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novembre 27, 2020

Sicurezza individuale e collettiva, un compromesso possibile?

Sicurezza individuale e collettiva, un compromesso possibile?

Intervista di Antonella Ricciardi.

Conciliazione necessaria tra sicurezza individuale e collettiva, costruzione concreta dello Stato di Diritto, contro ogni discriminazione aprioristica tra detenuti e detenuti, l’emergere di stati più elevati di coscienza, per sensibilizzare verso diritti umani universali: sono questi ed altri i temi di questo dialogo con Monica Moschioni. Avvocata di Parma, è particolarmente ispirata, grazie alla sua limpida logica, espressa con dolce veemenza, nel  rendere l’esecuzione penale conforme ai principi di umanità della Costituzione. Tra i molti casi dei quali la dottoressa Moschioni si è occupata ricordiamo, tra l’altro, quello di Michele Pepe, deceduto purtroppo ancora giovane, in circostanze da chiarire. Si rimarca anche quanto numerosi  siano anche i casi di detenuti “parcheggiati”, anche stabilmente, in un centro clinico dipendente dal carcere, oltre che in qualche centro di cura esterno: come differimenti non ufficiali; si tratta forse di una via “intermedia”, tra  timori sulla sicurezza collettiva di diversi magistrati, e subentrare del dovere di cura dei medici. Viene esaminato soprattutto il caso di Parma, ma diversi sono i casi di persone, alle quali, in alcuni casi, non è stato tolto il 41 bis, non è stato dato differimento ufficiale della pena, ma sono in strutture diverse dal carcere, per seri problemi di salute: un caso emblematico tra i vari (pur non compreso tra quelli seguito dalla Moschioni), è quello di Vincenzo Stranieri, ex boss della Sacra Corona Unita, da anni una “casa di lavoro”: una fattoria in cui è confinato; Stranieri ha perso la libertà dal 1984, nonostante non abbia ergastoli e non abbia commesso omicidi.  Tornando  all’approfondimento con l’avvocatessa Moschioni, è importante ricordare che  ha collaborato con il collega Gaetano Aufiero, sostituendolo temporaneamente  per una udienza su eventuale differimento della pena, riguardo il  caso di Raffaele Cutolo. La vicenda  rimane nota, sia per il passato famoso, che per alcuni sviluppi più recenti: qualche anno fa, una petizione di 100.000 persone aveva chiesto gli arresti domiciliari per Raffaele Cutolo, in una villetta al Nord: persone che non sono certo parte della Nuova Camorra Organizzata, ormai non più attiva, e che aveva contato al massimo 7000 effettivi; si tratta piuttosto di una fetta della società civile  che chiedeva una attenuazione dell’intensità della pena, in un caso che era risultato estremo per durata della detenzione: un tentativo di non aggiungere male al male. Del resto, è possibile  spesso avvicinare alle istituzioni con lo Stato di diritto, e non con la pura repressione, che può invece, spesso, generare proprio disprezzo per autorità non sempre rispettose della legalità stessa e dei principi costituzionali. Tornando a sviluppi ancora più recenti,  l’avvocato Gaetano Aufiero è sempre, naturalmente, attuale difensore di Raffaele Cutolo: ha promosso ricorso in Cassazione contro un no alla revoca del 41 bis, in ottobre, oltre a portare avanti un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, al fine di far sì che l’Italia riconosca benefici anche senza collaborazione con la giustizia. Più volte, la Corte di Strasburgo aveva dato ragione a singoli detenuti contro la negazione automatica dei benefici; inoltre, in Italia, la sentenza numero 259 della Corte Costituzionale (Consulta), del 2019, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis, che vietava benefici, quindi attenuazioni del grado di attuazione della pena, senza collaborazione; il criterio fondamentale doveva essere semplicemente l’interruzione dei contatti con la criminalità: in quei casi, anche in caso di ergastolo dovrà essere possibile un parziale ritorno alla libertà, dopo 26 anni di carcere espiati. Il dialogo con Monica Moschioni è utile, comunque, anche per capire meglio alcuni aspetti attuali della situazione dell’ex boss della Nuova Camorra Organizzata, che in carcere era molto deperito, fino ad un tracollo nel 2020: Raffaele Cutolo era detenuto dal 1963, con pochi periodi di libertà, ed ininterrottamente dal 1979. Nel momento in cui era stato visitato in clinica, Raffaele Cutolo era in stato soporoso: un’alterazione dello stato di coscienza e dei meccanismi di sonno e veglia; le cause di ciò non sono sempre certe, ma a volte si registrano  in casi di interazioni non sempre positive con psicofarmaci e in situazioni di deprivazione sensoriale; nei fatti, la presenza di vetro divisorio per i detenuti al 41 bis, a volte per decenni, con coloro che li visitino (tranne che i propri avvocati e per minori di 12 anni), porta spesso i prigionieri a problemi legati a tale alienante deprivazione, dato il quasi totale annientamento della possibilità di  contatto fisico con gli altri. Successivamente vi sono stati alcuni miglioramenti, solo grazie alle cure esterne, ma l’incompatibilità con il carcere emerge dai fatti e permane. La domanda di differimento della pena, nel settembre 2020, era orientata affinchè tale pena potesse essere scontata in luogo diverso dal carcere: ad esempio, in una casa, o casa di riposo, o centro di cura; tale domanda non è stata ufficialmente accolta dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna (presidente Antonietta Fiorillo, a latere Marta Vassallo, coadiuvate da degli esperti), territorialmente competente  nonostante le condizioni di evidente bisogno di cure, e la motivazione consisteva nella considerazione che la situazione non sarebbe cambiata rispetto ad un primo ricovero ospedaliero, di febbraio-marzo 2020, e che lo stesso Raffaele Cutolo fosse ben curato anche attualmente, proprio in un centro esterno alla prigione. Eppure, proprio la considerazione che le cure fossero necessarie, può confermare le posizioni portate avanti dalla dottoressa Moschioni, poichè solo un centro esterno al carcere può garantire cure ed assistenza più specialistiche. Nei fatti, Raffaele Cutolo, considerato non dimissibile, rimane in un centro sanitario di cura, esterno al carcere: una situazione che si sta stabilizzando; proprio le valide cure nel centro sanitario esterno rendono evidente che una sistemazione adeguata debba essere definitivamente esterna alle più limitate possibilità di assistenza di una prigione… Cure talmente primarie, che hanno evitato un precipitare della situazione, per cui neanche la difesa si oppone attualmente alla permanenza in tale struttura; peraltro, l’accoglimento in un centro del genere era stato proprio richiesto meritoriamente ed ottenuto, a suo tempo, anche dall’avvocato Gaetano Aufiero; diversa la valutazione sul 41 bis, mantenuto (per disposizione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, con competenza accentrata) perfino all’esterno del carcere, e ritenuto dalla difesa  del tutto ingiustificabile, dato il non rispetto dei fatti, in merito all’impossibilità di contatto con una organizzazione deviante che non esiste più, alla dichiarata chiusura con la camorra già da decenni, ed all’avere ignorato nei fatti la sentenza della Corte Costituzionale.

Ricciardi:  “Si è occupata di numerosi casi relativi alla tutela della salute dei detenuti, per il rispetto del diritto e dei diritti. Sicurezza collettiva ed individuale non devono essere in contrasto, sul piano dei principi, ma in che percentuale pensa vi sia realmente tale conciliazione di esigenze, per la sua esperienza personale, e forse in generale?”

  Moschioni: “Il carcere di  Parma, poi, ospita una tipologia di detenuti un po’ particolare: nel senso che abbiamo detenuti di alta sorveglianza, classificato con AS1, AS3, e poi la tipologia del 41 bis. Rispetto a loro, abbiamo anche quelli nel Sai, il vecchio centro clinico: è per detenuti con patologia, vi vengono mandati detenuti da tante carceri italiane…se parliamo di detenuti con una caratura criminale elevata, considerati dalla Direzione Nazionale Antimafia di un certo tipo, che per tali informative rappresentano un rischio per la sicurezza, e con una percentuale di “scorrimento” chiaramente è  molto più bassa. Poi ci sono detenuti del sistema di media sicurezza, quindi del circuito per reati comuni, quindi per  non per reati associativi, o reati collegati; per reati associativi l’incidenza è molto maggiore. Il carcere di Parma è un ambiente particolare. La mia esperienza non è stata particolarmente felice; l’avere individuato per questo carcere anche un centro clinico, anche per le cure per detenuti, soprattutto nella diagnosi iniziale,  con condizioni croniche, sia per detenuti EIV [elevato indice di vigilanza, n.d.r.], che comuni, che del 41 bis,  si presuppone che debbano essere strutture in grado di fornire tutta la gamma di terapie: anche intensive, anche di lunga durata. Oggi stesso ero in Tribunale di sorveglianza, per la discussione di alcuni fascicoli relativi a miei assistiti: alcuni sono di media sicurezza, quindi per reati contro il patrimonio: parlo di furti, furti aggravati, e rapine, e reati invece di associazione, in esecuzione pena,  per il 4 bis.”

 Ricciardi: “Questi ultimi,  diciamo, contro la sicurezza dello Stato..”

Moschioni : “Ad alta sicurezza. Ecco, in questo caso la valutazione da parte del carcere è molto differente: per detenuti che espiano questi reati, hanno molta più attenzione alla sicurezza che a quella che dovrebbe essere la tutela della salute: contrariamente a quello che sarebbe il disposto normativo del nostro ordinamento penitenziario, che prevede una tutela del diritto alla salute indipendente dal tipo di reato che si sta espiando, che deve essere indipendente, in teoria, dal fatto che si sia dissociati da un certo tipo di reato.”

Ricciardi: “Il diritto alla salute deve essere inalienabile…”

 Moschioni: “In effetti, il diritto alla salute è riconosciuto costituzionalmente, per tutti i cittadini, indipendentemente se sia cittadini che stanno espiando una pena, quindi le esigenze di sicurezze non dovrebbero collidere  con la cura.”

Ricciardi: “Credo poi che misure di sicurezza ci debbano essere anche nel centro clinico, per conciliare le esigenze“.

