Archive for agosto, 2020

agosto 25, 2020

“Compagno Presidente”

di Beppe Sarno

Il 4 settembre 1970 avviene in Cile, paese peraltro tradizionalmente democratico,  un miracolo: una coalizione socialista, “Unitad Popular”,  con  Salvador Allende candidato Presidente,ottiene il numero più alto di voti. Unitad Popular raggiunge li 36,3% dei voti, il candidato della destra Jorge Alessandri il 34,9% e il candidato democristiano Rodomiro Tomic il 27,8%; il Cile ha un sistema presidenziale che da al Presidente della Repubblica il potere di nominare il governo.

Nel successivo scrutinio alle camere la Democrazia Cristiana voterà per Allende. E’ la vittoria! Dopo un mese di tensioni il 4 novembre 1970 Salvator Allende socialista entra al palazzo della Moneda come Presidente e capo del governo del Cile.

Allende eredita un paese da governare politicamente ed economicamente debole: poca industrializzazione, il rame, ricchezza principale del paese in mano agli Americani, poca agricoltura in mano ai latifondisti, mancanza di un terziario forte e urbanizzazione crescente della popolazione.

I profitti delle industrie a prevalente capitale straniero vanno a vantaggio di pochi, apportando quasi nulla alla ricchezza nazionale. Unità Popolare vince perché una parte della borghesia cilena si schiera con la DC progressista,che spera di avviare con i socialisti un nuovo modello di sviluppo fondato sulla collaborazione fra piccola borghesia e proletariato.

In questa realtà i comunisti e i socialisti rappresentano un movimento operaio organizzato, ma profondamente diviso al suo interno; la Dc ha una base interclassista e il partito nazionale rappresenta invece il latifondo e quella parte della borghesia tradizionalista e conservatrice in concorrenza con la destra della DC. Vi sono poi movimenti minori far cui il MIR, prima astensionista e poi fortemente sostenitore di Allende.

Il progetto politico di “Unitad Popular” si fondava su alcune idee forti: la prima che il sistema istituzionale Cileno aveva al suo interno gli strumenti per la trasformazione del Cile in  uno stato socialista nel rispetto della legalità costituzionale; la seconda che una radicale trasformazione del capitalismo in capitalismo di stato con riappropriazione dell’industria e del credito unita ad una accelerazione della riforma agraria iniziata da Frei, avrebbe creato le premesse per l’indipendenza economica del paese, per fermare l’inflazione, per rendere l’industria privata non in conflitto con lo stato, per consentire una redistribuzione del reddito a favore delle fasce più deboli della popolazione. Come conseguenza di queste idee guida sarebbe seguita una fase spinta di nazionalizzazioni, di coinvolgimento degli operai nelle scelte produttive, acquisizione di capitali provenienti dall’estero.

Il governo, formato dai socialisti, dai comunisti, radicali, MAPU, socialdemocratici e dal “marxista indipendente” Vuscovic, nei primi mesi di attività, ottiene importanti risultati. In politica estera riconosce Cuba e la Cina; in politica interna oltre a varie opere sociali, sanitarie e altre provvede alla nazionalizzazione totale delle industrie minerarie fino ad allora in mano agli americani, reti di industria e combustione, comunicazione, trasporti, istituti bancari. Anche in agricoltura gli espropri sono considerevoli.

Il governo rifiutandosi di indennizzare le industrie estrattive del rame arriva a chiedere un risarcimento di circa 350 miliardi di dollari alle società americane proprietarie fino allora delle miniere.

I salari vengono aumentati come pure le spese sociali.

 Alle elezioni municipali dell’aprile 1971 Unitad Popular sfiora il 50% dei voti.

L’assassinio di un ex ministro democristiano insieme ad una forte crisi economica determinata dall’abbassamento del prezzo del rame e dalla mancata concessione di prestiti da parte del FMI mette in crisi i rapporti con la DC, in cui ha ripreso potere Frei, che chiede ad Allende di ridurre il numero delle industrie da nazionalizzare.

In concomitanza con la visita di Fidel Castro protrattasi per oltre un mese, la Dc organizza una forte manifestazione contro il governo.  “Il governo di Unitad Popular incontra difficoltà serie,  ma non per quello che ha promesso. I nodi che vengono al pettine nascono, paradossalmente, dall’averlo fatto.” (Rossana Rossanda.)

Altro fattore di crisi è la richiesta di aumenti salariali da parte degli operai delle miniere a cui Allende non riesce ad aderire. Di questo stato di cose approfitta la Dc che avendo insieme al Fronte Nazionale la maggioranza al senato ed alla camera mette in seria difficoltà il cammino delle riforme e il governo stesso. 

Il 1972 è l’anno della riscossa della DC e delle destre tra cui spicca l’organizzazione parafascista “Patria e Libertà”. Il candidato alle presidenziali della DC Tomic, viene sostituito dal redivivo Frei. Le elezioni suppletive, caricate dalla destra di significato politico porta al successo i candidati democristiani.

Lo scontro tutto istituzionale avviene prima sul bilancio: obbiettivo delle destre è bloccare il programma di nazionalizzazione delle industrie. Per questo motivo oltre a chiedere l’incriminazione del ministro Toha  per motivi di ordine pubblico, viene chiesta l’incriminazione del ministro dell’economia Vuksovic perchè considerato colpevole di aver voluto accelerare il processo di nazionalizzazione delle industri private. Comunisti e socialisti a questo punto avrebbero voluto tentare l’apertura del dialogo con una parte della Dc, il Mir invece proponeva misure di trasferimento di poteri al popolo al di fuori del quadro istituzionale.

I comunisti cileni avevano sempre avuto e avranno un atteggiamento moderato all’interno della colaizione di Unitad Popular, anche perché la Russia non aveva alcun interesse ad aprire un altro dossier in America latina dopo l’esperienza di Cuba.

la DC dal canto suo organizza una forte opposizione sia all’interno del parlamento che nelle piazze con un’organizzazione capillare. Viene proposto un progetto di riforma istituzionale teso ad attuare una limitazione dei poteri del presidente.

Una serie di misure incongrue e di difficile sostentamento in materia economica porta necessariamente alla mancanza di beni, fenomeni di accaparramento, speculazione e mercato nero. la “battaglia per la produzione” del 1971, aveva solo attenuato per un breve periodo l’aggravarsi della crisi.

All’interno di Unità Popolare si apre un dibattito: da una parte Vuksovic che propone di accelerare e riqualificare il processo di allargamento del settore statale, di promuovere una forte politica fiscale sugli alti redditi e una manovra sui prezzi; lo stesso ministro contemporaneamente propone di sospendere il pagamento del debito estero e di aprire negoziati con altri paesi per attrarre investimenti esteri. Dall’altra parte i comunisti che continuando ad avere un atteggiamento prudente, proponevano di ridurre il numero delle imprese da nazionalizzare e ponevano forti freni al controllo della produzione da parte degli operai. Vince la linea dei  comunisti, ma la cosa non ferma la crisi.

