Archive for aprile, 2021

aprile 29, 2021

La cultura dell’odio.

Di Beppe Sarno

La “Dottrina Mitterrand” consisteva nella convinzione  del Presidente Francese di poter accettare sul suolo francese gli ex terroristi italiani e non solo a condizione che rinunciassero esplicitamente all’uso della violenza e che non si fossero macchiati di delitti di sangue.

In un discorso pronunciato a Rennes il 1 ° febbraio 1985 il presidente francese dichiarò: “Ho deciso di estradare, senza il minimo rimorso, alcuni uomini accusati di aver commesso crimini. Non ne sto facendo una politica. Il diritto d’asilo, trattandosi di un contratto tra chi ne beneficia e la Francia che lo accoglie, sarà sempre ed è sempre stato rispettato. (…) Dico ad alta voce: la Francia è e sarà solidale con i suoi partner europei, nel rispetto dei suoi principi e dei suoi diritti: sarà solidale, rifiuterà ogni protezione diretta o indiretta al terrorismo attivo, reale, sanguinoso. ” Alla fine dello stesso mese, alla presenza di Bettino Craxi, Presidente del Consiglio italiano, François Mitterrand  precisò ulteriormente  l’atteggiamento della Francia : “Abbiamo circa trecento italiani che si sono rifugiati in Francia, dal 1976 e che da quando sono venuti nel nostro Paese si sono “pentiti” e a cui la nostra polizia non ha nulla da rimproverare.

I socialisti pur condannando il terrorismo perché come dichiarò Craxi «Il terrorismo è il frutto velenoso di una confusa predicazione pseudo-rivoluzionaria, di una sottocultura di sinistra, che per anni ha scorrazzato quasi indisturbata […].” Condivisero la posizione di Mitterand perchè partiva dalla volontà di chiudere la  stagione terribile del terrorismo  aprendo un canale di dialogo nel tentativo instancabile di ravvicinare gli individui ed i sistemi. Creando un ponte fra quella confusa massa di giovani che in una maniera e nell’altra si rapportavano al terrorismo si sarebbe potuto aprire un dialogo ispirato alla logica dello stato di diritto con la consapevolezza  che quell’emergenza sociale determinata dal terrorismo  era finita e che un trattamento non basato su sistemi polizieschi e di repressione poteva essere riservato a chi si impegnava rispettare la Costituzione e le leggi dello stato che li ospitava.

Il clima di sospetto veniva sostituito da una situazione diversa in cui il terrorista non era più un crociato che cercava  di trasformare tutti in combattenti.

All’epoca chi  aderiva alla sinistra extraparlamentare non era necessariamente un violento  scriteriato, affetto da permissivismo catastrofico e terrorista potenziale.

 Grazie a Mitterand e a Craxi che incontrò il presidente francese il 22 febbraio 1985 si aprì una stagione nuova che in parte contribuì a chiudere, per quanto possibile, la stagione del terrorismo.

Oggi il partito della fermezza, quello che per intenderci decise la fine di Aldo Moro, che contribuì in modo determinante alla fine del partito Socialista ed alla morte di Craxi in esilio, si ripresenta con gli stessi slogan, le stesse parole d’ordine. Sergio Segio ha affermato che gli arrestati sono uno sparuto gruppetto di persone anziane, e da decenni pur faticosamente integrate. Il loro arresto risponde alla logica che ‘non la facciano franca’ “. Essi sono stati protagonisti di “un periodo cupo e insanguinato per il quale le ferite personali di chi è stato direttamente o indirettamente colpito esigono rispetto e considerazione, ma che non devono e non possono trasformarsi in vendetta, come sta avvenendo”.  Ed è ciò che sta accadendo!

Ciò  che con tanta enfasi raccontano i telegiornali, la stampa i mass media è la vendetta di un capitalismo malato che ha paura non dei dieci ex terroristi arrestati, ma ha paura di quello che potrebbe avvenire in seguito ad un momento così difficile per l’intera collettività ed il cui prezzo maggiore lo stanno pagando i lavoratori e le categorie produttive. Macron e Draghi stanno mandando un messaggio  di paura e di preoccupazione perché se qualcuno o qualche forza politica dovesse organizzarsi per contestare le scelte di politica economica che si stanno facendo e che saranno fatte a medio e lungo termine, non ci sarà spazio per il dialogo,  ma solo repressione. Non si considera però che la radicalizzazione dei sentimenti politici porterà a fare il gioco di questa violenza  e di chi dovesse sceglierla. Non è difficile che quelle decine e centinaia di operai che vengono cacciati dal sistema produttivo, vagamente ostile, ma che fino ad ora si erano tenuti lontano dalla protesta, aizzati da chi vi ha interesse, non avendo idee precise sul che fare si possano trasformare in nemico dichiarato del sistema. La disperazione è un carburante potente.

Il terrorista in quanto tale rinuncia all’ideologia preferendo affidarsi a slogan perchè non ha gli strumenti per spiegare le ragioni della propria lotta.  Chi non capisce e chi non aderisce non può essere spettatore, ma si trasforma in nemico. Ne abbiamo un esempio pratico nelle pratiche di Salvini che ogni giorno soffia sul fuoco  contro gli islamici. Quanta gente è diventata un fanatico razzista antiarabo grazie alle performances del capo leghista?. E che dire di quei criminali che  spaccano le lapidi nei cimiteri ebraici diventando  feroci antisemiti? Il messaggio che Draghi, Macron stanno lanciando è un messaggio che serve solo ad attivare odio. Ogni  estraneo diventa nemico mortale e quindi la lotta politica tende a radicalizzarsi e diventare lotta di sterminio. Se il mio nemico è un nazista – ed io avvelenando le sorgenti l’ho reso tale, la tolleranza è un lusso che nessuno potrà più permettersi. Trasformando la società in una società non più tollerante  e quindi rendendo la frattura fra potere e società civile insanabile, il potenziale terrorista abbandona ogni scrupolo morale: la sopravvivenza non è più conciliabile con la coesistenza sociale e la legge del più forte prenderà il sopravvento sullo stato di diritto. Le abbiamo già vissute queste esperienze e ne avremmo fatto volentieri a meno.

 
aprile 23, 2021

Dove siete Compagni?

Di Beppe Sarno

All’indomani di “mani pulite” il Partito Socialista si sciolse come neve al sole. I più furbi salirono sulle scialuppe di salvataggio che la nave di Berlusconi mise in acqua garantendo loro una navigazione sicura per oltre venti anni, altri conservarono il simbolo del nostro  partito con alterne fortune fino allo squallore odierno con un ragazzino che gioca a fare il segretario nazionale e l’indefinibile Nencini. Per il resto un diaspora di compagni dispersi in mille rivoli alla ricerca di una rinascita.

Molti di noi si chiedono ed io sono uno di questi, dove andare. Ognuno lo fa secondo le proprie origini culturali e politiche in modi contraddittori e diversi ed il discorso rimane sempre confuso e la paura dell’ignoto e la consapevolezza di essere ininfluenti non ci fa comprendere i discorsi e le ragioni degli altri.

Ci domandiamo chi sono i nostri interlocutori sul piano reale. Alcuni scelgono il paese come classe operante altri una classe politica che pretende di orientarne il cammino dall’alto.

Eppure gli spazi politici per ricostruire un’ agorà della sinistra esiste: un paese sempre più diviso fra nord e sud, con il nord che avanza verso un’epoca nuova dei rapporti produttivi dove la finanza determina le scelte ed un sud sempre più abbandonato a sé stesso, malgrado i proclami dei vari governatori regionali e che retrocede verso il malcostume borbonico e mafioso che ha fatto dei  rapporti  fra politica ed economia una fossa dei serpenti dove chi ci cade muore avvelenato.

In tutto questo i lavoratori, includendo in questa definizione anche le decine di piccole e medie aziende penalizzate da un’economia che tende sempre più ad emarginarle, vengono abbandonati al loro destino.

L’Ilva di Taranto, la Whirpool di Napoli per citarne alcune ne sono la prova.

Una classe politica senza cultura cresciuta nel clima del ventennio Berlusconiano attenta all’apparire si preoccupa solo delle scadenze elettorali in cui i partiti ricchi di bizantinismi ma poveri di volontà univoche e di progetti politici non hanno mai saputo portare a compimento il progetto democratico che la nostra Costituzione indicava.

In Italia non esiste solo un vuoto di potere che la Presidenza della Repubblica, sollecitata dai poteri forti europei prova a colmare con l’uomo forte Draghi, ma anche soprattutto un vuoto ideologico e politico assai più temibile che una sinistra responsabile e consapevole del proprio ruolo dovrebbe colmare.

Il paese reale, i lavoratori, le imprese sane sono ormai incapaci di prefigurare e preordinare un futuro diverso da quello che Draghi e  l’Europa con l’aiuto degli strumenti di comunicazione di massa propinano loro.

