Archive for giugno, 2022

giugno 19, 2022

Quando verrà tempo di partire.

di  Beppe Sarno

Bertold Brecht, in questa poesia  dal titolo “La guerra che verrà”, ci ammonisce sul significato della guerra.

La guerra che verrà

non è la prima.

 Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

Il mio amico Stefano è stato definito “pacifista Putiniano”, definizione che non significa nulla dato che i due termini mal si conciliano. Mia moglie molto più simpaticamente lo ha definito “cazzone americano”, che  nel suo immaginario significa sognatore, utopista.

Per Marx l’ideologia socialista è “scientifica” e la sua coscienza trasforma la classe operaia da fatto puramente economico-sociale a fatto politico; l’ideologia, però, intesa come un sistema di idee  è “falsa coscienza” della realtà nella misura in cui chi la elabora e chi la usa non tengono conto che la sua stessa elaborazione è stata condizionata dalle strutture. In questo senso ha ragione Ferdinando Pastore quando definisce i tre leader andati in pellegrinaggio da Zelesky “Quei bravi ragazzi che consegnano la guerra.” In questo senso l’ideologia diventa alienazione: “le idee dominanti in una data epoca sono quelle della classe dominante”.

L’ideologia potrebbe essere definita un insieme di valori “mitici” che si presenta come spiegazione del tutto e che si afferma nonostante le smentite della pratica quotidiana e come tale una risposta scientifica degenerata. Non siamo d’accordo con questa definizione di ideologia nella misura in cui non ci sentiamo ammalati di ideologismo nel senso che non ci estraniamo dai problemi concreti attraverso un richiamo formale a formule legate ai sacri principi del socialismo.

L’ideologia socialista ha costituito storicamente il superamento dell’utopia socialista. Kautsky,  in Italia Costa, Turati e tanti altri ne sono la testimonianza. L’utopia ha segnato un tappa importante nella storia del pensiero socialista e non solo  e parte da lontano: essa nasce dal Rinascimento con Moro, Campanella, Bacone. Essa porta naturalmente una profonda carica rivoluzionaria e di protesta, possiede l’illuminante capacità di contrapporre la razionalità delle idee all’irrazionalità dei fatti. L’utopia è evasione dalla realtà perché pretende di insegnare ai fatti come avrebbero dovuto accadere senza curarsi di sapere perché sono come sono.

L’utopia è arrogante!

L’utopia come insieme di idee guida non sa adattarsi al proprio tempo sia come modello puro razionale sia come fine ultimo senza alcuna verifica pratica. Quando l’utopia invece si adatta al proprio tempo e si propone come un insieme di idee guida in vista di un tempo futuro allora l’utopia diventa ideologia. L’utopia non si consuma con l’offesa del tempo, la carica di speranza che essa porta rimane intatta nel tempo. L’ideologia invece si spegne. Ci rendiamo quindi conto perché le ideologie della forze politiche presenti in Italia sono entrate in crisi perché, in questa fase di rapide trasformazioni   della realtà nessuna di esse sa spiegare tutta la realtà. Il pragmatismo uccide ogni ideologia.

Il Marxismo, di fronte a queste situazioni storiche contingenti può essere, viceversa, ancora la somma di quelle idee guida che esprime principi etici e politici ancora validi: “lotta dei lavoratori collegati internazionalmente contro il regime capitalistico; superamento di ogni divisione di classe, che non potrebbe essere completo e senza residui se l’iniziativa non fosse assunta dalla classe lavoratrice appunto perché è la classe sfruttata per eccellenza, la classe che, sentendo in sé, per la riduzione dell’uomo  a salariato, cioè a merce-lavoro, la negazione della sua umanità, aspira al grande atto storico di liberazione del mondo; di qui l’esigenza della conquista dei poteri pubblici come mezzo di abolizione della proprietà capitalistica e di riorganizzazione della produzione sociale, non più in vista del profitto privato, ma dei bisogni sociali. Sono caduchi questi principi? A noi non pare affatto!”

