Archive for settembre, 2020

settembre 27, 2020

L’UMANESIMO ETICO DEL COMUNISMO ESISTENZIALE DI ROSSANA ROSSANDA

“Il comunismo ha sbagliato. Ma non era sbagliato”. Questo, che è un aforisma davvero bello, esprime a un tempo, con concettosa e appassionata sintesi, il valore di verità che Rossana Rossanda, che l’ha concepito e detto, attribuiva al comunismo (al marxismo, in primis) e il giudizio critico sulla drammatica esperienza storica dell’URSS, dei Paesi di socialismo reale, iniziata nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre e conclusasi con il crollo del Muro e la fine dell’URSS (1989-1991). In controluce, poi, allude al senso che Rossanda attribuiva alla sua vita stretta nella difficile eppur esaltante dialettica politico-esistenziale della grandezza di un ideale e della povertà della sue realizzazioni. Tuttavia sapeva che, nella nostra epoca, lei, per quello che era e sapeva di essere, non poteva concedersi il diritto di venir meno al compito di essere comunista, pur con le contraddizioni che la cosa recava con sé. “Non ci sono mai state mai state tante ineguaglianze nella storia”, disse nel 2012. E, infatti, al suo compito politico-esistenziale è rimasta fedele fino alla fine della sua vita, sopraggiunta nel suo appartamento a Roma, nella notte tra il 19 e il 20 di questo mese, dopo una grave crisi cardiaca a fine aprile, superata a stento. In quella notte di quasi autunno di una settimana fa, in silenzio, in modo appartato e discreto com’era nel suo stile signorile, si è addormentata nel sonno senza sogni. Del suo stile, ha dato fulgida prova nella sua vita splendida ma anche segnata da delusioni, emarginazioni, dolori e sconfitte. Che non l’avevano però spezzata, meno che mai piegata. Qualche anno fa, bloccata su una sedia a rotelle da un ictus, che la privò della metà del suo corpo, aveva scritto in “Quel corpo che mi abita” (2018): “Ho corso sempre, continuo a correre per capire un mucchio di cose (…). Quelli come me sono vissuti come una tessera del mosaico del mondo”. Aveva 96 anni, un’età reverente, ma forse, da circa cinque anni, era solo “corpo vivente, anima assente”, per dirla con Garcia Lorca, cioè da quando era morto il suo amatissimo compagno e consorte Karol Kewes Karol, un ebreo polacco, che aveva combattuto nell’Armata Rossa ed era tra i fondatori del “Nouvel Observateur”. Negli ultimi anni Karol, ormai cieco e malato, aveva trovato in Rossana, che lo aveva conosciuto a Roma nel 1964, la donna che, con le sue amorevoli e quasi materne cure e con sollecito affetto e vicinanza, ne aveva alleviato le sofferenze se non allungando, rendendo meno penoso il suo ultimo vivere. Ma “La ragazza del secolo scorso”, come si era autodefinita nel titolo della sua coinvolgente e famosa autobiografia del 2005 (secondo classificato al premio Strega, ma meritava il primo posto), del suo privato parlava molto di rado. Piccola e minuta d’aspetto, dolce e bella nel viso, dallo sguardo severo con malinconia inclinante a un sorriso di simpatia per i giovani e per il mondo, specie se alle prese con “il male di vivere”, riservata e schiva nel portamento senza mai essere algida e distante, questa colta e sensibile intellettuale dell’alta borghesia era una comunista appassionata e combattiva, dotata di fine e meditativo spirito critico e di profondo senso umano. Insomma, una donna intelligente, libera, riflessiva e appassionata, amante della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza; una donna autenticamente di sinistra, ovvero ricca di cuore accompagnato e guidato da rigorosa ragione critica e investigante, una femminista convinta, refrattaria però al femminismo gridato e retorico, non foss’altro perché era consapevole che le ingiustizie del mondo non si fermano al pianeta donna e quindi – affermava con sentimento e ragione – bisogna impegnarsi e lottare per l’unico obiettivo che pone fine alle ingiustizie: il superamento del capitalismo.Antonio Gramsci, credo io, non avrebbe esitato nel considerare Rossana Rossanda una “intellettuale condensata”, una donna destinata a svolgere un ruolo di egemonia culturale e politica, riassumendo nella sua figura, in ottima modalità, la giornalista, la direttrice di giornale, l’organizzatrice e la promotrice di cultura, la scrittrice e la traduttrice, la dirigente politica rivoluzionaria. A darle i natali era stata la città istriana di Pola il 23 aprile 1924, che sarà annessa alla Jugoslavia nel 1947. Suo padre Luigi Rossanda era un affermato notaio, un anticlericale e irredentista convinto ma anche un uomo all’antica che parlava, oltre che in italiano, in latino, greco e tedesco, lingua in cui conversava con sua moglie. Ovvero, sua madre Anita, di vent’anni più giovane del marito, anche lei poliglotta, di indole aperta e cordiale, che apparteneva a una famiglia della ricca borghesia istriana, proprietaria di alcune isole del Carnaro, tra cui Fenara e Scoglio Cielo. La crisi economica mondiale del 1929 mandò quasi in rovina la famiglia Rossanda. Rossana – insieme alla sorella Marina, di tre anni più giovane di lei, morta nel 2000 – visse, dal 1930 per sei anni, presso una zia a Venezia, per riunirsi poi a suoi genitori, che si erano trasferiti a Milano. Nel capoluogo lombardo Rossana frequentò il liceo classico Manzoni, dove fu studentessa brillante e precoce così da conseguire la maturità classica con un anno di anticipo e con un’ottima votazione. Per gli studi universitari, scelse la facoltà di Filosofia presso la Statale e divenne allieva prediletta di Antonio Banfi, filosofo marxista, vicino al Partito Comunista Italiana e alla Resistenza antifascista. Di Banfi, sposò il figlio Roberto, dal quale si separò agli inizi degli anni Sessanta. Alla domanda di