Moschioni: “Il centro clinico, per come è stato previsto dall’amministrazione penitenziario, dovrebbe essere una sorta di contenitore autosufficiente, cioè dovrebbe essere in grado di ospitare i detenuti che hanno necessità di una diagnosi, e fornire le cure, per poi trasferirli, eventualmente, in centri specializzati, in reparti ospedalieri, che non sono compresi nelle amministrazioni penitenziarie, o in detenzione domiciliare. Quando sono nel centro clinico, chiaramente, sono rispettate tutte queste esigenze di sicurezza. Il centro clinico nei fatti è un’ala del carcere, con tutte le misure di sicurezza: la polizia presidenziale, le sbarre… Gli stessi detenuti, nell’ambito del centro clinico, dovrebbero godere semplicemente di una presenza costante del servizio infermieristico e del servizio medico. L’unica differenza, rispetto ad una detenzione ordinaria, è che non c’è la visita a richiesta, ma dovrebbe esserci un presidio medico, un presidio infermieristico, costante: h 24, quindi è per persone non autosufficienti, detenuti in carrozzina, o che hanno delle tetraplegie, e così via, perchè ospitiamo appunto una sezione di minorati fisici, con situazioni croniche, per cui necessitano costantemente di un’assistenza. Si tratta di assistenza di vari tipi, anche dalla pulizia della cella, alla doccia, alla propria igiene personale… Il punto è che poi ci si scontra con le carenze organiche, e con le esigenze del personale. Finchè  i detenuti rimangono in un  carcere come quello di Parma, la sicurezza è la maggiore esigenza tutelata; detto questo, riescono però ad avere delle cure specialistiche. Faccio un esempio: la fisioterapia, che dovrebbe essere una delle motivazioni per le quali  vengono portati a Parma, può essere richiesta, ma noi non abbiamo un fisioterapista fisso, che sia in grado di dare un’assistenza quotidiana ad un detenuto con una certa patologia neurologica, che dovrebbe avere una medicazione quotidiana, per mantenere un minimo di autonomia. L’indicazione della concreta amministrazione penitenziaria è un po’ diversa dalle prescrizioni generali, teoriche… Questa è una questione anche di capacità economica: di fondi che vengono stanziati, questo è il problema”.

Ricciardi: “Certo, suppongo comunque che essere curati in questo centro clinico sia meglio che essere curati nell’infermeria del carcere.

Moschioni: “”Il centro clinico, garantisce quantomeno la presenza di infermieri e medici in modo continuativo, h 24, per cui l’eventuale emergenza potrebbe essere risolta con maggiore rapidità: non significa, però, che tutto possa essere risolto all’interno del carcere. Per questo motivo, molti detenuti devono fare riferimento alla struttura ospedaliera più vicina: parlo di un ospedale civile, che principalmente è il punto di riferimento dei detenuti, oltre al centro clinico…perchè ha una sezione, un reparto detentivo, e quindi degli ambienti ospedalieri controllati, che sono garantiti all’interno della struttura ospedaliera pubblica, nei quali possono appunto ottenere le cure dai sanitari stessi. Sono quindi equivalenti a celle, in regime di  sicurezza, ma hanno le stesse caratteristiche fisiche delle stanze ospedaliere, però sono isolate dal resto della struttura ospedaliera, senza contatto col resto, ma possono essere raggiunte agevolmente da medici, infermieri, Oss, che fanno servizio per quell’area…; però la differenza è l’intervento più rapido del medico, che potrà poi smistare il detenuto bisognoso di cure più urgenti, per una diversa terapia, per una cura farmacologica, o fare una visita per una eventuale problematica nuova, o rimodulare una terapia… Del resto, purtroppo il carcere di Parma è diventato una sorta di “cronicario: lo dico con un termine un po’ crudo”…

Ricciardi: “Può darsi che a volte, invece di dare un differimento ufficiale, molti vengano “parcheggiati” in qualche centro, dipendente dal carcere, e non solo?”

Moschioni. “Vengono parcheggiati lì, in queste circostanze. Ci sono comunque caratteristiche differenti tra la situazione a Parma e, ad esempio, il carcere di  Milano Opera, che credo possa approfittare di una ricettività di strutture ospedaliere esterne lombarde maggiore, perchè Milano per fortuna ne ha molte, più specializzate e molto migliori, maggiori. Il carcere di Parma ha queste caratteristiche un po’ di “stagnazione” , con il centro clinico, dove si rimane, con assegnazione di un posto letto, per un lungo periodo. Per sua natura, invece,  quando è stato studiato questo reparto, centro clinico, avrebbe dovuto prevedere una turnazione, cioè si tratterebbe di una diagnosi, di una individuazione di una terapia, di un apprestamento di cure specialistiche, e poi un rientro nella sezione ordinaria. Questo dovrebbe essere l’iter: è come se si andasse parcheggiati in pronto soccorso per un lungo periodo; uno ci dovrebbe andare semplicemente per avere un intervento urgente. In questo momento, il problema parmense è avere un  numero di persone che non si spostano da questa struttura, per cui evidentemente c’è un difetto…  La sua natura doveva essere quella, doveva essere una nuova sezione detentiva, nella quale  si andava a trascorre la propria detenzione, e non necessariamente porta ad un miglioramento della condizione clinica, perchè, se si rimane in quel contesto, semplicemente si ha un monitoraggio un po’ più frequente. Per un detenuto al centro clinico, magari, la visita è quotidiana… E se ci sono delle emergenze, viene segnalato all’igiene pubblica ed alla salute pubblica, alla sanità pubblica, per andare, ad esempio, a fare un accertamento strumentale maggiore. Il problema è che abbiamo delle liste d’attesa, proprio perchè è diventato un modello di cronicario, con  una lista di attesa molto lunga, con posti limitati.  L’ultima lista di attesa, del nostro garante locale, portava una lista di attesa di 150 detenute, cioè persone venute da altre strutture penitenziarie, che dovrebbero essere collocate fisicamente nella struttura al centro clinico, ma poichè i posti sono esauriti, sono attualmente nella sezione ordinaria, e accedono semplicemente alle visite mediche, all’interno del centro clinico. Non è la stessa cosa: è una situazione in cui occorre sempre chiamare il medico, per potere avere l’intervento; chiamare da una sezione all’altra significa aprire i cancelli, avere un agente che intervenga, che si accorga dell’urgenza, che effettui la chiamata; faccio un esempio: un cardiopatico, se dovesse avere un evento urgente, nel cuore della notte, se collocato in un’area ospedaliera, potrebbe avere un intervento immediato, in pochi minuti. Se fosse invece collocato in una sezione detentiva ordinaria, invece che al centro clinico, potrebbe invece attendere per 20 minuti, prima avere un  intervento.”

Ricciardi: “Bisognerebbe prevenire

Moschioni: “Infatti; potrebbero essere anche i tempi che fanno la differenza tra un intervento tardivo e non. Facciamo invece l’esempio di una persona, ridotta in carrozzina, per  effetto di una patologia degenerativa neurologica: a quel punto, in caso di necessità di intervento, la differenza non è così eclatante, perchè potrebbe esserci una sensazione di dolore, che si protrae  per giorni, ma l’intervento tardivo non va ad incidere sulla possibilità di decesso. Questo è il problema”.

Ricciardi: “Può darsi, a suo avviso, che questa tendenza a parcheggiare in centro clinico sia frutto di una tendenza alla remora nel dare differimento, chissà? Forse remore per motivi di sicurezza, forse un po’ troppo in primo piano.

Moschioni: “C’è stato questo tipo di involuzione. I magistrati, sulla sicurezza, sono stati più orientati a mantenere la prigionizzazione, a mantenere i detenuti, soprattutto di certi regimi, e quindi con una certa pericolosità sociale, all’interno del carcere: quindi sì, può essere”.

Ricciardi: “Però la legalità è anche garantire la salute, il carcere non deve diventare luogo, in qualche modo, di illegalità, e la sicurezza deve essere sicurezza di tutti...”

Moschioni: “In realtà la Corte di Cassazione è intervenuta più volte nell’annullare con  rinvio le ordinanze di magistrati di sorveglianza, ed anche di magistrati di Bologna, stabilendo che il rispetto del diritto alla  salute passi non solo attraverso la totale incompatibilità con la detenzione, ma anche nell’ipotesi in cui non siano state apprestate tutte le cure, di cui il malato avrebbe avuto bisogno, o alle quali avrebbe potuto accedere, se si fosse trovato in una situazione non detentiva. Non necessariamente devono essere disposte misure alternative al carcere, quindi misure extramurarie. Un’altra possibilità è la permanenza in strutture ospedaliere, insomma, centri sanitari, perchè non necessariamente si arriva alla detenzione domiciliare, a casa propria. Su ciò c’è una grande ambiguità,  soprattutto in termini di comunicazione pubblica”.

Ricciardi:”Si può disporre misura alternativa anche in una casa di cura: qualcosa di intermedio: non piena libertà, ma qualcosa di più morbido rispetto al carcere.”

Moschioni: “Infatti: detenzione domiciliare non vuol dire solo andare a casa propria. A volte, la propria abitazione potrebbe non essere la soluzione corretta, per condizioni di salute gravi. Ci può essere una struttura ospedaliera, a volte anche una struttura privata, una struttura convenzionata,  accreditata, che fornisca la possibilità di  ricevere quelle cure che purtroppo, in carcere, non sono possibili. A volte l’equivoco con la comunicazione è anche questo: credo che il grosso equivoco che c’è stato, soprattutto nel periodo, diciamo, “covid”, il periodo dell’emergenza sanitaria, che poi ha determinato, secondo me, delle storture,  con dei decreti, per cui sono intervenuti con dei correttivi, a mio parere inidonei a fronteggiare la situazione. L’impressione è che i detenuti venissero ammessi alla libertà, come se venissero beneficiati di un regalo, e che fossero liberi di scorrazzare…”

Ricciardi: “C’è stata quindi una comunicazione errata

Moschioni: “Esatto. In realtà, non era questo”.