Ma fino a quando questo sarà possibile? Difficile rispondere! I partiti sono arrivati ai limiti dell’inefficienza ideologica e si rischia una crisi di governo per un’ora in meno o più di coprifuoco.

Al vuoto di potere governativo ed amministrativo si aggiunge un vuoto ideologico e politico. Si sente dire che la distinzione fra destra o sinistra non ha più senso, si propina un’ideologia del fare. Il pericolo che a questo vuoto faccia seguito una perdita di libertà e democrazia.

Allora che deve fare una sinistra responsabile per contrastare questa deriva che ci ha portato ad una sorta di Repubblica conciliare dove l’uomo solo al comando fa e disfa secondo il pensiero dominante del finanz-capitalismo?

In un paese dove la burocrazia è tutto e dove l’opposizione non conta nulla, le situazioni precipitano rapidamente e la mentalità reazionaria di Salvini, della Meloni cova in molti ambienti democraticamente immaturi. Quei lavoratori che un tempo votavano per i partiti tradizionali della sinistra ora credono alla Lega ed alla destra reazionaria fra le più retrive d’Europa, amica di Orban e Erdodogan.

Buona parte della magistratura, della polizia, di una pubblica opinione infettata da una televisione di Stato ed un giornalismo che  in genere che non è più servizio informativo ma solo cassa di risonanza del potere sono infettati da questa mentalità reazionaria.

Questo quadro desolante ci insegna una cosa: ci sono spazi per i socialisti e i compagni che intendono resistere.

Il paese i lavoratori hanno fame di politica, di idee, di obbiettivi di lotta. Rifondazione comunista ha lanciato uno slogan molto efficace “Praticare l’opposizione, costruire l’alternativa. Il tempo è ora!” Certo è condivisibile, ma per fare questo bisogna capire come riconquistare quelle masse di lavoratori operai, studenti, impiegati, piccole e medie imprese che oggi guardano a destra  e per fare questo  è necessario capire quali sono i bisogni dei lavoratori che contrastano con i desideri di quella classe politica che rappresenta solo la finanza internazionale  ed assecondarla rappresenta solo un suicidio politico.

Ritornare davanti alle fabbriche, sui posti di lavoro, parlare con la gente smettendo, come diceva Karl Kautsk “di parlare di tasse, dogane, vessazioni poliziesche e casse di malattie e cose simili dimenticando i grandi scopi comuni come un amore di gioventù trascorso”

Andiamo a parlare alle gente dei loro diritti annientati da venti e più anni di liberalismo, andiamo a  parlare e spiegare perché i partiti al governo non vogliono attuare la Costituzione o peggio vogliono ridurla ad un straccio inutile.

Stiamo andando verso una stagione politica in cui sarà varata una nuova legge elettorale che il PD, La lega e tutti i partiti al governo vogliono che abbia una conformazione maggioritaria. E’ il momento di impegnarsi a difendere i diritti politici  e un regime parlamentare effettivo come strumento di dominio democratico dei lavoratori e di tutti quelli che rifiutano questa deriva antidemocratica verso cui stiamo scivolando.

All’interno della sinistra ora più che mai è indispensabile deporre rancori, incomprensioni, rinunciare ai fini particolaristici per fra rinascere il paese e difendere la democrazia.

Sapremo compagni avere una visione lungimirante non solo degli interessi dei lavoratori, ma anche dei nostri stessi interessi?

aprile 18, 2021

SOGNI D’ORO!

Un imperativo di comando indispensabile per condurre un’esistenza resiliente e accomodante consiste nell’invito a sognare. L’educazione del cittadino erasmussino, spinto dall’etica imprenditoriale alla continua ricerca di esperienze auto-rigeneranti in un territorio privato di Storia e di contraddizioni sociali, in un Eden immaginifico e psichedelico, è incentrata su un’onirica liberazione personale. La cultura acquista valore solo se è capace di fortificare l’individuo contro le intemperie e gli imprevisti della vita di mercato. Perché la società sia del tutto spoliticizzata appare essenziale questa pedagogia sul buon senso comune che costringe all’inconcludenza dei pensieri belli, ricchi di civiltà. I luoghi comuni diventano progressisti perché siano combattuti nemici invisibili o costruiti artificiosamente. Un campionario dei sogni tollerati dalla nuova morale, tutta concentrata nel far dimenticare all’essere umano la propria coscienza di classe e la propensione al conflitto collettivo che dà corpo sostanziale alla democrazia, è stato snocciolato a più riprese in questi giorni da vari esponenti della politica d’avanspettacolo. Quella che si scervella di continuo per trovare la soluzione migliore nel lasciare le cose esattamente dove il capitalismo concorrenziale le ha portate.Così Enrico Letta sogna una donna alla guida del Partito Democratico. Tanto per far capire che la guerra tra sessi, dei sessi contro i generi, dei generi contro le inclinazioni, delle inclinazioni contro i gusti sono i soli conflitti auspicabili dal perbenismo libertario. Una donna qualsiasi. Magari un dittatore in gonnella che spezza le reni alla Grecia. Non importa. Ne abbiamo avuti di esempi virtuosi. Dalla Thatcher a Condoleezza Rice, dalla Merkel alla sanguinolenta Hillary. Per non parlare delle implacabili rappresentanti del cinismo frugale che dispensano dosi illuminate di macelleria sociale. Direttamente dai troni del sogno europeo si materializzano la Principessa Lagarde e la Marchesina von der Leyen. Quest’ultima – fortuna sua – dotata di affascinanti minuscole che donano signorilità e indiscutibile credibilità al cognome.Contemporaneamente il prode Di Battista sogna un limite perentorio per rappresentare la nazione. Due mandati e poi a casa. D’altronde cos’è la politica se non diligente servizio razionale. Lo Stato è impresa. Quindi non occorrono sentimentalismi passionali o ideologici. Il buon governo è buona amministrazione. Intatto va lasciato il quadro generale. La questione si riduce a particolarità tecniche. Principio che correda l’idea dell’impiegabilità precaria. Nella quale i vademecum valutativi sui lavoratori sono costruiti dall’arbitrario giudizio sulle loro potenzialità future. Disciplinati automi con carattere aperto alle novità e soprattutto propositivo. I parlamentari dovranno seguire la medesima disciplina. Due mandati di Erasmus istituzionale. Esperienza evolutiva in cui si impara a decodificare con diligenza lo spirito dei mercati. L’importante è non rubare la mela dell’Eden.Chi con improvvido spirito arcaico, ancora legato a poco illuminate superstizioni novecentesche, si permette di citare i diritti sociali o di lottare contro il capitalismo della concorrenza che venne incontro alle esigenze di liberazione individuale dei ragazzi borghesi del ’68, così oppressi dalle loro famiglie castranti nelle quali si doveva far troppo sforzo per contrastare la gerarchia, viene immediatamente tacciato di fascismo dai flaneurs dell’impegno sociale. Anzi di rosso-brunismo. Stigma buono per tutte le stagioni. Questi gagà del socialismo, educati dal sogno della fantasia al potere, sempre attratti dalle lussuose campagne di marketing orchestrate dal capitalismo filantropico e caritatevole, fanno squadra con i vari Rockefeller per salvare il mondo dell’anarchia finanziaria. Insieme sognano un mondo libero da Stati, Chiese e ortodossie di partito, dove tutto è mercificabile. Dove le loro piccole associazioni godranno delle privatizzazioni dei beni pubblici ai quali per non sfigurare nei salotti affacciati sulle strade dei buoni quartieri si darà il nome di beni comuni. Senza far mancare puntuali appelli all’unità dei sognatori. Kermesse nelle quali si riciclano di continuo vecchi palchi dove gli ormai brizzolati ragazzi sessantottini potranno condividere stanche omelie sul vecchio Stato burocratico sempre in procinto di limitare le loro fascinose vite. Solo per caso non oggetto di buoni spunti per romanzi di formazione. Parate dove l’unità della sinistra funziona da camomilla. Per augurare a tutti un’anestetica buonanotte e sogni d’oro.

aprile 15, 2021

Intitolare una via a Bettino Craxi!

di Beppe Sarno

Questa mattina ho depositato al protocollo del Comune di Avellino la richiesta di intitolare una via a Bettino Craxi sono sicuro che il sindaco della mia città avrà la sensibilità di accogliere la mia motivata richiesta.

Ill.mo sig. Sindaco del Comune di Avellino

Il sottoscritto Avv. Giuseppe Sarno, nato ad Avellino l 25 giugno 1947 ed ivi residente alla c/da Serroni 4/B in qualità di coordinatore regionale del Partito Risorgimento Socialista  

Chiede

All’amministrazione di cui lei è il rappresentate affinché si avvii, nel più breve tempo possibile la procedura necessaria e nei confronti degli organi amministrativi preposti, per l’intitolazione di una piazza o di una via della nostra città a Bettino Craxi.

