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aprile 13, 2010

IO NON CI STO

Un cittadino di Adro, paese tristemente noto per la vicenda della mensa negata ai bimbi inadempienti, ha saldato i debiti dei bambini accompagnando il suo gesto con una lettera.

So che Beppe andrà su tutte le furie ma questa lettera va letta tutta.

Io non ci sto

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “L’albero degli zoccoli”. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene. E’ per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica.

A scanso di equivoci, premetto che:
– Non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per FORMIGONI. Ciò non mi impedisce di avere amici dì tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona.
– So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina.

Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male.

I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.

Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo?
Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino..)

Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo?
Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.

Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia.
So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”.

Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le loro belle cose e case.
Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) Venga dalle tasse del papa di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1200 euro mese (regolari).

Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l’amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno?
Ma quanto rendono (o quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto?
Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? E’ già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.

Il sonno della ragione genera mostri.

Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro.
Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.

E chi semina vento, raccoglie tempesta!

I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L’età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quei giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi?
E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. E’ anche per questo che non ci sto.

Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.

Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all’uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l’amministrazione, in tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l’anno scolastico 2009/2010.
Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.

Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varra la spesa.
Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del “grande fratello”.

Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie.
Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.

Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo.
Posso sopportarlo. L’idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.

Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c’è, ma solo per tutto il resto.

Un cittadino di Adro

aprile 13, 2010

Caso Elisa Claps: partita su facebook raccolta per sconsacrare la chiesa

Dopo il ritrovamento del cadavere di Elisa Claps, con tutti i suoi aspetti oscuri, la chiesa della SS Trinità di Potenza non può essere più considerato un “normale” luogo di culto. Deve essere sconsacrata, un atto dovuto proprio alla 17enne il cui corpo è rimasto per 17 anni nel sottotetto della chiesa. A chiederlo è una raccolta di firme partita domenica 11 aprile su Facebook, che ospita una pagina intitolata “Sconsacrare la chiesa della Trinità: un atto dovuto per Elisa Claps”, dove è possibile sottoscrivere il documento. Dopo un solo giorno, sono oltre 2mila le firme già apposte.

 “L’iniziativa  –   spiega Maurizio Tucci, primo firmatario della petizione  –  non deve essere interpretata come una sanzione rivolta alla Chiesa in senso istituzionale, ma è un provvedimento rivolto a quel singolo tempio, proprio per evidenziare che la sacralità di un luogo di culto non può essere violata da episodi come quello accaduto. Tra i primi firmatari di questa la grande maggioranza è proprio costituita da credenti e da cattolici che, come tali, sono ancora più sensibili all’integrità di una chiesa”. Assieme alla sconsacrazione, l’iniziativa chiede che gli spazi della SS Trinità siano destinati ad attività sociali destinate alla prevenzione del maltrattamento e dell’abuso sull’infanzia e sulle donne.

aprile 13, 2010

Disastro ferroviario a Laces: otto indagati

Il bilancio definitivo dei morti nella tragedia ferroviaria di Laces è di 9 morti. In tutto sulle due carrozze costituenti il trenino dei pendolari si sono abbattuti circa 400 tonnellate di fango e detriti.Sul fronte giudiziario, intanto, si apre l’inchiesta sul gravissimo disastro ferroviario. Lo smottamento da 400 metri cubi viene imputato ad una consistente perdita d’acqua dall’impianto d’i rrigazione dei frutteti sottostanti. I tecnici individuano la causa in un pozzetto d’irrigazione, in una valvola difettosa che per ore avrebbe fatto trafilare acqua tra la base rocciosa e lo strato boschivo. In serata la procura inserisce otto nomi sul registro degli indagati, 6 gestori dell’impianto d’irrigazione e due propritari del terreno franato

aprile 12, 2010

Deragliamento nel Meranese: 11 morti

Le immagini della tragedia del Meranese

aprile 11, 2010

FIAT-FMA tregua armata fino a mercoledi

Tregua armata fino a mercoledì: giorno dell’incontro a Roma al Ministero delle Attività produttive. Ma acquisita la posizione di Fiat ora alla Fma attendono di capire quale sarà la risposta del Governo per tutelare la podizione dello stabilimento di Pratola Serra.

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aprile 10, 2010

PD irpino: la tarantella continua

 Pd: dai giovani critiche a Fierro e D’Amelio.