Certo il Marxismo va concepito come momento di ricerca, come un patrimonio problematico da analizzare  e da dibattere. L’internazionalismo non è più quello della seconda internazionale, il capitalismo è mutato è diventato sempre più aggressivo, si è globalizzato. La classe operaia come può essere oggi definita ed identificata?  E’ chiaro, però, che l’apporto del marxismo  e della cultura conseguente e successiva diventa fondamentale per capire i fenomeni del nostro tempo.  La necessità dell’ideologia nasce quindi dalla costatazione che in una società fortemente ideologizzata dal sistema capitalistico internazionale questa non può essere scalzata con la semplice politica delle cose e delle iniziative virtuose. Dire che è necessario un dibattito fortemente ideologico significa ribadire il principio che “la classe proletaria diventando arma materiale della filosofia, che è la sua arma spirituale, da all’ideale etico una concretezza storica e lo fa passare dall’utopia sul terreno dell’azione realizzatrice”. (Rodolfo Mondolfo in Critica Sociale 1924, nr 1). Assistiamo oggi inermi ad una deideologizzazione per indurre la gente a non pensare, a non discutere di politica: “qui non si parla di politica “e frasi del tipo “ ma i socialisti esistono ancora?”  “ Draghi ci salverà!” . L’unico scopo di queste frasi ad effetto è quello conservatore di non mutare lo status quo.

Il socialismo mira all’abolizione della miseria e a creare uomini liberi e uguali rendendo al lavoro quella dignità scritta nella nostra Costituzione. L’ideologia liberista tende invece a espellere queste ambizioni cancellando dalla storia il socialismo definendolo un’utopia irrealizzabile e dannosa per la società.

Un precisa ideologia socialista viceversa ci avverte che, malgrado la pubblicità sui giornali mass media, televisioni e altri strumenti di manipolazione di massa ci faccia vedere il mondo come il miglior mondo possibile, il nostro destino di uomini è in mano altrui. Combattiamo guerre che non vorremmo combattere, ignoriamo guerre che fanno milioni di morti. Senza idee non si cambia la storia, non si interpreta e non si modifica la realtà. Giochiamo a scacchi con la morte e non  sappiamo che alla fine perderemo la partita.

E’ vero l’ideologia senza la politica dele cose è un esercizio teorico, ma la politica delle cose senza ideologia è cieca e si lascia prendere per mano; i valori non calati nella realtà quotidiana diventano esercizi di retorica, ma il pragmatismo senza ideali diventa mero opportunismo.

Per mutare la realtà  per vedere “il sol dell’avvenire” occorre una lettura dialettica del reale filtrato dall’utopia diventata ideologia perché se non abbiamo nostre idee ci accadrà ciò che Bertold Brecht (per chiudere come abbiamo aperto), ha previsto

“molti non sapranno

Che il loro nemico

Cammina alla loro testa,

che la voce che li comanda

è la voce del nemico

e colui che parla del nemico egli stesso è il nemico.

giugno 13, 2022

Heri dicebamus!

Di Beppe Sarno

Si narra di un monaco spagnolo docente di diritto canonico  nell’Università di Siviglia, che avendo passato lunghi anni prigioniero dei mori, chiuso in una fortezza, dopo aver riconquistato la libertà sia tornato immediatamente al suo posto e, riaperto il testo nel punto in cui lo aveva lasciato prima della sofferta  prigionia, abbia ripreso tranquillamente le lezioni con la  consueta formula heri dicebamus…..

Così dopo l’ubriacatura referendaria che ha fatto sognare Salvini di sottomettere finalmente la magistratura al potere politico trasformando i PM in cani da guardia della politica e le altre amenità promesse dai quesiti referendari in ossequio al verbo di Licio Gelli,  riprendiamo la nostra discussione per testimoniare il nostro attaccamento alla democrazia, alla Costituzione, al pensiero socialista.

