Archive for ottobre, 2020

ottobre 30, 2020

Il richiamo della foresta!

 Di Beppe Sarno

Agli onorevoli Salvini e Meloni non è parso vero di poter riprendere la polemica razzista contro il mondo islamico, arrivando a chiedere le dimissioni del ministro Lamorgese, che ha dimostrato di saper fare il suo lavoro, ritenendola responsabile della strage di Nizza. Anche da parte governativa non vi è stato se non un balbettio teso a giustificare la circostanza che il terrorista di Nizza non era stato individuato durante il suo passaggio sul territorio italiano.

Il terrorismo da qualunque parte arrivi va condannato e ogni comunità statale ha il diritto ed il dovere di fermarlo e sanzionarlo con le misure più severe. Dopo la condanna del terrorismo e la solidarietà nei confronti delle vittime però bisogna passare alla riflessione per capire e per evitare che una comunità diventi islamofoba senza capire il problema in tutte le sue sfaccettature.

Da qualche tempo giovani mussulmani francesi commettono feroci assassini come quello del professore Paty e delle vittime della chiesa di Nizza. Questi atti come reazione annullano la possibilità di aprire un dibattito sul problema e capire il mondo islamico che ormai è componente integrata nella nostra comunità nazionale. Dimentichiamo così tutti quelli che vengono trattati come schiavi nelle campagne italiane, tutti quelli che lavorano sottopagati e quelli che sopportano duri sacrifici pur di acquistare la cittadinanza italiana.

Salvini, Meloni e le destre razziste spingono verso la militarizzazione del pensiero. Chi non è arabo chi non è di religione islamica deve essere per forza contro il mondo islamico e deve ignorare il patrimonio culturale dell’Islam così vario e complesso. Di converso i nichilisti islamici scavano per creare una barriera fra loro e il mondo occidentale e così abbiamo due eserciti che non desiderano altro che lo scontro frontale.

L’odio così cancella quei valori di giustizia, libertà, uguaglianza che provengono dalla nostra cultura di cui la nostra Carta Costituzionale è testimone. Sarebbe blasfemo affermare che questi valori non siano vivi anche nella cultura e nel mondo islamico che cerca di dialogare con noi al di sopra di chi questi valori vorrebbe negarli. L’obbiettivo da una parte e dall’altra è quello di impedire la creazione di una “globalizzazione” del pensiero dove le varie culture ragionano insieme per affrontare   i veri problemi che assillano la comunità globale quali ambiente, cambiamenti climatici, epidemie, fame ed il fenomeno delle migrazioni. Problemi comuni che andrebbero affrontati col dialogo e con la solidarietà.

Il Presidente francese Macron dice che il mondo musulmano è in crisi e forse è vero,  però non dice che noi occidentali non aiutiamo l’Islam ad uscire dalla crisi nel momento in cui alimentiamo xenofobia e i populismi islamofobi alla Salvini e alla Meloni.

Eppure il radicalismo islamico storicamente, almeno nell’epoca moderna, nasce in Afganistan dopo l’invasione da parte degli Usa e dei suoi servizi segreti che hanno finanziato migliaia di giovani addestrandoli al terrorismo. Contemporaneamente l’Iran ha fatto a sua volta scelte radicali. L’occupazione dell’Iraq motivata da inesistenti pretesti  da parte americana ha continuato ad alimentare movimenti islamici radicali. Venendo ai giorni nostri la situazione è andata peggiorando grazie al regime di Assad che aiutato da Putin ha distrutto la società siriana. Il terrorismo islamico ha quindi molti padri, che eliminando la politica e l’autodeterminazione hanno creato una situazione in cui il radicalismo islamico si sostituisce a cittadini in possesso di diritti politici, organizzazione, cultura e coscienza democratica. Un giorno, alcuni anni fa, viaggiando in treno da   Marrakech a Casablanca assistetti ad una discussione fra due giovani che parlavano del cinema italiano con una competenza e conoscenza della materia che mi lasciarono sbalordito.

