo ospedali, sottraendo posti letto, riducendo i posti di lavoro di medici infermieri personale sanitario. La pandemia ha viceversa dimostrato quanto sia indispensabile una sanità pubblica gestita in maniera corretta e senza speculazioni.

Purtroppo il capitale continua a ricevere benefici di ogni tipo e mentre imperversa la disoccupazione  si  continua a delocalizzare mentre milioni di persone stanno cercano lavoro, vengono occultati i profitti in Olanda o nei paradisi fiscali ricevendo prestiti milionari dallo stato. All’avidità del capitale non c’è fine e non risponde a nessuno del loro fallimento, anzi!.”

 “Il Green New Deal”.

Dopo la crisi economica del 1929 il Presidente americano Roosevelt lanciò il “New deal”. La “nuova sfida” era la risposta dell’America alla crisi che la nazione aveva vissuto. A distanza di quasi un secolo il partito democratico americano lancia una nuova sfida che però deve essere verde cioè un paradigma nuovo dell’economia basato sulla sua sostenibilità ambientale. La democratica Alexandria Ocasio-Cortez ha dichiarato “non esiste giustizia ambientale senza giustizia sociale.”

Benedetto XVI° ha rinnovato l’invito a « eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e […] correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente ». La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Il Green deal è il nostro uomo sulla luna”. L’obiettivo dell’esecutivo europeo è rendere il Vecchio continente il primo climaticamente neutro entro il 2050, azzerando per quella data le emissioni nette di CO2. Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sii” Invita a “cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso ….il senso umano dell’ecologia….. la grave responsabilità della politica internazionale e locale, la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”.  Malgrado la buona volontà della Von der Leyen solo l’annuncio di un piano di investimenti di mille miliardi di euro ha smosso i vari stati a dare un assenso al nuovo programma che prevede tre punti fondamentali  il Just transition mechanism, ovvero un meccanismo per una transizione equa per  attenuare le conseguenze economiche e sociali della transizione verde; l’ InvestEU, il programma gestito dal commissario all’economia Paolo Gentiloni, che sosterrà gli investimenti nell’Ue dal 2021 al 2027, di cui almeno un terzo per la lotta al cambiamento climatico ed infine l’intervento della Bei, la banca europea per gli investimenti, che dal 2021 non sosterrà più l’utilizzo dei combustibili fossili e che mira a raddoppiare i propri investimenti in progetti green portandoli dall’attuale 25 per cento al 50 percento diventando la banca europea per il clima. 

In Italia il governo Conte ha approvato il decreto Clima (con 450 milioni di finanziamenti stanziati), il decreto Salvamare, un emendamento chiamato End of waste sul riciclo dei rifiuti differenziati e il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima. La legge di bilancio 20202 è stata avara in questo senso e si vedrà cosa succederà con le legge di bilancio 2021. L’investimento attuale previsto dal nostro governo è stato di 4,24 miliardi per i prossimi 4 anni laddove la Germania ha finanziato il piano verde per 54 miliardi, segno evidente che all’economia verde c’è chi ci crede e chi finge di crederci.

Al di la degli sforzi che da più parte si fanno per far entrare nella testa della gente che il capitalismo come è inteso oggi cioè come sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura pota alla distruzione del pianeta ed alla creazione di una massa sempre maggiore di poveri, disoccupati, migranti a favore di una piccola parte di uomini sempre più ricchi voler far diventare il sistema economico finanziario economico attuale in un capitalismo verde è un’opera impossibile e destinata al fallimento.

Come socialisti abbiamo il dovere di darci apostoli di un nuovo messaggio che partendo dalle analisi marxiane della società possa concepire una società ecosostenibile fondata sul controllo democratico e sull’appropriazione degli strumenti di produzione da parte di chi la produzione la fa.

Alcuni hanno definito questa ricerca di coniugare l’ecologia con il socialismo ecosocialismo o socialismo ecologico. Molta gente ha approvato i momenti di ribellione contro i potenti sordi al grido d’allarme che da più parti proviene. Anche chi crede che il problema dell’ambiente  non c’entri con l’economia, non è rimasto indifferente alle manifestazioni che in molte parti del mondo sono state organizzate.