Da 21 anni Bettino Craxi riposa nel cimitero cristiano di Hammamet e a distanza di tanti anni sono poche  le Amministrazioni che  hanno intitolato un luogo pubblico a Benedetto (Bettino) Craxi. Abbiamo strade dedicate a Lenin,  a Che Guevara,  a Ho Chi Min,  a Mao Tse Tung.

 La nostra strada principale il corso di Avellino  è intitolato ad un re, laddove la monarchia non esiste più e l’intera casa Savoia oltre ad aver affamato e distrutto il popolo meridionale dovette vergognosamente fuggire lasciando un’Italia piena di macerie, abbandonando il popolo che diceva di amare e rappresentare. Abbiamo una piazza intitolata a Giuseppe Garibaldi, conquistatore e predatore dell’intero meridione, che conquistò  il Regno delle Due Sicilie corrompendo i generali borbonici con l’aiuto determinante della mafia in Sicilia e della camorra a Napoli e con il sostegno della massoneria, depredando  i depositi e i risparmi del Banco di Sicilia e di Napoli.

L’ Italia ha il  dovere di ricordare uno statista  che è stato il rappresentante coraggioso  del socialismo democratico e riformista in Europa e nel mondo.

Con Craxi, grazie alla collaborazione virtuosa di un grande partito democratico quale fu la Democrazia Cristiana divenne fra i primi paesi  d’Europa  ad avere un tasso di sviluppo  di circa il 3% annuo e ottenne per la prima (ed unica) volta il massimo di affidabilità da parte delle maggiori agenzie di “rating” internazionale che attribuirono all’Italia la valutazione massima, la cosiddetta  tripla A, facendo entrare il nostro Paese nel gruppo dei Sette grandi paesi industrializzati del mondo.

Non va dimenticato che Craxi gettò le basi per l’ Europa dei Popoli e che, pur convinto filo-americano, non si fece  umiliare dal presidente americano  Reagan  per rivendicare la sovranità territoriale italiana.

Craxi arrivò alla guida del Paese in un momento di gravissima crisi strutturale e seppe proporre  gli incentivi alla ripresa industriale per far uscire il Paese dalla recessione e dalla stagnazione.

Craxi fu uno dei pochi che assieme al grande Pontefice Paolo VI° tentò disperatamente di salvare la vita ad un altro grande statista: Aldo Moro.  

Il 19 gennaio 2000 Bettino Craxi è morto ad Hammamet suscitando il cordoglio di tutto il mondo democratico ed  il governo dell’epoca – presieduto dall’on. D’Alema –  propose di tributare a Bettino Craxi i funerali di Stato in Italia che la Legge prevede solamente per le più alte cariche istituzionali e per quelle personalità “che abbiano reso particolari servizi alla Patria, nonché per quei cittadini che abbiano illustrato la nazione italiana”. Non furono celebrati perché la famiglia Craxi si oppose!

La Corte di Giustizia Europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’articolo 6 della Convenzione di Strasburgo sull’equo processo. Il Procuratore Capo del Tribunale di Milano Gerardo D’Ambrosio (poi Senatore della Repubblica eletto nelle liste del PD e prima con i DS) che condusse le indagini che portarono alla condanna del Presidente Craxi  fu il primo a riconoscere che l’ex segretario del PSI non aveva mai intascato soldi a titolo personale e in un’intervista al “Foglio” del 22 febbraio 1996 affermava: “…La molla di Bettino non era il suo arricchimento ma la politica”.  

La difesa della libertà dei popoli oppressi è stata per Bettino Craxi una ragione di vita. Non ebbe paura di accusare le multinazionali per l’aiuto dato al golpe cileno di Pinochet, così come aiutò i socialisti portoghesi a combattere  la dittatura di Salazar. Craxi ha servito le ragioni della libertà, oltre ogni convenienza ed opportunità tanto che il suo epitaffio dice:

‘La mia libertà equivale alla mia vita’.

Con la stima di sempre

Suo affezionatissimo

Giuseppe Sarno

aprile 14, 2021

I rom e sinti rubano i bambini?

Di Santino Spinelli

Lo sanno tutti ormai. È una verità acquisita. Un dato incontrovertibile per i razzisti e per coloro che sanno tutto su tutti e soprattutto sugli odiati “zingari” sporchi, brutti e cattivi, nomadi che non si vogliono integrare nella società civile. Fra tutti questi stereotipi quello di sottrarre i minori alle proprie famiglie è il più grave e inaccettabile. I rom e sinti non sono mai stati nomadi per cultura ma la mobilità è sempre stata coatta e figlia di persecuzioni disumane non rilevate dagli storici ufficiali e di corte. Ecco allora campagne mediatiche ben preparate e reiterate al momento giusto. Tutto pianificato e tutto prestabilito come sempre, come ovunque. Comunicazione a senso unico e senza contraddittorio. Tutti devono sapere che i rom e sinti rubano i bambini, un allarme da lanciare per prevenire e per creare diffidenza e odio verso gli irriducibili “zingari” che meritano di essere trattati come una categoria speciale di persone e non come comuni esseri umani. Su qualcuno va pur riversato le frustrazioni collettive e il malcontento dovuto a problemi irrisolti di politici mediocri e corrotti. Le monarchie e gli imperi li hanno sempre perseguitati per la loro “diversità ” i regimi totalitari hanno cercato di annientarli fisicamente e sradicarli dalla faccia della terra. Oltre mezzo milione di rom e sinti sterminati dai nazi-fascisti ma questo sui libri di storia conta poco, meglio tacere e non evidenziarlo perché potrebbe far scaturire una solidarietà umana che non sa da fare. Nell’Europa civile e democratica sono i più odiati senza che nessuno conosca realmente gli aspetti storici, culturali, antropologici, linguistici, gastronomici e letterari di questa minoranza etnica. Ma tutti pensano di sapere tutto. Odio e rancore ad occhi chiusi. Basta la parola e la verità dei politici di parte o dei mass media compiacenti. La televisione è la nuova Bibbia. I sondaggi parlano chiaro nessuno vuole i rom e sinti e nessuno li ama. Ma cosa c’è realmente dietro questa avversione senza tempo? Perché tanto odio?L’Europa stessa stanzia milioni e milioni di euro in nome e per conto dei rom e sinti ai quali arriva solo becero assistenzialismo e segregazione razziale come i campi nomadi e quartieri ghetti. Una sorta di neocolonialismo autoreferenziale dove ci guadagnano tutti tranne rom e sinti. Una vera e propria industria attorno al mondo rom e sinto. Tutti tacciono verso questo vergognoso sfruttamento.La vicenda della Pipitone e il clamore mediatico di questi giorni si traduce in propaganda e in odio razziale contro una minoranza inerme che alimenta un’avversione atavica, puntualmente reiterata. La faccenda va avanti da secoli disumanamente. Il razzismo puro si raggiunge attraverso la mistificazione della realtà. Lo facevamo i nazifascisti e tutti i regimi totalitari. Ciò che è grave è che siamo in un regime democratico che dovrebbe tutelare le minoranze etniche e non discriminarle. Nessuna istituzione si eleva per condannare questo sciacallaggio mediatico vergognoso e incivile che mette alla berlina un’intera popolazione facendola passare per ciò che non è e favorendo l’odio e la diffidenza. Far passare i rom e sinti come coloro che rubano i bambini senza che MAI un solo caso sia stato realmente verificato o condannato dalla Magistratura dovrebbe far riflettere molto. I rom e sinti hanno tanti figli e non sanno cosa farsene dei figli degli altri e hanno il valore della famiglia come pochi. Le scomparse dei bambini riguardano quasi sempre beghe familiari interne come le vicende dei fratelli di Gravina e della Celentano ci hanno chiarito. Ai rom e sinti non si chiede mai scusa quando la verità viene a galla e resta la fantomatica fake news che i rom e sinti rubano i bambini, così come i comunisti addirittura mangiano i bambini. Guai a toccare i bambini in una società maggioritaria in cui i pedofili sono al massimo delle loro potenzialità e in una società che esprime soggetti che fanno turismo sessuale con i bambini. Contraddizione in essere con accettazione passiva. Nessuna reale guerra mediatica reiterata contro i pedofili. Guai però a toccare i bambini se sono gli “altri” soprattutto se odiati. Guerre mediatiche e silenzi istituzionali conniventi. Su rom e sinti oggi come in passato si può fare tutto e dire di tutto, anche e soprattutto le bugie più repulsive. Sono però tutte verità che l’opinione pubblica deve acquisire. Polpette avvelenate da ingurgidire a senso unico. Nessun intellettuale si indigna, nessuna voce a favore di una minoranza etnica inerme ed innocente. Tutto tace. Il silenzio è connivenza. Nell’era della comunicazione la più grande delle mistificazioni. Tutti ci credono: i rom e sinti rubano i bambini, anche se i fatti e i dati sono incontrovertibili, tutti ci credono, tutti devono crederci, tutti vogliono crederci. Questa la verità. I giornalisti che spacciano fake news dovrebbero essere arrestati. Le trasmissioni che incitano all’odio e alla discriminazione dovrebbero essere chiuse. Io personalmente combatto e ho insegnato ai miei figli a combattere queste ingiustizie e questa criminale discriminazione su base etnica. Meditate gente, meditate.

aprile 11, 2021

Cipriano Scarfò, gli antifascisti del Sud!