Antonio Gnoli (intervista “la Repubblica” del primo febbraio 2015): “Lei come è diventata comunista?”, Rossana Rossanda rispose: “Scegliendo di esserlo. La Resistenza ha avuto un peso. Come lo ha avuto il mio professore di estetica e filosofia Antonio Banfi. Andai da lui, giuliva e incosciente. Mi dicono che lei è comunista, gli dissi. Mi osservò incuriosito. Poi mi suggerì una lista di libri da leggere, tra cui Stato e rivoluzione di Lenin. Divenni comunista all’insaputa dei miei, soprattutto di mio padre. Quando lo scoprì si rivolse a me con durezza. Gli dissi che l’avrei rifatto cento volte. Avevo un tono cattivo, provocatorio. Mi guardò con stupore. Replicò freddamente: fino a quando non sarai indipendente dimentica il comunismo”.Rossana era una giovane coraggiosa e forte: partecipò alla Resistenza attivamente col nome di “Miranda”. Della Resistenza, evidenziò sempre la decisiva grandezza libertaria, senza tacerne però qualche ombra: “La Resistenza – disse – non fu tutta concordia e virtù. Neppure noi eravamo senza macchia”. La cosa non deve sorprendere. In questa grande donna, ciò che fece sempre aggio su tutto fu il bisogno, morale prima che teorico, di verità e, con esso, l’imperativo di comportarsi in coerenza con gli ideali libertari e umanitari del socialismo e del comunismo, senza cedere alle lusinghe e alle ragioni del potere.Dopo essersi laureata in filosofia e un breve impiego alla casa editrice Hoepli, Rossana Rossanda si iscrisse nel 1947 al PCI. In breve tempo divenne una funzionaria di partito e svolse in modo veramente ammirevole il compito, affidatole dal Partito, di rimettere in piedi la Casa della Cultura di Milano. Ben presto Palmiro Togliatti, Segretario Generale del PCI, chiamato “il Migliore”, la notò e la inserì nella delegazione dei comunisti italiani che partecipava a una conferenza di partiti comunisti a Mosca,. nel 1949. Di più e meglio: data la sua eccezionale intelligenza e cultura, divenne in pochi anni amica ed interlocutrice culturale, di Jean-Paul Sartre, Simone de Beavoir, Luis Aragon, Bertold Brecht, Luis Althusser, Michel Foucault. Manco a dirsi, la Rivoluzione ungherese del 1956 fu un evento traumatico per Rossanda come per tanti militanti comunisti, innanzitutto intellettuali. Nella “La ragazza del secolo scorso” scrive: “fu terribile Quei giorni mi vennero i capelli bianchi, è proprio vero che succede., avevo trentadue anni”. In precedenza c’era già stato il trauma del rapporto Kruscev che aveva rivelato, al XX Congresso, i crimini commessi da Stalin, A Togliatti non perdonò mai di aver taciuto, di non aver detto al partito la verità sull’URSS, anche se ne riconosceva l’elevata statura politica e la prestanza intellettual-culturale. E fu proprio Togliatti che nel 1963 la nominò, ad appena 39 anni, responsabile culturale del PCI, una carica di enorme prestigio. L’anno seguente, volle che fosse candidata al parlamento e che il partito si impegnasse a farla eleggere, cosa che puntualmente avvenne. Di Togliatti, quando era sua collaboratrice a “Rinascita”, la rivista culturale del PCI, Rossana ebbe a dire: “talvolta, all’improvviso, aveva lo sguardo di un uomo che viene dall’Inferno”, Dall’Inferno, ovviamente, dell’Unione Sovietica di Stalin, da cui, senza rinnegare il “legame di ferro” con l’URSS, Togliatti prese le distanze, elaborando la teoria della “via italiana al socialismo”, che trovò il suo convincente compimento con teorizzazione di Berlinguer del “valore universale della democrazia”. I demoni dello stalinismo erano, però, nell’essenza stessa dei movimenti e partiti comunisti. Rossana Rossanda li ritrovò, per capirci, nei comunicati delle brigate Rosse durante il sequestro Moro.. Lo scrisse in un articolo del 1978, destinato a diventare famoso. Affermò tra l’altro: “Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle BR. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo, imparavamo, allora, è diviso in due. Da una parte sta l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazione (…) Vecchio o giovane che sia il tizio che maneggia la famosa Ibm (la macchina da scrivere usata dai brigatisti per i loro comunicati – nda), il suo schema è veterocomunismo puro”. Velenosa e cattiva fu la risposta, a nome del PCI, di Emanuele Macaluso. Questi, mentendo sapendo di mentire, replicò: “Io non so quale album conservi Rossana Rossanda : è certo che in esso non c’è la fotografia di Togliatti; né ci sono le immagini di milioni di lavoratori e di comunisti che hanno vissuto le lotte, i travagli e anche le contraddizioni di questi anni (…). Una tale confusione e distorsione delle nostre posizioni da parte degli anticomunisti di destra e di sinistra è veramente impressionante”..Ma procediamo con ordine cronologico. Dopo la morte di Togliatti (21 agosto 19649 ), Rossanda si andò sempre più facendo sue le posizioni movimentiste e di sinistra di Pietro Iingrao. Nel 1968 pubblicò un breve saggio, “L’anno degli studenti” in cui a esprimeva la sua vicinanza al movimento studentesco in cui vedeva una forza in grado di rinnovare e, addirittura, “un detonatore della rivoluzione” . Per la Sinistra ingraiana, Rossanda in prima fila, era ormai giunto il tempo di agire politicamente, così che diedero vita al “Manifesto”, una rivista mensile, il cui primo numero fu pubblicato il 23 giugno 1969. La loro battaglia per la democrazia interna era sacrosanta. Giusta era anche la critica alla timidezza del dissenso del PCI verso l’invasione della Cecoslovacchia del 21 agosto 1968, espresso nell’editoriale: “Praga è sola”. Più discutibile, e alla fine astratta, era l’idea che il PCI non avesse un modello di sviluppo da contrapporre a quello capitalistico, anche perché era una critica ispirata a un