 
“E si ricomincia! All’indomani dell’ennesima sconfitta elettorale si tenta di rimettere in discussione tutto il quadro dirigente del PD e con una ciclicità, che farebbe impallidire lo stesso Giambattista Vico, ci tocca udire le “stravaganti” teorie politiche dei soliti ignoti o per meglio dire del solito ignoto che in questa occasione cerca di spiegarci come le regionali rappresentino le vere primarie del nostro partito”. Così in una nota Antonello Losco, membro della direzione provinciale dei Giovani Democratici. “L’unica “democratica” eletta in Consiglio Regionale sul territorio irpino – continua – anzichè spiegarci “semplicemente”come intenda farsi portavoce e rendersi rappresentante di tutto il PD, non trova di meglio che attaccare il partito. Certamente sono stati commessi molti errori, forse troppi e a tratti imperdonabili; possono essere state sbagliate le persone, come inequivocabilmente sono stati errati i metodi di scelta sin qui utilizzati, ma non può esserci proposta la caccia alla streghe ogni qualvolta arrivi una sconfitta elettorale; non può essere tollerato un modello di cambiamento e di costruzione di una nuova casa con le stesse fondamenta marce perché alla prima “calamità” ci ritroveremo nelle stesse identiche condizioni. La cosa più sconcertante è rappresentata da questo continuo “ballo della sedia” che non fa altro che aumentare la distanza tra noi e la società civile; non siamo più in grado di parlare alla gente, alla nostra gente, ammesso che qualcuno si sia mai posto il problema di farlo, e, ancor più grave, non siamo più in grado di ascoltare la società, di percepirne gli umori e le preoccupazioni perché concentrati solo ed esclusivamente ad una sterile dialettica tra le varie correnti e ad una continua conta per far prevalere questa o quella parte politica”.

aprile 10, 2010

Patto nucleare Italia-francia

Una ventina di accordi su nucleare, ferroviario, difesa e immigrazione, una promessa di collaborazione particolarmente stretta durante la presidenza francese del G8, sorrisi ma niente pacche sulle spalle: per una volta, Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy sono stati sobri e hanno puntato sul concreto, dando la loro benedizione ai protocolli firmati ieri da ministri e imprenditori. La loro stretta di mano consacra il ritorno dell’Italia nel campo dei paesi favorevoli all’atomo civile, anche se il presidente del Consiglio ha riconosciuto la necessità di convincere l’opinione pubblica sulla sicurezza delle future centrali.

Sarkozy non ha lesinato elogi per questa scelta. Dopo aver perso un mega-contratto da 20 miliardi di dollari ad Abu Dhabi, la Francia vede nel nostro paese uno sbocco importante per la sua industria nucleare: “Voglio rendere omaggio alla decisione storica del governo italiano di fare la scelta del nucleare, che ci avvicina di più. E’ una decisione estremamente importante”. La costruzione di quattro centrali entro il 2030 può arricchire le commesse dell’industria transalpina. E il capo dello Stato ha insistito sulla volontà di cooperare: “La nostra volontà è di lavorare mano nella mano con le aziende italiane. La Francia e le sue imprese sono veramente decise a investire nel lavoro con gli italiani”.

Berlusconi sa però che gli italiani sono a dir poco esitanti di fronte alla scelta del governo. Ha ricordato che molte centrali francesi sono a ridosso delle Alpi e che un eventuale incidente, sia pur ritenuto impensabile, avrebbe conseguenze anche da noi, visto che le nuvole radioattive non conoscono frontiere. Bisognerà in ogni caso far opera di persuasione per “far passare la paura”, magari con l’aiuto delle tv francesi e con le testimonianze di chi vive vicino agli impianti atomici. Secondo il presidente del Consiglio, “abbiamo di fronte, in attesa che si aprano effettivamente i cantieri, un periodo di maturazione dell’opinione pubblica italiana”

Fonte La Repubblica

aprile 9, 2010

Kirghizistan nel caos: spari sulla folla

aprile 9, 2010

Il dramma dei rifugiati in Italia

ROMA – Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, formano una coda di uomini e aspettano di entrare nella mensa. Si rivolgono agli sportelli dedicati all’orientamento al lavoro, chiedono assistenza legale o partecipano ai corsi di lingua per imparare l’italiano. Gli uomini provengono soprattutto da Afghanistan, Eritrea e Somalia. Le donne dall’Africa nera. Il 67% ha tra i 21 e i 30 anni, mentre sono pochissimi quelli che superano i 40.