Il sistema capitalistico come oggi è strutturato e arrivato al capolinea.

Il cambio di paradigma nel modo di produrre è l’unica risposta all’attuale crisi economica, sociale, culturale e politica. E’ stato detto “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio” 

Ne consegue che solo in una prospettiva socialista è possibile guardare al futuro perché solo una società basata sulla solidarietà e sulle reali esigenze della popolazione può riorganizzare l’intero modello di produzione e di consumo in base a criteri al di fuori delle attuali leggi di mercato.  Ecco perché ritornando alla necessità di uno Stato che programmi il futuro economico del paese senza delegare alle multinazionali finanziarie sarà necessario coinvolgere i lavoratori su parole d’ordine precise: riduzione degli orari di lavoro senza la riduzione del salario, creare servizi pubblici democratici gestiti dal basso, nazionalizzazione dell’energia e del credito.

Recentemente abbiamo  visti che a causa delle limitazioni imposte dal coronavirus il fiume Sarno, uno dei fiumi più inquinati d’Europa era diventato improvvisamente pulito, ma al ritorno delle attività delle imprese che sversavano i loro rifuiti nelle sue acqua la sua foce è diventata nuovamente nera. Una marea nera che si riversava nel mare  prima di evaporare e poi tornare sul suolo sotto forma di pioggia acida. Abbiamo protestato come moti altri ambientalisti perché molti hanno capito che solo attraverso azioni dal basso e con il coinvolgimento era possibile difendere l’ecosistema incontrando trasversalmente le istanze di tutti e di ognuno.

Essere socialisti oggi significa non accettare più supinamente la retorica neoliberista. Non si può consentire più lasciare le sorti della nostra vita e della vita dei lavoratori nelle mani di una classe politica vigliacca, ignorante, incapace e criminale attenta solo ad attrarre il consenso del momento.

Si può cambiare l’attuale sistema produttivo solo attraverso una pianificazione democratica dell’economia.   Ciò può avvenire solo con la presa di coscienza dei lavoratori che con la propria esperienza collettiva di lotta, passando dai confronti locali e parziali arrivino a concepire un cambiamento radicale della società trasformandola in una a società egualitaria e democratica.

Questa nuova società dovrà orientare la produzione verso i veri bisogni acqua, cibo, vestiti, alloggi salute, educazione, trasporto e cultura. Questo presuppone l’abbandono di metodi di produzione distruttivi e anti-sociali.

E’ vero oggi non c’è motivo di essere ottimisti perché i lavoratori aspettano che le iniziative arrivino dall’alto, i mezzi di comunicazione di massa aiutano in maniera incredibile le potenti forze finanziarie che non hanno alcun interesse ala cambiamento dell’attuale situazione e le forze dell’opposizione sono realmente impotenti. 

Ma mi piace chiudere questa riflessione da socialista cattolico e faccio mie le parole di Papa Francesco che nell’enciclica , afferma “ Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle.”

Come socialisti che crediamo che il socialismo democratico sia un lungo cammino verso una società basata  sul controllo democratico, sulla uguaglianza sociale e sulla solidarietà,  abbiamo il dovere di non perdere la speranza e provare a costruire un’alternativa a quello che Marx ha definito il “progresso distruttivo” del capitalismo.

