Archive for settembre, 2022

settembre 24, 2022

Gennarino Capuozzo

Di Beppe Sarno

Ottanta anni fa dal 28 settembre  fino al 1° ottobre 1943 il popolo di Napoli insorgeva contro i tedeschi.  Quell’insurrezione è passata alla storia come “Le quattro giornate di Napoli”.

Per una specie di pudore che la maggior parte della gente non sospetta in una popolazione ritenuta per lo più superficiale ed egoista poco avvezza al bene comune, i napoletani non hanno mai parlato a sufficienza di queste meravigliose giornate con l’enfasi ed il clamore che meriterebbero.

In quell’ora straordinaria fu visto il popolo degli impiegati, degli operai, degli abitanti dei  bassi, dei marinai e dei soldati traditi dai loro generali, tenere testa all’esercito tedesco, un esercito che seppure in ritirata faceva ancora paura per l’organizzazione e l’efficienza dei suoi soldati. Quella macchina di morte faceva ancora paura al mondo.

Si sarebbe persa la memoria e il senso di quei giorni se Nanni Loy non  avesse riproposto in un bellissimo film la storia di quella “impossibile” ribellione.

Durante le quattro giornate, Napoli martoriata dai bombardamenti, disse no ad una guerra che non riteneva sua  e lo disse con le armi in pugno. La sua tradizionale pazienza si trasformò in furore.

La bestialità tedesca aveva superato ogni limite e venne il momento di dire basta!

Fu il comando tedesco della città che riteneva i napoletani un popolo di servi, facilmente addomesticabile e non un popolo di uomini liberi, furono le deportazioni, gli incendi  e le mille sopraffazioni che fecero precipitare il dramma.

Il 12 settembre un giovane marinaio livornese venne fucilato e legato ai cancelli dell’Università data in fiamme e i napoletani furono costretti ad inginocchiarsi e ad applaudire mentre i cineoperatori delle SS riprendevano lo spettacolo a beneficio del gerarca Goebbels. L’11 settembre furono fucilati  dieci ufficiali di Nola e nel frattempo venivano bruciati gli archivi  della storia meridionale a riprova dell’odio dei nazisti per la cultura. Il 29 settembre moriva un eroe molto piccolo che aveva undici anni. Il suo nome era Gennarino Capuozzo. Napoli si è riconosciuta in quel piccolo eroe e la sua ribellione ha acceso la Resistenza di un popolo che porta  dentro di sé una sofferenza  storica, che gli ha dato la forza di scrivere una pagina fondamentale  della Liberazione dal giogo fascista e nazista.

Oggi che la marea nera sta per andare al potere con una legge elettorale liberticida e anti costituzionale ho voluto ricordare  a me stesso il piccolo Gennarino Capuozzo di undici anni morto per la democrazia.

settembre 24, 2022

Il Monarca!

Di Beppe Sarno

Giovedì 15 settembre a Salerno e prima in altre città della Campania è stato presentato il libro scritto a più mani da Massimiliano Amato Isaia Sales, Licia Amarante Pietro Spirito, Marco Plutino, Pino Cantillo, Luciana Libero.

 Si tratta di un libro inchiesta  sulla resistibile ascesa di Vincenzo De Luca, governatore della Campania.

 Questo libro di cui si sentiva la necessità per dimostrare fino a che punto l’uso distorto delle leggi regionali (statuto e legge elettorale) possano far diventare un istituto che doveva essere un concreto passo verso una più sostanziale democrazia una barriera Insormontabile fra Stato  e cittadini in un treno che corre verso il disastro con il pilota impazzito.

Il 7 giugno 1970 venivano  istituite  le regioni ordinarie  considerate una tappa importante per la  realizzazione di quelle riforme che la nostra Costituzione aveva programmato.

L’istituto  delle regioni doveva rappresentare per tutti i cittadini la grande occasione per avviare una seria riforma democratica dell’ordinamento dello Stato. La costituzione all’articolo 117 definiva le ragioni come “sede deliberante” e quindi come centro di decisione politiche nel momento in cui afferma che “la regione emana…. norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. L’art 118 prefigurava il funzionamento dell’istituto affermando “ la regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle province ai comuni o d a altri enti locali” Questo era il punto da cui doveva partire l’avvio belle regioni interpretando lo spirito democratico e la volontà dei padri costituenti.

il primo compito  che le regioni dovevano assumere era quello di elaborare ognuna il proprio statuto che avrebbe dovuto avere la funzione di trasferire al nuovo ente una corretta interpretazione della volontà costituzionale.