Ricciardi: “Una comunicazione con delle carenze, con delle omissioni

Moschioni: “In realtà, le richieste non erano queste, ma neanche i provvedimenti che sono stati emessi, perchè nei provvedimenti che ho potuto visionare io (ma probabilmente nella totalità dei provvedimenti), emessi dal magistratura di sorveglianza, dagli uffici di sorveglianza, in via provvisoria,  o in via definitiva, dei Tribunali di sorveglianza territoriali, collegiali, erano dei provvedimenti che, spesso e volentieri, stabilivano dei collocamenti in strutture ospedaliere, o che stabilivano dei collocamenti a casa, per l’accesso continuativo alle cure per le strutture ospedaliere, quindi non era libertà dall’esecuzione della pena: ci sono delle prescrizioni, delle indicazioni specifiche, la possibilità di muoversi sul territorio, in alcuni casi  solo con l’accesso a cure ospedaliere, quando il carcere non sia in grado di fornire.”

Ricciardi: “Certo, è chiarissimo, ma già prima dell’emergenza covid c’erano dei problemi, e c’era stato, tra quelli da lei trattati, il caso tragico di una persona, non ammessa, forse nei tempi giusti alle cure: Michele Pepe detenuto per camorra, passato dal regime del 41 bis ad uno meno estremo, sebbene, comunque, di alta sicurezza. Michele Pepe è purtroppo deceduto a soli 48 anni, nel 2018. Data la concomitanza quasi completa tra decisione di nuova incarcerazione ed infarto, si è fatto abbastanza per chiarire se si sia trattato di una tragica fatalità o forse c’erano elementi emersi per continuare le cure nel centro specializzato?”

Moschioni: “Quella con Michele Pepe, per quanto mi riguarda, è stata purtroppo un’esperienza negativa: nel senso che Michele Pepe ha avuto un iter piuttosto, diciamo, “movimentato”. Era stata richiesta la detenzione ospedaliera, in questo caso, poi trasformata  in detenzione domiciliare, perchè non si era riusciti ad individuare una struttura idonea ad ospitarlo: lui aveva una serie importante di patologie.”

Ricciardi: “Giovane ma con patologie

Moschioni: “Esatto. Si è dovuti, purtroppo, arrivare nelle more dell’accertamento, di questa sua  incompatibilità della sua situazione con il carcere. Nel suo caso, si è dovuti arrivare purtroppo ad un evento critico: è stato ricoverato in situazione di urgenza all’ospedale”.

Ricciardi: “Ospedale esterno, e non centro clinico

Moschioni: “Sì. Era stato ricoverato in situazione di criticità assoluta: era entrato in ospedale in stato comatoso, quando appunto il carcere non poteva essere più in grado di fare nulla, per cui ha dovuto accedere alle cure della rianimazione. In quel caso gli era stato concesso: l’ospedale era stato in grado di risolvere la situazione, quantomeno a riportare la criticità ad un livello di stabilità; quindi, era stato ammesso alla detenzione domiciliare, dopo avere avuto un lungo periodo di ricovero ospedaliero, in una condizione di totale incoscienza, perchè aveva avuto, appunto, un periodo di coma”.

Ricciardi: “Era proprio molto grave…”

Moschioni: “Sì, e aveva avuto patologie respiratorie molto serie. Era riuscito ad avere un recupero sostanziale, nella detenzione domiciliare,  per le sue patologie critiche;  a quel punto, poichè la sua pena non prevedeva la possibilità di una detenzione domiciliare fino alla sua fine, perchè tale pena era ancora abbastanza lunga, gli è stata concessa la detenzione domiciliare a termine, con un termine di durata. Alla fine di questo periodo, è stato riportato in carcere, perchè aveva raggiunto un livello di stabilità clinica accettabile”.

Ricciardi: “Ma neanche nel centro clinico dipendente dal carcere; era stato messo proprio nel carcere “in senso stretto”? Era in cella?”

Moschioni: “In senso stretto, sì. Era in cella, in sezione ordinaria. Aveva avuto intanto, poichè nelle ore era scaduto il termine del regime differenziato del 41 bis. A quel punto, era stato trasferito dal regime differenziato, ad uno del circuito di  alta sicurezza”.

Ricciardi: “Qualcosa di minore, seppure ad alta sorveglianza, rispetto al grado più estremo del 41 bis“.

Moschioni: “Sì, anche perchè il suo quadro clinico era tale, da recidere del tutto la sua pericolosità sociale: era stato anche, appunto, in stato comatoso, poi era rientrato in carcere, con una valutazione di minore pericolosità sociale: non è stato più applicato il regime del 41 bis, che nelle more era scaduto, e non gli è stato rinnovato. Era comunque in un regime di alta sicurezza, ma minore.  Rientrato in carcere, però quelle patologie, che erano così importanti, hanno subito un nuovo aggravamento, perchè purtroppo lui era una persona che doveva essere proprio seguita: le sue patologie erano croniche. Nelle more di questa nuova detenzione, in carcere, intramuraria, è stata presentata una nuova istanza, di detenzione domiciliare per consentirgli di avere una nuova possibilità di cura, e purtroppo, quello che era stato segnalato da me come difensore, cioè che lui si trovava in una condizione di estrema gravità, che lo rendeva incompatibile con la detenzione intramuraria, non ha avuto un ascolto dalla magistratura di sorveglianza: è stata attivata una procedura, per l’accertamento della sua incompatibilità, con un tempo più dilatato rispetto alla gravità della situazione, per cui è deceduto prima di avere un accertamento da parte del Tribunale. Una seconda udienza avrebbe dovuto verificare le condizioni di salute: in quel caso, ritengo ci sia stata una sottovalutazione della gravità. Per la verità, è stato instaurato un procedimento penale per l’accertamento di eventuali colpe mediche, comprovate responsabilità, con riferimento a questo decesso, avvenuto in un momento in cui era ancora pendente un procedimento per l’ottenimento della detenzione domiciliare. “

Ricciardi: “Ma l’autopsia ha detto qualcosa? Siete all’appello?”

Moschioni. “Siamo in attesa di capire meglio gli sviluppi, nel senso di registrare che il decesso è avvenuto proprio per una delle patologie che erano state segnalate, una delle patologie più gravi. non era più in coma, ma le patologie erano comunque gravi.”

Ricciardi: “Quindi si sapeva qualcosa

Moschioni: “Sì, e ne aveva svariate, e bisogna capire se ci sia stato qualcosa di sbagliato, perchè un decesso di una persona di 48 anni, nata nel 1970, quindi addirittura prima dei suoi 50 anni è ad un’età ancora decisamente giovane prematura, per una morte naturale, di solito. Si dovrà chiarire su eventuali responsabilità. Non è purtroppo però la prima volta, e lo dico non con tono polemico, ma con dispiacere, che un mio assistito decede in carcere.. Tornando a Michele Pepe, consideri che lui aveva, tra le sue patologie, un problema polmonare importante, che aveva comportato la necessità di mettergli, per almeno 18 ore al giorno, un respiratore: una terapia di ossigeno, per cui avrebbe dovuto, in una condizione ottimale, ottenere un miglioramento complessivo della sua condizione fisica, per arrivare ad essere affrancato da questa dipendenza, dall’ossigenoterapia. Gli esiti degli accertamenti da parte della Procura della Repubblica di Torino non sono stati ancora del tutto chiariti, comunque pare che il decesso sia avvenuto per un arresto cardiaco, ma per una insufficienza polmonare. Esattamente i problemi che lo avevano portato, all’epoca, ad entrare in ospedale, in uno stato comatoso”.

Ricciardi: “Una vicenda che si commenta, forse, da sola..”

Moschioni: “Si commenta da sola..”

Ricciardi: “Si continueranno, comunque, gli accertamenti… Un altro caso ancora del quale si è occupata è quello famoso di Raffaele Cutolo, in sostituzione temporanea dell’avvocato Gaetano Aufiero, che è tuttora il suo avvocato storico. In collaborazione, quindi, con l’avvocato Aufiero (che aveva chiesto la revoca del rinnovo del 41 bis), lei ha richiesto differimento della pena, cioè che potesse essere scontata in luogo diverso dal carcere: ad esempio una casa, o un centro per anziani, e con assistenza.”

Moschioni: “Avevo anche richiesto che potesse essere seguito presso una struttura ospedaliera,  perchè mancava una parte degli accertamenti.”

Ricciardi: “Il medico chiesto da Aufiero

Moschioni: “Sì, esatto”

Ricciardi: “E non era neanche di Ottaviano. E lui poi è andato in centro clinico o direttamente altrove?

Moschioni: ” Lui è andato in un reparto dell’ospedale di Parma.”

Ricciardi: ” Direttamente in un centro sanitario del tutto esterno al carcere

Moschioni: “Sì, è un centro esterno, fuori dalla struttura penitenziaria,  in un reparto che viene riservato a coloro che vengano da strutture detentive; comunque, è un reparto non per espiazione delle pene, ci si va a causa quando si entra in urgenza. Normalmente si viene ospitati in questo reparto detentivo, che prevede un pernottamento, cioè se il detenuto non deve semplicemente andare a fare solo una visita, piuttosto che un accertamento, radiografico, o ecografico, o che quel che sia, ma si deve avere un check up, che prevede un pernottamento in ospedale: è un reparto detentivo presso l’ospedale, oppure se avviene un evento critico: ad esempio, per un detenuto che un infarto, un ictus, o deve subire un accertamento, o  per un intervento chirurgico. Di solito però è per un periodo temporaneo: si arrivano ad effettuare gli accertamenti che sono previsti, gli interventi di urgenza. Nel caso del signor Cutolo si sta verificando una cosa abbastanza anomala…”

Ricciardi: ” Che sta diventando collocazione definitiva?”

Moschioni. “Perfetto“.

Ricciardi: “Meglio che stare in carcere, ma comunque una strana situazione, di non differimento ufficiale e di non carcere

Moschioni:  “Infatti, se un detenuto rimane in una sezione detentiva, in ospedale, è evidente che le situazioni sono due: o ha una tale situazione di gravità, per cui gli interventi di urgenza sono continuativi, sono tutti i giorni, oppure è assolutamente inidoneo a rientrare presso una struttura detentiva, e, a questo punto, normalmente doveva scattare il differimento”.