Al dibattito sulle prospettive economiche si aggiunge il dibattito politico che porta  a delle profonde spaccature all’interno di Unitad Popular.

la fedeltà alle istituzioni di Allende e di Unitad Popular si dimostra una camicia di forza per il governo, lasciando alla DC e alle forze di destra la piazza. Lo scontro si radicalizza anche perchè i comunisti prendono le distanze da Unitad Popular. Alle proposte in materia sociale ed economica del governo, “El Siglo” quotidiano del partito comunista scrisse all’epoca “parlare di controllo operaio è pura fraseologia, che non ha nulla a che fare con il nostro programma[….]proporre una amministrazione fondata sulle organizzazioni popolari dei consigli di zona, incaricati a risolvere i problemi dei lavoratori è anarchismo puro mentre quel che occorre è un’azione sindacale sociale politica economica  coordinata ed efficace di guadagnare la fiducia degli imprenditori(sic!)”ed ancora “un piano realistico che si proponga misure molto chiare di aumento della produzione e della produttività” 

Nel giugno ’72 cambia il governo con un programma che corrisponde ad un arretramento rispetto alle scelte politiche iniziali di unitad Popular.

 I tentativi di Allende con la proposta di misure economiche e politiche più moderate non ottengono i risultati sperati; la rottura con i comunisti fa il resto.

Il 12 ottobre dello stesso anno inizia la serrata dei trasporti, del commercio e di altre categorie professionali. L’attacco ad Unitad Popolare è cominciato.

Unitad Popular si radicalizza e il segretario del partito Socialista Carlos Altamirano sostiene che il progetto politico di Unitad Popular deve andare avanti con più rigore; continua la statalizzazione delle fabbriche e vengono attuati aumenti indiscriminati dei salari. Insomma la scelta rispetto alla serrata è quello di spostare sempre più a sinistra le scelte politiche. L’obbiettivo dei socialisti,  del Mir e del Mapu è quello di creare un  blocco rivoluzionario che contrasti lo scontro ormai aperto con le destre e la DC.

Allende e i comunisti non accettano questa soluzione rimanendo fedeli alla scelta di non uscire dalla legalità.

A questo punto Allende gioca la carta dell’accordo con i militari. dopo un incontro con il Generale Carlos Prats, questi accetta, in nome della fedeltà alle istituzioni, di entrare nel governo e Prats accetta la presidenza impegnandosi a stroncare la serrata in 48 ore. L’illegalità viene sconfitta.

La sinistra DC che in un primo momento aveva seguito Allende per il riscatto del rame dagli Stati Uniti e per una riforma agraria che ella stessa aveva concepito, di fronte a scelte più radicali di Unitad Popular si dissocia e si allea con la destra con il comune intento di sconfiggere Unitad Popular.

L’isolamento internazionale, la crisi economica, il controllo da parte della Dc dei mezzi di informazione, della polizia di strati dell’esercito riescono ad avere partita vinta rispetto al tentativo di Unitad Popular di costruire un blocco alternativo operaio e contadino che usciva dagli schemi capitalistici con l’obbiettivo di costruire una società socialista per le vie legali.

L’aumento della qualità della vita e le migliori condizioni economiche della classe operaia, insieme al processi di nazionalizzazione delle industrie e tutte le misure economiche e politiche del governo  determinarono nel ceto medio la convinzione che  “il processo sociale è andato oltre il punto di equilibrio d’un governo riformista” . Il Cile si avviava a diventare socialista. La nazione si divise da una parte la classe operaia sostenitrice di Unitad Popular, dall’altra la media borghesia, gli industriali i ceti ricchi, i latifondisti sostenuti dal governo degli Stati Uniti e questo portò ad una radicalizzazione dello scontro politico. Nessuno più crede al raggiungimento del socialismo in maniera indolore. La Dc propone per uscire dalla crisi il blocco dei salari, una riattivazione degli incentivi ai capitali nazionali ed esteri unite a misure inflattive.

All’interno di Unitad Popular si determina una spaccatura fra socialisti e comunisti sulle misure economiche da adottare.

Rispetto alla proposta dei socialisti di istituire per combattere il fenomeno del mercato nero una dotazione fissa mensile di prodotti alimentari di base per ogni nucleo familiare, il PC si rifiuta di aderire. Lo scontro decisivo si verifica sulla proposta dei socialisti di portare fino in fondo il processo di nazionalizzazione delle industrie. I comunisti avrebbero voluto invece bloccare il processo e riattivare con misure incentivanti gli investimenti privati. Il ministro all’economia Millas, a questo proposito propone di bloccare il processo di nazionalizzare l’industria e di restituire ai privati 123 aziende che stavano per essere nazionalizzate. Gli operai scesi in piazza chiedono l’abolizione del progetto Millas e solo l’impegno di Allende a far naufragare il progetto Millas ferma la protesta operaia.

Contrariamente ad ogni aspettativa nelle elezioni del marzo 1973 i socialisti ottengono il 43,9 % dei suffragi. Intanto l’inflazione tocca il 238%.

Gli operai, i contadini il terziario e gli intellettuali scelgono Allende,il dialogo fra DC e Unitad Popular appoggiato dai  comunisti non è più possibile, Frei si riappropria della DC. Una parte dell’esercito che in un primo momento aveva appoggiato Allende prova un tentativo di golpe nel giugno 1973, ma sono le stesse forze al suo interno, leali ad Allende che lo stroncano.

A questo punto Allende forma un governo senza esercito con un programma politico moderato orientato a riaprire il dialogo con la DC. Dopo il tentato golpe del 29 giugno  gli operai occupato circa duecento fabbriche e chiedono ad Allende di punire i militari infedeli e di istaurare un’emergenza basata sull’organizzazione popolare armata. Allende rifiuta ed ad agosto forma di nuovo il governo con il fedele generale Prats.

La DC ormai straripa e il generale Prats deve lasciare il governo il 24 agosto. Lo sciopero dei trasporti continua bloccando praticamente l’economia del paese. La divisione all’interno di Unitad Popular fa il resto.
 la mattina dell’11 settembre, strana coincidenza di date, i genarli Pinochet, Leight, Medina e il comandante dei carabineros Mendoza si costituiscono in giunta militare e gli danno tempo fino a mezzogiorno per dimettersi. Santiago è occupato dall’esercito.

Allende dalla Moneda lancia un appello alla mobilitazione del paese. A mezzogiorno parte l’attacco al palazzo presidenziale, comincia il massacro.

Allende fucile alla mano tenta di difendersi, ma inutilmente. Il suo corpo sarà trovato crivellato di colpi nel suo studio, muore combattendo anche se i militari, mentendo, diranno che si era ucciso.  

La giunta militare inizia il genocidio. La parola d’ordine sarà “Estirpare il cancro marxista.”