Lo statuto avrebbe dovuto consentire una partecipazione diretta di tutti i cittadini alla formulazione della politica regionale che tenesse conto delle realtà e delle necessità territoriali.

Le cose sono andate diversamente perché come vediamo nello statuto della regione Campania vi sono tre norme che garantiscono l’assoluto predominio del presidente della Giunta Regionale e sono l’’art. 46 che riguarda la sfiducia perché laddove si prevede che A”La sfiducia, la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie del Presidente della Giunta regionale comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio; l’art 49 nella parte in cui il  voto contrario della maggioranza assoluta dei Consiglieri regionali sulla questione di fiducia determina l’obbligo di dimissioni del Presidente della Giunta regionale, della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale; l’art 52 che prevede l’‘approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta regionale comporta l’obbligo di dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.” Queste tre norme di fatto consentono al Presidente della giunta  di arrivare con tranquillità alla fine della legislatura perché nessuno consigliere regionale si sognerebbe mai di rinunciare al proprio ruolo istituzionale ed un notevole compenso per far cadere il proprio Presidente, per quanto cattiva possa essere stata la sua gestione. Ma al di là dello statuto che già di per sé rappresenta una buona polizza per il presidente della Regione di poter governare di fatto senza  alcun controllo,  è la legge elettorale  che pone le basi della costruzione di un potere senza alcun controllo delle rappresentanze di base.

 La democrazia rappresentativa è stata mortificata In Italia non solo a livello regionale ma anche a livello nazionale grazie a un uso scorretto degli strumenti di pubblicizzazione degli eventi elettronica. La televisione e tutti gli strumenti di massa sono diventati strumento principe di chi  poteva avere a disposizione spazi mi comunicazione enormi sulla base non di un progetto elettorale ma sull’uso distorto dei sondaggi che di fatto sono diventati una sorta di pubblicità occulta. Chi ha il controllo dei mezzi di comunicazione di massa ha il controllo del corpo elettorale e tanto più avrà il controllo tanto più la sua vittoria sarà sicura.

Nelle leggi elettorali regionali è passato il principio, attraverso la formulazione di norme ad hoc,  che la funzione dell’opposizione deve essere marginale in nome della governabilità. Di fatto le minoranze ottengono con la legge elettorale ciò che la maggioranza giudica di accordarle, cioè quasi nulla. Di fatto nelle regioni a statuto ordinario le opposizioni hanno un ruolo marginale perché la sommatoria del premio di maggioranza con la soglia di accesso distorce oltre ogni limite l’uguaglianza del voto e viola il principio costituzionale del voto personale e diretto. La legge regionale n.4 del 27 marzo 2009 e successive modifiche ed integrazioni, all’art. 6 co. 1 che così prescrive “Le liste collegate al candidato proclamato eletto alla carica di Presidente della Giunta regionale ottengono almeno il sessanta per cento dei seggi del Consiglio attribuiti alle singole liste.” Ciò significa che per assurdo un gruppo di liste collegate ad un presidente che superi il 40% dei voti anche se composti per oltre il 50% di voti disgiunti farebbe eleggere candidati  delle liste a lui collegate, non scelti dai loro elettori, in misura superiore di quelli eletti con il 35% dei voti dati al complesso delle liste collegate.

La nostra Costituzione non ha  costituzionalizzato il sistema elettorale e quindi nelle varie leggi elettorali c’è un misto di sistema proporzionale e maggioritario per cui il sistema elettorale innesta su un sistema proporzionale l’elezione diretta del presidente, vertice dell’esecutivo tipica dei sistemi previdenziali, nei quali la separazione dei poteri è netta mentre nel caso delle leggi elettorali regionali questa separazione  è imbastardita da un premio di maggioranza che assicura il controllo del legislativo. La legge regionale campana distrugge di fatto il principio tipico dello Stato della divisione del dei poteri. 