romantico utopismo che faceva intravedere la rivoluzione quasi dietro l’angolo. Nell’elaborazione politica di Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Lucio Magri e Luciana Castellina, i leaders del “Manifesto”, confluivano l’eredità del comunismo di sinistra da Luxemburg in poi e la suggestione del Maggio francese e della Contestazione giovanile. Questo fascinoso ma astratto universo teorico faceva loro perdere la capacità d’analisi si stampo marxista dei processi storici del tempo storico in cui il PCI si trovava ad operare. Che non era per nulla quello della vigilia della rivoluzione; anzi, in Italia e altrove, le forze reazionarie ed eversive di destra erano in agguato. Già la formazione dei governi di centrosinistra era stata punteggiata da tentativi di colpi di Stato: 1960, Tambroni-Gronchi; 1964, Segni-DeLorenzo; 1970, Borghese-Andreotti; 1969, strage di Piazza Fontana. L’Italia, dopo i governi centristi del dopoguerra, ebbe sì il centrosinistra con Amintore Fanfani e Aldo Moro, ma si formò anche l’antistato criminal-mafioso andreottiano e doroteo. Sarebbe stato, comunque, un gran bene davvero che il PCI si fosse evoluto, fin dall’epoca del “Manifesto”, in senso democratico e socialista. Fu, invece, necessario attendere, dopo il golpe cileno del settembre 1973, la proposta del Compromesso storico di Berlinguer e poi l’eurocomunismo, teorizzato anch’esso da Berlinguer. Ma forse era già tardi. L’assassinio di Moro nel maggio del ’78 vanificò il tentativo di fare dell’Italia una vera democrazia e un “Paese normale”.L’avventura del dissenso libertario e di sinistra del “Manifesto” si concluse a fine novembre 1969 con la radiazione (un’espulsione ipocriticamente dissimulata) dei suo9i maggiori esponenti, Leggiamo come la presenta il “Progresso irpino” del 2 dicembre, il settimanale comunista diretto da me giovanissimo (25 anni), in prima pagina, in un corsivo di 20 righe riquadrate, di cui questo era il testo: “La richiesta di radiazione dal Partito per Natoli, Pintor, Rossana Rossanda e Magri, avanzata dalla direzione del PCI, ed accolta a stragrande maggioranza dal Comitato Centrale e dalla Commissione Centrale di Controllo, suscita in noi non poche perplessità, e non solo per i problemi che essa viene a creare nella vita del più grande partito operaio italiano, ma anche perché si accompagna ad altri due episodi non meno preoccupanti: l’arresto del direttore di«Potere operaio» (come ai tempi della Francia di Napoleone «il piccolo») e l’invito rivolto dall’Associazione degli Scrittori Sovietici al romanziere Solzenitsyn a uscire dalla sua patria – se lo desidera.Quello che più impressiona è la sensazione di un’ondata che tutte e tre queste vicende producono sulle nostre teste e di quanti, nella riunione del Comitato federale del Pci, avevamo votato – ed erano la maggioranza dei presenti – una mozione contro l’adozione di misure disciplinari nei confronti del compagni del «Manifesto».Ci domandiamo perché e dove si corra a passi tanto spediti, e come una simile corsa si possa compierla, anche se involontariamente, con la magistratura dello stato borghese”.Orgogli feriti? Abitudini inveterate dure a scomparire? Nessuno può dirlo, se solo si cerca di sollevare il velo della salvaguardia delle istituzioni, con cui è stato giustificato un atto del genere. Una sola cosa è certa: non è stata né una vittoria né del socialismo né della democrazia”. Autori del corsivo eravamo io e il professore Federico Biondi, entrambi componenti della segreteria provinciale del Partito, che difendevano il diritto al libero pensiero nel PCI. La Federazione comunista irpina subito reagì, convocando il Comitato federale e la Commissione federale di controllo che ci “processò”. Il sette dicembre fummo “sollevati” da tute le nostre cariche.Rossana Rossanda fu, insieme a Pintor, l’anima del “Manifesto”, trasformato in giornale, che diventò la coscienza critica della Sinistra, ma non ebbe mai presa tra le masse. Con il passare degli anni, venne sempre più alla luce quella che era la sostanza profonda del suo pensiero filosofico-politico. Tale pensiero può essere definito come umanesimo etico e un comunismo esistenziale. In essi convergono l’eticità della “Philia” universale, incarnata dall’eroina tebana Antigone, di sofoclea memoria; l’umanismo dell’esistenzialismo di Sartre per cui è l’uomo, con la sua vita, a darsi un’indole e un compito; temi dell’antropologia di San. Paolo e Sant’Agostino, da Rossanda definiti “pensatori assoluti”, e del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, da lei “amato e ammirato per il suo magistero e il suo sacrificio” (fu ucciso dai nazisti). Infatti, in “Anche per me” del 1987 Rossanda vede “la condizione dell’uomo, appesa tra vita e morte” in quanto “dato biologico, “astorico”. E’ questo il “residuo indistruttibile della sua sofferenza”, “limite oscuro, che incontra al limite del suo cammino”. E il comunismo allora? La “sua missione”, dice Rossanda, “non sta nel restituire l’uomo alla felicità, ma soltanto (soltanto!) liberarlo dalla intollerabilità dell’ingiustizia”.Dunque, non è erroneo dire che Rossana Rossanda lascia in eredità molte cose pregiate e belle – da pensare. Tra queste, due in particolare. La prima: la vita vale la pena di essere vissuta in nome della libertà e della dignità umana, i principi che fondano e migliorano la razza umana. La seconda cosa: non risolvendosi solo in una pur fulgida figura libertaria e critica, colta e umana della tragedia del comunismo, ci comunica pensieri, valori ed emozioni che ci aiutano ad affrontare la notte del mondo in cui ci dibattiamo e a cercare di costruire, come vuole la Bibbia, un mondo in cui sono rese nuove tutte le cose.Luigi Anzalone