Dall’11 settembre 2001, ma già prima, una parte del mondo occidentale, grazie ai mass media, ha individuato nel terrorismo islamico il male assoluto salvo poi allearsi con i peggiori regimi dittatoriali del medio oriente.

L’odio del terrorismo islamico trova terreno fertile perché nel modo occidentale nessuno ha condannato le stragi in Afganistan, in Iraq, in Siria. Quante vittime innocenti musulmane sono morte per mano  del civilissimo e democratico occidente.  Il civilissimo Stato d’Israele utilizza l’alibi del terrorismo per  attuare un vero e proprio genocidio nei confronti del popolo Palestinese, ma noi guardiamo dall’altra parte perché chi si allea con noi può commettere qualsiasi nefandezza.

C’è quindi da una parte il nichilismo islamico che aumenta la spirale del terrore e dall’altra il razzismo antimusulmano: due facce di una stessa medaglia.  

Questo razzismo antimusulmano, che dimentica il colonialismo le stragi nel mondo arabo, l’iprite, il generale Graziani, solo per parlare dell’Italia, ma la Francia, l’Inghilterra, la Germania, gli Usa non sono da meno,  anzi!, non è la chiave per affrontare e risolvere il problema, perché come dicevo all’inizio il mondo arabo non è rappresentato dal nichilismo islamico, che invece trova terreno fertile quando si compie una discriminazione generalizzata nei confronti del mondo e della cultura araba. Questo sentimento di discriminazione è il brodo di coltura del radicalismo terroristico.

Se non si affronta il problema con una riflessione seria ed accurata sulla crisi dell’islam come specchio di una crisi globale, che può solo peggiorare se non precipitare e non affrontata nella maniera giusta e nel più breve tempo possibile, rischiamo di assistere ad altri efferati assassini, divenendone consapevolmente complici.

Bisogna assumersi le proprie responsabilità pe rigettare ogni forma di razzismo e combattere le rivendicazioni di superiorità entica e religiosa. Papa Francesco ce lo dice ogni giorno ed io come socialista e cattolico non riesco a non condividere il suo pensiero.    

Dice un vecchio adagio al peggio non c’è mai fine ed io aggiungo che il peggio non avvisa quando arriva.

ottobre 7, 2020

Lepanto tra mito e realtà.

di A.B.