A queste due anomalie la contestuale presenza di una soglia di accesso con un premio di  maggioranza determina di fatto l’incongruità di una soglia di acceso non commisurata al consenso tra gli elettori delle liste di candidati, ma al candidato Presidente, per il quale è ammesso il voto disgiunto ( art. 4 c.2  LR n.4 del 27 marzo 2009 e s.m.i.). Si sottolinea che L’introduzione di premio di maggioranza e soglie di acceso oltre che ledere l’art. 48 Cost. sull’uguaglianza di voto e il principio del voto personale e diretto, viola l’art. 51 Cost. per i candidati, che non sono in condizioni di uguaglianza anche se ottengono un consenso pari o addirittura superiore a lista collegata ad un Presidente, che grazie al voto disgiunto gli stessi propri elettori hanno concorso a primeggiare.

Merita sicuramente censure anche il principio dell’esenzione della raccolta delle firme “per i partiti rappresentati nel parlamento italiano o di gruppi costituiti in Consiglio regionale nella legislatura i corso.” In questa maniera, e lo abbiamo visto nella recente corsa alla raccolta delle firme per le elezioni del 25 settembre, i candidati nelle nuove formazioni sono ostacolati e sono costretti come è successo in altre esperienze a dover fare la scelta o di rinunciare alla competizione elettorale o di inserire i propri eventuali candidati in altre liste non corrispondenti al proprio programma politico.

L’esistenza di norme che in nome della governabilità distorcono il senso del messaggio che i padri costituenti hanno lanciato nel prevedere uno strumento di maggiore partecipazione democratica dei cittadini trasformandolo invece in una ulteriore barriera tra Stato e cittadini.

L’istituzione delle Regioni poteva essere una grande occasione di gestione democratica della cosa pubblica, mentre invece è diventato uno strumento in mano al “Monarca” per gestire il potere in maniera assoluta e senza controllo facendo crescere a dismisura il divario tra le intenzioni e le promesse elettorali e il concreto operare politico.

Questo divario è destinato a crescere se  dovesse essere approvato il progetto della cosiddetta autonomia differenziatavoluto dai rappresentanti delle Regioni forti finalizzato ad ottenere risorse pubbliche maggiori mediante trattenute su quote di gettito dei tributi dovuti. Esso rappresenta il tentativo di violare il principio costituzionale affermante che l’attribuzione di risorse e di funzioni ad alcune Regioni non può prescindere dal rispetto dell’equilibrio perequativo tra tutte le Regioni italiane.

Assistiamo nei tempi recenti ad una crisi dello Stato che è di fatto crisi della democrazia. Tale crisi si presenta sotto due aspetti. Si traduce innanzitutto in un isolamento sempre maggiore del cittadino in rapporto al potere cui egli partecipa in maniera sempre più formale ed in secondo luogo la  crisi dello Stato si traduce in un fenomeno ancora più grave:  lo Stato non corrisponde più alla società reale e appare sempre più come un Golem pietrificato. La sovranità popolare è solo formale ma di fatto è morta. Tutta una vita sociale dominata dai mass media e dalle multinazionali finanziarie si svolge al di fuori dello Stato.

Le regioni avrebbero potuto fin dalla loro istituzione modificare e arginare questo fenomeno; si è invece creato un mostro che ha allontanato sempre più i cittadini dalla loro partecipazione alla vita politica attiva consentendo sempre di più la riduzione dei margini di democrazia partecipata.

Il  libro di Massimiliano Amato e degli altri autori  ha avuto il merito di far conoscere  i  meccanismi manipolatori del consenso, i  disastri della sanità, l’eterna questione rifiuti, i danni alla cultura, gli scempi urbanistici di questo astuto personaggio protetto dal suo partito.  De Luca ha capito fino a che punto una legge incostituzionale può far arrivare che detiene le chiavi della complessa macchina regionale.

Ecco perché  Il libro di Massimiliano Amato e degli altri coautori dovrà essere il punto di partenza per una rinnovata attenzione sull’istituto “Regione” per denunciare  le distorsioni determinate da una legge elettorale sotto più punti non conforme al dettato costituzionale e aprire un  dibattito sui contenuti politici della funzione delle regioni e su come intervenire, prima che sia troppo tardi, per fermare la deriva antidemocratica  e l’azione devastante del “Monarca” e dei suoi emuli nelle altre regioni italiane.