Si è scritto tanto su Allende, sull’esperienza Cilena, su Unitad Popular e sul tentativo di costruire una società socialista all’interno di uno stato a democrazia rappresentativa utilizzando gli strumenti rappresentativi e rispettando la legalità. La domanda è stata, era, e sarà se è possibile arrivare per via pacifica alla costruzione di una società socialista. Unitad Popular sotto la guida del socialista Allende, ha tentato nel lontano 1973, quando noi, allora giovani, uscivamo dall’ubriacatura sessantottina o per un processo di riflessione o per un processo di maturazione politica o semplicemente per diffidenza e paura nei confronti del terrorismo di alcune formazioni dell’ultrasinistra di istaurare una società socialista utilizzando le istituzioni democratiche rappresentative. Se invece di questo tentativo estremo avesse soltanto  tentato di riformare le istituzioni democratiche in senso socialdemocratico, migliorando le condizioni sociali ed economiche dei ceti meno abbienti, probabilmente ci sarebbe riuscito. In questo senso Leon Blum negli anni trenta parlava di “leale gestione  della società capitalistica.” Cioè l’attuazione nella società capitalistica di una redistribuzione del reddito a favore delle classi subalterne senza intaccare i meccanismi di produzione e di divisione della società. La storia è l’attualità ci insegnano quanto sia illusorio questo progetto.  Ma era possibile questo in Cile negli anni ’70 o ha avuto ragione Allende? Certo se avesse voluto sopravvivere politicamente avrebbe dovuto chiaramente manifestare questa scelta ed adottare quella linea di prudenza che i comunisti cileni, forse dietro suggerimento della Russia, gli suggerivano, ma questo significava per Allende tradire il mandato ricevuto dagli elettori. Data la condizione politica in cui si trovava il Cile probabilmente non esistevano le condizioni per attuare il progetto di Unitad Popular e la profezia di Engels    che la via legale per la creazione di uno stato socialista avrebbe ucciso i reazionari si è rivelata sbagliata. L’estrema destra cilena opponeva al disegno di Allende la parola d’ordine “GiaKarta è vicina”.

Il premio Nobel messicano Ottavio Paz affermava “A Praga i carri armati russi e a Santiago i generali istruiti e provvisti di armi dal Pentagono, gli uni in nome del marxismo gli altri in quello dell’antimarxismo hanno portato la stessa dimostrazione: “la democrazia e il socialismo sono incompatibili.” 

Allende con il suo esperimento ha tentato di abolire dei privilegi di una classe dominante che ha reagito con violenza per salvaguardare quei privilegi che riteneva diritti acquisiti. Nel 1963 Lusi Corvalan segretario del Partito comunista cileno affermava che in caso di vittoria elettorale “Bisognerà affrontare un’altra prova: quella dei tentativi controrivoluzionari di riprendere il potere.” Ardonis Sepulveda socialista affermava “Non saremo noi a cercare lo scontro, ma crediamo che sarà impossibile evitarlo, perché la borghesia e l’imperialismo non rinunceranno mai volontariamente ai loro privilegi di classe.” Forse fu questo uno dei motivi per cui Allende favorì l’ingresso dei militari nel governo.

Il colpo di stato del settembre 73, salvo  pochi casi isolati, lasciò le classi subalterne inerti. E allora torna la domanda era possibile il socialismo in Cile? 

Il socialismo è un’organizzazione sociale che si impone solo se si creano le condizioni storiche economiche e sociali. Nel Cile del 1970 queste condizioni non esistevano. La popolazione attiva era per lo più impiegata nell’agricoltura dove imperava il latifondo e solo il 20% della popolazione era impiegata nell’industria. Nell’industria oltre la mano d’opera impiagata nelle miniere il resto era impiegato in aziende di piccole dimensioni. Il socialismo veniva così imposto dall’alto e non da movimenti di base. Le nazionalizzazioni imposta da Allende avevano questo scopo, ma lo stato era in mano alla reazione. Unitad Popular pur avendo vinto le lezioni non aveva la forza per governare. Pur utilizzando tutte le possibilità che la via legale gli offriva per realizzare le riforme democratiche e sociali del suo programma Allende si è scontrato contro ostacoli oggettivi che hanno reso impossibile il percorso delle riforme e della trasformazione dello stato. Crto il primo errore è stato quello di nazionalizzare le industrie del rame senza indennizzare la proprietà. Più astutamente il suo predecessore Eduardo Frei pur avendo dato inizio alla nazionalizzazione delle industrie del rame, si era guardato bene da non indennizzare gli ex proprietari, anche perché questi avevano accettato il programma di nazionalizzazione. La scelta di Allende portò ad una reazione delle società estrattive e con esse dal governo americano. Sicuramente Allende avrebbe potuto avere delle dilazioni nel pagamento delle indennità senza perdere la possibilità di prestiti internazionali. Contemporaneamente e forse come reazione diminuì la produzione e il prezzo del rame sui mercati internazionali subì dei ribassi pilotati. Altro elemento di debolezza di Allende e del suo governo fu il mancato controllo dell’inflazione per effetto dell’aumento dei prezzi e  l’aumento della domanda.

La riforma agraria voluta da Unitad Popular e le nazionalizzazioni misero in moto una spirale perversa che determinò un accelerazione dell’inflazione. Le classi medie spaventate si sollevarono contro il governo.

Ma non furono solo le scelte economiche, pur fondamentali, a determinare la fine dell’esperienza cilena, le riforme volute da Unitad Popular in così breve tempo senza avere una maggioranza in parlamento portarono il governo alla sconfitta. Allende non si arrese, forse, se si fosse arreso dimettendosi, avrebbe conservato al Cile la democrazia necessaria  per continuare in altri momenti più propizi la sua esperienza. Così non fu. Il Cile diventò un enorme mattatoio.

Se è vero come è vero che il socialismo non si impone con la lotta armata né coi colpi di stato è pur vero che le trasformazioni sociali per la creazione di una società socialista non possono essere frutto delle decisioni di una élite, bensì dalla coscienza sociale dei cittadini. Per ogni riforma , per ogni trasformazione sociale occorre partire dalla realtà e non dai desideri, perché come   è stato detto “l’impazienza rivoluzionaria non ha mai permesso alla storia di saltare le fasi normali del suo sviluppo. Essa ha sempre portato alla sconfitta, o perché schiacciata dal nemico, o perché ha partorito un regime che non corrispondeva per niente a ciò che si desiderava. E’ la situazione reale che fa da forza motrice alla rivoluzione e non la semplice volontà.”(Pierre Rimbert)

agosto 24, 2020

Una buona notizia?

di Beppe Sarno

La Commissione Europea ha approvato un pacchetto da 81 miliardi per il Programma Sure. Di questi 81 miliardi se il Consiglio Europeo dovesse dare il via libera, come sembra, 27,4 miliardi andranno all’Italia.

Si tratta di un prestito di cui beneficerà l’Italia, con tassi circa 8 volte inferiori a quelli dei mercati.