La nefasta influenza di Beppe Grillo sta istillando nella gente la convinzione che la nostra Repubblica debba trasformarsi da repubblica parlamentare in repubblica popolare. Seguendo questa logica si è provveduto alla riduzione del numero dei parlamentari mentre.  Secondo questi novelli populisti il Parlamento non risponderebbe più ai suoi compiti essendo un’istituzione vecchia da sostituire dall’intervento diretto dal popolo che così potrebbe partecipare direttamente all’amministrazione pubblica modernizzando il profilo ottocentesco della nostra democrazia. Giovanni Sartori nel 1994 già ci ammoniva affermando “Dio ci salvi, allora, dagli inesperti che ci propongono il governo dell’inesperto trionfante, dal cittadino premibottone”

Rosmini riteneva che i partiti fossero manifestazione di una società disunita e malata. Successivamente alcuni costituzionalisti ritennero di definirli “insieme di organi statali” necessari per lo svolgimento della vita parlamentare. Altri infine li consideravano come spontanee manifestazioni dell’opinione pubblica che non esprimono la volontà statale, ma preparano e favoriscono la formazione di tale volontà. Per tutti,  i partiti pur avendo rilevanza costituzionale dovevano rimanere strumenti di parte tutelati costituzionalmente dall’art. 18 necessari per concorrere democraticamente a determinare la politica nazionale secondo l’art. 49 della Costituzione.

Seguendo il pensiero di Kelsen (La lotta per il diritto!)la  funzione dei parlamenti non è quella di preparare il popolo, ma quella di consentire al popolo di partecipare all’esercizio del suo potere “sovrano”.

Ecco perché i partiti vengono finanziati dallo Stato attraverso i rimborsi in relazione alle spese elettorali sostenute per le campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei consigli regionali. Inoltre la legge del 2017,  consente esclusivamente ai partiti  di ottenere la destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche su precisa scelta del contribuente, e di ottenere erogazioni liberali dei privati, che possono così usufruire delle detrazioni fiscali.

Per il marxismo i sindacati e i partiti sono indispensabili e  Marx nel 1852 si allontanò dal partito preferendo dedicarsi ai suoi lavori teorici per essere più utile “alla lotta della classe lavoratrice”. Marx si schierò contro “la Lega dei comunisti” perché ritenne  al pari di Engels il partito “una banda di seguaci passivi di chi li guidava” e che non  rappresentava la coscienza del proletariato. Marx ed Engels però, poi parteciparono alla fondazione della seconda internazionale ritenendo quindi indispensabile il partito come strumento per la trasformazione delle cose e il raggiungimento dell’obbiettivo della costruzione della società socialista.

Oggi assistiamo ad una prevalenza del potere esecutivo esasperato dal nostro Presidente del Consiglio che ritiene il parlamento poco meno che un’inutile istituzione, ricorrendo sempre a provvedimenti d’urgenza determinati dalla necessità di assumere decisioni senza i tempi lunghi causati da un dibattito parlamentare. E’ stato così per i provvedimenti sulla pandemia è stato e sarà così per i provvedimenti riguardo la nostra entrata in guerra a fianco dell’Ucraina in dispregio dell’art.11 della Costituzione e le  determinazioni economiche che ci chiede l’Europa. E’ così che lo Stato da strumento che garantisce la convivenza tra i “consociati” che agiscono per determinati scopi, si trasforma in un poderoso mezzo di aggressione ed i oppressione, contraddicendo se stesso e rinnegando i principi espressi nella nostra Costituzione, definita figlia della Resistenza.

Se si può teorizzare una società senza partiti perché composti per lo più di ladri, malfattori, corrotti e superpagati dai contribuenti, nella pratica i partiti sono inevitabili  nella misura in cui un partito è l’unione di persone che attorno ad un problema politico hanno unità di pensiero ed identiche opinioni (idem sentire de republica). I partiti di massa sono stati il cuore pulsante di milioni  di lavoratori contribuendo a trasformare una società distrutta dalla guerra, dall’invasione tedesca e dal fascismo a realizzare riforme, a costruire una società industriale a creare un benessere diffuso portando l’Italia ad essere una delle prime potenze economiche mondiali. Molti nel corso della storia della nostra Repubblica  hanno criticato i patititi politici  perché trasformati in elites di capi che abbandonando il metodo democratico   “non sono più scuola di democrazia.” E come ebbe a dire Basso finirono per “assolvere male il loro compito di favorire il popolo nel suo effettivo esercizio del suo potere sovrano.”