Beppe Sarno

dicembre 28, 2020

Morire di burocrazia: il triste caso di Michele Pepe

di Antonella Ricciardi

Uno Stato che abbia le carte in regola, riconoscendo maggiormente i diritti e doveri di tutti, dimostra forza e non debolezza, e può essere maggiormente, a propria volta, riconosciuto. La costruzione di uno Stato di diritto è ancora in evoluzione, nel cercare una giustizia non solo distributiva, di commisurazione di una pena alla gravità di determinate condanne, ma anche riparativa, della ricerca del meglio complessivo, senza contrapposizioni aprioristiche tra persone. Tra i casi di affermazione del diritto ad un grado minore di intensità della pena: una forma di civiltà  (cosa diversa dall’impunità per delle malefatte), viene discusso il caso di Domenico Oppedisano, che attualmente ha terminato la sua pena: un uomo di circa 90 anni, un tempo considerato “paciere” della ‘ndrangheta, che ad 88 anni aveva ottenuto differimento della pena, nella forma degli arresti domiciliari. Diverso il caso straziante di Michele Pepe, riguardo cui si rafforza l’ipotesi non sia stato sufficientemente tutelato il diritto alla salute, connesso a quello alla vita stessa; l’indagine sul caso deve avere anche il senso di evitare in futuro rischi analoghi. Michele Pepe non era un collaboratore di giustizia, ma da tempo aveva reciso i contatti con il crimine, tanto che il suo regime carcerario non era più neanche quello del 41 bis, destinato a casi per cui vi siano perlomeno più dubbi in proposito.   Del resto, quello del diritto alla salute è tornato alla ribalta anche per allarmanti casi di coronavirus anche nella carceri: luoghi spesso tutt’altro che asettici, in cui già prima erano numerose le proteste contro condizioni di vita non sempre conformi a criteri in favore di salute pubblica. Ultimamente, per tutelare di più il diritto alla salute dei detenuti si è messo in moto uno sciopero della fame dei maggiori dirigenti dell’associazione umanitaria “Nessuno Tocchi Caino”, collegata al Partito Radicale Transnazionale:  ricordiamo in particolare Sergio D’Elia, Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti. Si torna poi sul caso di Raffaele Cutolo, riguardo cui l’avvocatessa Moschioni ha collaborato con il collega titolare del caso:  Gaetano Aufiero. Il caso di Raffaele Cutolo è stato  uno dei casi di detenzione più lunghi della storia italiana: non gli è stato finora tolto il 41 bis che ha da 28 anni, nonostante l’estinzione della sua NCO (Nuova Camorra Organizzata), da circa 25 anni,  e gli inviti pubblici a non seguire il crimine. Gaetano Aufiero, aveva parlato di un sistema indecente, in merito alla reiterazione del regime differenziato 41 bis, tuttora oggetto di ricorsi legali. Probabilmente, sul caso di Raffaele Cutolo, pesa ancora troppo un passato non più attuale da decenni; lo stesso procuratore generale che aveva discusso il caso sul 41 bis a Roma, Antonio Laudati, lo aveva definito una persona che richiamava qualcosa di “quasi mitologico”.   In ogni modo, dal  31 luglio 2020 Raffaele Cutolo  è ospedalizzato in un centro di cura esterno al carcere.

La sistemazione in una azienda sanitaria locale al carcere si sta stabilizzando, perché non dimissibile, in quanto deve ricevere cure specialistiche costanti. Questa situazione poco comune vede un coordinamento tra il carcere e la struttura  sanitaria pubblica dove Raffaele Cutolo è collocato, per quanto riguarda la posta cartacea: le lettere devono passare per il penitenziario, per poi, nel caso passino la censura, essere inoltrate nel centro di cura. Tale coordinamento  non c’è ancora, invece, per quanto riguarda le telefonate, che ancora non sono fattibili, per mancanza di coordinamento tra le due strutture: telefonate ammesse anche dal regime di 41 bis, in sostituzione del colloquio in presenza, quando non realizzabile: una ipotesi di soluzione potrà anche essere il videotelefono Skype, già usato in altre situazioni…  La sua vicenda era stata più volta narrata anche in dei libri, che lo avevano reso ancora più conosciuto: tra questi, “Il camorrista”, di Giuseppe Marrazzo, da cui era stato tratto un film celebre, “Un’altra vita”, opera di un giornalista laureato in Filosofia, Francesco De Rosa, che aveva intrattenuto una corrispondenza con Raffaele Cutolo.ll libro “Ricordi in bianco e nero” della giornalista psicologa e sociologa Gemma Tisci, che pure aveva approfondito la conoscenza, attraverso una corrispondenza con Raffaele Cutolo. Nel libro di Gemma Tisci, una delle frasi dedicate al senso del suo contenuto suona così: “La libertà e la cultura di una civiltà si misurano dalla possibilità di  ogni essere vivente di raccontare la propria verità”. Raffaele Cutolo vi  viene descritto provato, con il passo strisciante ed i gesti lenti della mani… Tornando a tempi più recenti,  le proiezioni sul futuro riguardano la figlia, per la quale spera un futuro diverso, di felicità: s’informa sulla scuola, che lo ricongiunge con presente e futuro,  ed auspica l’investire negli studi. Del resto, i suoi tragici errori non sono stati verso la figlia, per la quale è un padre che non si può considerare “sbagliato”. Da tempo,  inoltre, di  Raffaele Cutolo (attualmente 79 anni) viene testimoniato convertito, diventando più sentitamente cristiano e cercando anche il bene…Tra coloro che si sono definiti convinti di ciò c’è stato il già vescovo di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro. Tornando al dialogo con Monica Moschioni, è da non dimenticare  il suo alto  ruolo nell’Osservatorio sulla carceri, che mira ad armonizzare sicurezza e considerazione che le persone, anche che abbiano sbagliato, non si risolvano solo nei propri errori.

