SI chiamano Mamadou, Jabbi, Saddok, Boubacar, Fatoumé, Mustapha,. Sono partiti dal Mali, dalla Nigeria, dalla Somalia, dalla Costa d’ Avorio, dal Sudan.
Stanno in Libia, senza lavoro, senza denaro, senza barca per la terra promessa dell’Europa.
Hanno lasciato tutto con la benedizione dei loro parenti e del villaggio, per trovare altrove un futuro più promettente, per fuggire la miseria, la violenza o la corruzione, affascinati dal miraggio dell’Europa, abbagliati dalle promesse degli scafisti, malgrado i racconti spaventosi di quelli che, per forza o per amore, sono ritornati al paese.
Questa spaventosa realtà non si può raccontare che per briciole, raccolte qui e là. Nessuna visione di insieme, nessuna statistica affidabile, partono da non si sa dove e non arrivano da nessuna parte. Se le foto-satellitari fossero accessibili, mostrerebbero delle vere colonne umane in strada per il Nord, a piedi, messe su dei camion improbabili, su degli asini o dei dromedari, un’ Africa in marcia, in cerca di un avvenire migliore. Queste formiche sono degli uomini! E delle donne, e dei bambini. Tutti fuggono dalla disperazione.
Soltanto alcuni anni fa, le vie erano numerose e diversificate. Dell’Africa occidentale, si partiva verso il Marocco, poi lo stretto di Gibilterra o le Canarie. Ma il Marocco si è fatto gendarme dell’Europa. L’Algeria, non ha avuto mai la costa. Il Sudan aveva la sua guerra civile che non si sa se è finita veramente. L’Egitto ha anche suoi estremisti islamici. Resta la Libia, vasta porta di sabbia verso le rive del Mediterraneo. È oggi la via di passaggio privilegiato. E, del resto, Gheddafi, Guida della Rivoluzione libica non ha detto qualche anno fa che le porte erano aperte agli africani?
E poi, soprattutto, c’è l’Eldorado, intravisto alla televisione del caffè del villaggio: Lampedusa, è l’Italia, è l’Europa. Immaginate un istante l’immagine che l’Europa dà di se stessa! Là, i poliziotti sono di un’estrema cortesia, vi accolgono coi guanti, danno delle bottiglie di acqua alle madri e prendono i bambini esauriti nelle loro braccia. Non vi minacciano mai, non brandiscono mai un’arma, né proferiscono una minaccia. Ai loro lati, degli uomini e delle donne della Croce Rossa curano e riconfortano. Sembra che non vogliono emigranti, ma sembrano tuttavia così accoglienti, questi europei della prima porta! È vero, perché lo si è visto alla televisione.
Restano gli scafisti. Prendono caro, molto caro: 1.000 € in media per andare del Ghana o della Nigeria a Tripoli, poi ancora 1.500 € o molto più per partire in barca. Tutto ciò può prendere dei mesi, tre, quattro, più ancora. E ci sono poi le stagioni. In inverno, il deserto libico uccide perché il freddo è duro. L’estate, il caldo può raggiungere 50° o 60°, intollerabile, molti sono morti. E c’è poi la stagione del mare, si può passare solamente di fine marzo a fine settembre, se no le tempeste hanno ragione delle barche di pescatori e anche dei pescherecci per cui il passaggio in questi periodi è più caro.
Molti fissano come primo obiettivo la Libia, arrivare, lavorare per ammassare di che pagare il passaggio verso Lampedusa, e se no restarci per nutrire quelli rimasti al villaggio. Gli scafisti hanno una risposta a tutto e sono organizzati: li trovate sempre nel villaggio indicato, al Caffè Al Qods o alla Pasticceria dell’amicizia. Hanno i loro telefoni satellitari, sanno per dove passare oggi o se è meglio aspettare domani. Conoscono, parlano ai poliziotti. Ciò che non dicono, prima della partenza, è la miseria della strada, le insidie, le violenze, l’assenza di lavoro a Tripoli. È tuttavia un paese petrolifero! Ciò che non sanno – e chi potrebbe dirglielo? Che un’economia petrolifera genera pochi impieghi. E che un’economia petrolifera di cinque milioni e mezzo di abitanti, e che non crea altra ricchezza perché non ha reinvestito la sua ricchezza, non può nutrire uno o due milioni di immigrati.