Il problema è che mentre la mafia, la criminalità organizzata si sono adattati alle sfide della società moderna lo Stato e i Partiti sono rimasti inermi. Ciò spiega la crisi dei partiti, che mentre diventano potenti nei confronti dello Stato, lo occupano con i suoi uomini, ne condizionano le scelte, perdono la fiducia dei loro elettori, perdono la partecipazione degli iscritti, la preparazione delle classi dirigenti, il  ricambio e selezione dei quadri e l’ efficienza operativa. Ciò spiega alla fine la crisi del Parlamento svuotato delle sue funzioni  a vantaggio del governo,  dei nuovi centri di potere pubblico  e privato, della trasformazione delle Regioni in piccoli principati ma anche dello stesso Governo semiparalizzato da un amministrazione inadeguata dalla incompetenza dei funzionari, dalle influenze dei gruppi di pressione pubblici e privati, dalle istituzioni finanziarie internazionali.

Diceva Nenni che di fronte ad uno Stato  in sfacelo che usa le maniere forti con i deboli e  cede di fronte ai poteri forti non si può andare avanti,  ma prendere  atto della situazione e da lì ricominciare.

Se lo stato democratico non provvede prima ai bisogni del “sovrano” occorre apire un fronte di lotta per far si che “il sovrano” cioè i cittadini abbiano concretamente la possibilità di esercitare la libertà che la Costituzione garantisce loro.  Il fondamento della nostra democrazia sono l’istruzione ed il lavoro, essi sono diritti e doveri che indicano allo stato e cioè ” rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Con questo articolo viene precisata la vera natura dello Stato quello di limitare la libertà teorica degli individui per il loro effettivo vantaggio. In questa visione lo stato deve fare in modo chela scuola non sia un’agenzia che prepara i nuovi sfruttati e  il lavoro non sia un merce ma un diritto e  un dovere sociale allo stesso tempo. Lo dice con grande lungimiranza  Papa Francesco.

In questo quadro i partiti politici sono la espressione naturale e necessaria della vita politica. Una democrazia diretta non è pensabile nella situazione storica che viviamo. In questa situazione  i partiti sono inevitabili come strumento di concentrazione della volontà popolare.  E’ lecito allora domandarsi perché i Parlamento non è più un organo rappresentativo ma un diaframma che separa la volontà politica dalla volontà generale. Si può rispondere che la crisi che attraversa la democrazia parlamentare è stata accentuata per rispondere alle emergenze determinate dalla pandemia e dalla crisi economica e  il governo guidato da Mario Draghi ha avuto gioco facile a ribaltare i ruoli per cui è stato l’esecutivo a dettare l’agenda politica ai membri di camera e senato e non il contrario.

Se l’emergenza, però, non è un valido motivo per giustificare la forzatura delle regole democratiche è pur vero che i partiti per come sono strutturati oggi sono destinati a subire lo stato delle cose se non si comincia a riformarli dal basso attraverso un coinvolgimento della base attraverso il dibattito riapprodandosi dei temi di cui la gente sente il bisogno di discutere. Un lavoro difficile destinato magari a molti insuccessi però  se è vero che la democrazia non significa partecipazione diretta, ma solo indiretta del popolo al governo della cosa pubblica è pur vero che il governo riceve autorità e potere dal basso e non dall’alto.  Ripartendo dai bisogni della gente un partito diventerà  portatore di un programma. Beppe Grillo lanciò l’idea, non sua, che i parlamentari venissero scelti attraverso un sorteggio  e alcuni invece prevedono che in futuro si possa votare usando il computer. Questo significa far morire la speranza di un cambiamento dei rapporti di forza all’interno di uno Stato, significa chiedere alla gente di rassegnarsi all’idea che lo Stato è uno strumento tecnico per assecondare i disegni del mercato che diventa a sua volta “sovrano” in sostituzione del popolo.  Marco pannella nel 1993 sintetizzò questi concetto con la frase “chiudere i partiti”.