Ricciardi: ” Poco tempo fa, vi sono stati ultimamente sviluppi importanti sul doloroso caso di Michele Pepe, riguardo l’ipotesi di eventuali responsabilità in quanto accaduto: ce ne può accennare qualcosa?”

 Moschioni: “Sì, a un certo punto  è stata conclusa l’indagine preliminare che era stata disposta per accertare eventuale responsabilità, come causazione del decesso di Michele Pepe, ed è stata fissata udienza preliminare presso il Tribunale di Parma per il giorno 19 gennaio 2021, che allo stato attuale prevede una imputazione  di omicidio colposo a carico di uno dei sanitari che aveva certificato le condizioni di salute del signor Michele Pepe prima di essere trasferito presso l’Istituto Penale di Torino. Purtroppo  situazione che  aveva determinato il suo decesso durante il trasferimento tra Parma e Torino. Quindi, d’accordo col collega che assiste i familiari, i congiunti del povero Michele Pepe, ci si è mossi, anche per accertare quali fossero gli accertamenti per un trasferimento così rapido, d’urgenza in un’altra struttura penitenziaria, che poi ha comportato anche l’occasione per questo decesso.” “

 Ricciardi: “ c’è stata una perdita di tempo rispetto alle cure?”

 Moschioni. “Mah, in realtà io mi auguro che questa azione che si è conclusa con l’accertamento di questa azione colposa, di questa azione non corretta, nell’accertamento delle condizioni di trasportabilità di Pepe Michele. Quindi il pubblico ministero è pervenuto a ritenere che ci fossero le condizioni per esercitare l’azione penale, per richiedere la fissazione dell’udienza preliminare, ritenendo che chi ha certificato che era in grado di essere trasferito ha sbagliato, evidentemente. Poi l’autorità giudiziaria verificherà se sia stato l’unico errore, se sia stato l’errore principale che abbia causato il decesso di Michele Pepe, quindi spero ci saranno ulteriori sviluppi a gennaio, all’esito di questa udienza.”

Ricciardi: “Certo, era nelle mani dello Stato: era giusto che venisse monitorato nel modo migliore..però l’indagine magari va proprio in quella direzione, anche se purtroppo si è arrivati al decesso“.

Moschioni: “Per ora l’indagine è andata in questa direzione, ed ha riscontrato, quantomeno, una condotta negligente ed imprudente, da parte di uno dei sanitari. L’intenzione dei familiari, e quindi della moglie, dei genitori del signor Pepe, è quella di chiarire se ci siano state anche altre mancanze durante il periodo di permanenza del signor Pepe nel carcere.

Anche perchè Michele Pepe aveva chiesto, mio tramite, l’accertamento della incompatibilità delle condizioni di salute con la detenzione all’interno del carcere: quindi eravamo in attesa di un accertamento: quindi eravamo in attesa, anche tramite perizia, circa la compatibilità. “.