settembre 16, 2022

Ancora sulla strana morte di Francesco Di Dio

intervista di Antonella Ricciardi

Nella seguente, nuova incisiva testimonianza, Maria Rosa Di Dio, zia del detenuto siciliano Francesco Di Dio, mette in luce maggiormente aspetti irregolari del modo in cui è stata gestita la vicenda del giovane. Una ingiustificata ed inspiegata mancanza della perizia medico-legale di parte, richiesta dalla famiglia, ha comportato una nuova perizia, che accusa una “mano ignota” che possa avere causato la morte di Francesco, per motivi attualmente non del tutto chiariti, al momento; certo è, però che Francesco era stato discriminato dai vertici del carcere di Opera, la cui direzione sanitaria, soprattutto, non si era mossa per trasferirlo all’esterno, garantendogli almeno gli arresti ospedalieri: il minimo indispensabile, in caso di patologie significative, ma comunque qualcosa di meglio, molto meglio, del rimanere in cella, con mancanza di cure specialistiche. Ricordiamo che, con la circolare 21 del marzo 2020, in piena pandemia, erano stati ampliati i poteri delle direzioni delle carceri, per collocazioni extramurarie, quindi esterne al carcere, di persone con le più varie patologie, quando di un certo rilievo, anche per sfoltire i penitenziari, maggiormente a rischio, con il sovraffollamento, di un estendersi dell’epidemia. Una circolare che aveva suscitato polemiche improntate al giustizialismo, data la scarcerazione di circa 300 persone, condannate per mafie, anche non collaboranti con la giustizia. Va detto, però, che si trattava solitamente di collocazioni comunque detentive, e che non si erano verificate evasioni rispetto a quelle collocazioni alternative; pochi mesi dopo la circolare, anche Raffaele Cutolo, nonostante la mancata revoca del 41 bis ed il mancato differimento della pena (misure criticate in modo motivato da organizzazioni per i diritti umani, data l’estinzione dell’organizzazione di appartenenza e le gravi condizioni di salute), era stato però ammesso ad una misura nei fatti equivalente ad un differimento: nel suo caso, per iniziativa delle direzione sanitaria del carcere di Parma, era stato trasferito negli ultimi mesi della sua vita, tra 2020 e 2021, agli arresti ospedalieri in un reparto detentivo di un centro di cura esterno: l’’Ospedale Civile Maggiore di Parma, che è anche Clinica Universitaria, da cui era stato poi confermato non dimissibile; una misura, quindi, di correttezza e civiltà, che, invece, era purtroppo mancata nel caso di Francesco. Tornando invece alla direzione sanitaria del carcere di Opera, è illuminante ricordare che il suo operato, nel caso di Francesco Di Dio, era stato contestato dalla dottoressa Catalano, primaria dell’Ospedale Sacco di Milano, che aveva considerato scorretta la collocazione carceraria di Francesco, che pure aveva bisogno di cure specialistiche. Maria Di Dio, quindi, chiede che le indagini più serie rischiarino la tragica vicenda, la cui oscurità è aggravata dalla mancata chiamata a testimonianza degli ex compagni di sventura di Francesco: un tempo nella Stidda, poi nella non violenza. Sia Francesco Di Dio che i suoi compagni ad Opera non avevano collaborato con la giustizia, per non coinvolgere altre persone nel loro dramma; tutti i compagni di Francesco avevano gradualmente avuto accesso a liberazione almeno parziale, in nome di una visione più lungimirante del recupero della persona. Solo Francesco, tra loro, era stato escluso da attenuazioni del grado di intensità della pena, eppure si era ravveduto nell’anima: un pentimento vero, differente da una collaborazione con la giustizia interessata, da parte di persone spesso più colpevoli (tra cui vari capi della Stidda di un tempo), e che, comunque, non la fanno gratis. Francesco era stato condannato all’ergastolo, rivelatosi successivamente nella sua terribile variante ostativa, a 18 anni; una condanna durissima, per una pena che, a volte, non viene condivisa neanche da familiari di vittime. Ricordiamo, su altri casi, ma comunque eloquenti, le posizioni di generosità mirabile, straordinaria, di Agnese Moro (figlia dello statista Aldo), che affermava che l’ergastolo fosse come buttare via qualcuno, e che lei non volesse buttare via nessuno. Un ergastolo, nel caso di Francesco Di Dio, trasformato, a parere della zia, in una condanna a morte di fatto, dopo 30 anni di torture mentali e fisiche, data anche la mancata corretta gestione di terapie antidolorifiche in carcere: una situazione che era stata deplorata dalla stessa dottoressa Catalano.