settembre 18, 2020

Intervista a Gianluigi Espsosito

di Antonella Ricciardi.

Nel dialogo  successivamente, riportato Gianluigi Esposito, uomo di cultura a tutto tondo, espone le ragioni principali del suo ritorno all’impegno politico, ad Angri (Salerno), in sostegno di Vincenzo De Luca, governatore della Campania, e nell’ambito del suo impegno nel Partito Democratico. Ispirato studioso di tradizioni, soprattutto musicali e poetiche,  napoletane, e non solo, Gianluigi Esposito è un chitarrista di talento; inoltre, ha collaborato anche a documentari e film; sua è la sigla iniziale del celebre programma RAI, naturalistico e turistico -culturale, “Sereno Variabile”. La sua brillante carriera nel campo artistico e dello spettacolo è stata consolidata dagli studi seguiti alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna, indirizzo musicale (il Dams) e presso la Facoltà di Musicologia, del Conservatorio di Salerno. Ha insegnato anche, in varie scuole,  musica popolare, che esprime l’ “anima antica” ed il folklore della Campania, evitando operazioni troppo commerciali. In Gianluigi Esposito,  l’impegno di cantore della migliore tradizione campana si fonde con l’impegno etico-sociale, che, proprio attraverso la promozione culturale di Angri e dintorni, ha in programma una valorizzazione turistica di questi luoghi: integrando ripresa economica e sicurezza sanitaria, sotto il segno dell’impostazione di Vincenzo De Luca, che, a giudizio di parecchi, in effetti,  ha fatto scuola per efficienza e rigore, nell’emergenza pandemia, e non solo. Inoltre, a titolo personale, ma coerentemente con i suoi ideali riguardo il sociale, Gianluigi Esposito si è impegnato a favore del reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti, anche grazie all’approfondimento culturale ed il confronto, che possono aiutare comprensione di errori del passato ed un cammino di redenzione.  Nella sua apertura al prossimo, compresi gli “ultimi” (ma non per importanza) di questa società, Gianluigi Esposito s’ispira anche all’invito alla misericordia di vari Papi, ma anche di singoli autori, animati da particolari ideali: ultimamente, ad esempio, in un contesto pubblico, aveva ricordato, quale motivo ispiratore, una frase dello scrittore Ignazio Silone, sull’impegno, ed, in un certo senso, la fede che Dio agisca nelle persone: “Noi siamo i cristiani assurdi, quelli che non aspettano la salvezza quando verrà, ma che la anticipano con i propri comportamenti individuali”.  Ancora nel contesto di queste iniziative, volte anche all’aiuto delle famiglie dei detenuti (anche per evitare che il sentirsi rifiutati porti al rifiuto della società esterna), Gianluigi Esposito ha coinvolto, ad esempio, in tale cammino di riscatto attraverso la conoscenza, l’ex boss di camorra Cosimo Renga. Inoltre, Gianluigi Esposito è stato curatore di varie pubblicazioni, riguardanti pure la difficile vita nelle prigioni ed una possibile via migliore, rispetto ad un passato discusso: ad esempio, G. Esposito ha avuto un ruolo editoriale nella pubblicazione, nel 2019, del libro: “Poesie dal carcere” (pubblicato con “Neomediatalia”) dell’ex boss di camorra Raffaele Cutolo, che raccoglie composizioni più antiche e più recenti.. pubblicazione che può far molto discutere e certamente, soprattutto, pensare: versi realmente intrisi di nostalgia, associazioni mentali inconsuete, dolore per il male compiuto e subito, interrogativi ed interpretazioni esistenziali, di una propria filosofia personale di vita, pensieri di bene e di fede… Ancora su questa vicenda, è importante ricordare che Gianluigi Esposito è stato uno degli autori del documentario: “Denyse dietro il vetro”,  pure del 2019, per sensibilizzare maggiormente ed auspicare un cambiamento migliorativo della legge, che impedisce contatti fisici tra maggiori di 12 anni e persone al 41 bis, perfino nel caso di genitori e figli: teoricamente per impedire eventuali messaggi “di troppo”; si può notare, però,  possano esserci altri modi per raggiungere tale fine, senza colpire così pesantemente il lato umano. Raffaele Cutolo, che fu condannato all’ergastolo, ha in effetti subito un numero di anni di carcere immane, da far rabbrividire: oltre 50 complessivi (dal 1963, con poche interruzioni, tra 1970-1971 e negli anni 1977, 1978, 1979); nel 2020, è stato ricoverato due volte in ospedale, per le sue patologie. In particolare, dal 31 luglio 2020, è in cura, in un centro sanitario esterno al carcere:  stravolto anche dai 41 anni “filati” di carcere continuativo, dal maggio 1979. Gli stessi detenuti del carcere di Parma, dove era recluso prima dell’ammissione nel centro esterno, hanno espresso solidale dimostrazione a suo favore.  In molti, poi,  sempre più numerosi, che nulla hanno a che fare con la criminalità,  hanno “messo la faccia”, nell’auspicare che tale ergastolo sia almeno non completamente ostativo, con differimento della pena e revoca dell’articolo 41 bis:  sia per motivi umanitari che per la ormai completa estinzione, da molti anni, della fazione della camorra organizzata, da Cutolo guidata, in un tempo non più attuale. Del resto, carcere ostativo e 41 bis non vengono applicati neanche in casi molto più gravi e pericolosi, riguardanti, ad esempio, pedofili assassini. Gianluigi Esposito persona perbene, conclude il suo discorso con parole che indicano una intensa luce di speranza: la stessa nascita della figlia di Raffaele Cutolo e della moglie Immacolata Iacone, è avvenuta grazie ad una inseminazione assistita (dato che lui non poteva uscire dalla prigione), autorizzata dallo Stato stesso: in questo caso, uno Stato certamente molto più umano, che per questo può suscitare più pieno rispetto: vi fu una combinazione favorevole tra un Ministero della Giustizia più lungimirante, un magistrato più illuminato, la direzione più umana del carcere, che all’epoca era quello di Belluno. Del resto, dare una possibilità reale, spesso motiva ad una evoluzione migliorativa; lo stesso Raffaele Cutolo aveva espresso un concetto del genere, ad esempio, in una lettera aperta ai detenuti, per un carcere verso il 2000: riportata nel valido libro della giornalista Gemma Tisci “Ricordi in bianco e nero”, sul tema…nella missiva, tra le altre cose, Raffaele Cutolo esprimeva, con tono mite,  l’idea che solo l’amore potesse portare altro amore, e che, se solo gli avessero permesso di svegliarsi accanto alla persona amata, di dare dei baci in più, e così via…certamente poteva essere un passo in avanti ulteriore, per una redenzione più completa, per sentirsi più motivato a ciò. Tornando a Denyse Cutolo, fu una vicenda di vita che aprì la strada anche ai diritti di altri detenuti nella stessa situazione: dopo allora, c’è stata più di una nascita di figli di detenuti: eventi che è come se ridessero vita a coloro che, vivendo il carcere ostativo, era quasi come se morissero ogni giorno. Soprattutto, rimanendo ancora sulla nascita dell’innocente Denyse, nel 2007, la sua venuta al mondo aveva potuto dare più pace allo stesso Raffaele Cutolo, che aveva invece perso, in circostanze atroci, un altro figlio, avuto da una precedente compagna, nato negli anni ’60: lo sventurato Roberto, assassinato per vendetta trasversale da mafiosi rivali. L’immagine del giovane Roberto Cutolo, riverso sulla terra macchiata di sangue, tornava in modo straziante, nella mente del padre…sebbene fossero immagini che, comprensibilmente, non aveva voluto vedere, ma che non poteva evitare, invece, di figurarsi…e solo in sogno l’immagine del figlio tornava quella di una persona viva e rasserenante. Nel caso della figlia Denyse, però, Raffaele Cutolo, marito e padre, ha potuto così ritrovare una ragione di vita: in una deliziosa e bella bambina, che, non deve essere ingiustamente penalizzata, senza necessità, afferma Gianluigi Esposito;  del resto, è una bambina che avrà tempo per elaborare una idea più completa di un padre, i cui errori non sono però stati nei suoi confronti, e che ha cercato anche il bene, e di uno Stato che si può sperare potrà dimostrarsi, nel corso del tempo, più umano e migliore.

Ecco dunque l’intervista:

Ricciardi: “Sei da anni un artista intensamente impegnato nel sociale, nuovamente candidato nel PD, ad Angri, in sostegno di Vincenzo De Luca, per un miglioramento concreto delle condizioni di vita nella nostra terra: puoi esporre, in sintesi, alcuni dei motivi di questa scelta e gli aspetti primari del tuo programma? Insomma, cosa proponi, e perchè l’hai scelto.”

Esposito: “Bene, io innanzitutto, sono un militante del Partito Democratico, del centro-sinistra, da 20 anni; io credo fermamente nella figura di Vincenzo De Luca in quanto governatore, ed è per questo che mi candido  a consigliere comunale di Angri: a sostegno di Pasquale Mauri, sindaco di Angri, perchè credo ci sia bisogno che per questa città venga il momento di decisioni molto importanti, molto forti. E quindi Mauri è una persona in linea con il piglio gestionale di De Luca: una persona che sa prendere decisioni, sa prendere responsabilità. Mi candido perchè credo che questa città abbia bisogno anche di quelli che come me, nel corso degli anni, hanno maturato una serie di nuove esperienze: io, ad esempio, nell’ambito della cultura,  dello spettacolo, e ho avuto la possibilità, in questi anni, di lavorare con grandi personaggi…

Ricciardi: “Infatti, oltre all’impegno con il programma di De Luca, che ha protetto molto la Campania, è stato riconosciuto da più parti, nel periodo indubbiamente difficile della pandemia,  è nota la tua valorizzazione del patrimonio della Campania che si attua anche sul piano artistico, in quanto musicista ed interprete, tanto da avere dedicato, in quanto compositore e chitarrista, dei concerti in onore, tra gli altri, del poeta Salvatore Di Giacomo, e dei cantanti Roberto Murolo e Sergio Bruni, ed altri, tra i più celebri, naturalmente. Ti chiedevo quindi su qualcosa di cui mi stavi accennando:  ci sono denominatori comuni tra il tuo impegno nello spettacolo e nel campo politico-sociale?