Ricciardi: “Addirittura è lampante che questa in teoria doveva essere la logica normale. Quindi, sicuramente è un bene che venga curato meglio lì, ma appunto è particolare questa situazione atipica: una situazione che somiglia a quelle simili del centro clinico..”

Moschioni: “E’  esattamente  l’esempio che le ho fatto prima: è come se un cittadino, libero da misure detentive, accedesse ad un pronto soccorso, e poi vi rimanesse a dormire, per un tempo indefinito”.

Ricciardi: “Come se fosse la sua casa, in mancanza di possibilità migliori immediate, fattibili. La questione del regime da applicargli  non è chiusa, perchè vi sarà ricorso in Cassazione contro il rinnovo del 41 bis. Lei in che condizioni aveva trovato Raffaele Cutolo quando lo aveva incontrato? E cosa pensa di questa temporanea battuta d’arresto di richieste di misure meno drastiche nei suoi confronti? Ricordiamo che l’aspetto medico della questione è prevalso, per merito anche alla direzione sanitaria del carcere di Parma, che lo ha fatto ammettere in centro sanitario esterno, e che è un fatto che la Nuova Camorra Organizzata non esista più dalla metà degli anni ’90 circaInoltre la Corte Costituzionale, nel 2019, aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis, che vieta benefici senza collaborazione con la giustizia.”

Moschioni: “Io purtroppo ho avuto sempre la sfortuna di trovarlo sempre in  una situazione di non presenza a sè stesso, nel senso che non era in grado di interloquire: non abbiamo avuto occasione di scambiare delle parole, perchè lui era in stato soporoso, e non era in grado di rispondere a delle mie domande: quindi, non sono neanche sicura che riuscisse ad ascoltarmi, e riuscisse a comprendere quello che io gli chiedevo. Poi, ha avuto un miglioramento,  veramente è stato aiutato”.

Ricciardi: “Sì, un miglioramento anche nel tornare a riconoscere moglie e figlia, ad esempio; però, comunque, non è dimissibile“.

Moschioni: “Sì, non è dimissibile;  diciamo che il signor Cutolo ha una situazione che probabilmente è quella tipica di una persona anziana, con un aggravamento ormai irreversibile della sua condizione di salute”.

Ricciardi: “Certo non ringiovanisce…”

Moschioni: “Esattamente, non diventa nè più giovane nè più sano, ammenochè non si possa considerare un miracolo! Ha delle patologie croniche: di miracoli io ne ho visti pochi…”

Ricciardi: ” lei che ne pensa di questa tendenza, anche con altre persone, di avere difficoltà a prendere provvedimenti più netti, quando l’incompatibilità con il carcere emerga?

Moschioni: “Io sono assolutamente una sostenitrice strenua del rispetto del nostro ordinamento penitenziario, e prima ancora della Costituzione. Il nostro ordinamento penitenziario contiene veramente tutto quello che serve, e non è neanche necessario fare riferimento ad altro”.

Ricciardi: “Ed i fatti qua sembrano parlare“.

Moschioni: “Le norme sono assolutamente chiarissime, cioè nel senso che, nella misura in cui c’è un bene superiore, che è quello della salute, e del diritto alla vita, che è superiore a qualsiasi altro diritto”.

Ricciardi: “Certo il diritto alla salute c’entra a volte con il diritto alla vita, in molti casi“.

Moschioni: “In questi casi bisogna avere un rango, una categoria, un ordine di grandezza prevalente rispetto agli altri diritti. Chiaramente, vanno commisurati, messi sui piatti della bilancia, ma con un’attenzione prevalente. Nel caso del signor Cutolo, per quanto riguarda la situazione, il rigetto della richiesta di differimento pena, nella forma della detenzione domiciliare, non è stato, ad oggi, presentato il ricorso per Cassazione: eventualmente, verrà rivalutata, in un secondo momento, una nuova istanza di detenzione domiciliare, perchè, per fortuna, lui attualmente sta avendo quelle cure, che erano l’obiettivo dei familiari.”

Ricciardi: “Ma è anche un merito della casa circondariale  di Parma, che lo ha messo fuori (per quanto non libero del tutto): nel senso che ha permesso delle cure migliori?

Moschioni: “Diciamo che, in questo caso, io credo che ci sia stata una coincidenza fortunata, chiamiamola così, cioè la presenza di un accertamento sulla compatibilità o meno delle condizioni di salute del signor Cutolo, ha portato il carcere di Parma ad una maggiore attenzione, perchè deve comunque relazionare il Tribunale, rispetto al trattamento terapeutico che è stato posto in essere; quindi, i sanitari, in modo molto coscienzioso, devo darne atto, hanno ritenuto che fosse il modo migliore per assicurare il prevenire problematiche maggiori. Parliamo anche del fatto che il signor Cutolo avrebbe avuto il rischio di cadute accidentali, assolutamente pericolosissime per una persona anziana. Parlo per esperienza personale, ma anche per il comune sentire: quante volte, per un ottantenne, una caduta, una frattura del femore, può incidere su patologie pregresse, che possono portare al decesso. E questo rischio, per persone vicine a quell’età, non è minore se il paziente si chiama Cutolo”.

Ricciardi: “Bisogna evitare tutto quello che si può evitare in questo, senso, con più assistenza“.

Moschioni: “Esatto: quindi, in questo caso, l’attenzione, il focus sul carcere di Parma, ha portato i sanitari ad avere, secondo me, un’attenzione maggiore, un’attenzione più elevata: quando hanno ritenuto che non fosse più possibile prevenire in carcere…Quando hanno visto che il signor Cutolo non era in grado di autogestirsi, neppure con l’aiuto di un piantone,  che potesse aiutare nel pulire la cella, che potesse prendersene cura nel gestire l’igiene personale, hanno preferito farlo monitorare in ambito ospedaliero: credo sia  stata una scelta molto intelligente, da questo punto di vista, da parte dell’ avvocato Aufiero, di non impugnare quella ordinanza, in presenza della situazione attuale, perchè le cure in ospedale sono fondamentali. Diversa è invece la valutazione sull’applicazione del regime differenziato, per cui lui, per assurdo, si trova collocato nella sezione detentiva dell’ospedale di Parma, ancora sottoposto al regime differenziato del 41 bis, perchè per il Tribunale di Sorveglianza di Roma può essere soggetto potenzialmente ancora in grado di mantenere i collegamenti contatti con la criminalità organizzata”.

Ricciardi: “Con la Nuova Camorra (NCO) che non c’è più?

Moschioni: “Con la Nuova Camorra (NCO) che non c’è più!”

Ricciardi: “Comunque è cambiato il contesto, cioè al di là del fatto che può essere cambiata la persona: sono passati molti, molti anni.”

Moschioni: “Certo è cambiato, ma prima di fare valutazioni sull’esistenza, solo in passato, di un certo tipo  di criminalità organizzata, penso non sia in grado di trasmettere messaggi, di mantenere contatti: questa persona non è sempre presente a sè stessa in modo consapevole, c’è una degenerazione legata ad una malattia cronica, che ormai è legata alla sua età, ed è legata ad una degenerazione cerebrale: è chiaro che diventa difficile pensare che possa tenere contatti con chiunque, perchè ci sarebbe una sorta di capacità discontinua, nel momento in cui ha problemi ad interloquire con gli altri”.

Ricciardi: “Lui più volte, comunque, ha detto di avere chiuso con la camorra, pur non avendo collaborato; insomma, ci possono essere molti motivi dietro una non collaborazione: non è facile uscire attivamente dalle mafie, ma non è detto che  sia più collegato, e non è detto che voglia esserci ancora realmente“.

Moschioni: “Anche la Corte Costituzionale, in tempi recentissimi, ha dato questa lettura, finalmente, della questione”

Ricciardi: “A volte, non si fanno i nomi degli altri perchè si temono, in quei casi, rappresaglie, perchè si è contrari a delazioni“.

Moschioni: “La Corte Costituzionale ha sostenuto finalmente il diritto di difesa, anche senza collaborare, che significa anche difesa di sè, della propria famiglia, da rischi per l’incolumità personale. La collaborazione non significa sempre e solo una scelta personale, potrebbe implicare delle conseguenze a cascata sui propri familiari.”

Ricciardi: “Nessuna delle due è scelta facile, è chiaro;  comunque, dottoressa,  in quei giorni, immediatamente precedenti al trasferimento di Raffaele Cutolo, c’era stata in effetti più attenzione sul tema, con vari servizi d’informazione, tra cui anche con un programma di Radio Radicale in favore dei diritti di tutti, anche dei suoi. Lei pensa che una informazione corretta quanto possa aiutare le coscienze? .”

Moschioni: “Sì, l’informazione corretta è fondamentale. Io credo che sia stata fatta, in contemporanea alla questione della scarcerazione dei boss, una disinformazione assoluta: mi riferisco in particolare ad alcune trasmissioni televisive”.

Ricciardi: “Al tempo della prima emergenza covid?”

Moschioni: “Al tempo della prima emergenza covid, che purtroppo tempo si riproporrà a breve, perchè non escludo la possibilità di ritornare ad una situazione simile, quantomeno numericamente”.

Ricciardi: “Anche perchè molti di questi detenuti per mafie sono molto anziani, e quindi sono proprio loro i più a rischio, e  bisognosi di cure

Moschioni: ” Per citare la situazione che io vivo a Parma, bisogna dire che molti di questi detenuti sono con delle pene perpetue, con condanne all’ergastolo, o condanne trentennali, che magari sono arrivate ad essere pronunciate a distanza di 20 anni, dalla commissione dei fatti, quindi non è così anomalo trovare delle sentenze di condanna all’ergastolo, che vengono pronunciate per fatti degli anni ottanta, che diventano irrevocabili 20-25 anni dopo. In questi casi,  la persona probabilmente ha raggiunto anche un’età anagrafica elevata. La detenzione per un lungo periodo di tempo può essere un fattore di aggravamento di una serie di condizioni di salute. Sebbene l’informazione pubblica faccia spesso disinformazione, faccia pensare che i detenuti abbiano tutti beni per godersi la vita; si critica perfino che abbiano la televisione… in realtà la ristrettezza in un ambiente in cui non c’è la possibilità di esercizio fisico più accentuato, incide.”