L’odierna ricorrenza e l’incipiente progetto di “patria blu” della Turchia, ci riportano alle mai estinte proiezioni egemoni di quello che fu una volta l’Impero Ottomano e, nello stesso tempo, all’intervento provvidente di Dio nella storia. Non tutti sanno che la memoria liturgica della Madonna del Rosario risale alla data della vittoria che la flotta cristiana riportò su quella ottomana il 7 Ottobre 1571.La Repubblica di Venezia sentiva minacciati i suoi interessi in Mediterraneo dopo l’occupazione di Cipro da parte dei Turchi nel 1570.La Serenissima chiese aiuto al Papa Pio V che temeva piuttosto l’invasione islamica del mondo cristiano.Il Pontefice lanciò un appello a tutti i sovrani cattolici. La Francia non si coalizzò militarmente con i Veneziani e il Papa poiché intratteneva buoni rapporti diplomatici con gli Ottomani. Il Sacro Romano Impero era impegnato nelle lotte contro le eresie protestanti. La Spagna di Filippo II rispose invece prontamente per gli interessi che aveva in Nordafrica. Oltre alla Repubblica di Venezia, allo Stato della Chiesa e alla Spagna, si unirono alla Lega cristiana i Cavalieri di Malta, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova e quella di Lucca, i ducati di Urbino, Parma, Ferrara, Mantova e Savoia.Il comando delle operazioni venne assegnato a Don Giovanni d’Austria, fratellastro minore di Filippo II. Il luogotenente fu Marcantonio Colonna, capitano generale della flotta pontificia. Le flotte della Lega si riunirono a Messina il 24 agosto del 1571.Il 7 ottobre venne dato l’ordine di attaccare. Pio V invitò tutta la cristianità a sostenere spiritualmente i combattenti del mare attraverso la preghiera del Rosario alla Vergine Maria.La flotta ottomana dal Golfo di Corinto si era dislocata vicino alla città di Lepanto (oggi Navpaktos). Gli ottomani, benché più numerosi, avevano una potenza di fuoco di cannoni inferiore.Entrambe le flotte erano disposte in quattro squadroni: al centro Don Giovanni, a sinistra il veneziano Agostino Barbarigo, a destra il genovese Giovanni Andrea Doria, ammiraglio di Filippo II, e sulle retrovie lo spagnolo marchese di Santa Cruz. Nella flotta ottomana al centro c’era il comandante, Ali Pasha, a destra il governatore di Alessandria Mohammed Saulak, a sinistra Uluch Ali, il pascià di Algeri.Decisivo per le sorti della battaglia di Lepanto fu l’attacco delle forze veneziane sulla sinistra dove si distinse il comandante Sebastiano Venier che diventerà più tardi doge di Venezia.La Sultana di Ali Pasha bombardò la Reale di Barbarigo, che venne colpito mortalmente ad un occhio da una freccia. La vittoria cristiana non viene avvertita immediatamente: Uluch Ali infatti era riuscito ad aggirare lo squadrone di Doria con un’abile manovra, danneggiando seriamente i cavalieri di Malta. Ad evitare il disastro fu l’intervento delle retrovie, guidate dal marchese di Santa Cruz. Uluch Alì fu l’unico dei tre comandanti ottomani ad uscirne vivo, riuscendo a mettere in salvo più di 30 galere. La Lega era riuscita a catturare 137 galee e migliaia di uomini, liberando circa 15.000 schiavi europei ai remi, affondando e bruciando circa 50 galere, il tutto perdendo soltanto 17 imbarcazione. La vittoria cristiana fu solo a quel punto evidente poiché da ognuno degli schieramenti ci fu la perdita di almeno ottomila uomini.Tra i feriti cristiani di Lepanto si contava anche l’illustre scrittore Miguel de Cervantes che quasi trent’anni dopo avrebbe pubblicato il Don Chisciotte che iniziò a scrivere durante il suo ricovero a Messina. La battaglia di Lepanto fu l’ultimo colossale scontro tra imbarcazioni a remi. Solo il 22 Ottobre la notizia della vittoria dei cristiani raggiunse Roma, dove venne celebrata una Messa di ringraziamento presso la Basilica di San Pietro. Tutta la cristianità, anche nel mondo protestante, accolse la vittoria con entusiasmo: sembrava quasi che fosse giunto il momento per riunire le forze cristiane e sconfiggere una volta per tutte l’Impero Ottomano.L’entusiasmo durò poco a causa delle divisioni tra le potenze europee. Con la morte di Pio V, l’anno successivo alla vittoria di Lepanto, si estinse completamente anche il progetto della Lega Santa.Nel 1573 Venezia strinse accordi diplomatici con gli Ottomani riconoscendo la presa di Cipro alla quale seguì anche quella di Creta.Nonostante la scarsa importanza strategica, la Battaglia di Lepanto è ricordata nella storia occidentale come una vittoria memorabile, alla quale si ispirano oggi i movimenti tradizionalisti.Grazie all’innumerevole produzione stampata di notizie e memoriali della vittoria, essa fu vissuta come un trionfo, sia da un punto di vista spirituale che politico venendo asservita a scopi propagandistici e più tardi ideologici.Di quella battaglia rimane tuttavia l’eroismo dei marinai e la forza attribuita alla preghiera del Rosario a cui i cristiani di ogni tempo si affidano nelle battaglie contingenti personali o collettive.Fra AMAB

ottobre 6, 2020

L’enciclica di Papa Francesco fra mistica e politica.