Esposito: “Credo che la cultura sia un volano di sviluppo, economico e sociale, della mia città, del mio paese: di Angri. Noi abbiamo la collegiata di San Giovanni Battista, il castello Doria,  al centro di Angri, il comparto dei reduci ed ex combattenti, che potrebbe diventare un importante polo turistico-culturale della provincia di Salerno, e quindi  poter all’esterno, in tutto l’Agro e anche nella Costiera, pubblicizzare un cartellone di eventi, che possa fare  turismo; questa è una cosa che è estremamente importante. Se si pensa che ad Angri, abbiamo l’unico santo nato in questa città, in questa provincia, che è Sant’Alfonso Maria Fusco, fondatore delle suore battistine: potrebbe anche questo, insieme a momenti di altissimo valore culturale, rappresentare un attrattore turistico per la città… essendo noi un territorio di transito., perchè Angri è a 30 km da Napoli, a 23-24 da Salerno, 4 da Pompei; è alla spalle della Costiera Amalfitana, per cui bisogna uscire ad Angri per andare in Costiera Amalfitana. Ecco, questo turismo che ci circonda può quindi fermarsi anche ad Angri, ed essere incoraggiato, programmando dei grandi eventi.

Ricciardi: “Certo, è uno snodo molto importante. Tra l’altro, hai anche il tuo locale, che è anche importante centro di eventi artistici, di spettacoli, “Vicodovattariello”, che può attrarre turismo gastronomico,  culinario, ed in generale eventi importanti.”

Esposito: “Certo, è parte dell’organizzazione della movida angrese: ci sono diversi locali; questa forza, associazione rappresenta, a sua volta, un attrattore turistico. Abbiamo una clientela che arriva da tutta la Campania, proprio perchè siamo conosciuti in Campania, per la qualità del prodotto che offriamo della nostra città. Angri ha una tradizione di ristorazione molto molto importante.

Ricciardi: “So che hai curato molto anche la movida sicura, in questo periodo particolare”.

Esposito: “Ci siamo battuti molto per avere una movida sicura, una movida protetta: una movida che non debba essere il momento di sfogo di pressioni represse, ma deve essere un momento di confronto, un momento di socialità, di leggerezza…ma sempre tenendo presenti quali siano le regole del buon vivere, e il senso civico. “

Ricciardi: “Puoi ricordare alcuni dei progetti, sul piano culturale artistico, dello spettacolo, cui tieni di più, riguardo quello già realizzati, e perchè tu sia più legato ad essi? Tra l’altro,  hai collaborato anche con Michele Placido, tra le esperienze più intense…”

Esposito: “Allora, io collaboro tuttora con Michele Placido, con Giancarlo Giannini, ho lavorato con Giuliana De Sio… Con Placido, stiamo continuando a tenere concerti in tutta Italia. Nel mio lavorare con questi personaggi,  ho fatto sempre sì che la città di Angri potesse essere rappresentata. E ad Angri io mi sono battuto molto per la riqualificazione delle aree industriali dismesse, per poterle fare diventare luoghi di cultura, contenitori culturali. Ho per anni svolto una rassegna teatrale che si chiama “Avanteatro”, e che si svolgeva all’interno di una fabbrica dismessa, che per un mese diventava un luogo di arte, di cultura, appunto di teatro, dove sono venuti nomi anche internazionali, oltre che del teatro italiano. Ed abbiamo dimostrato alla città che questi luoghi, queste  aree dismesse, invece di essere sempre   oggetto di speculazione edilizia, possono diventare invece luoghi di cultura. Poi ho svolto, creato, il primo concorso lirico dell’Agro, che vedeva una partecipazione di concorrenti da tutto il mondo: questo è stato un altro momento molto importante per la città.

Ricciardi: “Hai quindi insomma unito culturale, sociale: qualcosa di molto importante… Infatti,
la tua sensibilità sociale ti ha portato anche ad analizzare e prenderti a cuore, con particolare altruismo, vicende frutto di disagio sociale, che ti hanno condotto, ecco, anche all’impegno a favore del riscatto etico di detenuti ed ex detenuti. Tra l’altro,  a questo proposito, ricordo il tuo avere curato una edizione di un libro di poesia di Raffaele Cutolo, che da anni afferma di avere chiuso con la camorra e si dice pentito di fronte a Dio; inoltre, hai realizzato un documentario

, “Denyse dietro il vetro,” molto molto toccante: sulla piccola Denyse Cutolo, che per il solo fatto di avere compiuto 12 anni, non può avere più, attualmente, alcun contatto fisico col padre, per supposti motivi di sicurezza, che non convincono fino in fondo, date le elevate misure ulteriori di sicurezza del 41 bis. Anche ora che Raffaele Cutolo è in un centro sanitario esterno al carcere, per motivi di salute da non sottovalutare, non può avere contatto fisico coi familiari: viene impedito da un tavolo che li divide; in effetti, l’impressione è che sia un infierire: non è naturalmente colpa dell’ospedale, cui è stato imposto, e dove almeno può essere curato meglio, ma è conseguenza delle disposizioni del 41 bis, trasferite appunto nell’ambito sanitario, pur esterno al penitenziario.   Puoi esporre i motivi profondi che ti abbiano maggiormente motivato, in tale impegno umanitario, compreso questo documentario così intenso?

Esposito: “Allora, facciamo un passo indietro: io mi occupo di quella che è la realtà dei detenuti  dal  1998, quando creammo l’associazione “Ismaele”, che aveva a cuore proprio i problemi dei detenuti, le famiglie dei detenuti: in particolar modo, dei figli. Nel corso degli anni, si è sviluppata anche  insieme a Cosimo Renga, un ergastolano del carcere di Rebibbia, che è diventato un eccellente attore, tanto da avere fatto anche un film con i fratelli Taviani, “Cesare deve morire”.

Ricciardi: “Forse era partito dal teatro, prima del cinema?”

Esposito: “Era partito dal teatro, fatto all’interno del carcere; e tuttora io collaboro con la compagnia “Assai”, del carcere di Rebibbia. Tanto che siamo andati in diverse carceri.. anche in quello di Tempio Pausania, a fare  uno spettacolo su Falcone e Borsellino”.