Ricciardi: “La detenzione in sè è una pena quasi corporale?”

Moschioni: “In parte è una pena corporale”.

Ricciardi: “In parte lo è, quindi, non nel senso di violenza attiva, ma in altro senso sì

Moschioni: “Assolutamente sì, perchè l’incidenza di patologie cardiologiche, che sono collegate ad una situazione di restrizione, di stress, di limitazione proprio fisica, per cui non si riesce a mantenere quella salute del corpo, che dovrebbe andare di pari passo con l’aumento dell’età. E’ chiaro che  molti detenuti di 70 anni, 80 anni, 85 anni, in condizione di libertà, potrebbero ambire ad una vita un po’ più lunga, arrivano con una serie di patologie, che li rendono chiaramente più fragili. Quindi preservare la salute in ambito penitenziario, a mio avviso, significherebbe anche fare una politica collettiva e sociale di diminuzione dei costi, cioè l’ammissione di detenuti a misure esterne, come la detenzione domiciliare, che poi non sono misure alternative: in questo caso, sono modalità differenti di esecuzione della pena. Per misure alternative io intendo tutte quelle modalità che prevedono un comportamento attivo: dalla possibilità di partecipare ad una risocializzazione, con il lavoro, con la partecipazione alla vita dello Stato”.

Ricciardi: “Sono tutte molto minori, insomma, le prime attenuazioni

Moschioni: “La detenzione domiciliare, in caso di situazioni di salute fisica danneggiata, è semplicemente una modalità diversa di eseguire la pena; sarebbero, però, costi molto minori, quelli a carico dei cittadini, per il servizio sanitario nazionale: perchè un detenuto malato, all’interno del carcere, anche per prevenire danni gravi, è sottoposto ad una serie di visite, di controlli, di accertamenti diagnostici, che sono molto maggiori di quelli cui verrebbe sottoposto, se fosse detenuto affidato alle cure della famiglia, in un ambito detentivo in un ambito domiciliare, in un ambito pure molto ristretto”

Ricciardi: “Certo, sarebbero conciliati sicurezza collettiva e risparmio

Moschioni: “Certo, ci sarebbe un risparmio, senz’altro. Io vedo il quadro clinico, ad esempio in vista di un’udienza di oggi: racconto di problemi dei miei assistiti, che avevano un peso specifico proprio elevatissimo: si dovevano prevenire eventi critici, che poi sono responsabilità dei sanitari: le persone fisiche a cui questi detenuti sono affidati; quindi viene un dubbio: piuttosto che rischiare un infarto, si fa un accertamento in più, e questa ha un costo, ma i costi in termini di sanità sono quelli della traduzione di un detenuto, che deve uscire dal carcere con una scorta, che deve essere accompagnato da un numero di agenti che lo vigilano. Non credo quindi che certa comunicazione faccia corretta informazione;  se solo si verificassero i rapporti dei garanti locali dei detenuti, che sono anche rapporti sull’incidenza di spesa della sanità penitenziaria, rispetto alle spese di un comune. Questo non è nell’interesse pubblico, mantenere delle persone in condizioni di incompatibilità, all’interno delle mura di un carcere. Sarebbe molto più economico farli andare a casa o in altra struttura, con aiuti e  contributi economici della propria famiglia”.

Ricciardi: ” purtroppo, a volte, invece di analisi anche più ragionate, ci sono slogans…”

Moschioni: “Ci sono slogans, probabilmente anche più rassicuranti, per il cittadino, che partono, però, da un’informazione errata”.

Ricciardi: “Una informazione errata, forse si fa propaganda politica: soprattutto un modo di prendersela, con chi ce la si può prendere, in modo sommario…”

Moschioni: ” A volte sì. Io credo che una informazione errata abbia portato molti magistrati di sorveglianza ad avere delle remore nel concedere qualcosa”

Ricciardi: “Forse timori di un’opinione pubblica non bene informata. A volte, invece, quando ci sono forme di informazione diversamente orientate, sul garantismo, in alcuni casi si vedono dei risultati: non so se ci sia completo rapporto di  causa ed effetto, ma è possibile si raggiungano delle coscienze; a volte, si nota anche il contrario: forse non spessissimo, forse ancora troppo poco.”

Moschioni: “Ci sono magistrati assolutamente terzi, alcuni fanno giurisprudenza: sono davvero delle perle, vengono indicati come punti di riferimento: li chiamerei un patrimonio nazionale, per quanto ci riguarda: hanno un’indipendenza assoluta, fanno una valutazione assolutamente oggettiva dei dati che vengono portati avanti, indipendentemente dal nome e dal cognome, che possono essere pesanti per l’opinione pubblica: con una totale terzietà rispetto alla valutazione che potrebbe avere quel provvedimento da parte dell’opinione pubblica. E questi sono quei casi di una corretta applicazione della giustizia. Dovrebbe essere quello: il giudice non dovrebbe essere influenzato da certi fatti, dal curriculum criminale, quando valuta condizioni di salute di un individuo; così come un medico che va a fare una valutazione: per medico intendo un perito del Tribunale, che deve fare una valutazione di compatibilità, a mio parere non dovrebbe neanche conoscere l’identità del detenuto che va a valutare. La prima domanda che viene posta da alcuni periti è: “Che cosa ha fatto?”. Non dovrebbe essere questa la domanda che viene posta”.

Ricciardi: “Certo: diciamo che non c’entra“.

Moschioni: “E’ come fare una domanda fuori luogo: è una domanda che non dovrebbe essere posta, in quel contesto, perchè un  sanitario dovrebbe valutare semplicemente delle condizioni di salute, indipendentemente anche dal nome e cognome. Spesso infatti un buon aiuto è quando si  accede all’ospedale con degli omissis nella cartella clinica. Così c’è una terzietà molto maggiore del rapporto del sanitario con il paziente”.

novembre 22, 2020

EUROPA, SEGNALI DI ALLARME

di Alberto Benzoni

Proprio in questi giorni, Sassoli e Letta hanno rimesso in discussione il Mes e chiesto l’azzeramento del debito.Ad esprimersi in questo modo due personalità sicuramente importanti, sicuramente europeiste e sicuramente esperte della materia.E, allora, perchè questa sortita, apparentemente “fuori dal vaso”? Se queste cose fossero state dette, che so, da un dirigente grillino, apriti cielo; tutti a stracciarsi le vesti e ad inveire contro un populismo da ritardati mentali. Ma a Sassoli e a Letta non si poteva mancare di rispetto. Ma, forse, la peggiore cosa che gli poteva capitare era che il loro messaggio fosse interpretato in chiave interna e all’interno delle polemiche da cortile che colpiscono l’area di governo. Cosa che si è puntualmente verificata; con la ciliegina finale del richiamo all’ordine dal capogruppo Pd al Senato, tale Marcucci.Il tutto a confermare il fatto che la nostra cultura politica è, ad un tempo, provinciale, complottista. Intellettualmente inerte, oltre che affetta da una pandemia che, nel corso di trent’anni non siamo riusciti a debellare: la”viltà ambientale”. E, ancora, del fatto che il Pd ha il capogruppo che si merita.Immediatamente dopo, un salto di qualità nella contestazione di Polonia e Ungheria. Dove si è passato da un confronto sul merito (magari risolvibile in termini di soldi) a una questione di principio che tra l’altro colpisce alla base, i fondamenti stessi su cui si basa la costruzione dell’Europa. Il principale dei quali è il diritto/dovere della Commissione di formulare – sulla base di regole e di orientamenti già formalmente condivisi – delle direttive cogenti per tutti, di operare perché queste vengano rispettate da tutti e, eventualmente di varare sanzioni ove così non fosse. Un meccanismo contestato e ampiamente disapplicato in linea di fatto; ma ora rimesso in discussione in linea di principio: sostenendo che la Commissione è un organismo politico (come, del resto il Parlamento europeo) e che come tale è, per definizione, non obbiettiva e, quindi, non abilitata a formulare direttive e, soprattutto a giudicare, penalizzandoli, coloro che non intendessero rispettarle. Si apre così uno scontro, prolungato nel tempo e dall’esito incerto. Ma il cui immediato riflesso sarà quello di rinviare alla seconda metà del 2021 la messa in opera del Recovery Fund.Si dirà che, a sostenere le ragioni della Commissione, ci sono anche i paesi frugali. Ma non è certo una buona notizia per l’Italia (oltre che per la Spagna e magari anche per la Francia). Loro sono in prima fila nel sostenere la condizionalità degli aiuti; ma nella misura in cui questa venga fatta valere anche nei confronti, diciamo così, “fiscalmente irresponsabili”. E nelle more di questo dibattito fanno di nuovo sentire la loro voce.Ecco allora i Dambrovskis, già pubblici ministeri spietati nel caso della Grecia, ammonire Madrid e Roma per l’insostenibilità dei loro debiti e per i loro deficit in eccesso, aggiungendo, per chiarire meglio il concetto, che la moratoria di fatto di cui godono oggi con la “scusa della pandemia” non durerà a lungo; e che, alla fin fine, torneranno le vecchie regole (almeno nella misura del possibile…).Il tutto, ovviamente, costituisce la tela di fondo di uno scontro già in atto e che può avere solo due sbocchi. O la dissoluzione acrimoniosa dell’Europa che abbiamo oggi; o il suo radicale, e per alcuni anche traumatico, cambiamento.E’ in questo quadro che le prese di posizione di Letta e di Sassoli acquistano tutto il loro senso politico. Come altolà e avvertenza: “se volete cambiare le carte in tavola lo faremo anche noi; e nella direzione opposta alla vostra”. Così come quelle della Lega che esprime il suo pieno consenso alle tesi di Varsavia e di Budapest e ridà voce ai suoi esponenti sovranisti; nella convinzione che l’Europa non sarà in grado di rispettare i suoi impegni nei nostri confronti; e che, conseguentemente, il governo giallorosa che aveva basato tutte le sue carte sulla sintonia con Bruxelles, la Spagna, la Francia e soprattutto la Germania, sprofonderà con il mazzo in mano.Attenzione: il tutto non si concluderà con l’ennesimo compromesso dell’ultim’ora. Anche e soprattutto perché a definire i termini di un’alternativa globale e chiara a tutti è stato Macron. Con una denuncia globale e senza sfumature del “sistema di Maastricht”; austerità, insensibilità ai temi dello sviluppo e della giustizia sociale e, a garantire il tutto, una regola dell’unanimità fatta apposta per impedire qualsiasi cambiamento. Rendendo chiaro a tutti che, se questa regola dovesse essere mantenuta, sarà il “tana libera tutti” con la possibilità per ogni paese e con chi ci sta, di costruire l’”Europa fai da te” secondo le sue esigenze.E’ la formalizzazione di uno scontro aperto e senza esclusioni tra quelli che rimettono in discussione il sistema esistente nella speranza di costruirne uno nuovo, e quelli che lo vogliono mantenere in piedi a tutti costi, al costo di vederlo franare sotto i loro occhi. In un contesto in cui “più Europa” non significa più niente e “quale Europa” potenzialmente moltissimo.Per chiudere, ci vorrebbe il solito pistolotto su quello che il governo e la classe politica italiano dovrebbero dire o fare. Ma sarebbe, temo, un pistolotto scarico…