Ho letto  con emozione l’Enciclica “Tutti fratelli” di Papa  Francesco.

C’è tanta roba e nessuno può esimersi dal ragionare con attenzione su questo documento che Papa Francesco  ha pubblicato domenica scorsa. Questo documento scritto per parlare prima di tutto ai potenti, per la sua importanza si erge al di sopra di ogni contrasto ideologico e morale. Né qualcuno avrebbe ragione di farsi alibi dello scudo di essere non credente: per primo perché gli argomenti affrontati in tutta la loro drammaticità sono indirizzati all’universo mondo e poi perché l’autorità di Francesco e la sua dignità sono la dignità della Chiesa cattolica che ha per fondamento indiscutibile la storia di venti secoli e la fede di centinaia di milioni di persone.

Non è dunque Papa Francesco l’eretico o il comunista che parla ma è la Chiesa cattolica che parla per bocca di lui con un messaggio che comporta una visione moderna della fede in stretta coerenza con il messaggio evangelico. Soltanto pochi anni fa esprimersi con un linguaggio simile sarebbe stato impossibile. Sarebbe, pertanto riduttivo definire Papa Francesco socialista o men che mai comunista, implicherebbe una visione fuorviante e falsa del suo messaggio. Con questo documento il Pontefice apre una strada ideologica lungo la quale uomini dalle diverse esperienze possano incontrarsi e mettere a confronto le rispettive idee per operare insieme un rinnovamento politico ed ecclesiale partendo dal presupposto che siamo “fratelli tutti”.

Negli otto capitoli dell’enciclica  Papa Francesco insiste su alcuni  punti specifici: i confini, la nozione di “guerra giusta” e la proprietà privata, la distorsione della globalizzazione e il peccato mortale del populismo. 

Un papa a parole non fa politica. Ma i Pontefici hanno sempre fatto influenzato la politica con le loro azioni ed i loro messaggi. Senza andare troppo indietro basti ricordare Benedetto XV che cercò invano di riportare i belligeranti della Prima guerra mondiale al tavolo dei negoziati; Pio XI  che denunciò l’ideologia nazionalsocialista nell’enciclica Mit brennender Sorge del 1937. Pio XII sottolineò la necessità della rapida costruzione di un’unione europea. E che dire di papa Paolo VI e Giovanni XXIII. Giovanni Paolo II ha fatto crollare l’Impero Comunista con le sue parole. Benedetto XVI, da intellettuale, ha messo in guardia le democrazie europee, in particolare sul veleno di un relativismo di principio.  Francesco dalla sua elezione non ha mai smesso di condannare il neoliberismo, il nazionalismo e l’individualismo. 

Non a caso l’enciclica è stata firmata ad Assisi presso la tomba di San Francesco. Non a caso nell’introduzione all’Enciclica egli si riferisce al santo di Assisi come suo ispiratore che “Dappertutto seminò pace accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi.” “I sogni si costruiscono insieme”.   

Il papa riprende tutte le sue lotte per i poveri, i migranti, i disoccupati, gli abbandonati, contro ogni forma di violenza, contro il razzismo, nello spirito della ” cultura dell’incontro»

Questa cultura secondo Francesco deve diventare la base delle relazioni politiche, nazionali e internazionali. In quanto tale, riconosce di essere stato ispirato dal grande imam del Cairo, Ahmad al-Tayyeb, che cita più volte nel testo.

L’enciclica è una lettera pastorale del Papa della Chiesa cattolica su materie dottrinalimorali o sociali, indirizzata ai vescovi della Chiesa stessa e, attraverso di loro, a tutti i fedeli, ma in questo caso a tutta l’umanità. Questa lettera, che è un intero programma politico della Chiesa Cattolica assume, questa volta, la forza dell’insegnamento ecclesiale poiché appunto un’enciclica entra solennemente nel patrimonio della Chiesa e lì resta. 