Da questo punto di vista è una buona notizia. Ma quando arriveranno? Non si sa!

Doveva essere operativo a giugno scorso, ma siamo già a settembre e ci sono una serie di regole da rispettare perché i prestiti concessi saranno sostenuti dal bilancio UE e quindi garantiti da tutti gli stati membri in proporzione della loro quota PIL nell’unione, quindi non si prevedono tempi  brevissimi.

I finanziamenti del Sure hanno lo scopo di finanziare regimi di riduzione dell’orario lavorativo per i lavoratori dipendenti o misure analoghe per i lavoratori autonomi. Aiutare i lavoratori dovrebbe essere l’obbiettivo prioritario da raggiungere con questo prestito.

Le regole stabilite dalla Commissione Europea non sono né negoziabili né modificabili, non avendo avuto il parlamento Europeo nessuna voce, a riprova, laddove ce ne fosse bisogno, della mancanza di strumenti democratici  della UE.

La Commissione quindi negozierà con i singoli stati le condizioni da rispettare per ottenere i fondi. Condizioni che ovviamente oggi non si conoscono e potrebbero essere anche gravi e pesanti. Ma tant’è!

Quando questi soldi arriveranno dall’UE all’Italia, il governo Conte dovrà dire come intende utilizzarli. Occorre, però,  sottolineare che data la finalità per cui vengono erogati è essenziale che la nostra classe politica dia una specifica concretezza e soprattutto una funzionale organicità al sostegno ai lavoratori ed alle imprese mediante un nuovo modello di sviluppo in modo da  trovare un coordinamento interventi di politiche mirate a breve e  non breve termine sulla base di un progetto di reindustrializzazione dell’Italia. Deve emergere da parte di chi oggi governa l’Italia la necessità di riabilitare l’importanza e la priorità del dominio collettivo e del senso della collettività tutta, mortificata da decenni di austerità ancora prima del coronavirus. Insomma questi soldi non dovranno andare ai soliti noti non dovranno essere merce di scambio fra governo e Confindustria. Bisogna far riemergere da parte del governo la consapevolezza che l’economia pubblica (a cominciare da una pianificazione degli investimenti anche sotto il profilo territoriale con particolare riguardo alle aree più depresse economicamente) deve assumere una funzione dinamica portante di tutto il complesso economico nazionale. Deve emergere il riconoscimento che sullo Stato deve ricadere la funzione e la responsabilità dei piani per la mobilitazione delle essenziali risorse economiche e lavorative. La finanza internazionale non ha il diritto e non dovrà averlo più di dettare le regole del gioco.

Abbiamo assistito, in questa prima fase dell’emergenza coronavirus  ad interventi  senza un piano di intervento organico dello stato volto ad assicurar la ripresa economica del paese. Ci accorgiamo ora dopo venti anni di economia regolata dal mercato delle deficienze della trascuratezza della sottovalutazione della funzione economica dell’intervento dello Stato che possa permettere una cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato, nell’interesse del bene comune a  tutela del lavoro e dei lavoratori, delle piccole e medie industrie castigate da una politica che cancellato  l’attività produttiva nazionale a favore di un polo industriale sovranazionale. Questi soldi che arriveranno dovranno essere funzionali allo scopo per cui verranno erogati creando strumenti per evitare manovre speculative, funzionalizzazione ad esclusivo uso e consumo dell’industri privata. Un nuovo modello di sviluppo presuppone che la stretta connessione che esiste fra politica ed economia, fra principi ideali e interessi concreti trovi un punto di equilibrio per evitare che ancora una volta l’Italia subisca le conseguenze di scelte altrui laddove queste scelte competono alla collettività nazionale sulla base di un’approfondita analisi della situazione e degli obbiettivi che deve prefiggersi il nostro paese.

agosto 20, 2020

Intervista a Gemma Tisci.

di

Antonella Ricciardi

Gemma Tisci è una giornalista originaria di Ottaviano, ha due Lauree, in Sociologia e Psicologia, ed è esperta di Criminologia.

Scrittrice dal talento ispirato, è autrice di opere di genere favolistico e diverse altre ancora, anche teatrali. Impegnata nobilmente per l’umanizzazione, dove possibile, del carcere (di recente si è iscritta, durante uno speciale di Radio Radicale, all’associazione “Nessuno tocchi Caino”, contro pena di morte e carcere troppo duro), Gemma Tisci ha non meno a cuore le vicende delle vittime: uno dei suoi libri, tra l’altro, è dedicato alle ragazze vittime dei maniaci del Circeo.  Ha destato grande attenzione, ed in un certo senso scosso molte coscienze, il suo libro “Ricordi in bianco e nero”, in cui ricostruisce la tragedia delle guerre tra fazioni camorristiche, e del loro rapporto a volte ambivalente con  settori dello Stato; soprattutto, il libro è frutto di un lungo rapporto epistolare della giornalista con l’ex boss della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo. Nel libro emergono non solo ombre,  ma anche luci, aspetti di bene, con innegabile forza, ed emergendo dai fatti stessi, nella vita dell’ex leader della NCO: da lì, il titolo, che fa riferimento anche al suo essere in parte rimasto “fermo mentalmente” agli anni ’60…risale infatti al remoto 1963 il primo arresto, al lontano 1979 l’ultimo arresto: il tutto, con poche interruzioni della detenzione continuativa, avvenute nei primi e negli ultimi anni ’70. In “Ricordi in bianco e nero”, emerge  un Raffaele Cutolo pentito di fronte a Dio dei suoi errori, pur non sentendosi di percorrere la strada del collaboratore di giustizia; un Raffaele Cutolo che, commosso per la nascita della figlia Denyse, concepita grazie alla fecondazione assistita (e che tutto il carcere festeggia, in modo solidale), ricorda con commozione anche un’altra bambina: la piccola Denise Pipitone, scomparsa a Mazara del Vallo.

La nascita dell’innocente Denyse non poteva nè doveva cancellare il ricordo di un altro figlio, avuto parecchi anni prima da una precedente compagna, Filomena Liguori: il giovane Roberto, assassinato per vendetta trasversale a soli 27 anni: morto dopo oltre quattro ore di dolorosa agonia.