Cipriano Scarfò (*)Era nato a Taurianova (Rc) il 24 marzo 1889, dove venne fucilato il 25 agosto 1943, in Contrada Chiusa. Cresciuto in una famiglia di artigiani, Cipriano Scarfò era un abile armiere che costruiva manualmente fucili da caccia nell’officina situata al centro di Taurianova. In seguito alla caduta del fascismo e alla vigilia dell’Armistizio, nell’estate del ’43, la piana di Gioia Tauro divenne bersaglio di numerosi bombardamenti alleati che indussero la popolazione a spostarsi nelle campagne circostanti. Anche la famiglia di Cipriano – moglie e sei figli – trovò rifugio in una casetta in Contrada Chiusa, sulla provinciale che dalla città conduce a Polistena. Lì vicino, in una distesa di ulivi secolari, era acquartierata la 29ª Divisione tedesca Panzergrenadier dopo l’evacuazione dalla Sicilia.Il 25 agosto 1943, come tutte le mattine, Scarfò percorse la carrabile che costeggia l’accampamento militare per andare ad aprire la sua bottega. Quel giorno, però, non fu uguale agli altri: “Attendevamo papà per il pranzo – ricorda il figlio Benito in un’intervista allo storico Rocco Lentini – ma lui non arrivò”. Nel pomeriggio si diffuse la notizia che era stato arrestato dai nazisti in piazza Duomo e portato via su un autocarro, con l’accusa di aver tagliato i fili delle comunicazioni del campo tedesco. Vani furono i tentativi da parte di conoscenti e amici che si trovano sul posto, tra cui alcune tra le persone più stimate del paese, di chiederne il rilascio poiché sicuramente doveva esserci stato un errore di persona.Secondo varie testimonianze, in realtà, Cipriano era in rapporti con il gruppo di socialisti che stava progettando la ricostituzione di un comitato antifascista a Taurianova. E in passato aveva manifestato idee libertarie e “disfattiste”, oltre ad aver perduto l’opportunità di lavorare alla BPD, Bombrini Parodi Delfino, industria chimica di Colleferro che produceva esplosivi, per non aver mai voluto prendere la tessera del PNF. Una volta era stato l’unico a non alzarsi in piedi durante la lettura del bollettino di guerra alla radio, come imponevano le disposizioni di Starace, provocando l’ira del maggior gerarca locale.All’imbrunire, la moglie e i figli di Cipriano si presentarono al campo per scongiurare il comandante, il generale Walter Fries, di liberare un padre di famiglia. Non riuscirono a parlare con nessuno, vennero scacciati brutalmente e minacciati con le armi. Si verrà a sapere che Scarfò era già stato processato sommariamente e condannato a morte per sabotaggio. Alle 14.30 la sentenza era già stata eseguita: lo avevano legato a un ulivo e fucilato al petto. “Vigliacchi!”, pare abbia gridato Cipriano ai suoi assassini. Il giorno del funerale non fu consentito l’ingresso in chiesa e tutto si svolse in un clima di sgomento e di paura.Solo da pochi anni, a Taurianova, una targa ricorda il sacrificio di questo eroe. In tempi recenti, poi, la ricerca storiografica ha ampliato e approfondito il concetto stesso di Resistenza, estendendolo a quella non armata, alle donne e ai civili, non solo del Settentrione e non solo dopo l’8 settembre. E ha innalzato il contributo del Sud a vera e propria “partecipazione” alla Liberazione d’Italia.(*) Fonte: ANPI – Donne e Uomini della Resistenza

aprile 11, 2021

LA PROTERVIA DEI COMPETENTI!

di ferdinando pastore

Ho atteso volutamente qualche giorno prima di commentare la conferenza stampa di Mario Draghi. Dovevo far fronte a una sensazione di fastidio morale e fisico di non semplice decodificazione. Una repulsione che non era strettamente connessa alle indicazioni di indirizzo politico espresse dal Presidente del Consiglio. Un’indigeribilità legata a un’atmosfera, a un atteggiamento. Ciò che rimaneva nell’ombra nell’immediatezza delle sue parole ha preso pian piano limpidezza. Draghi si rivolgeva alla popolazione con un’aria di rassegnata sufficienza. Ha riproposto semplicemente con lo sguardo quella predisposizione mentale tipica della managerialità. La realtà è troppo complessa per essere spiegata. Le interconnessioni tra mercati, decisioni economiche, reti della globalizzazione non possono essere oggetto di interpretazioni politiche. Attraverso quel contegno paternalistico si ammoniva l’intera comunità dell’infruttuosa perdita di tempo che determinate convenzioni comportano. L’utilizzo di questa retorica ha permesso al capitalismo concorrenziale di abbattere dall’immaginario collettivo in primo luogo l’interesse dei singoli alla partecipazione politica cosicché si andassero a deperire in una lenta agonia i corpi intermedi all’interno dei quali si sviluppava un tempo la conflittualità sociale che configurava la democrazia sostanziale e in secondo luogo di rendere le forme della democrazia formale desuete forme di discussione che non potranno in alcun modo reggere il passo con lo spirito della competizione educativa che necessita di interventi di rapida sottomissione alle tendenze dei mercati.Per assecondare questa visione ideologica e irrazionale della realtà la conferenza stampa è andata avanti per forza d’inerzia in un veloce susseguirsi di banali luoghi comuni ormai in voga da almeno tre decenni. La colpevolizzazione dei singoli e del sistema pubblico per le inefficienze per esempio. I giovani che indebitamente si vaccinano non rispettando il turno in un groviglio di clientelarismo e furbizia malandrina tipica dell’italianità da sempre così poco incline alla disciplina frugale del protestantesimo. L’abbandono dei falliti al proprio destino. Non al passo con la creatività necessaria per sopravvivere nel virtuoso percorso formativo dell’imprenditorialità. Quell’inclinazione all’impresa che proprio i governi dei competenti in questi anni hanno promosso con politiche attive – specchio dell’interventismo liberale – dando corpo al sistema degli incentivi, degli sgravi fiscali per confuse categorie di soggetti. I quali non dovevano in nessun modo rivendicare un’occupazione pubblica ma sfoderando coraggio e innovazione cimentarsi nella costruzione auto-disciplinante dell’uomo/impresa. Modo come un altro per celare i dati sulla disoccupazione. La famosa disoccupazione strutturale. Lo stesso meccanismo si deve applicare a questi costosi carrozzoni pubblici. Affezionarsi a una compagnia di bandiera è frutto di un arcaico sentimentalismo novecentesco. Tutto si deve misurare con lo spirito della concorrenza. Ce lo chiedono i trattati. Ce lo chiede l’Europa. A maggior ragione se la stessa oggi si sacrifica in modo così commovente nell’elargizione dello strozzinaggio caritatevole denominato Recovery Plan. Le famose condizionalità che non esistevano. L’Italia si genuflette ai suoi padroni. Nell’osservanza dei due vincoli esterni. Adempimenti acritici dei precetti morali impartiti dalla superiorità genetica tedesca e dei consigli portati dai venti di una nuova guerra fredda. Perturbazioni messe in circolo dal sempreverde imperialismo americano. Si dia un fermo e deciso stop a questa folle simpatia per Cina, Russia e Cuba. Lì ci sono i dittatori, qui una sana e civile oligarchia.

aprile 10, 2021

Pietà l’è morta!

un’intervista della nostra antonella ricciardi alla figlia di un detenuto piena di dolore e di stupore per uno stato che mostra tutta la sua debolezza e vigliaccheria, mostrandosi forte e cattivo con i deboli e rinunciando al suo dovere di redimere e perdonare chi mostri il pentimento.