La storia sta dando segni di un ritorno all’indietro” dice Francesco  perché l’individualismo connesso non crea relazione ma solitudine; l’onnipotenza promessa dalla globalizzazione è appena riuscita magistralmente contro un virus. Pertanto, dobbiamo ricostruire tenendo presente che la cultura della globalizzazione, che fa prevalere il mercato sugli stati nazione “unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni, perché la società globalizzata ci rende vicini ma non ci rende fratelli.”

Il papa si domanda “Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità?” la risposta è “sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione.” E ancora “ la libertà diventa un’illusione che ci viene venduta e che si confonde con la libertà di navigare davanti ad uno schermo.”

Quindi è necessario collocare ” la nobiltà ” della ” buona politica ” laddove l’economia liberale aveva preso il suo posto facendoci credere che la politica sia solo quella cattiva. Per questo diventa necessario imporre, al centro di questa politica, il “migrante ” e il “ povero ”, simboli del “ fastidio ” che nessuno vuole se non rivelando gli “ egoismi ” che il Papa rinnega attaccando come mai il “ nazionalismo xenofobo ”, il razzismo , ” Il dogma della fede neoliberista “. Denuncia: “ Sia negli ambienti di certi regimi politici populisti sia sulla base di approcci economici liberali, si sostiene che l’arrivo dei migranti debba essere evitato a tutti i costi. ” Francesco cita un passo del Vangelo in cui Cristo dice “ero straniero e mi avete accolto”. Raccontando la parabola del Buon Samaritano, che secondo il Vangelo, raccoglie, guarisce, salva uno straniero aggredito e ferito sul ciglio della strada spiega il valore della solidarietà e ci invita a lottare contro “le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro. La solidarietà intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.”

Per il Pontefice i cattolici sono  tentati di seguire queste ” preferenze politiche “, in particolare i nazionalisti. Questo per lui è “ inaccettabile ”, non solo perché “ nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune alla sua popolazione ”, ma anche perché ” l’umanesimo che contiene la fede deve mantenere un vivo senso critico ” di fronte a ” varie forme di nazionalismo ” e ” atteggiamenti xenofobi “.: “ Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci attende di perdere interesse per gli altri, soprattutto i deboli. 

Castigando ” la pigrizia sociale e politica “, egli quindi condanna ” la dittatura invisibile dei veri interessi nascosti ” che suggerisce che ” nessuno può rimediare” alla situazione. Al contrario, l’obiettivo è di realizzare ” un’amicizia sociale inclusiva e una fraternità aperta a tutti ” attraverso ” una mistica della fraternità “.

Riconoscendo il valore della Nazioni Unite, uno dei cardini del suo sistema sono i “ movimenti popolari che riuniscono disoccupati e precari” che devono essere riconosciuti per una “ economia popolare e produzione comunitaria ”. Sono “ poeti sociali ” capaci di costruire una “ politica sociale ” non “ verso i poveri ” ma “ con i poveri ”.

Tre sono le conseguenze della sua analisi che impone come essenziali.

La prima tocca la delicata questione dei “confini ”. Per Francesco “i limiti e le frontiere degli Stati non possono opporsi ” all’arrivo di un migrante perché non è un “ usurpatore ”. Quindi “ nessuno può essere escluso, non importa dove sia nato ” poiché “ogni paese è anche quello dello straniero ”. E ‘quindi ” importante applicare il concetto di cittadinanza ai migranti arrivati ​​da tempo e integrati nella società” e “rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze “. Infatti “i migranti, se li aiutiamo a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza, un dono che invita una società a crescere.“.

Il secondo riguarda la ” proprietà privata “. Francesco ricorda che non è esclusivo ma relativo alla sua ” funzione sociale ” di aiutare i più poveri. Esiste una “ subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e quindi il diritto di tutti al loro uso ”.

Citando Giovanni Paolo II il Pontefice afferma che “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha ammesso in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale originario e prioritario.