Nell’opera rivive un tempo di amori spensierati, poi quello più profondo, unico per intensità, per la moglie; un tempo di potere, poi di grave isolamento, spesso in compagnia dei soli piccioni del cortile del carcere, che gli si avvicinano senza paura: nutrirli con briciole di pane era uno dei pochi “svaghi”. Nell’intervista a Gemma Tisci emergono ancora di più alcuni aspetti assolutamente da riformare del 41 bis, dove perfino il lavoro (che può risarcire, per quanto possibile, la società) viene ostacolato; misura quasi di guerra, dopo le atroci stragi di mafia del 1992,  questo articolo è però, dopo tanti anni, certamente da rivedere. Il 41 bis, previsto solo per reati contro la sicurezza dello Stato, vieta solitamente qualunque beneficio senza collaborazione con la giustizia: teoricamente temporaneo, la tendenza è stata spesso a prorogarlo in modo acritico. Nonostante le più drastiche misure di sicurezza, molti detenuti al 41 bis, più di quelli “normali”, vengono più frequentemente sottoposti a forme estreme di perquisizioni, con denudamento e flessioni, per “visionare” anche parti intime, e per escludere che si nasconda qualcosa all’interno del proprio stesso corpo. La posta di familiari e di altri che per qualche motivo scrivano loro viene sottoposta ad apertura preventiva, e inoltrata ai detenuti solo quando ritenuta innocua; ciò causa, quando non blocchi (a volte discutibili), quantomeno rallentamenti di rilievo nella corrispondenza. Eppure, proprio nel 2020 la Corte Costituzionale ha stabilito l’incostituzionalità dell’articolo 41 bis, che vietava benefici senza collaborazione con la giustizia: così, pur non crollando del tutto, vacilla lo stesso impianto del 41 bis. Già molti anni prima, comunque, Raffaele Cutolo,  aveva espresso la sua chiusura con la camorra, ammettendo i propri errori, ed invitando i giovani a non seguirla, ma incoraggiandoli a seguire, invece, studio e lavoro; in tutto ciò, è possibile che ci sia stata anche una influenza dell’amicizia di “don Raffaele” con monsignor Raffaele Nogaro, già vescovo di Caserta. Dal 2020, la situazione di Raffaele Cutolo ha avuto alcuni sviluppi: aveva ricevuto cure esterne, per più settimane, agli inizi del 2020, uscendo così dal carcere di Parma. Tuttavia, non gli erano stati concessi gli arresti domiciliari, e, dopo il periodo in ospedale, era dovuto tornare in carcere, dove si diceva si fossero attrezzati per le sue patologie. Il 31 luglio 2020, Raffaele Cutolo è stato nuovamente ammesso a cure esterne al carcere, in un centro sanitario: il suo difensore, avv. Gaetano Aufiero, lo aveva chiesto da tempo.  Il 2 ottobre 2020 si terrà  un’ udienza per stabilire la possibile revoca dell’articolo 41 bis a Raffaele Cutolo, che lo ha avuto ininterrottamente per 28 anni: si sono ampiamente moltiplicate le voci, di persone in favore di un trattamento più umano, verso una persona  inerme. Al momento, Raffaele Cutolo ha gravi problemi di salute. Soprattutto, poco sotto gli 80 anni, è da moltissimi anni non più interno ad una camorra che ormai, seguendo le illuminanti analisi di Gemma Tisci, è ormai tutt’altro da quella di un tempo.

Ricciardi:   “”Ricordi in bianco e nero” è il titolo di un tuo libro, frutto della tua conoscenza minuziosa degli intrecci e delle lotte tra Stato e fazioni camorristiche, oltre che di una tua corrispondenza con Raffaele Cutolo. Ci sono “messaggi” che hai colto sul quel periodo rispetto a quelli solitamente raccontati? “

Tisci:  “Sicuramente, quelli sociali: l’impatto sociale. Avendo avuto poi l’opportunità di scrivergli, di avere questo contatto, anche se epistolare, ho scoperto l’uomo, e non il camorrista che era stato. Ribasdisco, comunque, che l’impatto sociale c’era stato in una piccola società, locale, ma che poi si è estesa, con tutti i suoi adepti, di coloro che stavano dalla sua parte.”

Ricciardi:  “Aveva una presa sociale, insomma..”

Tisci: “Molto;  logicamente, non positiva, a parte che per quelli che stavano con lui, però, appunto, l’ha avuta.”

Ricciardi:  “Ha avuto anche consenso, in parte?”

Tisci: “In parte, lo ha avuto un consenso, sì: da una certa fascia sociale, e da chi si è in qualche modo affiliata”.

Ricciardi:  “Anche professionisti?”

 Tisci: “Anche professionisti, sì. “

Ricciardi: Hai trovato in Raffaele Cutolo una persona  diversa, a tratti, da quella che ci si potrebbe forse aspettare? “

Tisci: “Certo: io immaginavo quest’uomo un po’ inarrivabile, di non facile comunicativa, e comunicazione; poi, in effetti, ho scoperto un uomo, il “ragazzone”…”

Ricciardi: “Quindi il dialogo era possibile..”

Tisci: “Sì, anzi, anzi, è lui che ha iniziato a scrivere lettere: ha parlato di sè, tanto di sè: dei suoi “momenti no”, dei suoi momenti di rammarico, dei suoi momenti di depressione, dei ricordi…quindi, non mi aspettavo questo, e invece questa è stata la sorpresa.”

Ricciardi: “Si è molto aperto, insomma, ha avuto il coraggio di farlo”.

Tisci: “Sì; le poesie, le canzoni: tutto quello che mi poteva scrivere, me lo ha scritto. Penso, certo, ha scritto la sua verità: non ho mai indagato se ci potesse essere qualche bugia, o fosse tutta verità…ma non m’interessa: ha scritto la sua verità, la sua versione dei fatti; è appunto la sua verità, e va bene così: non spetta a me indagare. “

Ricciardi:  “Certo…quindi si è rilevato anche interessato ad un contatto umano: ad aggrapparsi a qualcosa?

Tisci: “Sì, certo! Ecco: come chiunque in quelle condizioni, e anche nel concreto: uno immagina chissà quanti privilegi, ma tutti questi privilegi sono stati, su alcuni aspetti, anche una favola, probabilmente, anzi sicuramente: riguardo l’abbigliamento in cella: non era tutto quello che ci hanno fatto credere.”

Ricciardi:  “Con una certa iconografia?”

Tisci: “Sì, voglio dire: ad esempio, nel film si vede con la vestaglia di raso: lui diceva: “ma quando mai”… è vietato avere vestaglie, cravatte, e tutto ciò che ha cinture.”

Ricciardi:  “Per rischi di autolesionismo?”

 Tisci: “Sì, quindi, lui portava le t-shirt, le camicie, le scarpette, e non con i lacci. Già questo, ecco, è un modo che si apre, ti si apre davanti: scopri che c’è un’altra verità, rispetto a quella che ti è stata propinata, e per creare poi il personaggio.”

Ricciardi:  “Personaggio che sembrava di conoscere, e non si conosceva…”

Tisci: “Certamente”.

Ricciardi:  “Molti hanno elogiato la bellezza del libro, altri invece si sono sentiti, “urtati” da ciò… cosa ne pensi?”

Tisci: “Sì, perchè volevano un libro solo di condanna, di sangue:  dove l’aspetto umano non doveva proprio esserci”.

