di Gad Lerner – Il Venerdì – 10 aprile 2020 –
“Il tempo (a volte) è galantuomo. E allora vale la pena rileggere, cinque anni dopo, come si comportò il governo italiano nel 2015, quando con l’acqua alla gola era la Grecia, e chiedeva la rinegoziazione dei suoi debiti.
A gennaio il partito di sinistra Syriza vinse le elezioni, Alexis Tsipras divenne primo ministro, e il governo greco fece appello agli altri Paesi dell’Europa mediterranea (Italia, Francia, Spagna, Portogallo) perché insieme dessero vita a un fronte comune antirigorista per superare i vincoli di un patto di stabilità divenuto insostenibile e anacronistico.
Il nostro premier dell’epoca, Matteo Renzi, per prima cosa invitò a Firenze la cancelliera tedesca Angela Merkel e, in una certa cena che i giornali definirono «blindata», la rassicurò: l’Italia non avrebbe ceduto alla tentazione del cosiddetto «Club Méd» perché il nostro non era un Paese malandato come la Grecia e, semmai, poteva offrirsi come mediatore tra l’Europa del Nord e l’Europa del Sud.
Quando in estate il gioco si fece duro e, dopo il fallimento delle trattative condotte dal ministro Varoufakis con la Troika, ormai si profilava lo strangolamento economico della Grecia, Tsipras escogitò una mossa clamorosa: la convocazione di un referendum per chiedere ai suoi cittadini se approvavano o bocciavano il diktat della Ue.
Fu allora che Renzi, prima con una serie di tweet dei suoi, e poi con un’intervista al Sole 24 Ore, scelse di tirare un colpo sotto la cintura al primo ministro greco: «Non abbiamo tolto le baby pensioni agli italiani per lasciarle ai greci. Noi abbiamo fatto la riforma del lavoro, ma non è che con i nostri soldi alcuni armatori greci possono continuare a non pagare le tasse. Potrei continuare».
Accusando Tsipras di essere un difensore di fannulloni e miliardari, e contrapponendogli l’immagine di un’Italia virtuosa applicatrice delle normative comunitari, il nostro primo ministro seppelliva definitivamente la possibilità di una riforma complessiva delle politiche di bilancio dell’Unione.
Altro che battere i pugni sul tavolo! Meglio fare i primi della classe, e al diavolo i poveri greci. Com’è andata a finire lo sappiamo. La Grecia si è piegata.
Due anni dopo, nel 2017, il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, ci avrebbe ripagati così, rivolgendosi agli europei mediterranei: «Non è che puoi spendere tutti i soldi per alcool e donne e poi chiedere aiuto». Che avesse tratto ispirazione da qualcuno?, cinque anni fa ci siamo giocati la chance di inaugurare una politica di vera solidarietà europea. Ci serva di lezione oggi che facciamo i conti con ben altro contagio”.
Quando la Grecia ci chiedeva aiuto
L’Italia e la trappola del MES.
“L’accordo con l’Eurogruppo non è positivo per l’Italia e l’Europa meridionale. Come spesso accade, vediamo un ministro delle Finanze italiano che accetta un accordo che alla fine non è nel migliore interesse del suo Paese”. Parola del tedesco Wolfgang Munchau – che non è certo un sospetto “sovranista” o un oppositore del governo Conte – direttore di eurointelligence ed editorialista del Financial Times e del Corriere della Sera. Perché quella a cui sta andando incontro il governo italiano è una vera e propria trappola tesa da Olanda e Germania che entrerà nel vivo nei prossimi mesi.
Non solo l’accordo di ieri non costituisce quel contributo solidaristico che l’Europa avrebbe dovuto garantire, ma l’Italia rischia infatti di finire nella trappola del Mes. Perché è vero che, come chiarisce il professor Paolo Pini, l’utilizzo del Mes (Fondo Salva Stati) è previsto senza condizionalità e in via temporanea per le spese sanitarie sostenute dai Paesi dell’Unione per affrontare l’emergenza Covid-19, entro il limite di budget del 2% del Pil annuali del Paese che le sostiene e che fa ricorso al Mes come linea di credito. Ma è anche vero che che fuori da questa tipologia di spesa ed oltre il 2% di spese, si applicano le regole del Mes.