Terzo richiamo alla nozione di ” guerra giusta “. Premesso che “La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Il mondo sta trovando sempre più difficoltà nel lento cammino della pace che aveva intrapreso e che cominciava a dare alcuni frutti” La guerra come risoluzione delle controversie fra statinon è più pensabile: ” Non possiamo più pensare alla guerra come una soluzione, perché i rischi saranno probabilmente sempre maggiori dell’utilità ipotetica ad essa attribuita. Di fronte a questa realtà, è oggi molto difficile difendere i criteri razionali, maturati in altri tempi, per parlare di una possibile guerra giusta. Mai più la guerra. “perché “ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato.”

Francesco chiede quindi di trasformare i bilanci degli armamenti in un “ fondo mondiale ” per combattere la fame. E pone l ‘ “imperativo” della “totale eliminazione delle armi nucleari ” come ” obiettivo finale “. 

Infine In questo spirito, il Papa richiede anche l’eliminazione, ovunque, della pena di morte, ma non solo il Papa chiede anche con forza “il miglioramento delle condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà personale. E questo io lo collego con l’ergastolo perché l’ergastolo è una pena di morte nascosta.” 

Ancora una volta il Papa mette l’umanità di fronte ad una scelta: essere quelle persone che “si fanno carico del dolore” o “quelle che passano a distanza”.

 Con l’enciclica il Papa esorta i cattolici ad essere quelli che “si fanno carico del dolore”, ma noi come socialisti possiamo rimanere indifferenti alle indicazioni di Francesco in nome di un laicismo sterile ed improduttivo?

Io credo di no!

Penso infatti che nel pensiero socialista l’uomo acquista coscienza di se stesso, quando sotto l’impulso dei bisogni si rivela a sé stesso determinandosi nell’ambito della società in cui vive. In altri termini l’uomo acquistando coscienza della sua realtà e  del suo essere membro di una comunità, acquista pure coscienza dei suoi doveri morali verso sé stesso e verso il prossimo.  In questo senso il socialismo non è la negazione dei valori cristiani, ma vuole viceversa dare a questi valori il senso dell’azione nella realtà concreta ed è quello che Francesco ci invita a fare. Ecco perché i nostri valori laici non contrastano con i valori cristiani, perché la concezione socialista è l’aspirazione universale a realizzare con la forza della propria coscienza una essenza sociale sempre più armonica e giusta. Ora il socialismo consiste proprio in questa difesa del diritto degli uomini a soddisfare il  bisogno della propria coscienza a spezzare i limiti entro cui si trova racchiusa e ad abbattere quegli ostacoli che si oppongono al sua sviluppo.

ottobre 5, 2020

EMILIANO ZAPATA L’UNICO VERO RIVOLUZIONARIO MESSICANO.