di Antonella Ricciardi

L’appello di una figlia che non contrappone la condanna di reati legati alla violenza, al restare accanto ad un padre che ama: questi sentimenti profondi sono espressi, con intensità, da Francesca Romeo. La giovane Francesca condanna in modo incontrovertibile la violenza delle faide, e nel contempo aiuta il padre Tommaso, detenuto per reati di ‘ndrangheta, a diventare persona diversa e migliore. Un tempo coinvolto nella cosca D’Agostino-Belcastro-Romeo, Tommaso Romeo aveva cercato di distaccarsi da un cugino della famiglia D’Agostino, che spadroneggiava in diversi luoghi della Calabria; in pochi anni, si era arrivati ad una escalation, un crescendo di violenza, che non si era riusciti a fermare: una guerra, un effetto domino. Rispetto a quel tragico passato lontano, però, Tommaso Romeo ha intrapreso un percorso di profondo miglioramento ed interruzione di rapporti con la devianza, cercando di fare emergere sempre più la parte pulita della propria coscienza, rispetto agli aspetti legati al buio del passato; un itinerario certamente reale, il suo, che però non è favorito dalla sua carcerazione ancora ostativa: 28 anni di carcere consecutivi, senza un permesso, normalmente chiuso in una stanza, senza vedere paesaggi,  rendono certamente difficile fare uscire il meglio di se stessi; e non è facile, ammette Tommaso Romeo in uno scritto sul giornale “Ristretti Orizzonti”, far sì che in questa condizione, generando rabbia, non offuschi la mente.  Un passo avanti, per Pasquale Romeo è stato comunque la revoca del 41 bis, durante il quale, tra le altre cose, si veniva, spesso, sottoposti troppo frequentemente a perquisizioni che possono risultare umilianti, anche per la loro gratuità: anche parti intime vengono “ispezionate” durante delle flessioni, volute per “facilitare” il controllo; il cibo non poteva essere cucinato. Negli ultimi anni, comunque, la frequenza troppo accentuata di tali perquisizioni estreme e il divieto di cottura sono stati condannati in delle sentenze, revisionando in piccola parte lo stesso 41 bis. Le parole e gli scritti di Tommaso Romeo esprimono con chiarezza un cambiamento per il bene, attestato anche da significativi incontro dell’associazione “Ristretti Orizzonti”, che appunto dà nome anche al giornale e ad una casa editrice: anche con incontri di familiari di vittime, in un percorso di giustizia riparativa. La stessa Francesca Romeo, innocente figlia di Tommaso, è in contatto molto cordiale con Fiammetta Borsellino, figlia del Magistrato eroe del 1992. Anche Paolo Borsellino aveva espresso fede nella redenzione, affermando anche che una scintilla divina fosse presente anche in coloro che  avessero un tempo commesso dei crimini. Attualmente, Tommaso Romeo spera che la sua crescita etica venga messa alla prova dei fatti, con un possibile, graduale reinserimento nella vita non carceraria. Tornando più La testimonianza di Francesca  Romeo, ha  trovato la più grande attenzione in coloro che ogni giorno si impegnano ad aiutare le persone più immerse nel dolore: una sua lettera era stata letta da Papa Francesco l’anno scorso, lei stessa aveva parlato alla trasmissione RAI “A Sua Immagine”, ed il percorso di suo padre è stato particolarmente incoraggiato da don Marco Pozza: cappellano del carcere di Padova, sacerdote molto ispirato e vicino anche alle “periferie” marginalizzate della società; i suoi libri e perfino le sue interviste a Papa Francesco hanno, al riguardo, impresso un segno indelebile nella coscienza di molti.

Ricciardi: “Tuo padre, Tommaso Romeo, un tempo coinvolto in una guerra di ‘ndrine, le cosche calabresi, si è da tempo dissociato da quel passato. Puoi esporre, per far conoscere anche agli altri meglio, qualcosa di questo percorso?

 Romeo:“Sì; mio padre è stato tanti anni, in carcere, e fino a nove anni fa ha conosciuto un tipo di carcere che non gli permetteva di fare nessun progetto, nessun percorso. A Padova, è stato trasferito nove anni fa: da allora, mio padre è cambiato; dico da quel giorno, perchè a Padova ha conosciuto una realtà diversa, con il percorso che ha seguito con “Ristretti Orizzonti”, che è un’associazione, portata avanti da Ornella Favero, una volontaria, responsabile dei Volontari Italiani; tramite questo percorso, mio padre ha riconosciuto i suoi errori.”

Ricciardi: “Ornella Favero è anche nell’associazione Granello di senape?

 Romeo:“Sì. Aggiungo che mio padre si è sentito trattato da persona: da essere umano, e non soltanto come numero. Quando si è sentito appunto trattato in quanto essere umano, gli è stato detto da Ornella di partecipare a questo percorso, e soprattutto consigliato di riprendere gli studi. Mio padre è una persona diplomata, però Ornella lo aveva incoraggiato ad intraprendere l’Università, come lui ha ben fatto. Noi andiamo, giustamente, a trovarlo: dal quale giorno, nella sala colloqui, noi abbiamo visto una persona diversa: meno arrabbiata, più solare. Soprattutto è questo cambiamento che ho notato, perchè è stato anche lui che mi ha chiesto, per primo, di partecipare a questa iniziativa: mi ha chiesto di aiutarlo, di appoggiarlo. E da qui, ho capito che mio padre è cambiato, anche perchè ha iniziato un percorso scuola-carcere: le scuole così entrano anche in carcere. Così, le testimonianze, le domande, crude e nude, degli studenti, giustamente, lo hanno messo davanti ai suoi errori… E la cosa più bella che, comunque, io ho visto, è stato di vedere mio padre dire ad un giovane, ed anche ad un nipote, di non fare certi errori nella vita, perchè altrimenti saranno loro a pagare: come lui, che ha perso la sua libertà.”

Ricciardi: “Quindi, sta aiutando anche gli altri a non sbagliare…Può anche darsi che stesse cambiando pure prima, ma non gli fosse stata data la possibilità, perchè non messo alla prova, nè stimolato?”

 Romeo: “Certo, perchè, come ti dicevo, ha conosciuto un carcere diverso. Soprattutto, lui è stato anche in un regime di 41 bis, quindi in un regime molto duro.”

Ricciardi: “Sì, in effetti: estremo.”

Romeo: “Lì, la dignità di una persona viene annullata; sempre solo, in isolamento. Ci stavano negando anche il rapporto tra padre e figlie, per vari aspetti; figurati se gli permettevano di fare percorsi. Poi, quando gli hanno tolto il 41 bis, da lì, c’è stato un cambiamento di carcere, ma anche di lui, in quanto essere umano, per il modo in cui veniva trattato; per cui lui, tutto quello che aveva dentro, lo ha messo fuori. Lui spera di ottenere un permesso, per fare capire anche alla società che è cambiato”.

Ricciardi:“ lui chiede un trattamento normale: quello che hanno quasi tutti gli altri. In quanto figlia, ti è chiaro in che modo tuo padre sia stato coinvolto, forse in parte involontariamente, in una guerra di ‘ndrangheta? Almeno per fare capire un meccanismo.”

 Romeo:“, come dice mio padre, non scegli tu dove nascere; è nato al Sud dove ci sono, a volte, dei contesti sbagliati; dei contesti che ti portano, tra virgolette, a fare qualcosa di sbagliato. Sei giovane, sei ingenuo, ti fa piacere avere qualcosa subito, qualche soldino subito…e non puoi tornare più indietro, purtroppo. C’è stata una guerra dove, se tu entri, non puoi più tornare indietro. Se fai qualcosa, sei portato dagli eventi a farla: lui ha agito in un certo modo, perchè altrimenti poteva succedere a lui.”

Ricciardi:  “è difficile uscire, almeno attivamente, dalle mafie. Dove non c’è lavoro, attecchiscono, dove non c’è lo Stato: sono lo Stato parallelo…”

 Romeo: “dove non hai la possibilità di scegliere, purtroppo. Dove anche oggi ci sono giovani che, se non lavorano, sono portati a fare qualcosa di sbagliato. “

Ricciardi:“A maggior ragione, è giusto non emarginare parenti di persone che abbiano avuto problemi giudiziari: altrimenti come fanno a trovare un lavoro onesto:..non è colpa loro, se non lo trovano.”

 Romeo: “Io e mia sorella gemella  siamo state discriminate, perchè avevamo il papà in carcere, soprattutto quando dovevamo viaggiare, dovevamo andare a trovare mio padre…”

Ricciardi: “E poi così si rischia di frequentare solo le persone che pure hanno i padri in carcere: figli che possono essere bravissimi, ma bisognerebbe avere rapporti con chiunque, normali: sia in contesti difficili, che non difficili, e non inquadrare in modo troppo predeterminato, arbitrario.”

 Romeo: “Purtroppo, se non cerchi di farti scivolare le cose addosso, entri in un brutto meccanismo, perchè è una cosa sbagliata che gli errori dei padri ricadano sui figli, perchè mio padre ha sbagliato, ma non ho sbagliato io.”

Ricciardi:“Poi, tu meriti tutto il rispetto del mondo perchè cerchi di aiutare tuo padre; sarebbe contro natura contestare il fatto che tu gli stia accanto.”

Romeo: “Sì, però, se sei figlia di….paghi anche tu le conseguenze, pur non avendo sbagliato. Io conosco molti amici miei, che  sono figli di….e purtroppo gli negano il lavoro: gli si nega la possibilità anche per una uscita, per una pizza.”

Ricciardi: “Mi sembra questa una mentalità mafiosa, poi: non è solo quella degli affiliati, va molto oltre.”

