
di Giuseppe Giudice

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“La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” è un saggio di Hannah Arendt. La lettera Eichmann a Gerusalemme: resoconto sulla banalità del male è il diario dell’autrice, inviata dal settimanale New Yorker, sulle sedute del processo ad Adolf Eichmann. Il gerarca nazista, rifugiato come tanti altri in Argentina nel 1945, fu prelevato dagli israeliani nel 1960 e processato per genocidio nel 1961 a Gerusalemme. Fu condannato a morte per imp…
di Alfonso Bruno
Il 9 Maggio 1978 veniva ucciso Aldo Moro dopo 55 giorni di prigionia dalla Brigate Rosse.
Il movente del rapimento e la successiva esecuzione dello statista hanno rivelato una verità negata grazie ai risultati di una commissione d’inchiesta parlamentare.
I terroristi rossi ebbero un ruolo strumentale in una trama oscura che li superava.
Poteri extranazionali all’epoca della Guerra Fredda non potevano tollerare l’alternanza o l’alleanza al governo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano di una potenza industriale come l’Italia.
Quella di Moro può essere considerata, a giusto titolo, una vita e una morte per la democrazia. All’Assemblea Costituente, usciti dalle rovine della guerra, Moro dimostrò il suo positivo contributo teso ad evitare l’apologia di posizioni retrograde ed antiprogressiste. I lavori nella sede più vivace dell’elaborazione intellettuale costituente mostrarono il senso della dialettica personale, il valore del diritto e la funzione educativa e pedagogica che la Costituzione, nella visione morotea, Con la sua attività di intellettuale e politico, Moro esplicò, nel corso dei lavori costituenti, le sue concezioni filosofiche, basate sulla rivendicazione dei diritti dell’uomo e su una concezione democratica e personalista dello Stato; egli, ideando un nuovo progetto di società e condannando gli errori del fascismo, proclamò la condanna della violenza, la diffidenza per la vecchia tradizione burocratica, la convergenza ideologica delle concezioni solidaristiche, cristiane, socialiste e marxiste, per una Costituzione non di compromesso, ma che assumesse la funzione storica di rispecchiare l’incontro di principi e valori tutelanti la persona umana e le comunità intermedie, con il riconoscimento di sfere intangibili di diritti.
La cultura classica, la filosofia, il diritto e lo studio accurato del pensiero di San Tommaso e degli autori appartenenti alla corrente del personalismo cattolico, come Maritain, permisero a Moro di realizzare una vera e propria teoria politica prospettante la separazione della persona umana dallo Stato, senza provocare fratture e conflitti, andando a creare così un meccanismo di prassi politica che vedesse al centro del processo democratico proprio l’uomo, cui sarebbe stata finalmente restituita la sua identità sociale e politica, spoglia dalla precedente condizione di sottomissione. Nella riflessione morotea, in buona sostanza, la Costituzione doveva avere una funzione ambiziosa perché, attraverso la sua attuazione, sarebbe stata possibile l’esplicazione della dignità umana e sociale. Affrontare il tema della persona umana e della sua dignità significava ripristinare l’idea di una società che facesse del pluralismo sociale il suo punto di forza, eliminando definitivamente quella visione dell’uomo sottomesso allo Stato, il quale non avrebbe operato arbitrariamente ma avrebbe esercitato le proprie competenze, assolvendo così ad una ben precisa funzione, ossia quella di garantire la libertà e la giustizia, la personalità e la socialità, nel complesso, appunto, i diritti inalienabili sanciti dalla Carta Costituzionale.
In questa direzione, Moro mosse la ricerca degli orientamenti di civiltà presenti nella coscienza del popolo italiano, sostenendo il dialogo, il confronto e la mediazione tra le diverse forze politiche, nell’ottica di una visione di solidarietà e fratellanza che potesse favorire la soluzione di ogni tipo di contrasto: “Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.
avrebbe esercitato nei confronti del popolo italiano.
Oggi la nostra classe politica potrebbe trovare nella riscoperta del pensiero di Aldo Moro un valido contributo di dibattito nel progresso.
La fede e la spiritualità animarono in Aldo Moro la convinzione che, oltre le barriere della politica, esistessero le sorgenti da cui essa prendeva vita motivando l’uomo politico, investito di una così grande responsabilità, a realizzare obiettivi di alta moralità ed eticità per il bene comune.