di Giuseppe Giudice

Zapata fu ucciso dai massoni (di origine spagnola ) come Carranza. I massoni messicani . La rivolta del 1910 contro il dittatore Porfirio Diaz (massone) fu scatenata dai contadini e dai braccianti che avevano pagato a duro prezzo la politica di Diaz. Il guaio è che questa rivolta contadina fu poi strumentalizzata da altri massoni filoamericani , come Venustiano Carranza ed Alvaro Obregon. Zapata aveva idee opposte : non gli interessava diventare presidente della Repubblica, voleva distribuire la terra ai contadini e costruire aree di vero e proprio “socialismo rurale”. Per questo fu ucciso in una imboscata tesagli da Carranza. IL quale fu poi ucciso dal suo rivale massone Obregon ; e costui fu a sua volta ucciso. Per cui si parlò di “macelleria messicana”. Da credente mi è doveroso sottolineare un altro aspetto poco conosciuto. La Costituzione Messicana del 1917, non si limitava a proclamare la piena e giusta laicità dello stato. Ma arrivava a proibire il culto religioso. Il Messico era un paese profondamente cattolico , con elementi sincretistici- ma nel sud Italia ed in Spagna non sono a lungo rimasti elementi sincretici nella religiosità popolare . La Costituzione non fu applicata di fatto (su questo punto) fino al 1926 , quando un altro massone filo-usa Plutarco Lopez Calles decise di applicarla integralmente suscitando una vera e propria “guerra civile” sanguinosissima (oltre centomila morti) tra l’esercito regolare e quello “cristero”. Che era fatto in larga parte di contadini, impiegati. Ed era un blocco eterogeneo , che comprendeva il clero tradizionalista ed antimoderno, ma anche anche molti che avevano combattitto con Villa e Zapata. La repressione del massone criminale Calles fu violentissima : civili, donne , anche ragazzini uccisi a sangue freddo. Certo anche dall’altra parte vi furono atti di crudeltà, ma la responsabilità politica fu tutta di Calles. La guerra civile terminò il 1929, ma vi furono strascichi fino al 1936. Quando il nuovo presidente Lazaro Cardenas esiliò Calles, e si impegnò a ristabilire buoni rapporti con i cattolici, permettendo loro di riiniziare le funzioni religiose e le stesse processioni. Inoltre , secondo alcune fonti, ebbe l’appoggio dei vescovi messicani sul progetto di nazionalizzazione del petrolio, che creò forti contrasti con gli USA . Alla fine, la rivoluzione messicana fu un fallimento voluto. I massoni cercarono di utilizzare il malcontento popolare per prendere il potere (e farsi anche la guerra tra loro) , non diedero la terra ai contadini (si appropriarono loro delle terre della vecchia aristocrazia) e diedero vita ad una guerra civile terribile. Del resto il Messico (a parte il breve periodo di Cardenas ) è rimasto sempre un paese succube degli USA. Il mio intento non è quello di fare una crociata antimassonica (tra di loro c’è anche gente per bene) , ma credo che gente come, Carranza, Obregon e Calles vadano dimenticati. E comunque ricordo le parole di Riccardo Lombardi il quale sosteneva che era difficile per un socialista aderire alla massoneria che è una organizzazione elitaria e legata a riti mistici-esosterici).

Comunque VIVA ZAPATA

22Appulo Colantuono, Maurizio Giancola e altri 20Commenti: 4Condivisioni: 4Mi piaceCommentaCondividi

ottobre 5, 2020

IL CASO ISRAELIANO: COME E PERCHE’ MUORE UN PARTITO SOCIALISTA.