Ricciardi: “…. se le responsabilità eventuali siano solo quelle di qualche medico, o forse da indagare ancora di più, se ho inteso bene…”

Moschioni. ” per ora l’indagine si è fermata alla figura del medico che aveva firmato il suo trasferimento presso il carcere di Torino. Sicuramente la volontà dei familiari è indagare, approfondire ancora di più, e capire se ci siano ulteriori responsabilità, anche durante la permanenza al carcere di Parma, e anche, eventualmente, la mancata concessione della detenzione domiciliare: se c’era una incompatibilità con il carcere; quindi, si valuteranno anche altre responsabilità. “

Ricciardi:”Può essere anche un modo per evitare in futuro eventuali altri casi analoghi: un caso da seguire… tornando poi al caso di Raffaele Cutolo, la sua collocazione nel centro dove è  ospedalizzato, ma ancora in regime di 41 bis, ed in tempi  di misure anti-pandemia, mette davanti ad alcune situazioni atipiche: pur essendo certamente del tutto positivo che il suo diritto costituzionale alla salute venga garantito lì, si notano ancora dei problemi di collegamento tra centro di cura esterno al carcere, e carcere stesso. La moglie non lo può andare a trovare a causa del blocco degli spostamenti tra regioni, per le misure di prevenzione  antipandemia, e l’alternativa al colloquio in presenza (ammessa anche dal 41 bis), cioè una telefonata una volta al mese, non riesce ancora ad essere autorizzata, perchè non c’è ancora abbastanza coordinamento tra centro sanitario e carcere, per attuare le misure di controllo sulla telefonata, richieste dal  41 bis. Ci sono dei modi per sensibilizzare sulla questione, per attuare la possibilità di questo diritto?

Moschioni: “Il problema principale è legato soprattutto al fatto che il signor Cutolo risulta collocato, e per fortuna, in un repartino ospedaliero, che in realtà non è il vero e proprio centro clinico: è una parte del reparto ospedaliero, adibito al ricovero in situazioni di urgenza, in caso di impossibilità del trattamento del detenuto all’interno del carcere, ma dovrebbe essere per sua natura una situazione temporanea, ed è questo il motivo per il quale non si attrezzano quelle strutture; quindi, questo repartino ospedaliero ha tutto quello che serve alla routine dei detenuti, perchè lì coloro che erano detenuti non devono rimanere dei mesi, normalmente: quindi non ci si predispone per eventuali colloqui telefonici, ed anche eventuali udienze che possano essere in videoconferenze…”

Ricciardi. “ la collocazione può essere ottimale per la salute, e la questione della telefonata può essere secondaria, ma è comunque degna di nota, vista anche la tendenza  che è in via di stabilizzazione per questioni di salute. Chiaramente, su alcune situazioni è possibile ci saranno sviluppi, anche quella ancora in discussione del 41 bis, ma si può pensare ad un inizio di risoluzione della questione, a qualche intervento?

Moschioni: “Io credo che sia difficile nell’immediato su questa possibilità, ma non è da escludersi sia possibile fare qualcosa. Dovrebbe esserci, da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al ricevimento di telefonate, su canali telefonici che non sono quelli dell’Istituto Penitenziario, perchè questa è una parte dell’ospedale, mi permetto il termine, prestata al reparto detentivo, ma è pur sempre un locale dell’ospedale: è un locale non  attrezzato come un carcere”.

Ricciardi: “Si può fare almeno una domanda, forse, per vedere se possibile, in futuro?”

Moschioni: ” bisognerebbe chiedere all’amministrazione penitenziaria di consentire che una linea telefonica dell’ospedale sia destinata all’utilizzo, da parte del detenuto per la telefonata mensile: quindi, con registrazione e possibilità di controllo dall’esterno. Questo però coinvolge anche l’amministrazione ospedaliera, perchè si dovrebbe concedere una propria linea: non credo che sarebbe possibile istituire  una linea telefonica nuova, da parte del Ministero. Diversamente,  immagino che sia possibile solo in quelle forme, che sono state richieste, ma finora non sono state mai autorizzate, della comunicazione telefonica a mezzo utenze Skype, che è stata, per il periodo del covid, concessa per i detenuti di alta sicurezza, e di media sicurezza, tant’è che è sostitutiva, attualmente, dei colloqui visivi, per le limitazioni alla circolazione, dettate dalla normativa dei DPCM, a tutela contro la  diffusione della pandemia. Potrebbe quindi essere concessa una tipologia di colloquio telefonico, nelle forme della comunicazione Skype: in questo caso, sarebbe un video-colloquio”.

