“…e se ne vanno gli uomini ad ammirare le alte vette dei monti e i maestosi flutti dei mari e gl’immensi corsi dei fiumi e l’ampiezza dell’oceano e le enormi distanze delle stelle, e si dimenticano di se stessi….” : meditazione agostiniana, su cui casualmente cade l’attenzione di Francesco Petrarca, in preda ad un forte e autentico tormento spirituale per l’innegabile sua incapacità di non amare ciò che la mente gli dice di non amare… la gloria…l’amore….Laura! Gli si è appena svelata la grandezza dell’animo umano e della sua propria interiorità, che è in lui, e non ha necessità di essere cercata all’esterno! Perché cercare al di fuori di sé una bellezza che è da sempre e per sempre dentro di noi? E tale certezza acquieta l’angoscia del poeta, pur se momentaneamente. Mi viene in mente, per analogia, un Santuario dedicato a San Michele Arcangelo, in Piemonte, prodigiosamente innestato su uno sperone di roccia. Vi ascesi vari anni addietro, in tempi ahimé lontani dall’oggi e…dalla fede, ed esso fin dalla gradinata di accesso m’ispirò una prepotente, seduttiva, idea di ‘altrove’. Per la sua posizione elevatissima? Per la musica sublime che m’inondò? Che le eteree orbite celesti, ruotanti intorno al mondo, esistano davvero? e producano veramente un suono impercettibile ad orecchio umano, e che lì, e solo lì, l’immensità dell’etere si sia condensato anche per me, per me! in ‘musica mundi’ udibile?
Di esperienze analoghe ciascuno ne ha e ne ha avute. Ce le offre Qualcuno? Magari…! Saremmo già belli e appagati tutti! La musica, fino a prova contraria, nasce dall’uomo e nell’uomo. Ed essa si espande su un corpo: corpo che coincide con l’aritmetica dei ritmi, con le regolari alternanze di note e pause, con la successione di suoni secondo precise consonanze armoniche: tutto nasce dall’armonia, ma tutto va al di là dell’apparato tecnico e inventivo per creare… armonia! Come uno slancio vitale, sempre diverso e imprevedibile, infinito, la sua essenza, quella che ci cattura, che muove il nostro essere, è forse tutta qui: nel mistero della vita e della morte, o forse solo, esistenzialmente, nel ‘nonsenso’ della morte. Ed ecco l’interazione tra musica e fede. Ecco le domande fondamentali di cui vorremmo sentire dire: perché si muore? Da dove veniamo e dove siamo diretti? Esiste un fine in tutto questo vagare dell’universo? Altrimenti ci avrà detto più dei successori di Cristo il nostro Leopardi! Ma noi non vogliamo questo, in onore di quel Dio che continua a darci se stesso nel pane e nel vino. Basterebbe una liturgia veramente partecipata per sottrarci alla dispersione, alla frammentazione di vita persa dietro ai ‘fatti’ , alle ‘funzioni’, alla ‘chiacchiera’. Dispersione abbastanza alienante! Ah!… ecco forse la salvezza! Non abbiamo un rito settimanale, la Messa? Forse questa ci potrebbe aiutare!…. Ahi ahi! Ma perché spesso si è presi da un senso di insufficienza, teologicamente erronea, e di freddezza, durante la celebrazione? E frattanto siamo disturbati da canti a dir poco ‘parlati’, e chitarre a tutto spiano con tanto di microfono, che non hanno il potere di sollevarci di un solo palmo da terra! E così finiamo per chiederci perché quel Dio lì presente e vivo non abbia nulla da dirci! E magari ce ne usciamo di chiesa poi carichi di ulteriori sensi di colpa e di inadeguatezza personale. Forse dovremmo ripartire daccapo e cambiare qualcosa. Quanto sarebbe diversa la partecipazione personale, se nelle chiese non si fosse accantonata la tradizione della musica di qualità! Basterebbe riservare a strumenti come l’organo, o altro di serio, o a dei cori veri, professionali, qualche momento finalmente introspettivo. Forse non riusciamo a tornare dentro di noi al cospetto di Dio e non possiamo esprimergli i nostri lamenti, come Giobbe, certi di essere ascoltati… Perché mai Giobbe avrebbe gridato a Dio, se non avesse avuto la certezza dell’ascolto? Macché! Si sente solo il silenzio di Dio e quella stretta di mano che ci scambiamo tra vicini di panca non allude a riconciliazione alcuna, a nessuna ‘reductio ad unum’. Eppure non può essere tutto una formalità. E forse potremmo come S.Agostino desiderare di