di Alberto Benzoni

Ancora alla fine degli anni novanta, il partito laburista israeliano era alla guida del paese e il suo leader, Ehud Barak, si recava a Camp David per discutere, con Clinton e Arafat, di un possibile accordo di pace. Ad appena vent’anni data questa formazione, unita ai socialisti di sinistra del Meretz, rappresenta intorno al 5% dell’elettorato, in una curva discendente che appare senza fine.Le ragioni di questo disastro coincidono, anche se in forma molto più accentuata, con quelle che hanno portato al declino del socialismo europeo; elencarle tutte può dunque servire anche a noi.La prima, e forse fondamentale, sta nella trasformazione della società israeliana. Sin dalle sue origini, il socialismo, intrecciato con il pieno recupero dell’identità ebraica, era l’asse portante del progetto sionista. Non a caso portato avanti dall’immigrazione proveniente dall’Europa centrale e orientale. Una specie di socialismo dal basso (kibbutz, cooperative, sindacati); i cui benefici erano però riservati soltanto agli ebrei. A differenza della destra, i palestinesi non erano considerati nemici permanenti, sensibili soltanto all’uso della forza; ma, semplicemente ignorati. Infine, c’era la convinzione che gli ebrei israeliani, avessero sempre bisogno di quella solidarietà internazionale mancata in passato ai loro confratelli.Oggi Israele è, invece, una società capitalista avanzata con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. E il socialismo non è solo, come in Europa, scomparso dal futuro ma relegato in un passato di cui si sta perdendo la memoria e di cui sono venute meno le strutture portanti.Per altro verso, il socialismo israeliano ha totalmente perso la sua dimensione internazionale. Nello specifico, legata all’essere o, almeno, all’apparire il partito della pace con i palestinesi. Sino a pagarne il prezzo con la morte di Rabin. Ora, appena cinque anni dopo, con il fallimento di Camp David e la successiva seconda intifada, il tema scompare totalmente dall’agenda; e in tutti i sensi. Ad occuparsi della guerra ma anche della pace saranno, da allora in poi, leader di destra, come Sharon o centristi, come Tzipi Livni e Olmert; ai laburisti, il concentrarsi sui temi del lavoro e della giustizia sociale. Ma qui i temi tradizionali si riveleranno assai poco se se non per nulla paganti. Per effetto del mutamento del “clima” (meno speranze e più paure). Ma anche perché, in generale, il socialismo non ha mai saputo rappresentare i ceti medi impoveriti e, ancor più, gli ultimi; gli uni e gli altri privi, in tutti i sensi, della necessaria coscienza di classe e della dimensione collettiva. Nello specifico poi, l’immigrazione, dagli anni sessanta in poi, contrariamente alle aspettative dei nostri compagni, ha nettamente favorito la destra populista. Gli ebrei provenienti dal mondo arabo, per tacere di quelli russi, essendo segnati segnati dall’ostilità esistenziale sia verso il socialismo reale che verso l’èlite socialista allora al potere; per tacere degli arabi. Come si diceva, siamo qui di fronte all’esasperazione di fattori di crisi che investono, in maggiore o minor misura, tutta l’area del socialismo democratico.Come risorgere, allora? O, più esattamente, come evitare di diventare irrilevanti in un terreno che i socialisti non hanno saputo coltivare, fino a vederlo occupato da altri; ma che, nel frattempo, è diventato oggettivamente sempre meno coltivabile?I suggerimenti che continuano ad arrivare dal mondo intellettuale e accademico sono per lo più interessanti e pregevoli. Ma hanno due difetti, per ora insuperabili, relativi alla comunicazione ma anche alla sostanza del messaggio. Nel primo caso, le riflessioni dei Piketty o degli Strauss Kahn (per citare solo due esempi) hanno molti pregi ; ma non a quello di com/muovere e ancor più di mobilitare i loro destinatari. Certo, i grandi profeti non nascono a domanda (e, questo vale anche per i socialisti). Ma il fatto è che il personale culturale e politico a disposizione non è in grado di suscitare energie e passioni comparabili a quelle alimentate della destra autoritaria e populista. E i rimedi suggeriti in proposito, diversi se non opposti nei contenuti, hanno in comune l’inefficacia.Inefficace, per non dire irrilevante, il bollito scaduto del riformismo, leggi di un socialismo che parte dall’ordoliberismo ma non arriva da nessun’altra parte. Ma anche il ritorno all’ortodossia di una contestazione generale quanto generica, fatta di denunce che lasciano il tempo che trovano e della riproposizione di ricette spesso superate.Naturalmente, tutte le mie simpatie vanno ai Corbyn e ai Sanders. Ma non al punto di pensare che, in un mondo dominato dalla paura e non dalla speranza, la loro capacità complessiva di suscitare adesioni sia superiore al loro effetto di rigetto.E allora bisognerà assolutamente alzare il tiro. Non foss’altro perché siamo in una fase di transizione tra la fine del vecchio ordine e la faticosa e lontana nascita del nuovo; fase di incertezza e di disordine in cui la catastrofe è sempre possibile.Ora, per risuscitare la speranza, c’è bisogno di un movimento che l’incarni. Che sappia contestare il capitalismo imbarbarito di oggi anche per la sua insufficienza sistemica. E che restituisca ai socialisti la capacità di partecipare in prima persona, anche se in un quadro e con scelte diverse dal passato, al movimento permanente dell’umanità in direzione di un mondo migliore.Una rivoluzione copernicana; l’unica possibile.