I partiti viceversa non vanno chiusi ma bisogna avere la forza di riaprirli per ridare speranza alla gente e per  ridefinire il ruolo del parlamento come libera espressione della democrazia  dandogli  quella centralità che sempre ha avuto nella  storia della nostra Repubblica. Pietro Ingrao in un suo libro  (”Crisi e riforma del Parlamento“, dialoghi con N. Bobbio e introduzione di L. Ferrajoli)  metteva in luce come, prima degli anni ottanta, il Parlamento fosse davvero la sede di un confronto alto tra le forze politiche e, come spiega Ferrajoli nel suo saggio introduttivo, “lo fu perché le battaglie parlamentari erano tutte sorrette da grandi mobilitazioni popolari, quali espressioni politiche di altrettante lotte sociali”.

Ridare consapevolezza agli italiani che essi sono “ popolo sovrano” significa ridare alla gente la speranza che attraverso la sua mobilitazione tutto può cambiare ed è possibile invertire questa involuzione democratica che stiamo vivendo al momento attuale. Con la difesa della  democrazia e della  centralità del Parlamento infine  si riabilita la politica come azione collettiva che rifonda la rappresentanza sulla base di rinnovati radicamenti sociali. 

giugno 4, 2022

RICCARDO LOMBARDI TRA MARX E KEYNES

di Giuseppe Giudice

Lombardi fu certamente uno dei primi uomini della sinistra che lesse approfonditamente Keynes. Ma il keynesismo di Lombardi era quello “di sinistra” – i postkeynesiani di Cambridge : Joan Robinson, Nicholas Kaldor, in particolare , di orientamento socialista rispetto al liberale Keynes. Quindi in Lombardi credo che si sia operata una sintesi tra il suo marxismo eterodosso ed il postkeynesismo. Che poi è alla base della sua ben nota teoria della Riforme di struttura come mezzo per una transizione democratica e graduale verso il socialismo. Di qui , anche la sua opposizione alla “politica dei redditi ” di Ugo La Malfa volta alla razionalizzazione del neocapitalismo e non al suo superamento. La prospettiva del Lombardi, a cavallo , tra gli anni 50 e 60, consisteva nella “politica di piano” o programmazione democratica che avrebbe dovuto orientare il processo di sviluppo dell’economia italiana , tramite l’intervento pubblico, verso parametri diversi ed alternativi rispetto al neocapitalismo. Da sottolineare , che anche tra i postkeynesiani inglesi il concetto di programmazione era un punto di forza. Dopo il 1968 Lombardi integrò nel suo schema teorico anche parte della teoria dei contropoteri , in particolare quella di Panzieri. Anche se egli non fu mai un “gauchiste” nondimeno dà centralità al movimento di massa, come leva essenziale per la modifica dei rapporti di potere nell’economia e nella società . Del resto è del 1968 il libro di Gilles Martnet “la conquista dei poteri” in cui viene coniato il termine riformismo rivoluzionario che Lombardi fece proprio. In Lombardi e Martnet non basta avere in mano le leve del potere pubblico: esso va radicalmente trasformato tramite un profondo processo di democratizzazione dell’apparato statale, in grado di permettere una trasformazione in senso democratico e socialista della società. Quindi il socialismo come processo dal basso, nella dialettica tra poteri e contropoteri, nel quadro della democrazia costituzionale repubblicana. In cui la socializzazione dell’economia si accompagna alla socializzazione del potere. Lombardi ha sempre difeso l’idea del sindacalismo confederale, nella forma specifica del “sindacato dei consigli”. Riteneva importante , ma non esaustiva la spinta alla crescita salariale, come fattore di ampliamento del mercato interno. Ma altrettanto decisiva la modifica profonda dell’organizzazione del lavoro. “Catene di montaggio socialiste” non esistono, ripeteva dire. E da Panzieri acquisiva la tesi della non neutralità dello sviluppo tecnologico ed anche il superamento dei residui economisti e produttivisti presenti in una certa ortodossia marxista. Certo il Marx che prediligeva era quello del Capitale e dei Grundrisse, il Marx critico dell’economia politica e non il marxismo inteso inteso come filosofia deterministica della storia. E non da dimenticare la sua forte insistenza sulla riduzione dell’orario di lavoro. Di qui l’attualità di Lombardi per un faticoso processo di ricostruzione della sinistra (che oggi appare quasi impossibile in Italia). Del resto il mondo pare andare in una direzione opposta a quella immaginata da Lombardi. Ma emergono, qua e là , delle controtendenze. Del resto in Melenchon e Corbyn appaiono molti temi sviluppati da Riccardo Lombardi

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giugno 2, 2022

Rassegnatevi alla Pace!