Ricciardi:  “Magari poteva invece dare sollievo sapere che ci fosse un aspetto umano…”

 Tisci: “Alcuni non ne vogliono sentir parlare;  quando si crea uno stereotipo, molte persone, la maggioranza, vogliono quello. Nel momento in cui tu presenti un’altra cosa: dici, sì, è così, c’è stato questo, ma c’è anche dell’altro…quindi non hanno accettato neanche l’idea di alcuni capitoli, di alcuni passaggi che io ho preso dalle lettere.”

Ricciardi:  “Però ci sono, autentici”.

 Tisci: “Alcuni dicevano però che era lui a reclutare i ragazzi, ma lui quando li reclutava? Stava in carcere”.

Ricciardi: “Quasi sempre in cella, anche per quasi tutto il periodo della “Nuova Camorra Organizzata”…”

 Tisci: “C’era chi li reclutava per lui? Non credo”.

Ricciardi: “Ci sono delle verità scomode, nel libro”.

Tisci: “Sì: molte, molte…ma come tutta la verità della vita, poi, in effetti: quando esce fuori la verità scomoda, nessuno la vuole, perchè è bello dire: “eccolo lì, il cattivo: noi stiamo dall’altra parte”. “

Ricciardi:  Hai partecipato ad uno speciale di Radio Radicale, dedicato anche al caso di Raffaele Cutolo. Cosa ti ha motivata?”

Tisci: “Sì, beh, mi ha motivata il fatto che io la vicenda di quest’uomo la seguo da decenni, ovviamente. Vicenda dove lui è stato già rinchiuso all’Asinara: praticamente, lui il carcere duro lo vive da allora.”

Ricciardi:  “Prima del 41 bis”.

 Tisci: “Sì, prima del 41 bis: nell”82, dopo la vicenda Cirillo. Mi sta bene, è un uomo che deve stare in galera, con questo, non voglio dire lasciamolo libero e facciamogli fare i suoi comodi… anche se ora è anziano, è malato, e può anche cambiare qualcosa”.

Ricciardi:  “è pensabile un allentamento della situazione?”

Tisci: “Potrebbe anche ritornare a casa, può andare a casa, date certe condizioni, secondo me. Non credo che sia più pericoloso.”

Ricciardi:  “Ha pagato come pochi, comunque.”

Tisci: “Soprattutto, però, che uno gli toglie  tanta acqua, la biancheria intima in meno.. che c’entra l’igiene personale? Questa  disumanizzazione cosa c’entra con il reato e la pena da scontare? Il fornello pure non si doveva cucinare… Io ricordo quando andavo ad intervistare la moglie:  a volte io ci sono andata in momenti in cui lei si preparava ad andare a colloquio dal marito, raggiungendolo: lei quella biancheria la pesava cento volte, perchè doveva togliere quella in più, perchè col 41 bis lui ne doveva avere di meno. Io ricordo questa donna che come impazziva su questo…”

Ricciardi:  “Si tratta di un sistema anche ottuso, perchè non c’entra con la sicurezza.”

Tisci: “Sì, non c’entra proprio. Allora noi viviamo delle contraddizioni incredibili: viviamo in una nazione dove c’è la famosa legge 365, su cui io feci la prima tesi di Laurea, dove si parla del recupero del detenuto: del carcere non più come pena, ma come recupero mentale, culturale…a prescindere se questa persona esce o non esce dal carcere, ma la dignità umana deve rimanere, e poi mettiamo il 41 bis, che disumanizza le persone.”

Ricciardi:  “Sì, e poi la reiterazione continua forse è la cosa più discutibile?”

Tisci: “Già chi non è diventato un animale, chi non si è abbrutito totalmente, vuol dire che ha un sostrato incredibile di umanità, e chi non è impazzito”.

Ricciardi:  ci può essere, per alcuni,  il rischio di sentire delle voci..”

Tisci: “Lui non è che sentiva le voci; nel libro io dico di questi suoi ricordi; io ho immaginato quest’uomo,  in una cella, da solo, 24 ore su 24, con un’ora-due ore d’aria; è un uomo che vive di ricordi: è normale che tutto, così, si “rianimi”.”

Ricciardi: “Certo, nella “dimensione senza tempo” dei ricordi”.

Tisci: “Si rianimano i momenti belli, i momenti di errori: lui ha avuto tempo di fare un bilancio. Probabilmente lui un bilancio serio, e lucido, l’ha fatto, nel momento in cui ha vissuto la sconfitta, sia come capo, come boss, che anche la sconfitta che gli ha portato lo Stato, che lo ha isolato…e quello sicuramente è servito. E quindi il bilancio lo avrà fatto, sicuramente, in modo più lucido e coerente. Però il bilancio a chi sta in galera deve arrivare: specie a chi sta isolato: è un fatto fisologico, che ricordi, che ricordi, che ricordi: e rimane lì, con la mente. Anche se poi è vero che lui legge il giornale, si aggiorna, guarda la televisione, anche se a ore: perchè dice che all’improvviso gli staccavano anche la televisione, con il 41 bis. All’improvviso, ti staccano tutto”.

Ricciardi:  “Chissà perchè…comunque è un disturbo.”

Tisci: “E’ il 41 bis: è proprio parte della pena, della tortura anche mentale.”

Ricciardi:  “Poi c’è il problema del vetro divisorio: è come un elettroshock, si diceva in Radio Radicale”.

Tisci: “Adesso sì, ora di più: non devono avere contatti fisici con nessuno, perchè anche un minimo, forse pensano, potrebbe portare forse un sospetto. Io so che molte volte, dopo il colloquio con la moglie, per quanto in età, gli hanno fatto fare le flessioni”.

Ricciardi:  “ Eppure, filmando, poteva non essere necessario”.

Tisci: “Gliele hanno fatte fare; questa però è una notizia che mi è arrivata così, non ho mai appurato se fosse vero o meno, almeno attualmente, ma a volte accadeva”.

Ricciardi:  “Questioni su cui riflettere”.

Tisci: “La galera va bene: chi sbaglia deve pagare; però, attenzione a non esagerare: no all’accanimento, no alla disumanizzazione, perchè poi c’è un non senso. Non vorrei che venisse scambiato per razzismo il mio, perchè ormai dobbiamo stare attenti, e non è discriminazione se si nomina qualcuno di colore per un reato: al riguardo, sono usciti quelli che hanno fatto a pezzi la ragazzina, stanno fuori. E non credo che quello sia stato un crimine leggero. Ci vuole anche un “coraggio” per fare a pezzi una ragazzina, lavarla con la candeggina, prendere i resti, i pezzi, e metterli in un trolley. Voglio dire, c’è una bestialità, da non sottovalutare”.

Ricciardi:  “Izzo, del caso del Circeo, non aveva e non ha il 41 bis, e non lo hanno dato per gli esecutori dei  delitti del mostro di Firenze.”

Ricciardi:  “C’è di peggio anche della mafia, a volte, e della camorra, eccetera…”

Tisci: “Sì, sì. A volte penso che lui abbia pagato di più perchè fondatore di una fazione: probabilmente lui ha pagato per il potere che ha avuto”.