Fra AMAB
di Giuseppe Giudice
Gaetano Arfè diceva che Turati, Matteotti, Treves , Modigliani , rifiutarono sempre di considerarsi riformisti. In effetti il termine “riformismo” alla fine dell’800, indicava quelle correnti liberali progressiste ( in alcuni paesi chiamati “radicali” – ma nulla a che vedere con Pannella) che volevano riformare il sistema borghese senza metterlo in discussione e rappresentavano il ceto medio colto e progressista. Allo stesso Bernstein fu attribuito il termine “revisionista” (non so se lui si sarebbe considerato riformista) . E comunque Bernstein fu criticato dai socialisti democratici di ispirazione marxista. Da Jaures in Francia, a Turati , Matteotti , Modigliani e Mondolfo in Italia. Si deve stare attenti a non confondere il riformismo con il socialismo gradualista di ispirazione marxista democratica. Pur nella contrapposizione al socialismo rivoluzionario (ma di matrice soreliana) di Mussolini, non accettarono mai di definirsi riformisti. Perché come Kautsky, Hilferding, Bauer e FritzAdler. , erano convinti della piena ‘autonomia politica della classe lavoratrice rispetto alle frazioni progressiste della borghesia” . Il gradualismo fu definito (mi pare da Kautsky)come “evoluzionismo rivoluzionario”. Del resto, storicamente si definirono “socialisti riformisti” Bissolati e Bonomi , che furono espulsi dal PSI per il loro appoggio alla Guerra di Libia. Lo stesso Rosselli (come sottolineò DE Martino) parlava di socialismo liberale rivoluzionario. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Ma il termine riformismo ha sempre avuto una sostanziale ambiguità. E’ con Riccardo Lombardi (ed in Francia con Martnet) che si opera una vera e propria “decostruzione” dei termini riformismo e rivoluzione in una sintesi nuova. Già Saragat, negli anni 30 , sosteneva che occorreva un nuovo socialismo democratico marxista che superasse le “malattie dell’infanzia del socialismo (riformismo e massimalismo) e quelle della “pubertà” il bolscevismo. In Lombardi , nel concetto di riformismo rivoluzionario, c’è al contempo , la contestazione della subalternità del riformismo e, contemporaneamente la cont
estazione della visione leninista e bolscevica della rivoluzione. Con l’idea di una trasformazione dall’interno della società capitalistica ma con l’obbiettivo di superarla, tramite processi di rottura dei rapporti di potere nell’economia e nella società. Quersta visione sarà poi arricchita dalla tematica dei contropoteri (foa e panzieri) integrasti nel suo schema delle riforme di struttura. La tematica dei contropoteri è una altra arma polemica verso il leninismo. Ma Lombardi non aderì mai a posizioni “gauchiste(che consideravano la Costituzione come espressione organica del dominio della borghesia)…il suo riformismo rivoluzionario doveva operare nel quadro pieno della costituzione repubblicana e delle sue garanzie., anche perché la Costituzione lascia la porta aperta ad una trasformazione democratica e socialista nel senso indicato da Lombardi stesso.
Di Giuseppe Giudice
Se c’è un grande socialista inglese che è stato il maestro di Jeremy Corbyn , questi è Tony Benn. A lungo leader della sinistra laburista. Tony Benn era un credente (sua madre è stata una teologa anglicana che si battè per l’euguaglianza delle donne nella Chiesa ) . E uno studioso di Marx che concepiva come metodo di analisi critica e non come concezione del mondo. Famosa la sua frase: “addossare all’analisi marxista i crimini della Russia di Stalin è come accusare Gesù delle nefandezze dell’inquisizione”. Era molto critico sulla UE per la sua struttura antidemocratica e funzionale agli interssi del grande capitale e non per “sovranismo” se mi è concesso di usare questo termine. Era infatti un socialista internazionalista convinto, combattente per la causa dei popoli oppressi , contro il neocolonialismo, per i diritti umani. Di un laburismo radicato nella “working class”. Il suo era un “riformismo rivoluzionario ” come quello di Lombardi, non pensava affatto che il capitalismo potesse essere l’orizzonte ultimo della storia, e quindi era per una trasformazione graduale e radicale (ad un tempo) dell’ordine esistente verso il socialismo democratico. E Fu contrario a concepire le nazionalizzazioni come statalizzazioni. Sulle orme di G,H.Cole pensava a forme di socializzazione del potere economico fondato su una gestione tripartita delle grandi imprese (con la presenza di un rappresentante statale o municipale, dei lavoratori e dei cittadini e delle comunità). Includendo forme di autogestione vera e propria nelle medie imprese. Il tutto coordinato da un pianificazione democratica. Mi fermo qui. Ma ogni tanto è giusto ricordare queste grandi figure della sinistra socialista democratica
Siamo un gruppo di giovani, provenienti da diverse realtà politiche e religiiose, con dei valori in comune che vediamo incarnati nella Resistenza: libertà, democrazia, uguaglianza, equità, giustizia, unità nazionale e importanza della memoria.
Proponiamo, nel 75° anniversario del 25 aprile, la tumulazione di un ignoto combattente per la libertà nel complesso monumentale del Vittoriano, il monumento che celebra l’unità d’Italia e la vitttoria nella Grande Guerra, per dare rappresentanza al “filo ininterrotto che lega gli ideali e le gesta del Risorgimento alle imprese della lotta di liberazione e alla rinascita dell’Italia”. Come sostenuto dal Presidente Ciampi il 25 aprile del 2005.
Firma anche tu la petizione!
https://www.change.org/p/sergio-mattarella-portiamo-un-part…
#25aprile #festadellaliberazione #Resistenza #partigiani #antiascismo #iorestolibero #liberiamocidalmale
di Alfonso Bruno
In tempo di coronavirus la storia ci ricorda come un semplice insetto abbia potuto bloccare i piani espansionistici di un impero. La rivista di geopolitica LIMES nell’editoriale del suo ultimo numero “Un mondo virato” presenta anche la vicenda di Saint-Domingue (attuale Haiti) ad inizio XIX secolo.