Di Beppe Sarno

Il governo Draghi ha inviato una proposta di pace fra Ucraina e Russia giudicata insoddisfacente dai vertici Russi. Contemporaneamente violando l’art.11 della Costituzione  Draghi continua a inviare armi  dei più svariati tipi. Ovviamente il parlamento è tenuto all’oscuro della natura degli armamenti  inviati per motivi di sicurezza.  Certo è che le armi vengono spedite sotto il controllo del Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi) guidato dal commissario straordinario generale Francesco Paolo Figliuolo. E si occuperà la Nato della consegna logistica sul territorio ucraino. Se aggiungiamo l’adesione alle sanzioni contro la Russia e la feroce battaglia mediatica che fanno apparire Zelesky e il battaglione di Azov come degli eroici combattenti e Putin come un Hitler con l’atomica possiamo affermare senza tema di smentita che l’Italia è in guerra contro la Russia al fianco di Zelesky. Eppure l’ineffabile presidente del consiglio al pari di tutti i leaders europei sono  ammirevoli per il loro commovente zelo per la pace; ogni capo di governo la propone ne delinea le generose condizioni e nello stesso tempo studia come affamare la Russia e il suo popolo. Ci si indigna e ci si stupisce  del fatto che Putin si ostini a ricusarla per una pervicace e fatale incontentabilità. Nel frattempo i combustibili raggiungono prezzi  record, le piccole e medie imprese lavorano a ritmi ridotti le materie prime mancano, i granai cominciano a svuotarsi. Tutto questo accade mentre il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, proponendo nuove e più feroci sanzioni contro la Russia,   affabula gli interlocutori e dedica alla pace discorsi non meno obbliganti e piani di condizioni estremamente vantaggiose, a suo dire, per la Russia e per tutti i paesi d’Europa all’Ucraina oppressa con particolare riguardo alla causa delle democrazia, del diritto e della indipendenza dei popoli.

Tutte queste cose di cui la von der Leyen sembra avere l’esclusiva presenta un inconveniente, lieve ma decisivo, che l’Europa, il Regno Unito,  gli Usa  pur volendo la pace continuano ad alimentare la guerra inviando armi, uomini, consiglieri militari, applicando sanzioni e non si intendono con Putin che da parte sua continua a bombardare l’Ucraina.