novembre 22, 2020

Un socialismo possibile!


di Felice Besostri

I destini politici, come le strade son destinati ad incrociarsi, se, quale che sia il punto di partenza vi sia un punto d’arrivo in comune. Le vecchie strade dei pellegrini ne sono l’esempio. A partire da quella per Santiago de Compostela, dove sarebbe il corpo dell’apostolo Giacomo il Maggiore o per stare in italia la Francigena o la Romea. Ci sono anche esempi non religiosi come le vie delle transumanze, nazionali o transnazionali come quelle tracciate nei Balcani dagli Aromani, un popolo senza Stato, che non ha mai voluto, o quelli tracciati dai costruttori di orologi a cucù della Selva Nera, gli Uhrenträger, per vendere i loro  prodotti in Europa. Tuttavia le analogie, che son spesso ingannevoli finiscono qua: un pellegrino sapeva dove arrivare, ma il suo era uno spostamento nello spazio, anche se poteva durare mesi, se non anni. Franco  e Rino li ho conosciuti nel mio percorso da socialista, un tempi e modi diversi, anche in contesti politici diversi con lo scioglimento., quasi una liquefazione, del PSI. il viaggio verso la società socialista è un viaggio soprattutto nel tempo dove si incrociano passato, presente e futuro e il punto di arrivo non è un luogo, ma un’idea di società diversa, da quella di cui viviamo, più libera e più giusta. Alla fine del XIX° secolo si sapeva cosa fosse e in cosa consistesse, semmai ci si divideva su come arrivarci, con quale tipo di lotta politica. Paradossalmente il successo della conquista del potere politico con gli strumenti della democrazia o delle rivoluzioni, ha complicato e confuso le idee, perché le conquiste sociali per via parlamentare sono state rese possibili dallo sfruttamento imperialista e colonialista del resto del mondo e la conquista del potere politico con la rivoluzione hanno prodotto una nuova classe e una soppressione delle libertà. Insieme con le speranze sono venute meno le illusioni che fosse possibile un miglioramento progressivo e lineare, e che i sacrifici di oggi erano solo temporanei, contingenti, ma necessari. Non avrebbero impedito albe radiose, ”  les lendemains  qui  chantent” o il sorgere del tradizionale sole dell’avvenire. Infatti, persino nei paesi, culla della socialdemocrazia più avanzata c’è stata la strage dei giovani socialisti a Utøya e la conquista del potere della destra e dove c’era  “il socialismo realmente esistente” la vittoria di un capitalismo selvaggio, e dei peggiori “ismi” (nazionalismi, clericalismi, autoritarismi: Polonia e Ungheria: bastano come esempio?). L’abolizione della proprietà privata non aveva comportato una maggiore preservazione dell’ambiente e delle risorse naturali e l’uguaglianza garantita in tutte le costituzioni democratiche, che crescessero le diseguaglianze economiche e sociali, aumentate con le crisi finanziarie e la pandemia.  Si voleva estendere la democrazia, invece, siamo al punto che, già la sua pura e semplice salvaguardia è una necessità ,e il successo non è sicuro, forse nemmeno possibile, nel quadro nazionale e statuale, in cui la democrazia e le leggi sociali, si sono contestualmente estese e consolidate. Una volta i nemici erano forti e potenti, ma nazionali o stranieri, espressione delle potenze imperialiste e colonialiste, ci si poteva opporre, perché identificabili. Le multinazionali e i giganti del web, a mio avviso, non si identificano con lo straniero con le sue bandiere, inni nazionali e i suoi eserciti, anche se hanno il centro di comando in uno Stato. Nella loro azione per trarre, comunque, profitti, conquistare mercati e controllo dell’informazione non si distinguono se a capo c’è un cittadino statunitense, russo, saudita, brasiliano o cinese e se personalmente il capo persegua l’arricchimento personale o sia un benefattore compassionevole o un mecenate delle arti. Tutti non vogliono controlli in assoluto, men che meno da parte di autorità democraticamente legittimate, e  last but not least non pagare tasse sui loro profitti, quindi far pagare i costi al popolo, cioè al resto dell’umanità o con la riduzione delle garanzie sociali o mantenendo elevata la pressione fiscale tradizionale sui beni visibili e i consumi. Si crea ricchezza finanziaria anche senza vendere prodotti, con bolle speculative, che periodicamente tosano i risparmi, spesso di una vita.
La denuncia delle condizioni di vita e dello sfruttamento o di fatti repressivi sono stato un fattore di motivazione forte per il socialismo, pensiamo su piani diversi a “La situazione della classe operaia in Inghilterra” di Federico Engels o a “Germinal” di Emile Zola. Ora non basta più, come i profughi morti affogati nel Mediterranei, anche se bambini di pochi mesi, o arenati su una spiaggia di un’isola greca, a influire sull’opinione pubblica e sui suoi comportamenti elettorali. Bisogna saper indicare una via d’uscita praticabile e le nostalgie non servono, nemmeno quelle di un futuro, che ci eravamo immaginati e che sembrava a portata di mano. i partiti, in cui ci siamo formati, pieni di difetti, ma comunque meglio di quelli esistenti, non ci sono più, ma soprattutto non possono tornare. Per questo concordo con Formica essere nella società e nelle lotte concrete, se non come protagonisti almeno come attenti ascoltatori, conoscere almeno cosa si sta muovendo in movimenti, come quelli ambientali e nel resto del mondo come negli Stati Uniti con un riferimento al socialismo assolutamente estraneo alle loro tradizioni politiche, con l’intelligenza dello studioso del proprio intorno e la determinazione dettata daI propri valori. E’ un progetto che deve coinvolgere tutti, quale che sia la nostra origine e matrice culturale e politica, perché è più importante chiarire dove si voglia andare insieme, piuttosto che da dove si viene. Quando ho parlato, non da solo, di dialogo Gramsci Matteotti, non ignoravo la totale incomprensione tra di loro, ben rappresentata dalla sprezzante e ingiusta definizione di ” Cavaliere del nulla“:un giudizio non condiviso da un comunista come Terracini. Li ho presi  a simbolo di una sinistra sconfitta dal fascismo, di cui sono state vittime, Matteotti assassinato  a 39 anni e Gramsci lasciato morire 46. La sinistra  storica, socialista e comunista, non sono un’alternativa credibile in Europa, il continente in cui sono nate. Come nel 1892 si tratta di fondarne una nuova, larga, plurale ed inclusiva e senza l’ascolto e la conoscenza della nostra società e l’opposizione intransigente alle sue ingiustizie non è possibile. Ognuno faccia la sua parte.

novembre 3, 2020

Buon compleanno compagno Friedrich!

dii  Beppe Sarno

Dedicato al mio amico Luigi Anzalone

Il 28 novembre 1820 nasceva Friedich Engel.

Karl Marx per buona parte del mondo occidentale e non solo, ha rappresentato l’incarnazione del male assoluto. Marx fu a suo tempo definito come l’”anticristo della Bibbia”. Più defilata, invece, la posizione del suo intimo amico e collaboratore Friedrich Engels, senza il quale probabilmente “Il Capitale” non avrebbe mai visto la luce.

Oggi sembra che il mondo non   conservi la memoria dei due filosofi.

Certo, in circoli ristretti se ne parla ancora, ma la sconfitta del comunismo ha determinato l’oblio su due dei più grandi pensatori dell’era moderna.

Nella versione italiana di Wikipedia non si fa menzione della circostanza che l’odierna Wuppertal sia stata la città natale del filosofo, forse perché all’epoca la città si chiamava Barmen e l’odierna Wuppertal sia il risultato dell’unione delle due città Barmen e Elberfert.

Wuppertal all’epoca della nascita di Friedrich era una roccaforte del pietismo che era ed è ancora una corrente religiosa che contestava l’eccessivo formalismo del protestantesimo sacrificando l’essenza dell’esperienza religiosa.

La famiglia Engels era un’autorevole rappresentante di questa fede.

Leggenda narra che il padre di Friedrich era solito leggere ad alta voce ai tessitori della sua fabbrica prima dell’inizio del lavoro alcuni passi della Bibbia, pregando con loro. Alla fine della preghiera i tessitori lavoravano quattordici ore al giorno, dettaglio insignificante. La predestinazione elemento essenziale della dottrina calvinista faceva ritenere che fosse giusto che il lavoro degli operai fosse benedetto, perché così sarebbe stato ben fatto e nel contempo che i  patrimoni dei padroni crescessero a dismisura. Questa era, secondo la mentalità della famiglia Engels, solo la volontà di Dio. Al giovane Friedrich, mandato a Brema ad apprendere le scienze commerciali, questo modo di pensare sembrò bizzarro e  così scrisse di essere solo “un commesso e poeta”, ma anche rivoluzionario.