 Romeo:“Bravissima; oppure, se sei figlia di….,  pensano che sbagli anche tu, ma non è così. Conosco molte persone oneste, che vanno a lavorare. Io stessa, sono 11 anni che lavoro; è addirittura un motivo in più la mia situazione, perchè mio padre non è a casa, quindi non porta lo stipendio. Siamo noi a dovere portare lo stipendio: io ho 29 anni, e sono 11 anni che lavoro.”

Ricciardi:“Lui potrebbe lavorare in carcere, cosa auspicabile… non gliel’hanno permesso? Sarebbe bello se potesse: magari risarcirebbe la società, ed aiuterebbe voi: un po’ tutte e due le prospettive. So che però è un beneficio: non può averne ancora?

Romeo:“Purtroppo non può averne, perchè è nell’alta sicurezza. Chi è invece nella sezione dei comuni, lavora; infatti, a Padova, c’è anche la ditta Giotto, dove fanno dolci: è conosciuta, sfornano dolci per tutta Italia.”

Ricciardi:“Eppure la società si auto-aiuterebbe, se gli permettesse di lavorare: sarebbe ragionevole, anche sul piano pratico, oltre che eticamente.”

 Romeo:“Ed aiuterebbe molto anche lui, perchè ha un senso di colpa fortissimo, perchè sa di dovere pesare. Si sentirebbe più utile, sia per noi che per la società stessa.”

Ricciardi:  “Hai ragione… Rimarcando qualche particolare in più, che ruolo hai avuto, insieme alla tua famiglia,  nell’evoluzione della sua coscienza, per spezzare la catena del male? Un concetto su cui è giusto insistere. Siete riusciti a stimolarlo, motivarlo?”

Romeo:“Sì, allora io l’ho motivato tantissimo: soprattutto nei suoi sensi di colpa, perchè lui sa di avere sbagliato, se, se avesse potuto tornare indietro, non avrebbe rifatto il percorso che ha fatto. Peraltro, far crescere le sue due figlie, senza un padre accanto, crea centomila difficoltà. La sua pena, il suo rammarico, i suoi sensi di colpa, lo hanno fatto cambiare, davvero. Poi l’incontro con la scuola in carcere lo ha fatto cambiare veramente, perchè in questi ragazzi rivede quasi le sue figlie, e soprattutto i nipoti; infatti, lui dice spesso: “Non ho potuto fare il padre, più di persona, spero farò meglio il nonno”. Io l’ho motivato tantissimo, perchè sa che io sono sua figlia , però non l’ho mai giustificato, io. Sono orgogliosa di avere lui in quanto padre, per il rapporto padre-figlia: certo, fisicamente c’è stato poco, perchè avevo otto mesi quando è stato arrestato, però è stato un grande uomo ad instaurare, comunque, un rapporto così forte; però, non ho mai giustificato il suo percorso di cittadino.”

Ricciardi: “Sono due cose diverse, l’affetto per lui, e l’essere più obiettivi su determinate situazioni.”

 Romeo:“Sì; io non lo giustifico, ma non ce l’ho con lui. E questo mio perdono l’ha motivato tanto: l’ha motivato al cambiamento.”

Ricciardi:“ magari lui tiene particolarmente al tuo giudizio, naturalmente. Senti, in  che modo hai vissuto e vivi la sua prigionia? Puoi darci qualche particolare?  Ricordo che, pur non essendo più sottoposto al regime estremo del 41 bis, la sua detenzione risulta ancora ostativa: una forma di carcerazione oggi però messa in discussione: ci sono i primi segnali sia in via di superamento… Che prospettive vedi?”

Romeo: “a Padova viviamo un tipo di carcerazione diversa: si è beneficiati di tantissime telefonate, che prima non avevamo: un carcere non permissivo, però perlomeno più umano: anche per continuare il rapporto con la famiglia, perchè sennò molte persone vengono anche abbandonate in carcere…perchè, se chiudono tutte le porte con la famiglia, è dura per chi resiste. Perchè già sei in un ambito dove c’è solo disperazione, e se vengono chiuse anche le porte, per la famiglia è dura. Però, come dice mio padre, ce l’abbiamo fatta: fino ad ora ce l’abbiamo fatta. E vivo, e spero soprattutto, di potere un giorno…ed a piccoli passi, attenzione, che lui possa ottenere un permesso, e magari portare i bambini con sé”.

Ricciardi:“Verrebbe pure messo più alla prova: magari la società si potrebbe di più rassicurare.”

 Romeo: “Brava, brava. Sì, infatti mio padre è stato arrestato, purtroppo poi non è stato più messo in libertà.”

Ricciardi: “Sono quasi 30 anni

 Romeo: “28, sono 28 anni di carcere, consecutivi…ma per metterlo alla prova, è opportuno; un po’ alla volta, in un posto dove all’inizio ci siano anche gli assistenti sociali, protetto, piano piano. Perchè, come io ho detto ad Ornella, io posso mettere la mano sul fuoco che mio padre non sbaglierà. Non sbaglierà, perchè sa cosa vuol dire aver sbagliato.”

Ricciardi: “ Non gli converrebbe, e poi soprattutto ha capito: è chiaro, da tutto quello che esce fuori.”

Romeo: “Ma neanche chiedo che venga qui, non lo vorrei in Calabria, in permesso. Anche lì a Padova potrà essere. Io due anni fa mi sono sposata, ed ho chiesto al direttore, ho fatto una lettera anche al magistrato di sorveglianza, purchè mio padre mi potesse soltanto accompagnare all’Altare… e non al ristorante, ricevimento. Chiedevo se mi si poteva fare questa grazia. Io ero disposta a sposarmi lì a Padova, con pochissimi parenti, soprattutto quelli stretti: mi è stato negato, mi hanno chiesto se volevo sposarmi in carcere: nella cappella del carcere. Mio padre non ha voluto assolutamente.”

Ricciardi: “Per te, magari”.

 Romeo. “Sì, ma poi è sempre un carcere: un posto squallido. Poi non poteva entrare nessuno, assolutamente; non è che dovevamo fare chissà quale grande festa, però mio suocero, mia suocera, le mie cognate, non potevano entrare.”

Ricciardi: “ Il no determinante è stato dovuto a  qualche Magistrato, giusto?”

 Romeo. “Ovviamente”.

Ricciardi: “ Forse c’era anche il problema dell’interpretazione del 41 bis, che ora è stato dichiarato incostituzionale”.

Romeo: Però il  41 bis è tanti anni che ce l’ha. Stiamo lottando con l’Avvocato, per la declassificazione. Abbiano fatto richiesta per questo: la sua sintesi, il Direttore, il Got, hanno tutti dato parere favorevole, positivo, perchè il suo percorso è ottimo”.

Ricciardi: “Ci sono alcuni casi precedenti di persone che, pur non avendo collaborato, hanno avuto dei benefici: penso ad esempio al caso di Carmelo Musumeci, dal 2018.”

 Romeo: “Ce ne sono tanti, di casi.”

Ricciardi:“Quindi, quello che avevi chiesto, pur difficile, non era impossibile. “Difficile” non perchè fosse irragionevole quanto avevi chiesto (perchè era umanissimo), ma era problematico proprio a livello di blocchi, riguardo la prassi, che solo ora cominciano ad essere sgretolati.”

 Romeo: “Carmelo Musumeci era nella stessa sezione di mio padre: facevamo i colloqui insieme; a lui è stata data la possibilità di benefici, ed a mio padre no. Un altro detenuto che pure era nella stessa sezione, adesso sta avendo dei permessi: ora purtroppo sta male la mamma, ed il cappellano del carcere di Padova, don Marco, lo vorrebbe accompagnare a vedere la mamma, in Calabria: lui abita molto vicino a casa mia.”

Ricciardi: “Quindi è auspicabile, naturalmente, anche per tuo padre.”

 Romeo: “Sì, io ho un po’ di rabbia per i “no” detti a mio padre, perchè sto perdendo un po’ le speranze. Ho un po’ di rabbia verso la giustizia italiana, perchè se io faccio un qualcosa, un percorso, per dimostrare di essere cambiato, e tu non mi dai la possibilità, allora che lo faccio a fare?”

Ricciardi:“Però adesso si stanno sgretolando dei muri, e infatti ti volevo chiedere tu, tenendo conto di tutti questi fatti, senti di esprimere particolari riflessioni, per una possibile conciliazione tra una società libera da illegalità e paura, ed il riscatto dei detenuti, che viene costruito quotidianamente? In che modo evitare che alcuni detenuti vengano discriminati?