E comunque, come viene chiarito nell’accordo siglato all’Eurogruppo, “gli Stati restano impegnati a rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità”. Quando l’Italia sarà con l’acqua alla gola, infatti, sarà costretta a ricorrere al Mes, portandosi la troika – e dunque l’austerità – in casa, anche se una parte del governo si affanna a dire che non ricorrerà mai al fondo Salva-Stati. E allora perché hanno negoziato settimane e discusso sulle condizioni del Mes stesso? Dopotutto, lo stesso ministro delle finanze, Roberto Gualtieri, scrive: “Grazie alla solida alleanza tra l’Italia e gli altri Paesi firmatari della lettera promossa dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’agenda europea è cambiata e si è passati da un documento con un’unica proposta, il Mes con condizionalità leggere”.
L’Italia e la trappola del Mes
Nell’art. 136 Tfue si legge che “gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”, sottolineando però che “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. Come ha spiegato il professor Alessandro Mangia, “i creditori possono cambiare quando vogliono le condizioni scritte all’inizio in quell’esotico Memorandum of Understanding (MoU) che in realtà dovremmo chiamare concordato fallimentare”. E possono farlo “in modo sostanzialmente unilaterale, perché ormai non solo c’è un contraente debole ed uno forte, ma c’è anche un accordo che prevede la sua modifica ed il suo adattamento al mutare degli eventi. E a decidere se gli eventi sono mutati non è il debitore, ma è il creditore. Non è difficile da capire”.
Di fatto, le condizioni del Mes possono cambiare ex-post. E se il 23 aprile l’accordo sarà ratificato dai premier, gli effetti dell’accordo di ieri non li vedremo subito: è una trappola che scatterà più avanti, a cui l’Italia rischia di andare inesorabilmente contro. Il sospetto, osserva Affari Italiani, è che Olanda e Germania puntino ad indebolire l’Italia negandole il necessario per sopravvivere (adottando ora provvedimenti volutamente deboli e insufficienti) per poi spolparla tra qualche mese, quando avrà l’acqua alla gola e sarà costretta a ricorrere al Mes.
la Grecia brucia

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Con questa foto chiudo un capitolo doloroso per me. Sono stato male due giorni e sto male ancora; sono triste e arrabbiato per quello che è successo ai miei compaesani in Grecia; conosco la zona conosco Kinetta Mati Rafina. Conosco, la giravo da giovane quando vivevo ad Atene.
Ho sentito la voce ufficiale del Governo tramite l’Ambasciata di Roma. Ho tutte le dichiarazioni e le ho messe nel mio articolo.
Ho cercato tramite Facebook di far capire a più persone che in Grecia e stata una catastrofe biblica e ho cercato di dire due cose.
Uno, che i roghi non sono stati fatti a caso.
Due, se ci sono tanti morti il colpevole morale è la UE e la Troika che con i tagli di austerità ha distrutto lo stato sociale e lo ha fatto funzionare male.
Oltre al fatto che potrebbe essere terrorismo..oltre al fatto che ci sono le miniere ..
Ma non sono io la persona che deve trovare i colpevoli; esiste uno Stato ferito ma orgoglioso nella sua rinascita.
Amo il mio Paese natale e sono ferito nel cuore per quello che è successo ma dopo questa foto mi fermo oltre che mi sento male penso anche che posso allarmare gli amici in Usa, Italia, Grecia e in tutto il Mondo che io la fortuna per mestiere anche per carattere di conoscere la gente brava.
VI RINGRAZIO TUTTI AMICI E COLLEGHI DELLA STAMPA E DELLA FAO, RINGRAZIO TUTTI…
L'”Europa tedesca” vista dalle banche.
Contropiano.org – Carlo Conti
Tutti i giornali, noi compresi, ci siamo in queste settimane occupati quasi soltanto del contenzioso europeo intorno alla nuova Grecia di Tsipras e Varoufakis, attratti – giustamente – dall’ennesima variazione sul tema dello scontro tra Davide e Golia.
… Altro…
Ma i Padroni non vinceranno sempre!