Sotto lo pseudonimo di S. Oswald il giovane filosofo cominciò a scrivere sulla rivista di opposizione “Der Telegraf”, rivista fondata dal poeta e scrittore  Karl Ferdinand Gutzkow, delle condizioni dei tessitori nelle fabbriche dove al mattino si leggeva la Bibbia e si pregava insieme al padrone.

“I tessitori siedono da mattina a notte davanti ai telai nelle loro case….di questi uomini ciò che non è preda del misticismo è distrutto dall’alcool.” Denunciò poi la diffusione delle malattie polmonari, della mancata cura dei bambini sottratti alla scuola per farli lavorare al posto degli adulti pagandoli la metà. Però “Nessun anima pietista è andata all’inferno per aver fatto più o meno abbrutire un bambino, particolarmente se va in chiesa la domenica.”

Al momento nessuno capì che dietro lo pseudonimo di S. Oswald si celava il giovane Hengels.

Nel definirsi “un giovane d’ingegno” sperava che il “Telegraf” pubblicasse alcune sue novelle, ma la cosa non ebbe seguito e  oggi, sebbene siano andate perdute le novelle, della sua produzione giovanile rimangono alcune poesie e due tragicommedie.

Nel 1840 il giovane  Hengels aveva come modello letterario Gutzkow, fondatore del “Telegraf”,definito all’epoca “nemico giurato di ogni ordine costituito.”

Otto anni dopo nel 1848 apparve la prima edizione del “Das Kommunistische Manifest” scritto in collaborazione con Karl Marx.  L’accademia cattolica di Treviri nell’anniversario del 150° anniversario della nascita di Friedrich Hengels affermò che, solo dopo la pubblicazione del Manifesto del Partito comunista, “la Chiesa abbia cominciato a considerare Dio sempre meno dal punto di vista mistico e sempre più d quello della fratellanza……Cristianesimo e marxismo sembrano attualmente convergere….”

Senza il “Manifesto” probabilmente oggi  i discendenti della famiglia Engels leggerebbero ancora la Bibbia con gli operai ritenendo corretto affamare i lavoratori.

Hengels arrivò ad  Hegel dopo aver letto l’opera di D.F. Strauss “Das Leben Jesu – Kritish bearbeitet” rimanendo impressionato dalla “gigantesca costruzione di pensiero” del filosofo. 

Nel 1841 arruolato nell’esercito prussiano di stanza Berlino iniziò e frequentare l’Università dove discuteva di filosofia nel club “Die Freien”. In quell’anno esce a sua firma un opuscolo contro Shelling.

Fu in questo periodo che Engels ruppe con il suo amico Gutzkow, dichiarando che la Germania aveva altro da fare che “eccitarsi per un nuovo scritto di Gutzkow”. Fu così che l’editore rivelò il vero nome dell’uomo che si nascondeva dietro lo pseudonimo “S. Oswald”. Gutzkow commentando il tradimento di Hengels scrisse “Così sono quasi tutti gli apprendisti. Devono a noi se possono pensare e scrivere e il loro primo gesto è il parricidio morale.” Viene da sorridere se per un attimo ci portiamo ai tempi in cui viviamo.

Tornato a Barmen alla fine del servizio militare, con una diversa consapevolezza di sé, fu inviato nella filiale inglese della “Ermen & Hengels” a Manchester.

Qui, abbandonando ogni velleità di novelliere  e poeta, incominciò a studiare la condizione dei lavoratori in Inghilterra e del feroce sfruttamento da parte degli imprenditori inglesi nei confronti della classe operaia. In quel periodo la giornata lavorativa era di sedici ore giornaliere e non si leggeva la Bibbia come nella cristianissima Barmen.

Impressionato dalle condizioni di vita sub-umane cui erano sottoposti gli operai inglesi Engels cominciò a collaborare con la rivista “Rheinische Zeitung” diretta da Karl Marx e su “Schweizerische Republikaner”.

Engels denunciò tutto: la mancanza di libertà dei lavoratori, i brogli elettorali, l’inganno di una giustizia  a senso unico sempre dalla parte dei padroni, l’orrendo sfruttamento del lavoro infantile che portava come conseguenza una mortalità infantile del 50%. Nel 1845 queste sue denunce raccolte in un volume e pubblicate a Lipsia suscitarono grande impressione nell’opinione pubblica.

L’incontro con Marx avvenne in quel periodo. Nell’anno precedente, il 1848, Marx e Arnold Ruge pubblicarono un contributo di Engels nei “Deutsch Franzosische Jahrbucher”. Precedentemente nel 1842  Marx aveva criticato Engels  perché giudicava la sua visione del comunismo “inopportuna ed immorale” aggiungendo che si imponeva “una ben diversa trattazione sostanziale del comunismo”

Di fatto Marx diffidava del giovane Engels. Il suo giudizio mutò quando Engels inviò dall’Inghilterra alla redazione della Deutsch Franzosische Jahrbucher  un lavoro dal titolo “Umrisse einer Kritik del Nationalokonomie” che Marx definirà ”un abbozzo geniale della critica delle categorie economiche.”

Secondo gli studiosi fino a quel periodo Marx si era interessato di politica   economica solo marginalmente e solo nel 1847 il problema economico diventa il tema centrale degli studi di Marx.

Nel 1850 Marx pose la prima pietra a quella monumentale opera che è il  “Capitale”. Per completare il primo volume ci vollero trent’anni. Il secondo ed il terzo volume dovettero essere completati ed elaborati da Engels. Lo stesso Marx riconoscerà il contributo di Engels. Leggiamo in una lettera   scritta all’amico “ E’ veramente mortificante non essere indipendenti per metà della propria vita. L’unico pensiero che mi solleva e che noi dirigiamo un’impresa societaria.”

 Molto modestamente Engels si definirà un “violino di spalla”  e ricordando le discussioni avute con l’amico affermava che “ nei periodi rivoluzionari la sua sicurezza di giudizio era incontestabile.”

Che bellezza!

Per me, ma molto più autorevolmente per  molti studiosi Engels non fu solo “un violino di spalla” Lo afferma il suo più famoso biografo Gusta Mayer che afferma “ Persino nel campo che più tardi Marx ha padroneggiato come nessun altro  e che ha rivoluzionato dalle radici, quello dell’economia politica, Engels all’inizio era quello che dava. Dovette procurare una impressione   profonda in Marx il fatto che Engels avesse osato, nel campo di questa scienza trascurata dalla scuola hegeliana, l’ardito tentativo di spiegare tutte le categorie economiche come figure della proprietà privata……. Non sarebbe stato questo il compito di Marx?” Anche Werner Blumenger esalta la figura di Engels affermando che il nostro aveva contribuito notevolmente alla nascita del pensiero economico del “Manifesto” per il suo studio delle teorie della prassi economiche inglesi attraverso la conoscenza sul campo delle condizioni economiche del proletariato inglese che Marx non conosceva nella sua pratica concreta. D’altronde a che serve dimostrare o sostenere chi fosse il primo violino? Forse è meglio accettare la definizione di Marx del sodalizio “noi dirigiamo un’impresa a base societaria.” Saranno stati anche due soli violini, ma che musica!

Come nasce il Manifesto. Engels lascio Manchester nel 1844 e a Parigi incontrò Marx nell’agosto di quell’anno. Trascorsero dieci giorni a parlare e così nacque un’amicizia solidissima e imperitura. Marx in  quel periodo stava scrivendo “ la Sacra Famiglia”. Fu Marx a chiedere ad Engels di collaborare alla stesura del manoscritto. Inizialmente il libro avrebbe dovuto chiamarsi “Critica di una critica critica”: Fu l’editore a suggerire il titolo perchè di più facile comprensione per il pubblico. “Come risulta dalla comunicazione hai messo il mio nome per primo, perché?” si lamenterà Engels.

Dopo l’espulsione da Parigi avvenuta su pressioni del governo prussiano Marx ricoverò a Bruxelles dove fu raggiunto da Engels. All’inizio del 1845 i due decisero di compiere un viaggio di studio in Inghilterra, dove Engels incontrò quella che diverrà la sua compagna Mary Burns. Al ritorno i due amici andarono ad abitare a Bruxelles porta a porta.   Engels dal carattere conciliante dovette più di una volta sostenere l’amico Karl, che di carattere invece era duro ed intransigente. Famosa è la polemica di Marx, in parte ingiustificata contro Weitling, che molto prima di Marx aveva fondato “la lega dei giusti” forse il primo tentativo di partito comunista organizzato. Marx critica le lacune culturali di Weitling e la sua assoluta mancanza di alcun fondamento scientifica delle sue teorie. Con l’allontanamento di Weitling dalla “lega dei giusti” la lega cambiò il suo nome in “Lega dei comunisti”. Per la lega Engels scrisse una specie di catechismo che si chiudeva con la foamosa  invocazione “Proletari di tutto il mondo unitevi!” Informando della cosa Marx, il 24 novembre affermava “Credo che faremmo meglio ad abbandonare la forma catechistica e ad intitolare il lavoro “Manifesto dei comunisti.” Nel 1847 al congresso della lega dei comunisti a Londra i delegati incaricarono Marx ed Engels di stendere un manifesto secondo i principi esposti da Engels e due mesi dopo la “Società Culturale Operaia” di J. E. Burgham a Londra pubblicò il “Manifesto”. Nessun’altra pubblicazione, credo, come il “Manifesto” ha cambiato il volto del mondo così profondamente. Marx nelle “Tesi su Feuerbach” parlando del manifesto affermò “i filosofi hanno finora interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo” … e non mi sento di dargli torto.

Dopo questi avvenimenti e dopo la vanificazione dei moti rivoluzionari  in Germania, Engels fece ritorno a Manchester dove nel frattempo Friedrich era stato chiamato a dirigere la filiale inglese dell’azienda di famiglia. Insieme i due sostennero le lotte nell’Internazionale, che dopo il trasferimento a New York si sciolse. Il benessere di Engels gli consenti di sostenere economicamente l’amico.