E’ questa la fotografia, aggiornata al 2009, sulle condizioni dei 19mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Non immigrati ma “migranti forzati”, perché scappati dalla guerra. A scattare la foto è il Centro Astalli, un’associazione di gesuiti presente a Roma, Vicenza e Palermo che opera da centro polifunzionale per l’assistenza e la protezione dei rifugiati in Italia. E grazie al monitoraggio dei loro spostamenti in ogni settore della vita quotidiana, il Centro fornisce in esclusiva il Rapporto 2010: un’interpretazione statistica delle condizioni di vita dei rifugiati “italiani” che da gennaio a dicembre 2009 sono entrati in contatto con l’Associazione.

I numeri. I numeri sono conseguenza delle misure del governo in materia di immigrazione. La flessione delle domande d’asilo seguìta alla politica dei respingimenti nel Mediterraneo si è avvertita fin dal giugno 2009: il calo registrato rispetto all’anno precedente era del 35,5%. Ma rispetto al 2008, gli utenti che hanno usufruito dei servizi dei centri Astalli sono aumentati. L’afflusso nelle mense, passaggio obbligatorio per conoscere e accedere agli altri servizi dei Centri, è cresciuto del 33%. Di pari passo si sono estesi i tempi di permanenza: il periodo medio di frequentazione delle mense per ogni utente si è allungato, superando in molti casi i sei mesi.

Uomini. Dei quattro centri presenti a Roma, quello di via degli Astalli è il più grande. Qui, i rifugiati maschi in attesa di pasti caldi sono principalmente afgani (6mila 851), eritrei (2mila 275) e somali (2mila 159). E anche considerando scenari “micro”, le proporzioni non cambiano. Nel piccolo centro di San Saba, sempre a Roma, sono 81 gli ospiti accolti nel 2009. Di questi, 40 sono afgani, 7 iraniani, 6 della Costa d’Avorio, 3 dell’Eritrea e 3 dell’Iraq. Anche qui, l’età media è piuttosto bassa: il 74% ha meno di 30 anni.

Donne. Le donne rifugiate in Italia sono invece quasi tutte africane. Il 38% viene dal corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia) e l’80% del totale ha un’età media compresa tra i 21 e i 40 anni, mentre più della metà ne ha meno di 30. Dal 2008 poi, c’è un cambiamento. Il periodo di permanenza delle donne nei centri si è allungato. Rispetto agli uomini, ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato è diventato più difficile. E le donne sono poche anche negli ambulatori medici messi a disposizione dai centri stessi: i pazienti sono per il 95% uomini, giovani afgani, o provenienti dai paesi del corno d’Africa ( 1/4 del totale).

Bambini. Aumenta la presenza di bambini in rapporto agli adulti: rispetto al 2008, i piccoli rifugiati hanno superato il 44% del totale. Di questi però, solo l’11% del numero complessivo dei rifugiati ospitati è riconosciuto dalla Stato italiano. Nel 38% dei casi si tratta infatti di minori in attesa di audizione in commissione. Al contrario degli adulti, i rifugiati-bambini vengono dal Kosovo, dall’Eritrea ma anche dalla Colombia e dalla Romania.

Lavoro. Diminuiscono le domande d’asilo ma crescono i rifugiati bisognosi di ascolto e orientamento legale: nel corso del 2009 il numero di persone che si è rivolto almeno una volta a uno dei Centri Astalli dedicati all’orientamento o al lavoro è cresciuto del 60% rispetto all’anno precedente. Il totale, 735 persone: 3/4 uomini, 1/4 donne e tutti titolari di protezione sussidiaria o di protezione umanitaria. Un dato, questo, che rivela una crescente difficoltà da parte degli stranieri a rivolgersi autonomamente ai servizi pubblici e privati, con analoga finalità, che operano sul territorio.

Nord-Sud. Nel 2008 si erano trasferiti nelle città del Nord Italia ma nel 2009 sono stati costretti a tornare sui loro passi. E’ questo quello che emerge dal Rapporto 2010: uomini e donne del Bangladesh, del Marocco, dello Sri Lanka, della Somalia, del Ghana e della Costa d’Avorio, dopo aver perso il lavoro trovato al Nord, sono tornate in massa al Centro Astalli di Palermo. Costretti a chiedere, di nuovo, aiuto e assistenza. 

Fonte: LA REPUBBLICA

aprile 9, 2010

Annozero 8 aprile 2010: Le vignete di Vauro