1)Partiamo da una premessa: nel giugno 2021 era stata presentata una denuncia, in cui un perito nominato dalla famiglia sostiene la tesi di un soffocamento dovuto a cause esterne ai danni di tuo nipote, Francesco Di Dio: tale documento, che attesta questa posizione del medico, è stato presentato anche perchè, a suo tempo, quando si era svolta l’autopsia, l’anno prima, un altro medico di parte, nominato dalla famiglia, Corradin, non aveva firmato la relazione collegiale con gli altri medici. Addirittura, la relazione di Corradin non risulta essere stata depositata nel fascicolo al pubblico ministero, per cui non c’è prova che esista una relazione di Corradin depositata all’epoca. Puoi spiegare maggiormente questa situazione?

Nel giugno del 2021 abbiamo nominato un nuovo medico legale, perchè il primo medico legale Matteo Corradin, quello che ha fatto l’autopsia, non ha depositato la relazione medico legale nel fascicolo del p.m. Christian Barilli nel 2020, durante le indagini preliminari, che sono durate otto mesi.  Inoltre non ha firmato la perizia medico legale collegiale e in uno degli esami non ha presenziato. In quel momento, nonostante il dolore della perdita del mio caro nipote Franco e l’amarezza che il medico legale Matteo Corradin avesse compromessi-danneggiati esami irripetibili art. Cpp360, abbiamo pensato di nominare un nuovo medico legale. La cosa ancora più strana è che durante le indagini preliminari, ripeto durate otto mesi, nessuno si è accorto che mancava la perizia di parte: né l’ex avv. difensore Eliana Zecca nè tantomeno il p.m Christian Barilli che era il capo delle indagini. Cosa pensare? Non hanno letto? Non hanno fatto bene il loro lavoro o altro?

Non so cosa pensare. La risposta ce la deve dare il nuovo capo delle indagini del tribunale di Milano. 

Di fatto noi ci siamo ritrovati senza perizia medico legale, non esisteva!!

Comunque noi abbiamo nominato un nuovo medico legale, il quale ha sostenuto, sia verbalmente che per iscritto, che Franco è morto per soffocamento dovuto a cause esterne e quindi dopo un anno e tre mesi abbiamo presentato denuncia a settembre 2021. Noi vogliamo sapere cosa è successo a mio nipote Francesco Di Dio   il 03/06/2020 dentro il carcere di Opera-Milano, perché in uno Stato di Diritto è giusto che noi cittadini rispettiamo lo Stato ma altrettanto rispetto chiediamo noi cittadini. 

2) Tu e l’attuale avvocato, Daniel Monni, siete effettivamente arrivati ad un dato dirimente, di cui il precedente avvocato, ed il pm che in precedenza si era occupato del caso, non avevano appunto fatto menzione: la questione non sembra essere stata notata, o sollevata. Quanto cambiano adesso le cose? Cosa pensi possa implicare per il nuovo procedimento giudiziario?

Sì, io e l’avv. Monni ci siamo arrivati subito e senza nessun impedimento che mancava la perizia medico legale di parte, tanto che l’avv. Monni mi ha detto subito che dovevamo nominare un nuovo perito, in quanto il medico legale Matteo Corradin, che ha eseguito l’autopsia, non aveva depositato la perizia medico legale di parte nel fascicolo del pm Barilli, non aveva firmato la relazione medico legale collegiale e non aveva presenziato ad un esame e che le indagini si erano concluse con la richiesta di archiviazione con la mancanza di questi atti  importantissimi. Invece l’ex avv. di fiducia Eliana Zecca non ha notato e non ha sollevato il problema che mancava la “perizia medico legale di parte”, che Corradin non aveva firmato la relazione medica legale collegiale e quando è arrivata la richiesta di archiviazione da parte del PM Barilli, mi disse “sig.ra è tutto chiaro”!!  E quindi noi non potevamo fare niente, solo accettare l’archiviazione della morte di mio nipote.

L’avv. Zecca non è la prima incongruenza che non ha notato, tante che in passato mi sono domandata ma questo avv. è nostro difensore o è l’avv. difensore del carcere di Opera?

Quindi l’ho cambiata perché non ho avuto più fiducia e perché per lei dovevamo chiudere.

Per come stanno le cose l’avv. Zecca e il medico legale andrebbero denunciati per risarcimento perché non hanno fatto bene il loro lavoro e a noi hanno procurato un danno enorme. Tante è vero per come stanno le cose non escludo di chiedere al pm una nuova autopsia.

3) Le testimonianze sulla morte di Francesco potevano essere meglio approfondite, e perchè, a tuo avviso?