Manolis Glezos, il primo partigiano greco e un’icona (oltre che un membro del comitato centrale) per Syriza, si scaglia a testa basta contro Alexis Tsipras. “L’accordo all’Eurogruppo è una vergogna – ha scritto il 91enne politico ellenico -. Avevamo fatto delle promesse e non le abbiamo mantenute. Chiedo scusa al popolo greco. Dobbiamo reagire e subito. E tra la libertà e l’oppressione, io scelgo la libertà”. Lo schiaffo di Glezos però è destinato a fare malissimo a Tsipras impegnato in queste ore a contenere la rabbia che monta nel suo partito per l’intesa raggiunta a Bruxelles.
Il decano di Syriza è un pezzo di storia della Grecia. La sua vicenda politica inizia nel 1941 quando, appena diciottenne, ha scalato all’alba l’Acropoli per ammainare la bandiera nazista alzata dagli invasori del Terzo reich. Un gesto che ha dato il via alla Resistenza ellenica contro i tedeschi. Da allora il suo carattere sanguigno e il suo carisma sono un punto di riferimento per la sinistra radicale. Ultimi episodi in ordine di tempo, 70 anni dopo l’impresa del Partenone, i diversi tafferugli con la polizia in cui è rimasto coinvolto tra il 2010 e il 2014 durante le manifestazioni contro l’austerity. La lettera scritta oggi da Glezos ai militanti non tradisce chi ammira la sua sincerità e il suo stile diretto: “Chiedo ai militanti di Syriza di reagire prima che sia troppo tardi. Troviamoci in assemblea straordinaria e discutiamo. So che quando si tratta bisogna fare pure delle concessioni. Ma questo per me è troppo. Non ci può essere compromesso tra schiavo e padrone, né tra oppressore e oppresso”.
Gente per bene!
I membri della troika sono «gente decente», ma anche la Cia ha avuto «persone molto buone che si sono si sono impegnate nel waterboarding contro la loro volontà». L’accostamento è del ministro dell’Economia greco, Yanis Varoufakis, intervistato dal diffusissimo settimanale tedesco «Der Spiegel».
Secondo Varoufakis per i creditori della Grecia «un taglio del debito è preferibile rispetto a un’estensione delle scadenze. Tutti sanno che non saremo mai in grado di sostenere il debito attuale senza un nuovo contratto».
Poi, Varoufakis spiega al Guardian : se i negoziati con Bruxelles falliscono «non c’è un piano B. Ci minacciano sempre che se non firmiamo gli accordi ci sarà l’Armaggedon. Beh, lasciamo che ci sia». Il ministro greco ribadisce di essere un «marxista» anche se «imprevedibile»: «Non posso e non voglio separare il destino della Grecia dall’Europa — aggiunge — ma abbiamo perso tutto. Adesso è tempo di dire la verità ai potenti».
Varoufakis: Come ridurre il debito senza creare recessione.
Yanis Varoufakis è il neo ministro delle Finanze del governo greco guidato da Alexis Tsipras. Proponiamo qui una sua relazione tenuta durante l’incontro organizzato dall’associazione AltraMente il 21 giugno 2010. Il testo è particolarmente interessante proprio perché non recente. Varoufakis analizza la crisi della Grecia e dell’eurozona nell’ambito del contesto globale dato dalla crisi finanziaria del 2008 e propone una soluzione in cui la BCE diventa garante di un processo di alleggerimento del debito dei paesi in crisi e di riequilibrio simmetrico all’interno dell’area monetaria. Questa idea si è poi evoluta in quella che Varoufakis, Stuart Holland e James Galbraith hanno chiamato una “modesta proposta” (modest proposal) per riunire l’eurozona.
Il fallimento della Troika.
Claudio Conti – Alla fine l’economia reale scoprì che il “diavolo rosso” di Atene può essere una benedizione, o almeno l’occasione per tornare indietro rispetto a una gestione della crisi che ha ottenuto l’esatto opposto di quanto promesso. Più crisi, e irrisolvibile; più debito pubblico, e non ripagabile; tracollo dei governi che obbediscono alla Troika, e non stabil… Altro…