Lo sfruttamento degli schiavi deportati dall’Africa Occidentale fu una delle pagine più tristi e vergognose della storia. Toussaint Louverure, originario di Allada nell’attuale Benin, guidò la rivolta dei neri. Malgrado la repressione del generale Leclerc lo scontro segnò la fine del periodo coloniale per i francesi che furono costretti a svendere anche la Louisiana ai nordamericani pur di non farla capitolare agli inglesi. L’armata francese infatti veniva decimata dalla febbre gialle e la malaria. Quando la campagna militare si trasferì in Russia da dove Napoleone sperava sferrare l’attacco agli inglesi sottraendo loro le Indie, il tifo e la dissenteria fecero il resto per accelerare la fine di un impero e di un imperatore. (Fra AMAB)
Alla vigilia della rivoluzione francese il possedimento di Saint-Domingue, oggi Haiti, sezione occidentale dell’isola di Hispaniola, era la colonia più ricca del mondo. Grazie alla forza lavoro erogata da mezzo milione di schiavi africani, esportava zucchero, caffè, cotone, tabacco, cacao e piante d’indaco, a soddisfare i gusti esotici di mezza Europa. Le Cap Français, porto principale, meritava il titolo di «Parigi delle Antille». Un acro delle piantagioni di Saint-Domingue produceva più ricchezza di qualsiasi altro acro del pianeta. Allo stesso tempo, in colonia si concentrava la più squallida miseria, incarnata dagli schiavi neri, bestialmente sfruttati dai proprietari bianchi francesi. Furono quei dannati della terra, che i negrieri trasferivano dall’Africa occidentale e centrale verso il paradiso/inferno caraibico, a diffondervi l’Aedes aegypti. Perfido insetto, vettore della febbre gialla e di altre micidiali malattie tropicali dirompenti nelle calde e umide estati. Molto selettivo nel contagio. Le zanzare femmine, use pasteggiare a sangue umano per maturare le proprie uova, preferivano uomini giovani e robusti. Bersagli disponibili: lo schiavo nero e il colono bianco. Poiché gli africani erano spesso immunizzati, ne scaturivano stragi stagionali dei francesi, vergini al morbo. Il differenziale immunitario virò la storia di Saint-Domingue, del Nordamerica, quindi del mondo. Ispirato dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo sbandierata dai rivoluzionari francesi, lo «Spartaco nero», al secolo François-Dominique Toussaint Louverture, carismatica figura di generale e politico di formazione gesuitica ma di ideali giacobini, guidò alla vittoria la rivolta degli schiavi scoppiata nel 1791. La guerriglia dei disperati ebbe ragione delle truppe francesi, decimate dalla febbre gialla. Da capo assoluto della colonia, Louverture ebbe cura di non recidere il vincolo con Parigi – gli schiavi emancipati erano dichiarati cittadini francesi – mentre si proclamava bonapartista. Ma Napoleone non intendeva scendere a patti con un «nègre», per tale incapace di autogoverno. Louverture fu arrestato e deportato in Francia, dove languirà fino alla morte in una prigione del Giura. Il corpo di spedizione del generale Leclerc, inviato nel 1801 da Napoleone per farla finita con i rivoltosi, venne però falcidiato dai morsi dell’Aedes aegypti. Malgrado il terrore scatenato dai soldati francesi, che ricorsero alla crocefissione e al soffocamento dei prigionieri nelle stive di navi trasformate in camere a tossico gas di zolfo, nel 1803 la guerriglia degli africani e il dilagare della malattia finirono per stroncare il contingente napoleonico. «Maledetto zucchero! Maledetto caffè! Maledette colonie!» pare fosse il commento del primo console . Napoleone perdeva così il trampolino di lancio per la conquista del Nordamerica, lungo l’asse fra Saint-Domingue e La Nouvelle Orléans, che avrebbe dovuto espellere gli inglesi dal continente. Umiliato nei Caraibi, sconvolto dalla vulnerabilità delle sue truppe a quell’ambiente infetto, Bonaparte decretò la Louisiana del Nord America priva d’ogni senso geopolitico. Meglio cederla alla repubblica americana, esperimento senza prospettive di potenza, che lasciarla alle brame inglesi. Mentre consegnava quasi gratis a Washington lo heartland americano, Napoleone già immaginava di sloggiare il perfido britannico dall’India: «Quando la spada francese toccherà il Gange, l’edificio della grandezza mercantile inglese crollerà in rovine». Necessario passo intermedio, la liquidazione della Russia. L’inverno russo gli sarà fatale più dell’estate caraibica. Kutuzov si svelerà Louverture al cubo. Tifo e dissenteria infieriranno sulla Grande Armée in rotta come la febbre gialla sui fanti di Leclerc.
Napoleone avrà ormai i giorni contati.
«Ei fu…» per causa di una piccola zanzara!
Il video è un omaggio non solo ai lavoratori, ma è anche un inno alla libertà dai pregiudizi, dalle discriminazioni. Un inno al futuro.