No, non ritengo che potevano essere approfondite, non dovevano fare neanche quella di Feliciello. Sono dubbie le risposte dei detenuti perché vivono in uno stato di repressione: non sono liberi di dire e fare. Come ritengo dubbia la testimonianza di Domenico Feliciello, perché Franco ha sempre detto che di fronte alla sua cella c’era Orazio Paolello,  non Domenico Feliciello, detenuto invece per camorra. 

Un articolo che parla di Domenico Feliciello ha dell’incredibile: commenta il fatto che non gli hanno dato il permesso premio per vedere la famiglia fuori dal carcere senza mettere in risalto la vera notizia, che gli hanno tolto il 41 bis, che è quasi impossibile togliere, specialmente quanto si tratta di boss. Tutto questo a due anni dalla morte di mio nipote Franco.

Ha attinenza? Non lo so, però mi fa pensare, in quanto il carcere di Opera non è impermeabile a certi reati, come la droga che circola dentro.

4) Cosa propendi possa essere accaduto a Francesco, ed in quali circostanze?

Credo nella relazione medico legale del dottor Rizzino, il nuovo medico legale di parte: Franco è morto per mancanza di ossigenazione causata dall’esterno, cioè Franco è stato ucciso dentro il carcere mentre era in custodia dello Stato.

Ritorno a dire che il carcere di Opera non è impermeabile a certi reati. Es: la droga che circola all’interno.

Poi, penso Franco a chi dava fastidio? E perché i suoi ex compagni di sezione non hanno evidenziato certe anomalie? Per farlo riposare in pace gli dovete la verità, è l’unica cosa che gli possiamo dare. 

Nell’ultima telefonata ho sentito Franco agitato, gli abbiamo chiesto cosa hai? Lui, come al solito rispose nulla.

Secondo me verosimilmente aveva capito, non è stato un omicidio di impeto ma premeditato. 

L’ora potrebbe essere stata dopo pranzo quando le celle sono aperte.

Franco, forse si trovava già in cella, hanno fatto l’omicidio e poi l’hanno chiuso all’interno.

5) Quali aspetti sono più importanti da ricordare del calvario di Francesco, anche per evitare che anche altri detenuti siano vittime di analoghe situazioni di disumanità nel trattamento?

Gli aspetti più importanti del calvario di Franco, iniziano da subito, quando lo hanno arrestato. Franco aveva diciotto anni e due mesi, un ragazzino, e faceva uso di sostanze stupefacenti. Io, non dico che non abbia sbagliato ma dovevano considerare la giovane età e l’uso di sostanze stupefacenti. Non era un boss ma l’hanno condannato come se lo fosse, solo perché un giornale, la Repubblica, l’aveva indicato come tale. Una relazione di polizia aveva usato quell’articolo per esprimersi contro benefici a suo favore.  Ad un ragazzino gli hanno fatto vivere l’esperienza dell’Asinara, dove deportavano tutti i boss. Il momento più tragico l’ha vissuto nel carcere di Carinola dove iniziò ad avere dolore al piede ed i medici del carcere di Carinola lo curarono per ben tre mesi come lombosciatalgia con dolori indicibili, lo portarono in ospedale solo quando fu grave, con il piede in cancrena e la febbre a 40 gradi, a rischio della vita. Io, che non sono medico se dopo 15 gg non ho risultati o miglioramenti penso che la cura non è giusta, invece i medici del carcere di Carinola hanno continuato imperterriti con la cura della lombosciatalgia. Alla fine hanno dovuto amputare il piede perché in ospedale glielo hanno portato troppo in ritardo.

Altro momento veramente disumano fu durante la pandemia, con la circolare 21 del 2020, per cui il direttore del carcere Silvio Di Gregorio aveva il potere di mettere fuori senza nessuna istanza chi stava male e così fece, mise fuori tanti detenuti tranne Franco, di tutti quelli che mise fuori nessuno è morto, è morto Franco che lasciarono in carcere. Noi, famiglia Di Dio, in quel periodo dicevamo perché il direttore del carcere di Opera non aveva fatto uscire Franco!! Allora, visto che non ci aveva pensato Silvio Di Gregorio, in quel periodo facemmo istanza per arresti ospedalieri, la direzione sanitaria del carcere di Opera ha scritto nero su bianco che Franco stava bene. Nonostante Franco avesse una gran voglia di vita perché praticamente non ha vissuto nulla della vita esterna.  Il carcere di Opera è stato atroce con Franco. 