Ricciardi: “Poteva essere particolarmente liberatorio, per detenuti ed ex detenuti, esprimersi attraverso il teatro?”

Esposito: “Sì, credo che il teatro sia un’arma di riscatto: un’arma culturale importante, da usare contro la criminalità; perchè è sempre un problema culturale. E nel corso del tempo ho avuto modo, insomma, anche di affrontare la questione che riguarda Raffaele Cutolo, che, come tu hai ben sottolineato, ha chiuso con la criminalità, per lo meno da 30 e passa anni, anche 35 anni.”

Ricciardi: “Nulla più succede riguardo la NCO (Nuova Camorra Organizzata): non c’è più, praticamente…”

Esposito: “Non c’è più nulla, da questo punto di vista,  vero, e soprattutto non esiste più la sua volontà di vivere ancora quelle situazioni. Lui ha detto basta con la criminalità,  con la camorra. E, premesso che io sono favorevole al 41 bis nel senso degli aspetti sulla sicurezza, per i capi che ancora rischiano invece di essere attivi dall’interno del carcere, non condivido però la disumanità che c’è all’interno del 41 bis.”

Ricciardi: “Tra queste, può darsi ci sia la reiterazione eccessiva, probabilmente…”

Esposito. “La reiterazione eccessiva, ma vorrei capire il senso dei certe storture: come si può ingaggiare una lotta con l’amministrazione penitenziaria per avere un semplice fornellino in ghisa, per cucinarsi da solo dei pasti,: non capisco la necessità di questa cosa, e di dover fare domandina per avere il permesso di farsi lavare gli indumenti.”

Ricciardi: ” I pochi indumenti permessi.”

Esposito: “Esatto; addirittura, per gli indumenti intimi, si può avere il permesso solo alcuni giorni alla settimana”.

Ricciardi: “E forse sono logori, perchè pochi, molto pochi”.

Esposito: “Ecco,  sì, sono delle aberrazioni, che non hanno nulla in comune con il rispetto della dignità umana; perchè io faccio appello, il mio punto di riferimento, da questo punto di vista,  è una enciclica bellissima di Giovanni XXIII, in cui parla della distinzione tra l’errore e l’errante: l’errante, dice il Santo Padre, è sempre un essere umano, anche quando sbaglia, in campo morale e religioso. E, essendo un rappresentante della dignità umana, bisogna sempre trattarlo come si conviene, per la dignità umana: con tanta dignità. “

Ricciardi: “Ormai lui, Raffaele Cutolo, è uno degli “ultimi”, cioè una delle persone, più in difficoltà, e non è più il capo che era stato una volta”

Esposito: “Sì, assolutamente, ha anche in gravi condizioni fisiche, provate”.

Ricciardi: “Ha tutto un altro sapore il tuo impegno, che se fosse stato quando la situazione fosse stata altra”.

Esposito: “Certo, premesso che deve essere certo che la pena garantisca sicurezza, lui ha pagato, come è giusto che sia, per tutto quello che ha fatto; nessuno ne sta chiedendo una libertà senza controlli; chiediamo semplicemente il rispetto della dignità dell’uomo, che va preservata: altrimenti ci poniamo sullo stesso livello, sugli  stessi principi della criminalità, che però non posso essere i nostri principi: in nessun modo, assolutamente. Allora, oggi c’è un uomo quasi ottantenne, provato, debilitato, nel fisico, nell’anima,  a 57 anni dal primo arresto, alle spalle [da allora è stato in carcere in modo quasi continuativo, N.d.R.]…e c’è una bambina dodicenne, cui pure questo Stato ha concesso la vita, perchè ricordiamo  che Raffaele Cutolo ha avuto una bambina attraverso l’inseminazione artificiale, quindi fu autorizzato. Per cui, a  questa bambina va dato il giusto rispetto: va preservata rispetto a certe cose,  rispetto a certe brutture che si vivono. Poi, avrà tempo e modo per capire tutto quello che è successo, nel corso degli anni, per capire del perchè il carcere per il papà; ma oggi, non permettere più, da un giorno all’altro, alla bambina di abbracciare il padre, solo perchè , secondo la legge, potrebbe diventare veicolo di messaggi all’esterno, mi sembra veramente un’aberrazione.”

Ricciardi: “Parliamo in effetti di una minore non solo di 18, ma anche di 14 anni…”

Esposito: “Parliamo di una dodicenne, che, tra le altre cose,  cresce lontano da tutto questo: una bambina dolcissima, studiosa, che non fa nulla di questo, nulla di illegale; tra l’altro, anche con l’attore Gianfranco Gallo, abbiamo realizzato questo documentario, “Denyse dietro il vetro”, proprio per raccontare tutta questa situazione: proprio per far capire cosa si può fare perchè questa bambina, un domani, non porti rancore verso quello che deve essere lo  Stato, che deve garantire anche a lei il diritto ad essere figlia.”

Ricciardi: “Certo, poi forse un trattamento più umano, abbastanza più umano, per Raffaele Cutolo, è chiedere solo quello che si riserva a quasi tutti gli altri…”

Esposito: “Certo, e credo che debba essere innanzitutto curato, visto che ne ha bisogno. Sul pensare che possa essere ancora pericoloso, i giudici faranno le loro valutazioni, che, per l’amor di Dio, non voglio discutere, ma non credo, mi sembrerebbe strano che si potrebbe pensare ci fosse ancora un mondo disposto a seguirlo, perchè non è così,  e lui comunque non vuole guidarlo.. a parte il fatto che ha pure problemi di lucidità, dovuti all’età. Mi sembra veramente assurdo pensare che possa ancora fare e dire qualcosa che non vada: quel mondo è finito. E’ rimasto solo un uomo che, come dice lui, è come se portasse a spasso il suo cadavere, nel buio di una stanza, ma che pure ha trovato, attraverso la poesia, le ragioni della sua esistenza.

Ricciardi: “Quindi un segno, comunque, di una sensibilità importante che rimane…”

Esposito: “Sì, sì:  è una persona a cui bisogna tendere una mano. E ricordo una poesia di un altro grande Papa, Giovanni Paolo II, dove dice:” Io uomo, ti invoco, non dico vieni  […] semplicemente, ti dico sì, uomo” [estratto da “Pietra di luce”, frammento da “Io ti invoco e ti cerco, uomo”, N.d.R.]. Non vedo perchè non dare ancora una possibilità ad un quasi ottantenne, che ha voluto volontariamente pagare tutti gli errori fatti, perchè cosciente di quello che ha fatto. Oggi, magari si può pensare ad un alleggerimento della situazione.

Ricciardi: “Poi certamente è proprio quello cui bisogna tendere, il conciliare sicurezza e misure, in qualche modo, più umane”.