 Romeo:“Io penso che lo Stato non dovrebbe fare, tra virgolette, lo stesso gioco del mafioso. Se tu fai la stessa cosa, se non gli si dà la possibilità, si “buttano la chiavi”, e ci si sente un “uomo morto”, purtroppo che è condannato alla morte, quando verrà,  senza miglioramenti, si fa lo stesso gioco. Emerge anche “paura” di una persona, e non si evidenzia uno Stato forte. Perchè se si ha paura di una persona che ha fatto 30 anni di carcere, sottolineo, e tantissimi anni di riabilitazione, e parla con gli studenti, non si è rassicuranti; in quelle occasioni, lui pubblicamente si è dissociato da comportamenti illegali, ed ha detto di fare attenzione a dove mettere i piedi, per non sbagliare. Ecco, uno Stato che abbia paura di un uomo così, non si dimostra uno Stato forte.”

Ricciardi:“ c’è il rischio di far mitizzare delle persone, rese, nei fatti,  troppo vittime. Questi trasgressori del passato, vittime di un trattamento troppo duro rispetto alla norma, possono diventare punti di riferimento per tanti scontenti.”

Romeo: “Sì, poi i ragazzi, i figli di queste persone, per cui lo Stato non c’è mai Stato, vengono anche incattiviti dallo Stato stesso, con queste discriminazioni.”

Ricciardi: “lo Stato, per farsi rispettare, deve anche rispettare”.

Romeo:“Io poi ho seguito un percorso lineare, e non di devianza.”

Ricciardi: “ Ma tu poi chiedi cose “normali”: misure costituzionali.”

Romeo:“Io cerco di far vedere realmente la persona cambiata che è mio padre: solo questo. A piccoli passi, sottolineo; ovviamente.”

Ricciardi: “tu chiedi possa cambiare il grado di intensità della pena, essendo cambiato lui, e tenendo conto che sia cambiato il contesto anche del suo percorso.”

Romeo: “E’ controproducente, e come dici tu, ottuso; è cercare di non sentire, di non vedere: far finta di non capire. Questa persona, figlia di un detenuto discriminato, la si può anche incattivire.”

Ricciardi: “In effetti, è normale: è una reazione a un’offesa. Poi diventa, in un certo senso, una tortura non dare prospettive: la tortura è anche mentale.”

Romeo:“Sì, sì, sì.”

Ricciardi: “L’impressione è che comunque stia cambiando qualcosa anche nella coscienza collettiva: se ne sta parlando di più.”

Romeo:“Sta cambiando, e non so se hai visto, se ricordi, la Via Crucis dell’anno scorso, col Papa. Io ero o l’ottava o la nona, tra le autrici delle missive: il Papa ha letto la mia lettera.”

Ricciardi: “ un bellissimo segno di vicinanza. Non sapevo fosse proprio la tua ma so che Papa Francesco si è espresso più volte contro l’ergastolo ostativo, ha incontrato anche Carmelo Musumeci, in precedenza. Davvero è una cosa meravigliosa, fa capire che sia una delle cause tra le più importanti; d’altra parte, l’idea della redenzione è molto presente, anche nel Vangelo: l’idea di qualcuno che, pur essendo stato un malfattore nel passato, diventi più umano; c’è, ed è un’idea anche universale, oltre che cristiana.”

Romeo:“Sì per il Papa bisogna dare una possibilità; non si deve negare, si deve dare”.

Ricciardi:“ la redenzione di chi abbia commesso certi errori è la redenzione anche di chi gli dia tale possibilità.”

Romeo:“Voglio essere ottimista, per quanto la realtà non sia semplice. Oltretutto con la pandemia, è da circa un anno che non incontro di persona mio padre: per problemi di covid, si sono ulteriormente ristrette le possibilità, per cui non possiamo incontrarci: noi non possiamo salire, e quindi ci vediamo soltanto con la videochiamata. Sto perdendo un po’ le speranze perchè vedo soltanto parole, parole, parole.”

Ricciardi:“I più sono ancora prigionieri dell’ergastolo ostativo, dobbiamo dirlo; però, ci sono stati cambiamenti importanti; in fondo, basta qualcuno di questi casi, perchè non sia impossibile per gli altri, anche se è ancora lento il cambiamento. L’auspicio può essere che aumenti e si velocizzi.”

Romeo:“Sì, che aumenti e si velocizzi, perchè per fortuna parecchi stanno beneficiando di permessi: anche per fare vedere alla società il loro cambiamento. Questo è l’auspicio: per mio padre, e per tutti gli ergastolani, che purtroppo sono degli uomini-ombra: è come una pena di morte, nascosta.”

Ricciardi:“La cosa più grave è la mancanza di tutti i benefici: è una situazione che solo ora sta diventando un po’ più nota. Non era neanche notissima.

Romeo:“Non era notissima, ed io, quando ne ho cominciato a parlare pubblicamente, avevo anche paura: dei pregiudizi, delle discriminazioni; però poi mi sono fatta coraggio, perchè quando non si sa, non se ne parla, sembra tutto normale…invece normale non è.”

Ricciardi: “l’auspicio è di tornare alla Costituzione, tornare alla vita più piena, per loro.”

Romeo: “Certamente”.

Ricciardi:“ Con questo isolamento, si rischiano problemi mentali, e c’è deprivazione sensoriale.”

Romeo:“Sì, problemi mentali; ti negano tutto su un rapporto più naturale. Anche come persona umana, perchè sono continuamente reclusi in quella stanza. Per esempio, io ricordo sempre una cosa in mente: mi ricordo che al 41 bis non potevamo preparargli certi pacchi da casa: è una cosa impensabile… perchè non poteva mangiare alcune cose che gli mandavamo dalla Calabria, da cucinare.”

Ricciardi: “Non poteva cucinare?”

Romeo:“No, doveva per forza mangiare le cose che gli passavano loro. La posta pure è censurata: loro, prima di dargli la posta, gliela leggono. Mi ricordo che, quando era una bambina di 10 anni, ed una bambina di quell’età non sa determinate cose, e magari gli fai un disegno… Mi ricordo che era di moda Idol, quel topo…Mi ricordo che mio padre mi disse più di una volta di non fare disegni, perchè potevano essere scambiati per qualcos’altro.”

Ricciardi: “Alcuni aspetti di queste misure, ed anche la loro interpretazione, sono contro il buon senso, e poi devono essere anche molto vessatorie. Le limitazioni sull’alimentazione sono completamente inutili.”

Romeo:“Là fanno proprio la fame”.

Ricciardi:“Sì, addirittura, e perfino l’acqua è poca: aspetto ancora più preoccupante”.

Romeo: “Ho letto in un articolo pubblicato da Ornella, che ricorda qualcosa di vissuto da mio padre: lì, una persona ricordava di avere lanciato al compagno di fronte un pezzo di salame…”

Ricciardi:“Un aiuto alimentare?”

Romeo:“Sì, ed è stato punito”.

Ricciardi:“ non so se hai visto questo film, su orrori carcerari, si chiama “Papillon”, ed era ispirato ad una storia vera di una persona deportata in Guyana francese: là si vedeva, a parte il cibo cattivo, volutamente molto cattivo, e qualcuno aiutava un compagno di detenzione, regalandogli del cocco, della frutta… e veniva punito per questo: si vede la stessa tipologia di situazione, anche se era ambientato molti decenni fa. E poi si vedeva questo capitano delle guardie, che diceva: “Ma quale redimervi, noi vi vogliamo spezzare…”. Purtroppo questo è ancora attuale, in molti casi.”

Romeo:“ identico. Così come mi diceva mio padre, quando ero più grande, mi parlava di questo 41 bis, che a sorpresa, durante la notte, o anche di giorno, quando stavano dormendo, entrava una squadra di carabinieri, di guardie penitenziarie, diversa…”

Ricciardi:“Non conosciuta?”

 Romeo: “Una squadra specifica, dove mettevano a subbuglio tutta la cella, tutta la stanza, e…perquisizione a manetta: spogliati, denudati; e so di un’altra persona, non mio padre, un altro detenuto che ho conosciuto, che per svegliarlo, oppure per dispetto, non lo so, gli lanciavano un secchio d’acqua fredda addosso.”

Ricciardi:“Proprio una tortura; poi molti hanno riferito di perquisizioni estreme: troppo frequenti, brutali.”

Romeo:“Un detenuto di cui ho saputo è arrivato a contare anche dieci perquisizioni a notte. Evidentemente lo volevano fare impazzire. A mia madre l’ha raccontato un detenuto che ho conosciuto.”

Ricciardi:“Davvero agghiacciante. Si era sentito di perquisizioni troppo frequenti: ad esempio, ad ogni colloquio, che già è notevole, perché, considerando che poi c’è pure un vetro, non si capisce il perché di perquisizione, anche estreme, così frequenti. Forse si potrebbe capire ad ogni passaggio ad un carcere nuovo, ma certamente mancano serie motivazioni per le perquisizioni frequenti e frequentissime.”

Romeo:“Poi, fino a 12 anni, i minori possono oltrepassare il vetro, e gli adulti venivano fatti uscire.”

Ricciardi:“ tu stessa non lo hai potuto abbracciare per lungo tempo, prima della revoca del 41 bis, e parlavate col citofono.”