E’ stato dimostrato che la famosa guerra dei trent’anni  durò tanto perché i condottieri dei popoli in guerra impiegarono tanto tempo per capire ciò che poi riconobbero essere stato chiaro per tutti sin dal primo momento e cioè che era perfettamente inutile cercare una decisione diversa da quella dettata dal primo anno di guerra e che gli altri ventinove anni furono spesi nel rincorrere ciò che si era fatto nel primo. Nel frattempo i morti, la fame e la carestia fecero milioni di vittime innocenti. Eppure appare chiaro a tutti l’inutilità di questa guerra. Deve estremamente eccitante per i soldati di un parte e dell’altra che combattono e muoiono, sapere che coloro che ritengono indispensabile la continuazione della guerra fino alla resa finale dell’uno o dell’altro contendente  e dei loro sacrifici sono anche dell’opinione che ci si potrebbe benissimo porre fine. I termini della questione che hanno generato questa guerra sono chiari: da una parte Putin  chiede l’indipendenza del Donbass e della Crimea dall’Ucraina sulla base della circostanza che sono stati di fatto legati alla Russia già da otto anni  e quindi si chiede cheKiev riconosca che le due regioni appartengono alla Russia. Inoltre la Russia ha chiesto la neutralità dell’intera Ucraina e quindi la dichiarazione formale che mai l’Ucraina entrerà nella Nato. Dal canto suo Zelesky mentre si dichiara disponibile a trattare sul modo di arrivare a un cessate il fuoco e pronto a discutere sui territori contesi dichiara “Questa guerra non finirà così. Scatenerà la guerra mondiale», aggiungendo che «Tutti coloro che sono venuti sulla nostra terra, tutti coloro che hanno dato gli ordini… sono tutti criminali di guerra». Difficile credere alla sincerità dell’uno e dell’altro anche perché se da una parte c’è l’America di Biden,  dall’altra c’è la Cina e ognuno sostiene  le rispettive ragioni dei contendenti. Intanto Biden fa sapere che se la Cina dovesse occupare Taiwan l’America è pronta a difenderla, dimenticando che Taiwan non è uno stato riconosciuto dagli USA. Ma si sa da sempre l’America è un paese che difende ed esporta democrazia per combattere “l’autoritarismo, la lotta alla corruzione e la promozione del rispetto dei diritti umani». La storia ci ammonisce del contrario e cioè che da una parte i popoli liberati il gusto della libertà prende il sopravvento sulla gratitudine dei liberatori sino a punto di  schierarsi contro questi ultimi, forse perché solitamente i liberatori hanno la strana tendenza a farsi pagare i loro disinteressati servizi con delle ipoteche  su quella libertà che fu la loro fatica.  Intanto assistiamo tutti ad un universale logoramento che ognuno della parti in causa progetta a danno dell’altro. Oggi giorno dai telegiornali nazionali, dai giornali, dai media sentiamo dire che è necessario logorare il nemico per giungere alla vittoria finale e mi domando che cosa ci sia  ancora da logorare per arrivare alla vittoria finale se è vero che oltre alle migliaia di morti  dall’una parte e dall’altra ci saranno gravissime ripercussioni economiche che pagheranno tutti, come universalmente riconosciuto. Pagheranno tutti: Ls Russia, l’Europa, gli Stati Uniti.  Quanto ci vorrà per l’Italia per ricostituire le ricchezze sprecate in questa assurda guerra? Per quel che ci riguarda il militarismo della signora Ursula von der Leyen santificata da  Mario Draghi che applaude soddisfatto, uscirà spezzato dalla guerra non per la eventuale vittoria o sconfitta del proprio campione, ma  per l’estenuazione alla quale  essa, complice il nostro Mario Draghi avrà ridotto il popolo che essa pretende di rappresentare: fabbriche chiuse, operai disoccupati, servizi sociali mortificati. D’altra parte, non mi sembra che chi si arma con rinnovato accanimento possa attribuire un significato democratico ed antimilitarista alla pretesa del disarmo altrui.  Questo poteva essere il punto di vista di Mefistofele nel duello fra Faust e Valentino.  D’altronde pretendere la pace come risultato esclusivo della guerra con la vittoria di uno dei contendenti significa voler  estirpare l’erba maligna della guerra lasciandone intatte le radici per le future rigerminazioni.  

Non c’è nessuno che crede sinceramente che l’Ucraina o la Russia siano in grado di assicurare la vittoria dell’uno sull’altro con un grande sacrificio di uomini e ricchezza nazionale perché se così fosse si potrebbe comprendere perché nessuno vuole la pace, ma dal momento che non è dimostrabile con assoluta certezza che una vittoria quale viene chiesta da Zelesky può essere ottenuta non solo cacciando i Russi dai territori occupati, ma obbligandoli ad arrendersi senza condizioni, domandiamoci se è logico porre termini che non si possono imporre fin che la guerra non sia stata vinta.

Moriranno ancora molti soldati, moriranno ancora molti civili, donne bambini, anziani ma alla fine ci si dovrà rendere conto che la guerra va fermata perché la vita non si arrenderà mai alle esigenze delle vittorie militari e per quanto ci si impegni sul piano del logoramento del nemico, la vita saboterà tuto questo perché la vita è vilmente ma irriducibilmente pacifista.