Nessuno sa esattamente quanti sono esattamente. Qualche mese fa, “l’affare dei campi” ha fatto scandalo in Europa. Qualcuno avrebbe suggerito di creare dei campi di transito, addirittura di selezione dei migrati. Orrore! Ciò che i giornalisti sbigottiti non hanno descritto, sono le decine di campi che esistono già in Libia, dei campi di ogni tipo, spontanei, organizzati, di transito, di rimpatrio più o meno volontario, di imprigionamento puro e semplice. Un concentrato di miseria umana, dell’arbitrario sécuritario e di disperazione ordinaria.
Chi biasimare esattamente? Il fallimento economico dell’Africa sub-sahariana, incapace alle rare eccezioni vicino ad offrire delle prospettive di avvenire alle sue popolazioni, in preda ai conflitti aperti o latenti ed alla corruzione? La chiusura delle altre vie di passaggio che finisce a riportare sulla Libia l’essenziale di ciò che gli specialisti chiamano graziosamente i “flussi migratori illegali?”
La disorganizzazione della Libia non sa né può gestire questa marea umana con le sue strutture “popolari”.
I charter di ritorno organizzato da Lampedusa nelle condizioni sono più o meno conformi al diritto di asilo internazionale? chi fa gli oscuri calcoli costo-benefici alle ignobili reti di trafficanti di carne umana e riempie le casseforti dalle loro banche in Shanghai e Singapore? Il problema è così complesso che i responsabile non sembrano sapere ancora come trattarlo. Una politica europea dell’immigrazione non esiste, è il meno che si possa dire. La recente iniziativa francese di “chiudere” le frontiere, qualunque sia la sua motivazione – politica interna o politico migratorio contrasta singolarmente coi politici seguiti dalla Spagna e l’Italia, per esempio. Il sito della Rete Euro-mediterranea delle Scienze dell’uomo fornisce una serie di articoli su questi argomenti. Difatti, questi due paesi procedono ad intervalli regolari alle “regolarizzazioni” spettacolari che mirano ad interinare la presenza sul loro suolo di immigrati illegali. In altri termini, la politica ufficiale è “no all’immigrazione”, ciò che soddisfa l’opinione e certi partiti politici, ma la politica effettiva è di soddisfare i bisogni reali dell’economia. L’Italia, peraltro, applica, particolarmente con la Tunisia, una politica di immigrazione, fondata sulla concessione di quote.
Contemporanemaente milioni di europei sono senza impiego, numero di imprese nei settori o nelle regioni dinamiche non trova abbastanza braccia! La Commissione europea ha appena stimato, in un “libro verde”, sulla gestione delle migrazioni economiche pubblicate in gennaio. da ultimo il declino della popolazione attiva dell’Europa dei 25 causerà un abbassamento del numero di lavoratori dell’ordine di 20 milioni.
In questo contesto, sebbene l’immigrazione in se non costituisce una soluzione al problema dell’invecchiamento della popolazione, dei flussi di immigrazione più sostenuta potrebbero essere sempre più necessari per coprire i bisogni del mercato europeo del lavoro e per assicurare la prosperità dell’Europa. Tra approcci sécuritari, protezione delle frontiere, quote, regolarizzazione, imperativi politici interni e bisogni economici reali, i responsabili europei dovranno confrontarsi con un imbroglio maggiore. Aspettando, tra la Libia e le Sicilia, la “stagione del mare calmo” è appena cominciata. Le intercettazioni alla larghezza di Lampedusa si moltiplicano ed il centro di transito è saturato. La generazione successiva a quella di Mamadou, Boubacar e Mustapha non sa ancora ciò che l’aspetta.
Giornalista libico anonimo
Traduzione di Beppe Sarno