Ricciardi: ” l’importante è che sia controllato“.

Moschioni: “Tra l’altro, è una questione che era stata anche posta proprio per i detenuti sottoposti al regime differenziato 41 bis, ed era stata demandata alla Corte di Cassazione: lì era stato ritenuto che non ci fosse un ostacolo giuridico alla concessione di questa modalità di svolgimento del colloquio, che è una modalità alternativa che si sostituisce perfettamente alla modalità del colloquio mensile”.

Ricciardi: ” è anche più simile, vedendosi

Moschioni: “Era stata richiesta anche per i casi all’interno del carcere, da parte dei detenuti, per evitare quella circolazione sul territorio italiano, che i familiari hanno dovuto fare, con autocertificazioni, per esercitare il proprio diritto di colloquio con il proprio familiare, nonostante ci fossero delle disposizioni assolutamente a favore della tutela, della sicurezza di tutti i cittadini, perché si trattata di tutelare la salute dei cittadini, con normative preventive rispetto alla diffusione del virus. Devo dire che il problema finora, almeno per quanto mi è stato detto dall’amministrazione penitenziaria, a Parma, cioè da chi  si occupa dei colloqui, è stato che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) non ha ancora emesso delle circolari attuative di questa autorizzazione data, sia pure in modo non tecnico: cioè di questa non impossibilità che è stata sancita dalla Corte di Cassazione. Quindi, spetterà al DAP prevedere come eseguire questi colloqui: se dovranno essere concessi degli apparecchi telefonici, portatili, intendo; e allora, qualora fossero concessi questi apparecchi telefonici portatili, oppure su computer portatili, per eseguire la videochiamata, in questo caso non vedo alcuna difficoltà a consentire il colloquio anche nell’ambito ospedaliero, perché quell’apparecchio è di proprietà dell’amministrazione penitenziaria, che diventerà così una linea controllabile. Il fatto che non sia ancora accaduto è stato più che altro per motivi organizzativi. Ogni novità in ambito penitenziario purtroppo deve passare attraverso una serie di circolari attuative, che spesso si scontrano con ambiti molto pratici: è dover acquistare un numero di apparati telefonici, o computer portabili, per darli in dotazioni ai vari carceri.

Ricciardi: “la questione che stiamo ponendo vede un inizio in via di miglioramento…”

Moschioni: “è una questione che potrebbe essere adottata in modo abbastanza definitivo: oltre l’emergenza della pandemia”

Ricciardi: “Potrà essere adottata anche successivamente, pure per coloro che siano al 41 bis, detenuti dentro il carcere e fuori…”

Moschioni: “Esatto, esatto: nel senso che durante il periodo di emergenza sanitaria potrebbe diventare l’unica modalità, se ci sono dei divieti di spostamenti, ma al di fuori del periodo di emergenza sanitaria potrebbe  essere una modalità a scelta del detenuto: nel senso che se i propri familiari hanno difficoltà di spostamento.”.

Ricciardi: “Speriamo presto; sembra un’idea buonissima.”.

Moschioni: “Non è finora stata attuata, almeno così mi è stato riferito, solo per problemi organizzativi, pratici”.

Ricciardi. “Quindi lei dice che non è stata fatta una discriminazione tra tipologie di detenuti, tra persone non al 41 bis e non?

Moschioni: “Non è stata fatta una discriminazione, anche perché sono tutti contratti in linea che sono stipulati dall’amministrazione penitenziaria e sono perfettamente controllabili, cioè sono delle linee dedicate, vengono utilizzate solamente  dall’amministrazione penitenziaria. Non c’è stato nessun problema con i detenuti di alta sicurezza e di media sicurezza; per i detenuti di alta sicurezza ci sono delle esigenze di tutela da eventuali collegamenti con l’esterno, che sono state assolutamente superate, e quindi, ordinariamente, i detenuti anche del carcere di Parma colloquiano con i propri familiari con la videochiamata, settimanalmente… E penso che sarebbe una soluzione tranquillamente applicabile anche a Cutolo, proprio perché si trova in un ambiente ospedaliero, dove non è così semplice, invece, attivare una linea fissa”.

dicembre 13, 2020

SE CI SARO’…SE CI SAREMO…


diLuca Massimo Climati

Il premier Conte, ricattato dal “nulla” dell’Innominabile”, probabilmente mosso dai fili di ben più consistenti interessi anti-nazionali, ieri ha pronunziato non a caso tale riferimento: “se ci sarò”.
Il dito…del debito e la Luna delle re-internalizzazioni nazionali.