esporci allo sguardo dell’Altro non per vergognarcene, come Adamo ed Eva, ma per poterci a nostra volta guardare, guardare dentro di noi! con amore e perdono…perché forse ci sentiremo anche appagati dalla vita, ma non sapremo mai che cosa sia guardarsi con amore e rispetto di sé. E invece? In assenza di momenti interiorizzanti, veniamo invitati a ‘partecipare’ (!) aprendo e chiudendo le labbra, per cantare ‘in playback’ a volte amene canzoncine. Quanto sarebbe recuperato della nostra vita spirituale e culturale se, invece di ricorrere a giulivi musicanti, assordanti chitarre e festosi tamburelli, ci si attrezzasse a restaurare organi antichi facendo suonare e cantare chi abbia studiato musica! E se potessimo entrare in noi, e al contempo uscire da noi, su flussi di armonie….! Viene da chiedersi quali privilegiati percorsi spirituali avranno condotto ad opere spesso così ispirate. Altro che ritornelli e strofette pensate a tavolino…! Tanto per fare un nome, crediamo che il compositore che meriti il primato tra Sei e Settecento, se è lecito fare confronti tra diversi, tra i suoi contemporanei Couperin, Daquin, Clerambault, il nostro Corelli… è certamente Bach, capace di toccare le note più intime del nostro animo, come gli slanci più festosi e lieti, o grandiosi e alti. Si potrebbe, a questo punto, segnalare agli interessati qualche brano veramente significativo, nonché semplice, eseguibile in chiesa, ma anche per un ascolto privato. Nel periodo di Avvento, ad esempio, e Natalizio, è indicata, ed appropriata, l’esecuzione di Pastorali, caratterizzate da un ritmo ternario, e ne abbiamo di famosissime, come il corale di Bach: Wachet Auf BWV 645, compreso negli Schubler-Corale; o la pastorale di A. Corelli, dal Concerto Grosso op.6, n.8; il Noel X di C. Daquin (dal Grand Jeu et Duo) ; il Corale di Bach ‘In Dulci Iubilo’.. .. Invece, nel periodo quaresimale, che va dal mercoledì delle Ceneri alla Pasqua, la musica dovrebbe essere adeguata al tempo penitenziale ed escludere i momenti gioiosi delle Introduzioni e dei Finali, per conservare un tono più raccolto e sommesso. Ma, a parte le indicazioni ufficiali e no della Chiesa,comunque la musica liturgica è finalizzata sempre alla gloria di Dio e ad avvicinare la nostra creaturalità al Creatore, perché i nostri sensi ahimé sono deboli e necessitano di aiuto. E allora non resta che concludere che la musica è contemporaneamente ben più, e altrettanto meno, di una gratificante esecuzione concertistica, cosa che non avrebbe senso in quel contesto (per questo non è appropriato applaudire neanche alla fine della messa), né può apparire come una parentesi estetizzante per ‘alleggerire’ la ritualità. Certamente, invece, i brani sono sottomessi ai tempi e alle sonorità adatte per la liturgia, con preferenza per i bordoni e i flauti, registri bellissimi, che hanno un suono evocativo e intimo, con esclusione di trombe barocche, nazardo e simili dal timbro salottiero o stridulo, o rimbombante… E’ sempre non sottovalutabile, poi, tutt’altro, l’uso dei pedali, tipica peculiarità dello strumento in questione, che si inseriscono equilibratamente in un sapiente uso dei registri, già indicati negli spartiti, ma soggettivamente rielaborabili anche in ottemperanza all’organo di cui si dispone. (Gli organi, a differenza del piano, degli strumenti a corde, a fiato ecc. sono gli unici strumenti effettivamente diversi l’uno dall’altro per grandezza, numero di tastiere, estensione, registri, sonorità) Né il suono, per intensità, se accompagna il canto assembleare, può mai coprire le voci. Le sonorità spiegate in tutta la potenza dell’organo vanno riservate agli ‘a solo’ dell’inizio e della fine, e comunque usate con buon senso.
Ci aiuterà la musica ‘instrumentalis’a far fluire dentro di noi la musica ‘mundi’? Cioè la musica umana ci condurrà a quella musica che Dante immaginò prodotta dalla rotazione dei cieli eterei del Paradiso e dai cori degli Angeli? Chiediamo troppo? Noi suoniamo per Lui, ma la musica in compenso farà fluire dentro di noi il grande Assente-Presente rendendolo vivo e, chissà perché e come, rendendo anche noi stessi delle persone vive.
Gina Ascolese