Romeo:“ mi ricordo che, nonostante ci fosse il vetro blindato, ci facevano togliere le scarpe, per le perquisizioni.”

Ricciardi:“anche il vetro è molto criticabile, perché vengono comunque filmati questi colloqui, venivate filmati, si poteva evitare il vetro stesso.”

Romeo:“Certamente!”

Ricciardi:“Risulta essere una tirannia sul corpo, oltre che sulla mente”.

Romeo: “Sì, misure che la civiltà dovrà superare.”

aprile 8, 2021

IL CASO OLIVETTI.

E’ il titolo di un libro scritto da un’autrice americana, Meryle Secrest, che, disponendo di un’infinità di notizie di prima mano (in primo luogo, ma non solo, la famiglia, tra l’altro molto estesa, amanti e nipoti compresi) è in grado di raccontarci nell’arco di quasi un secolo, l’intreccio di vicende personali, assieme alla costante ricerca del nuovo e del progresso, che si trattasse di nuove macchine o dell’ambiente di lavoro, della centralità della ricerca o della proposta della politica come servizio alla comunità.Un bel libro. Ma anche sconsigliabile alle persone che, come il sottoscritto, possono assistere alla comparsa del Male ma solo se accomunata a una ragionevole speranza nella vittoria finale del Bene.Ma qui non c’è alcuna speranza di riscatto. Perché la causa è giudicata e senza possibilità di appello. Perché Adriano e il figlio sono morti da soli e senza lasciare un ricordo pubblico di sé e dei loro sogni né in un “dibbbatttito politico” né qualche serial televisivo. Perché l’Olivetti di Pozzuoli, con finestre aperte e vista mare e servizi sociali annessi è oggi altro. Perché le nostre eccellenze industriali sono scomparse a una a una e la spesa per la ricerca è andata all’ingiù. Perché l’Iri è stata liquidata vergognosamente. Perché la fila dei morti passati tranquillamente in conto profitti e perdite, e senza fiatare (che comprende, tanto per essere chiari, anche Olivetti, il suo più importante collaboratore e, beninteso, anche Mattei) si allunga senza fine: Ustica, Cermis, uomini di buona volontà uccisi, per, questo, in tutti gli angoli del mondo per finire con Regeni e, speriamo di no!, anche Zaky. Perché abbiamo obbedito come un sol uomo e su invito perentorio della più alta carica dello stato, all’invito di partecipare alla distruzione, a tutto nostro danno, della Libia di Gheddafi. Perché l’unico leader che abbia difeso la sovranità nazionale, leggi Craxi ha fatto la fine che ha fatto. Perché… E qui possiamo tornare alla nostra Autrice. Nella copertina di presentazione del suo libro, si parla di una “realtà innegabile”, leggi del fatto che per il complesso militare/industriale americano l’uomo, i suoi laboratori di ricerca, la sua azienda, le sue idee, rappresentassero una “minaccia che andava fermata con ogni mezzo”. (Aggiungiamo, a proposito di killer, che la Cia aveva licenza di uccidere, e senza restrizioni, tutti i veri o presunti nemici dell’America; Castro si salvò per miracolo N.d.A .).Un bel campo da esplorare, e una quantità di indizi, per gli specialisti della materia. Ma quello che mi incuriosisce e mi spaventa di più è la totale indifferenza con la quale il mondo dell’industria e quello della politica, comunisti compresi, seguono la lenta liquidazione dell’Olivetti e dello stesso futuro industriale.Il loro motto avrebbe potuto essere “se l’è cercata. Se avesse pensato solo a fare soldi non ci sarebbe stato alcun problema. Ma pretendere di propinarci il suo libro dei sogni e di spiegarci come si fa politica è stato francamente troppo”. Ecco allora la sordità ostile di Cuccia, l’assenza di qualsiasi sostegno da parte delle banche e del governo e, beninteso, la “damnatio memoriae”.Per chiudere, davanti a noi, una classe dirigente di cui il comun denominatore è la servitù volontaria e l’incapacità congenita di ragionare in termini di interesse nazionale.Perché?

aprile 8, 2021

CAT CALLING. L’ESPULSIONE DEI POVERI.

Da qualche giorno imperversa l’eco di un nuovo inglesismo. Cat calling. Il giornalismo sensazionalista, impegnato a ricercare la moltiplicazione dei click, impone senza soste stratagemmi linguistici presi in prestito dalle scuole di business. La colonizzazione dell’idioma d’impresa ormai viene accolta in ogni spigolo dell’esistenza. Il fenomeno non deve lasciare interdetti. La pubblica opinione tratta con scanzonata vacuità le cronache giornaliere, i tormenti psicologici, le profonde riflessioni dei patriarchi e dei rampolli che vanno a comporre quell’esclusivo club ricco e cosmopolita in grado di elevarsi – con inattaccabile merito – dalla melma scomposta dei popolani, i quali non avranno mai dimestichezza con parole tanto ricercate. Quest’assise di agiati ospiti del mondo tra un capodanno in Australia, un cocktail party a Montecarlo, una puntatina a New York e la messa in piega a Parigi suo malgrado è costretta a incrociare lo sguardo di qualche villano che ancora viene lasciato libero di toccare il suolo sacro dello jogging mattutino. Quella barbarie cafona che nei romanzi – tanto osannati dal conformismo postmoderno – di Don DeLillo è finalmente scomparsa dalla sensibile vista della lettura distratta e aristocratica consumata tra i vapori rigeneranti dei villaggi esclusivi. Si agogna un futuro rarefatto, delimitato da luoghi e presenze a immagine e somiglianza degli uffici sparsi per i continenti delle organizzazioni internazionali. Dove l’1% della popolazione mondiale e i suoi caddie si misurano nel glaciale galateo dei competenti. Le buone maniere un tempo riempite di francesismi grotteschi e sconclusionati, oggi ribattezzate politically correct, non servono a ristabilire quella distanza sociale che mortificava i non adatti. Delimitano il confine tra chi ha il buon diritto di difendere la propria condizione e chi non lo ha. Maledetto suffragio universale! Chi non sa esprimersi, chi alla vista di una donna graziosa non riesce che a emettere un grugnito, un fischio o un complimento poco ricercato non ha alcun diritto di cittadinanza. Lo si arresti per vagabondaggio anche se quel rozzo approccio sta lì a dimostrare la sua impotenza, il suo innocuo misurarsi con qualcosa di inarrivabile. Che i muratori impegnati nei labirinti dei tralicci o delle impalcature consumino i loro panini alla mortadella in campi di rieducazione. I centri storici, i quartieri residenziali diventino delle enormi gate community dove alcuna anima viva sarà in grado di disturbare il tempo libero, così illuminato e produttivo, delle giovani promesse impegnate nella ricerca di sé stesse. Quello spazio ultra-terreno dove la creatività artistica e imprenditoriale renderà orgogliosa la famiglia che ha investito in cotanto capitale umano. Mentre la mamma top manager è impegnata in una sacrosanta battaglia di civiltà denominata – ça va sans dire – gender gap, il marito top manager guadagna qualche milione di euro in più all’anno, i pupilli della buona stirpe non dovranno essere contaminati dal virus portato da qualche parassita. Quei fannulloni che non hanno cura del loro corpo, della loro anima. Che non si nutrono di innovazione. Che ancora stanno lì a vivere di novecento. Allora – inopinatamente – tutti o quasi avevano un lavoro, una casa, una discreta sicurezza (se ne erano privi lottavano con arroganza per la loro conquista) e nessuno si misurava con l’inebriante concorrenza pedagogica. Ingenua epoca in cui a un complimento, anche mal costruito, si rispondeva con una risata o con una ponderata indifferenza. In cui nei quartieri un “a bella” gridato o un fischio roboante non toglievano di certo il sonno alla figlia del dottore. Resta un solo dubbio. Se specificare che la molestia è un reato giustamente punito dal codice penale. Nell’odierno clima d’ipocrita perbenismo è forse necessario. O se sottolineare che la nostra società è intimamente violenta nonostante qualche liberale sia sollevato o gratificato dalla scomparsa della violenza politica o della conflittualità sociale. Oggi la violenza è ancor più spaventosa. La competizione individuale impone la continua affermazione di sé. La violenza è bulimica prevaricazione in cui l’altro non esiste. Per questo è gratuita, inarrestabile, esorbitante. Non prevede una fine con la conquista del potere o della roba. Ma rappresenta l’immagine di un soggetto che non deve avere ostacoli, imprigionato dall’obbligo sociale della prestazione perenne. L’uomo impresa la riversa in primis su sé stesso nelle sue forme autodistruttive e in seguito su chi si frappone alla conquista della sopravvivenza. Non ha generi. Costituisce l’essenza della concezione evolutiva della vita nei mercati. Non si relaziona con l’esterno. Quindi non ha pudore.