In epoca di covid, con maggiore probabilità per chi non abbia meno di 40anni, magari con patologie assai diffuse, bisogna  più largamente usufruire, per prudenza di tale affermazione.

Con la differenza che mentre un governo possa anche in maniera irresponsabile decadere, il preservare la nostra vita di soggetti maggiormente esposti alle conseguenze del covid, sia assai immediatamente impegnante. Resta un empatico e metaforico sentimento  parallelo: da una parte la sopravvivenza di un governo non completamente allineato al liberismo dominante da anni e la preservazione della propria esistenza di “resistenti non arresi “.

Ma come mai tutto questo accanimento nei confronti del premier attuale?

Nell’epoca della DITTATURA DELLA NARRAZIONE,  che da anni impera, almeno dalla affermazione culturale del berlusconismo grazie al vettore della Seconda Repubblica e della Bolognina e di altre propedeutiche operazioni di attacco alla applicazione minima Costituzionale ed alla sua revisione, la realtà è oscurata dalla sua arbitraria narrazione. Il fu Gianni Agnelli ebbe la grande intuizione di comprendere che i tempi del Valletta fossero terminati e che fosse necessario narcotizzare la sinistra, assecondandone le posizioni, ma distruggendo le conquiste di sostanza Costituzionali del trentennio 1946-1978, coronate nell’ultimo decennio, dallo Statuto del Lavoratori in poi. In realtà, la marcia dei 40000 è durata almeno lungo una ventina di anni buoni; forse si è interrotta solo con la brutalità della pandemia, che ha scoperchiato le malefatte e gli altarini di un trentennio di tagli e privatizzazioni.

Nulla ha spaventato la classe dirigente nostrale “compradora”, subalterna alla UE  ed ai poteri stranieri che hanno sempre avuto interessi contrapposti a quelli generali e nazionali, come il successo del 5 stelle del 2018, successo scomposto ma destabilizzante il bipolarismo bipartisan esistente liberista.  I governi Conte uno e due hanno avuto in comune una debolezza di partenza, anzi tante debolezze, ma soprattutto il peccato capitale per lorsignori padroni, con i loro apparati mediatici e burocratici stratificati e tutto il radicamento corrotto locale, consistente nel non completo affidamento.

Il sistema non si fida del tutto del premier e dei 5 stelle, anche al netto dei loro errori ed incongruenze. Ma intanto qualcosa si sta muovendo in controtendenza ed ha radici da siffatta mutazione iniziata dal vittorioso referendum del 4 dicembre 2016 ed ancora parzialmente vivo, anche se ridimensionato oggi.  

Quanti nemici ha il premier Conte, insieme alla parte 5 stelle che lo appoggia e probabilmente all’indirizzo attuale dello stato Vaticano, nella valorizzazione di politiche keynesiane o “post-peroniste”, usando un esempio ardito ma chiaro? Ha nemici a destra…e manca, da Bonomi fino ai gruppetti finto-sovranisti che non vogliono vedere e leggere adeguatamente i provvedimenti delle re-internalizzazioni in corso, ultima quella dell’acciaio italiano, che verrà prodotto con nuove normative e provvedimenti a minore impatto ambientale e della salute. Non esiste un solo Innominato-Innominabile, ma tanti ed in diversi campi. Se ci sarà? Se ci saremo a comprendere e difendere la strada appena timidamente iniziata, forse il corso cambierà.

Dobbiamo rompere il blocco delle idee e delle potenzialità nazionali e Costituzionali da destra e sinistra e centro: un’unica palude di zozzoni, corrotti, cretini, furbetti , presupponenti.

Facciamo breccia; facciamoci largo…ma noi ci saremo?

– 12/12/2020