Esposito: ” Si possono certamente conciliare. Nessuno immagina un Raffaele Cutolo completamente libero, che giri per i paesi…”

Ricciardi: “Però magari vi possono essere appunto attenuazioni importanti: come di solito è per  quasi tutti”.”

Esposito: “Anche un regime detentivo meno duro, e non per forza pienamente carcerario, può essere una ipotesi”

Ricciardi: “C’è chi ha ipotizzato anche un differimento della pena, con i domiciliari: questa sarà una decisione dei magistrati; va detto  che, a quell’età, quasi nessuno è in carcere, ed a volte anche con colpe più gravi alle spalle…”

Esposito: “Certo, certo!”.

Ricciardi: “Volevo poi chiederti, oltre a questo tuo impegno umanitario, sicuramente lodevole, ci sono altri particolari iniziative che desideri portare avanti, riguardo le quali potrai anticipare qualcosa?

Esposito: “Beh, sicuramente in campo artistico lavoreremo, per i prossimi mesi, a una serie di produzioni: anche con Gianfranco Gallo, stiamo pensando a delle cose, anche con Placido: collaborerò con lui ad un film, che comincerà a fine settembre. Nel campo  del sociale, mi auguro di riuscire ad aprire un dibattito su temi quali quello della piccola Denyse, e quanto meno di sensibilizzare l’opinione pubblica, rispetto a questo tipo di problematiche.

Ricciardi: “Poi, in fondo, proprio Denyse è stata il simbolo di uno Stato più umano, nel senso che ha detto sì a questa genitorialità.!

Esposito: “ Certo che sì!”.

Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi; intervista del settembre 2020

settembre 15, 2020

Amatissimo Appulo

Gaetano è un compagno prezioso perchè ha dimostrato quanto la dedizione ad una idea e ai compagni di viaggio che ha scelto in questa tormentata campagna elettorale possa pagare in termini di consenso. Da solo novello Davide si è fatto carico di un lavoro massacrante con il solo obbiettivo di far conoscere il simbolo del nostro partito.

Avrei dovuto essere a Bari venerdi ma motivi di salute me lo impediscono.

Pubblichiamo questa sua intervista utile a far conoscere l’uomo, l’amico e il compagno.

GAETANO COLANTUONO – CANDIDATO PER LE CIRCOSCRIZIONI DI BARI E BARLETTA-ANDRIA-TRANI

Nato a Grumo Appula nel 1977 e fra gli animatori di un social forum degli Appuli dopo Genova, molto legato alla sua terra, forse per questo ribattezzatosi “Appulo”, padre di due figli, docente di lettere e storico con numerose pubblicazioni, inoltre attivista politico almeno dai tempi del liceo “Orazio Flacco” di Bari (dove ha avuto – ci tiene a sottolineare – ha avuto come maestro il classicista Salvatore Lugarà e dove ha maturato la scelta per la sinistra socialista): questo in sintesi il curriculum del nostro Gaetano Colantuono. 

Iniziamo con lui una conversazione.  

Gaetano, perché mai Risorgimento socialista aderisce alla lista Lavoro, Ambiente, Costituzione? 

È una scelta coerente con il dettato del congresso di fondazione del giugno dell’anno scorso: rifiuto di ogni formula moderata e ulivista, di neoliberismo temperato e di sommatoria di ceto dirigente responsabile della crisi del movimento dei lavoratori in Italia, apertura a alleanze coerenti con organizzazioni di ciò che resta della sinistra di classe (d’ispirazione marxista) con una programma di difesa e attuazione della Costituzione. Prima dell’emergenza sanitaria, una riunione regionale diede mandato di provare a presentarci col nostro simbolo alle elezioni. Così è avvenuto. Missione compiuta, si potrebbe dire: non per una improvvisa passione elettoralistica, peraltro difficile da reggere, ma per una scelta tutta politico-culturale. Determinati temi e modi qualificanti saranno promossi – durante questo mese scarso di campagna elettorale – solo da noi, socialisti e comunisti di sinistra, non da altri, sicuramente non dai tre poli principali col loro caravanserraglio di liste, alcune anche artificiali o sorte dal nulla. 

Hai parlato di temi qualificanti: quali?

Con una frase latina medievale, si potrebbe dire in breve: “non nova ut audiantur, sed vetera ut faciantur”. In altre parole, noi socialisti autentici riproponiamo ai lavoratori e alle lavoratrici, oltre che alla parte più responsabile del ceto medio, alcune antiche nostre proposte di decenni fa – del partito demartiniano, della riflessione critica di Lombardi, della visione etica di Lelio Basso, delle lotte per i diritti sociali e civili non disgiunti fra loro ma convergenti: la correlazione fra lavoro e salute che nel caso emblematico dell’ex Ilva solo lo stato può assicurare tramite una nazionalizzazione che proceda senza alcun indugio alla riconversione ambientale e alla tutela della salute di chi in quell’impianto ci lavora e di chi vive in quelle aree martoriate da un’epidemia silenziosa, le neoplasie. A sua volta, abbiamo in animo una regione che non appalta la prevenzione e la cura delle neoplasie infantili ai privati o che costringa a viaggi di cento km da Taranto all’ospedale Giovanni XXIII di Bari. Parliamo di nazionalizzazione, di gestione dei lavoratori nei processi produttivi e di monitoraggio della salute. Trasformare una bomba in un residuato bellico – della guerra che l’industrializzazione pesante prima e la corsa al profitto privato poi hanno arrecato alla popolazione dell’intera area tarantina – e poi rovesciare il degrado in progresso. 

Sei candidato per la seconda volta in quota Risorgimento socialista: quali obiettivi?

Dopo l’esperienza davvero difficile di candidatura alla Camera con Potere al Popolo, quando raccogliemmo poco meno di mille voti nel collegio murgiano, mi sono dedicato ad iniziative tese al radicamento di Risorgimento socialista come dirigente di partito e all’azione sindacale, risultando eletto nel direttivo provinciale barese FLC per il documento 2, dopo esser stato attivo nei movimenti contro la “buona scuola”. La regione ha, come noto, poteri rilevanti nella gestione di progetti tanto per la scuola pubblica (e nel finanziamento, ahinoi, degli istituti privati: uno dei temi trasversali ai due poli) quanto per la ricerca: soprattutto in questo campo, i bandi di concorso regionali – che suppliscono di fatto al blocco del reclutamento accademico – presentano profili di dubbia legalità sostanziale, di fatto presentando i medesimi limiti etici e procedurali dei famigerati bandi già profilati. Su questo ho cercato di smuovere le acque anche a livello sindacale ma, finora, con scarso risultato. Per le scuole alla regione spettano importanti competenze per la riapertura in sicurezza proprio a settembre. La nostra proposta, inascoltata, è la requisizione di spazi pubblici dimessi. 

Un altro tema centrale sul piano economico? 