Ricciardi:  “Forse ha pagato anche per altri, oltre che per i suoi, ovviamente, reati”.

Tisci: “Questo non so. Di solito è una legge un po’ “di natura”, per chi sta in carcere, ed ha già diversi ergastoli, perchè per la persona il destino è già fatto: voglio dire,  non uscirà, avere quattro o cinque ergastoli non gli cambia la vita…Io credo però che lui il 41 bis lo abbia avuto dopo i contatti con le BR, dopo la liberazione di Cirillo, insomma la trattativa con lo Stato, poi scoperta. Poi non si è voluto pentire.”

Ricciardi:  “Però hai riportato che si è detto pentito davanti a Dio.”

Tisci: “Eh, ma lui lo ripete da sempre. Da quando non dico che si sia dissociato, ma da quando è finita la NCO, lui dice: “Mi sono pentito davanti a Dio”.” 

Ricciardi:  “Può anche darsi che sia più seria questa posizione”.

Tisci: “Può essere pure, perchè alla fine non si è sentito più niente, anche se si continua a parlare di questa NCO, ma non esiste più.”

Ricciardi:  “Disgregata…”

Tisci: “Più ancora, sono morti quasi tutti; chi non è morto, si è dissociato, e poi è cambiata proprio la geografia, a un certo punto, dei territori: dopo un periodo, per la supremazia nei territori camorristici, loro non c’erano proprio più.”

Ricciardi: “Ti sei profondamente interessata anche di altri casi, in altri libri, che però hanno diversi denominatori comuni, nell’analisi di aspetti psicologici e sociali che favoriscono drammatiche devianze:  vicende che vedono, forse, a volte colpevoli e vittime nelle stesse persone; puoi accennare qualche esempio, tra i tanti, di qualche vicenda che ti abbia colpita di più in proposito?”

Tisci: “Questi libri che ho scritto sono  su tematiche sociali, ma sono anche libri su adolescenti: ragazzi, droga, bullismo, violenza di genere, violenza domestica; poi ho scritto dei monologhi sul femminicidio, scrivo anche per il teatro…io ho scritto tanto, e scrivo tanto. Ecco, riguardo le situazioni vittima-carnefice, è un sottile filo che divide le cose: certe volte, la vittima, che non è carnefice,  ma potrebbe evitare di essere vittima”.

Ricciardi:  “C’è una dipendenza a volte da carnefice?”

 Tisci: “C’è una dipendenza, sì..ci sono tante altre cose, tra le motivazioni. Sono libri che però non hanno niente a che vedere con la camorra, con i fatti delle BR…”

Ricciardi: “A volte forse il carnefice diventa vittima, se troppo vessato?

Tisci: No, non credo che un carnefice possa diventare vittima; una vittima può diventare carnefice per reazione, ma non credo che un carnefice diventi mai vittima, solitamente.”

Ricciardi:  “Anche se può subite a volte qualcosa di troppo…”

Tisci: “In questo caso, sono circa 800 persone che vivono in certe condizioni, tornando al 41 bis, e non è solo Raffaele Cutolo; oggi Raffaele Cutolo è una persona anziana e malata: ecco perchè fa specie immaginarlo ancora così; ma il 41 bis, a queste persone, gli ha anche tutelato vita, perchè si muore in carcere…”

Ricciardi:  “Assolutamente, ma c’è qualche eccesso, di cui bisogna parlare: non deve essere un tabù.”

Tisci: “Sì, gli eccessi ci sono: bisogna parlarne, e bisogna modificare, davvero modificare tante cose di questo 41 bis, tante: quando vanno a toccare, in particolar modo, la sfera umana.”

Ricciardi:  “Certo: lo Stato non appare migliore.”

Tisci: “Infatti, non stimola niente: è come metterli in gabbia; è come prendere il leone, e lo mettiamo in gabbia: una volta che lo abbiamo chiuso, non possiamo dire se quel leone è bravo, è cattivo.”

Ricciardi: “Non c’è nessuno che valuti, alla prova dei fatti, il cambiamento”…. Hai scritto anche del libri di fiabe: in tale altro filone c’è un collegamento, pur sottile, con i tuoi studi psico-sociologici e giornalistici?

 Tisci: “Sicuramente, sì, è vero, ci sta, ci sta: perchè tranne una storia, che è proprio “fantastica fantastica”, c’è questo racconto di questi angioletti, che scendono sulla Terra, e diventano bambini, e commettono dei reati, perchè non sanno il significato di ciò fanno: loro vengono dal Paradiso, e non sanno che prendere una cosa da un negozio significa rubare.”

Ricciardi:  “Forse pensano che tutto sia di tutti? Ricorda  una specie di comunismo utopistico…”

 Tisci: “E quanti bambini, quanti ragazzini pensano questo, e poi magari  invece vengono segnalati in quanto persone traviate.”

Ricciardi:  “Importante quindi il ruolo dell’educazione, ma c’è anche la natura del Vesuvio, una “strega” del Vesuvio..”

Tisci: “Sì, questa è un’altra favola: non è una strega, è una ragazzina, che incontra un drago che la vuole… che poi è il Vesuvio..”

Ricciardi:  “puoi anticipare qualcosa  su eventuali nuovi progetti cui stai lavorando?”

 Tisci: “Allora, sicuramente la camorra ci sarà ancora, perchè è un fenomeno sociale in evoluzione, sembra stagnante, ma non è vero.”

Ricciardi:  “Forse è anche peggiorato”.

Tisci: “Non è neanche più camorra in senso stretto.”

Ricciardi: “Forse è ancora più acefala del solito?”

Tisci: “In un certo senso, la camorra in senso  letterale è finita; oggi è criminalità e basta: è diverso; anche i camorristi sono criminali, ma diversamente.  Innanzitutto, i pochi camorristi rimasti, se ce ne sono, hanno dovuto piegarsi a quelli che sono venuti da fuori. La camorra di un tempo non aveva il ladro che andava a rubare in casa…”

Ricciardi:  “Aveva più delle regole?”

Tisci: “Sì, aveva più delle regole, sia pur nella devianza; certo poi c’erano lo spaccio di droga, la prostituzione…”

Ricciardi:  “Un tempo era considerata  “onorata società”.”

Tisci:” C’erano comunque dei ma, ripeto, oggi non è più camorra. La camorra è stata veramente sgominata, ma non perchè lo Stato sia stato capace di sgominarla, ma perchè sono cambiati i tempi: con questa globalizzazione, sono arrivate le varie culture, ma sono arrivati anche i crimini diversi: crimini di donne fatte a pezzi, crimini di stupri per strada, crimini di machete”.

Ricciardi:  “Situazione globalizzata in negativo?”