Nel 1867 apparve il primo volume del “Capitale” al secondo e al terzo volume Marx lavorò molto meno, sia per le sue condizioni precarie di salute sia a causa del dolore provocato dalla morte della moglie e della figlia.  

Karl Marx fu accusato dal governo francese di essere il responsabile  della Comune di Parigi e questa circostanza gli procurò maggior fama dei suoi scritti. Commentando il fatto Marx affermò che il Governo francese faceva “un fracasso del diavolo ed io ho l’onore di essere  l’uomo più calunniato e minacciato di tutta Londra……..mi fa piacere dopo venti anni noiosi nel pantano.”

Il 17 marzo 1883 al funerale di Karl Marx erano presenti otto persone ed Engles tenne l’orazione funebre in onore dell’amico.  “il 14 marzo -queste le parole di Engels – alle due e tre quarti il più grande pensatore vivente ha cessato di pensare…..Non si può misurare la perdita subita dal proletariato europeo e americano in lotta e dalla scienza storica con la perdita di quest’uomo……Il suo nome e la sua opera vivranno nei secoli” ed anche: “Marx ha individuato anche la peculiare legge di sviluppo della forma di produzione capitalistica e della società borghese da essa prodotta.”

Nel liberare la casa dell’amico Engels, raccogliendone gli scritti,  scoprì che del secondo e terzo volume del “Capitale” non esisteva che un canovaccio, appunti sparsi  e frammenti. “Appena tornato mi sono dedicato al secondo volume: un lavoro tremendo! Accanto a passi completamente elaborati ve ne sono altri appena tracciati, a brogliacci. Inoltre la grafia …..assolutamente  leggibile solo da me.” Scrivendo ad un amico diceva “Mi domandi come mai proprio a me è stato tenuto nascosto  quanto ancora mancava al completamento dell’opera?  E’ semplice: se l’avessi saputo  non gli avrei lasciato tregua né di giorno, né di notte, finché il lavoro non fosse ultimato e pubblicato.”

Il secondo volume del “Capitale” usci nel 1885 ed il terzo scritto in buona sostanza completamente da Engels sulla base degli appunti di Marx fu pubblicato nel 1894 un anno prima della sua morte.

Dopo la morte di Marx le idee dei due filosofi cominciarono a farsi strada. In Germania le leggi contro i socialisti erano state revocate e nelle elezioni politiche del 1893 il partito socialdemocratico conquistò 44 seggi.

Engels soddisfatto affermava “la socialdemocrazia comincia a vincere un po’ troppo!” alla fine della sua vita Engels era preoccupato di non riuscire a pubblicare il terzo volume del Capitale e in una lettera a Kautsky si lamentava delle sue condizioni di salute perché era costretto a limitare “il tempo dedicato a leggere e scrivere”.

In questo periodo Engels oltre a lavorare al terzo volume del “Capitale” lavorava anche ad altre opere. Nel 1884 apparve “L’origine della famiglia , della proprietà privata e dello stato” definito da Lenin “”Una delle opere fondamentali del socialismo moderno.”

Engels credeva nella scomparsa dello stato perché “con le classi scompare ineluttabilmente lo Stato. La società riorganizzando la produzione sulla base di una libera ed egualitaria associazione dei produttori butta l’intera macchina statale al posto che le compete: il museo, accanto all’arcolaio e all’ascia di bronzo!.” Scrivendo ad August Bebel nove anni prima della pubblicazione del terzo volume del capitale si rallegrava della qualità del lavoro e lo definiva ottimo e brillante. “Questo rivolgimento dell’economia classica è davvero inaudito.” Intanto il movimento socialista cresceva e la borghesia cominciava ad aver paura della “marea rossa.”

Nel 1893 i socialisti conquistarono al Reichstag 44 seggi e per l’occasione Engels scrisse un’introduzione  all’opuscolo di Marx “Burgwerkrieg in Frankreich”. Secondo  alcuni con quanto scritto in questa introduzione  avrebbe abiurato la teoria rivoluzionaria per una prassi più moderata.  Per alcuni tagli fatti all’introduzione, (le famose venti righe) la stessa  suscitò fin da subito polemiche protrattesi per decenni. Nel 1930 in una riedizione viene affrontato il problema e la famosa introduzione fu interpretata come una specie di revisione critica delle posizioni originarie laddove all’azione rivoluzionaria si sarebbe sostituita la lotta riformistica parlamentare. Venne  sostenuto che l’equivoco sia stato causato da alcune cancellature fatte per opera di Bernstein che all’epoca dell’uscita dell’opuscolo era segretario e uomo di fiducia di Engels. Gustav Mayer biografo di Engels   smentisce categoricamente questa interpretazione affermando che l’ipotesi revisionistica da parte di Engels “appartiene al regno delle leggende“  D’altronde Engels  in una lettera a Kautsky del 1° aprile 1895  si lamenta di averlo fatto apparire “come un pacifico sostenitore della legalità…” Al genero di Marx il 3 aprile dello stesso anno scriveva “Mi ha fatto proprio un bel tiro Ha tolto dalla mia introduzione tutto ciò che gli poteva essere utile per giustificare pacifica ed antiviolenta che gli piace predicare da qualche tempo.” Certo è che Engels stesso affermò che la lotta degli operai tedeschi e l’uso che questi avevano fatto del suffragio universale era servito alla causa socialista tanto che  arrivò a dire “Gli operai tedeschi avevano reso alla loro causa  anche un altro grande servizio …..mostrando ai loro compagni di tutti i paesi come ci si serve del suffragio universale essi avevano dato lor una delle armi più efficaci.” Engels affermò anche “Dappertutto l’attacco senza preparazione è passato in seconda linea, dappertutto si imita l’esempio tedesco dell’utilizzazione del diritto di voto, della conquista di tutti i posti che ci sono accessibili…..anche in Francia i socialisti si convincono sempre più che per essi nessuna vittoria durevole è possibile se non conquistano prima la grande massa del popolo che ivi è costituita dai contadini. Anche in Francia il lento lavoro di propaganda e l’attività parlamentare vengono riconosciuti come il compito immediato.” Come dargli torto? Il socialismo si impone laddove esistono le condizioni politiche, sociali e storiche per imporsi.

In un ultimo scritto afferma “ Se una parte rompe il patto, tutto  viene meno; e anche l’altra parte non è più vincolata., come Bismark ci ha così ben dimostrato nel 1866. Se voi dunque violate la Costituzione del  Reich, allora la socialdemocrazia è libera e può fare nei vostri confronti ciò che vuole. Ma ciò che farà allora, si guarda bene dal farvelo sapere oggi!”

Dopo pochi mesi  il 5 agosto 1895 Engels moriva a Londra. Le sue previsioni si rivelarono esatte e nel 1898 il partito socialista ottenne i n Germania 82 seggi e nel 1912 addirittura 110 seggi su 397. Si avverava quindi la previsione di Engels che “i rivoluzionari prosperano molto meglio coi mezzi legali che coi mezzi illegali e con la sommossa.”

A duecento anni dalla nascita  io credo che il modo migliore per celebrare l’anniversario è quello di valutare l’attualità delle idee di Engels. Non è un compito facile perché la faconda collaborazione con Karl Marx a chi non sia uno specialista,  non fa comprendere del tutto quale parte dello spartito, per usare la metafora di Engels, sia stata suonata dall’uno o dall’altro violino e quale parte invece sia stata suonata all’unisono. Per i comunisti ortodossi Marx ed Engels furono una cosa sola, ma accettare questa interpretazione   significa non accettare il fatto che almeno in due temi il pensiero di Engels  assolutamente autonomo rispetto alla visione di Marx: il primo il materialismo dialettico ed il secondo relativo alla crescita dei partiti socialisti nei paesi capitalisti. Per i comunisti, ma questo appartiene ormai alla storia, identificare Marx ed Engels significava riconoscere la perfetta ortodossia del materialismo dialettico elaborato da Engels nell’”Antiduring” e quindi giustificare acriticamente tutta la storia del movimento comunista rappresentato soprattutto dall’Unione Sovietica. E allora qual è il vero Engels il giovane rivoluzionario amato da Lenin  o il vecchio revisionista esaltato dai socialdemocratici europei?

Ognuno può dare la risposta che crede. Certo è che oggi il liberismo è in crisi ed ha lasciato sulla sua strada parecchie vittime. La pandemia ha dimostrato quanto folle fosse questa corsa verso il nulla. Decenni passati a credere nella supremazia del mercato e ad osannare la globalizzazione hanno fatto un deserto di anni di lotte e di conquiste per il mondo del lavoro. Avere la presunzione di fare la rivoluzione con l’esercito dei lavoratori contro l’esercito del Capitale oggi è impensabile. Il socialismo va quindi pensato come modello diverso di sviluppo attraverso una trasformazione delle strutture economiche in cui la proprietà, come dice Papa Francesco, non sia appannaggio di pochi ma distribuita pensando al bene comune.  Dice Engels “ Se sono cambiate le condizioni per la guerra tra i popoli, non meno sono cambiate per la lotta di classe. E’ passato il tempo dei colpi di mano delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa delle masse incoscienti” e ancora “L’ironia della storia capovolge ogni cosa. Noi i “rivoluzionari” i “sovversivi” prosperiamo molto meglio coi mezzi legali che coi mezzi illegali e la sommossa. I partiti dell’ordine, com’essi si chiamano, trovano la loro rovina nell’ordinamento legale che essi stessi hanno creato …mentre noi in questa legalità ci facciamo i muscoli e forti e le guance fiorenti e prosperiamo che è un piacere. E se non commetteremo noi la pazzia di lasciarci trascinare alla lotta di strada per far loro piacere, alla fine non rimarrà loro altro che spezzare essi stessi questa legalità divenuta loro così fatale.”

In queste frasi in questa volontà di Engels di pensare il socialismo come una lunga marcia verso la costruzione ineluttabile  di un nuovo stato sociale, va vista la modernità del suo pensiero.

Ecco perché arrivato a questo punto non mi resta che dire” buon compleanno  vecchio Friedrich”