Il lavoro agricolo: difesa delle piccole aziende dalle logiche di oligopolio e difesa dei diritti di chi lavora la terra. Agricoltura di qualità, nuovi modelli di sviluppo, salute alimentare e questione meridionale sono temi fra loro strettamente collegati, al punto da essere indivisibili: occorre pertanto pensare a politiche organiche e sistemiche anziché campanilistiche e estemporanee, come spesso è avvenuto. Il contrario di quanto fatto in questi decenni: è per noi eloquente che lo stesso assessore uscente all’agricoltura abbia scelto di candidarsi a destra, ossia da dove si criticava aspramente le politiche agricole della regione. Segno del fatto che tali polemiche erano pretestuose e che le politiche neoliberiste e sciatte anche sull’agricoltura sono condivise dai due poli. Invece per noi lo svuotamento delle campagne del Sud è uno dei punti critici della odierna questione meridionale: è questo un destino di declino cui non bisogna rassegnarsi. Il rilancio della produzione agricola deve assumere valenza strategica per il conseguimento di una piena sovranità alimentare e per la creazione di filiere produttive controllate da punto di vista tanto dei diritti di chi ci lavora quanto della salute dei consumatori. A sua volta, il rilancio dell’occupazione nella produzione agricola rientra nel piano occupazionale rivolto in particolare ai giovani meridionali. L’agricoltura e il paesaggio sono al crocevia, quindi, di lavoro, ambiente e salute. 

Una politica agricola opposta, quindi, alla PAC e al liberismo come si declina?

Uno dei problemi che ha afflitto l’agricoltura meridionale, accanto al mancato sostegno delle istituzioni locali e alla scarsa frequenza di accordi cooperativistici, è rappresentato da accordi commerciali di libero scambio non rispettosi dei dritti del lavoro e degli standard ambientali: se riteniamo opportuna la presenza di accordi commerciali con paesi del Sud del mondo per favorirne esportazioni e sviluppo endogeno, nell’ottica di una cooperazione Sud-Sud, tuttavia, a maggior ragione, riteniamo inopportuna una massiccia importazione di prodotti agricoli da alcuni paesi del Nord Europa e America. In tal senso ribadiamo la nostra opposizione a tutti quei trattati economici (TTIP, CETA, TISA) che, in nome di un neoliberismo quasi postumo, costituiscono ulteriori attacchi alle residue speranze di rilancio della produzione agricola nazionale. Insomma, noi siamo ostili alle politiche promosse dalla Coldiretti e da chi vuole un’agricoltura tesa prevalentemente all’esportazione e ai processi industriali, così come alla devastazione delle colture autoctone pugliesi, mediante la strumentalizzazione di emergenze (il disseccamento degli ulivi). 

Quale cornice politica di questa posizione neosocialista?

La pandemia ha messo in crisi il commercio globale asimmetrico, cioè la seconda fase della globalizzazione. Pensare di crescere puntando sulle esportazioni in questo momento è sbagliato.

Ci dirigiamo verso un mondo in cui la domanda interna sarà necessariamente più importante, a partire proprio dalla sovranità alimentare e idrica, quella che i popoli del Sud del mondo ci indicano come prima forma di indipendenza. Per questo abbiamo bisogno di aumentare l’occupazione, gli standard di vita della popolazione e migliorare le infrastrutture e il sistema produttivo del nostro paese. E nel caso publico ottenere ora ciò che non si è voluto fare nel corso di questi 15 anni di neoliberismo di sinistra: la ripubblicizzazione dell’Acquedotto Pugliese. 

Nel prossimo futuro sarà vitale saper contare più sulla spesa interna che su quella estera, più sul commercio locale e interno che non sugli scambi transcontinentali.

Altro tema rimosso: quello dei giovani.

L’Italia è da vent’anni (dati Istat) un Paese sempre più anziano, con in quasi tutto il Meridione un decremento demografico e con una diffusa emigrazione giovanile – in particolare dei giovani più qualificati – come alternativa ad un destino di marginalità sociale (e politica). I risparmi accumulati dalla generazione nei precedenti decenni (quelli del boom economico) servono a mantenere giovani o ex giovani (categoria sfuggente) senza reali prospettive di scorrimento sociale e di futuro. 

Eppure si è radicata una retorica delle politiche “per i giovani” contro “i vecchi”. C’è da dubitare della giustezza di questa contrapposizione. Per aiutare giovani e meno giovani (si pensi alle varie categorie di “esodati”, non più impiegati né ancora pensionati) servono una politica a sostegno dei redditi, lo sviluppo educativo ed i servizi alla persona; per tutti questi obiettivi servono gli investimenti. Con un capitalismo, come quello italico e meridionale, fatto di prenditori e rentier, servono i soldi pubblici, anzi, per evitare una spesa improduttiva, serve un ruolo statale nella programmazione e nell’intervento diretto. 

Il contorno narrativo di luoghi comuni fatto proprio da certi sindacati, dal padronato e ovviamente rimestato da una informazione eterodiretta e prostituita intellettualmente (la flessibilità, la decontribuzione, la sburocratizzazione, l’elogio delle start up…) è aria fritta. 

Occorre uno Stato che eroghi i servizi di supporto alle famiglie con una pianificazione condivisa e valutata a livello democratico. Si tratta di questioni che non riguardano la questione generazionale, ma quella di classe. I giovani figli dei borghesi che vivono di rendita o nei gangli del potere pubblico o privato stanno benissimo. L’endogamia socio-economica – il figlio del notabile o del rentier che sposa la figlia di un omologo – preserva tali privilegi di casta, salvo poi prendersela con quei poveri che hanno scelto di percepire il reddito di cittadinanza, piuttosto che accettare orari e salari da sfruttati in edilizia o nel turismo. Siamo all’assurdo etico. 

Che cosa attende Risorgimento socialista dopo le elezioni regionali? 

Continuare l’opera di radicamento che a macchie di leopardo siamo riusciti a portare avanti. Anche in tal senso si collocano le nostre candidature e biografie. Avvicinare vecchi compagni che non si riconoscono da tempo nei vari gruppi sedicenti socialisti (compreso quello che sta a destra in Puglia). Coinvolgere nuove energie con le loro pratiche e urgenze. Demistificare le narrazioni razziste e fataliste. Contrastare il voto clientelare fra le classi subalterne, il muro di gomma contro di noi nella sinistra borghese (da “il manifesto” a “Repubblica”, passando per sinistra italiana) ma anche l’astioso settarismo di estremisti attivi solo sul web. Infine, riscoprire pienamente il nostro orgoglio di essere socialisti nel XXI secolo, con i nostri simboli e con i nostri alleati. Noi ci siamo. 

Infine, a chi dedichi questa campagna elettorale?

Al poeta e sindaco socialista di un comune lucano dell’immediato Dopoguerra, Rocco Scotellaro, e a mio nonno, bracciante analfabeta socialista morto nel’ ’86.