 Tisci: “Credo sia soltanto l’impatto, l’inizio, ma poi tutto forse avrà una sua strada, perchè poi tutto si ridimensionerà, però troppe culture diverse, profondamente, ritrovate nello stesso luogo, che diventa stretto, per forza di cose: perchè se arriva una persona che viene da un luogo dove certe cose sono consentite, a volte la persona non lo sa, e le reitera.”

Ricciardi:  “Poi spesso vivere di espedienti porta a deviare.. è un dato di fatto?”

 Tisci: “Vivere di espedienti, sì, è normale che porti a deviare: tutti avrebbero il diritto ad avere una casa, un tetto, e un minimo di lavoro: è sempre la dignità umana che viene intaccata, e quando ciò avviene, purtroppo i problemi si estendono. In ogni modo, ribadisco,  non parlerei più di camorra, in questo periodo, e già da un bel po’ di anni; come non c’è più il terrorismo, nè nero nè rosso, c’è un altro tipo di terrorismo, ma non è il nostro terrorismo: non abbiamo più nulla di nostro, neanche la malavita…”

agosto 18, 2020

O briganti o emigranti!

di Beppe Sarno

La  crisi  sanitaria ed economica che la pandemia sta producendo ha messo sotto gli occhi di tutti che la politica lacrime e sangue che l’Europa ci chiedeva era una politica suicida che ha distrutto l’economia italiana in nome di un Europa intesa come un’unione di popoli e della democrazia. Ma l’Europa non è stato mai questo né mai lo sarà. La pandemia cambierà tutto: il nostro modo di vivere, il nostro modo di lavorare, il ritorno a politiche ambientaliste serie basate sul rispetto del territorio.

Basteranno le misure adottate dal governo italiano in carica ad invertire la tendenza di venti anni di servilismo nei confronti della Germania che su questa politica suicida ha costruito la propria rinascita?

Se qualcosa è stato fatto è nulla rispetto al danno che il Mezzogiorno d’Italia ha dovuto subire. Soprattutto la crisi ha messo in evidenza questo importante rapporto che esiste tra la crisi economica che la pandemia ha scatenato e il sottosviluppo delle aree depresse del mezzogiorno sottolineando come nessun progetto politico di rinascita e sviluppo e nessun investimento produttivo sia stato messo in campo per rilanciare il mezzogiorno.

In tempo di crisi sono proprio le aree più deboli a vacillare mentre quelle più forti riescono ad organizzare una difesa certamente più resistente. Non a caso il neo presidente della Confindustria  Carlo Bonomi è un lombardo   poco dialogante con la politica e molto attento agli interessi del padronato del Nord.

Per il sud non esistono piani di sviluppo perché non c’è una classe politica che li elabori e li sostenga, laddove il nord, e il nord-est trovano sostegno politico e nella stampa perché in tempi di crisi come quella che stiamo vivendo e che continueremo a vivere   nel prossimo futuro è più importante è più facile difendere il tasso di occupazione nelle zone ad alta concentrazione industriale.

Così succede che oggi di fronte alla crisi economica che avanza nulla si dice circa la possibilità di progetti industriali nel sud per accrescere l’occupazione e creare opportunità di lavoro. Vi è un progetto per la ripresa delle attività industriali? Certo sono state messe in campo misure per la salvaguardia dei livelli occupazionali che riguardano anche il SUD, ma fino a dicembre 2020 e poi? Che cosa ha fatto il governo per rilanciare le aree in crisi del mezzogiorno? Quali misure sono state messe in campo per attrarre nuovi investimenti e per la riqualificazione e il recupero ambientale? L’ex Ilva di Taranto è stata lasciata nelle mani della Mittal, imprenditori senza scrupoli che la porteranno alla chiusura dopo averla spogliata di ogni bene materiale ed immateriale. Stessa sorte è capitata alla Wirphool. Potremmo parlare per giorni del destino di Termini Imerese, di Gela, delle miniere sarde. Avviene quindi di ascoltare da parte di politici improvvisati che trovano media consenzienti    che tornano a riaffermare ancora una volta che il Mezzogiorno d’Italia deve rafforzare i suoi tesori naturali e cioè l’agricoltura ed il turismo in attesa di tempi migliori per gli investimenti industriali.

Il problema del sud non si risolve con l’agricoltura ed il turismo, che senza dubbio sono un parte importante della sua bilancia commerciale, ma il problema del mezzogiorno  si risolve salvando le attività industriali esistenti e promuovendone altre nel rispetto del territorio. Certo una promozione dell’agricoltura deve prevedere una industria di supporto come era la “Cirio” degli anni della Cassa del Mezzogiorno e dell’IRI.

Una riscoperta del sud come il giardino d’Europa dove i ricchi industriali tedeschi vengono a trascorrere  le vacanze e a mangiare i cibi genuini della cucina mediterranea  significa dare una risposta limitata al discorso dello sviluppo che deriva certamente da esperienze e da errori finora commessi per lo sviluppo delle aree industriali del sud. Oggi quegli errori e quelle imposizioni subite da un‘Europa poco attenta e forse contraria ad uno sviluppo economico vengono a galla ma vengono anche facilmente risucchiati e compressi nell’attuale situazione. La verità è che la politica meridionalistica va ripensata nella sua globalità e dovrà toccare da vicino l’industria manifatturiera, l’agricoltura ed il turismo.

La verità è che, mancando un piano organico di sviluppo dell’economia del meridione, tutte le economie sono state punite: sia quella agricola che quella dell’industrializzazione, che deve continuare ad essere il punto principale intorno a cui fa ruotare l’economia meridionale. L’errore è stato è di aver bloccato l’industrializzazione trasferendola altrove. Se invece fosse stata legata con la realtà sociale ed economica  avremmo avuto certamente un aumento dell’occupazione e della ricchezza generale. Ricordo quando Prodi regalò l’Alfasud alla Fiat, tutto l’indotto della Campania fu azzerato. I responsabili acquisti della Fiat ripetevano il mantra che un fornitore Fiat rispettabile “doveva parlare torinese”. Morirono più di cinquecento aziende medio piccole in poco più di due anni.

E’ necessario un piano organico di sviluppo del Mezzogiorno investendo capitali ed energie senza rincorrere il sogno di una vita bucolica, di fare l’aria pulita, o dare il pane ai poveri con il reddito di cittadinanza.  E’ necessario risollevare le condizioni economiche del mezzogiorno e fermare quell’emorragia di giovani che partono in cerca di fortuna, inquadrando l’agricoltura  in un piano di sviluppo generale. Soltanto saldando le varie realtà economiche turismo, agricoltura, ambiente industrializzazione si potrà evitare che il sud diventi il solito alibi per sfuggire ai problemi che la crisi sanitaria, economica, sociale ed ambientale ci pone davanti e che normalmente si risolve rinviando al di la da venire la soluzione del problema. 

Ma siamo sicuri che “legge di Maastricht” preveda questo?

Siamo sicuri che questo sia possibile nell’orto chiuso dell’Ue, sotto la legge liberista dell’euro?


 [SARNO1]

 [SARNO2]