Quando è morto hanno detto che aveva diverse patologie ma si sono dimenticati di dire che per Franco una delle patologie che aveva era una grave carenze di vitamina D. Vitamina che he come sappiamo si produce con l’esposizione al Sole: siccome per 30 anni non ha visto né cielo ne terra, è normale che gli sia venuta questa patologia e altre dovute sempre alla  lunga detenzione. Se l’anima soffre il corpo urla il dolore. Mio nipote è stato condannato a morte a 18 anni, un ragazzo sepolto vivo per ben 30 anni. Tutti sbagliamo e tutti dobbiamo avere una seconda possibilità; a Franco non gliela hanno data, non hanno applicato su Franco giustizia ma vendetta. Un essere umano si deve riabilitare come dice la nostra Costituzione, non affossare e terrorizzare.  

Infine era disumano leggere negli occhi di Franco il terrore. 

Franco aveva capito che aveva sbagliato e si era ravveduto nella sua anima.

A noi manca una parte della nostra famiglia ed è un dolore che non passa mai, dobbiamo convivere giorno dopo giorno con questo dolore e insieme a Franco hanno fatto male anche a noi. E ancora da morto gli fanno del male perché cercano di occultare la verità, una prova è la mancanza della perizia medico legale di parte.

I

settembre 8, 2022

Compagno Presidente

Ricordando Salvator Allende.

di Beppe  Sarno 

Il 4 settembre 1970 avviene in Cile un miracolo: una coalizione socialista, “Unitad Popular”,  con  Salvador Allende candidato Presidente,ottiene il numero più alto di voti. Unitad Popular raggiunge li 36,3% dei voti, il candidato della destra Jorge Alessandri il 34,9% e il candidato democristiano Rodomiro Tomic il 27,8%; il Cile ha un sistema presidenziale che da al Presidente della Repubblica il potere di nominare il governo.

Nel successivo scrutinio alle camere la Democrazia Cristiana voterà per Allende. E’ la vittoria! Dopo un mese di tensioni il 4 novembre 1970 Salvator Allende socialista entra al palazzo della Moneda come Presidente e capo del governo del Cile.

Allende eredita un paese da governare politicamente ed economicamente debole: poca industrializzazione, il rame, ricchezza principale del paese in mano agli Americani, poca agricoltura in mano ai latifondisti, mancanza di un terziario forte e urbanizzazione crescente della popolazione.

In questa realtà i comunisti e i socialisti rappresentano un movimento operaio organizzato, ma profondamente diviso al suo interno; la Dc ha una base interclassista e il partito nazionale rappresenta invece il latifondo e quella parte della borghesia tradizionalista e conservatrice in concorrenza con la destra della DC. Vi sono poi movimenti minori far cui il MIR, prima astensionista e poi fortemente sostenitore di Allende.

Il progetto politico di “Unitad Popular” si fondava su alcune idee forti: la prima che il sistema istituzionale Cileno aveva al suo interno gli strumenti per la trasformazione del Cile in  uno stato socialista nel rispetto della legalità costituzionale; la seconda che una radicale trasformazione del capitalismo in capitalismo di stato con riappropriazione dell’industria e del credito unita ad una accelerazione della riforma agraria iniziata da Frei, avrebbe creato le premesse per l’indipendenza economica del paese, per fermare l’inflazione, per rendere l’industria privata non in conflitto con lo stato, per consentire una redistribuzione del reddito a favore delle fasce più deboli della popolazione. Come conseguenza di queste idee guida sarebbe seguita una fase spinta di nazionalizzazioni, di coinvolgimento degli operai nelle scelte produttive, acquisizione di capitali provenienti dall’estero.

Il governo, formato dai socialisti, dai comunisti, radicali, MAPU, socialdemocratici e dal “marxista indipendente” Vuscovic, nei primi mesi di attività, ottiene importanti risultati. In politica estera riconosce Cuba e la Cina; in politica interna oltre a varie opere sociali, sanitarie e altre provvede alla nazionalizzazione totale delle industrie minerarie fino ad allora in mano agli americani, reti di industria e combustione, comunicazione, trasporti, istituti bancari. Anche in agricoltura gli espropri sono considerevoli. Il governo rifiutandosi di indennizzare le industrie estrattive del rame arriva a chiedere un risarcimento di circa 350 miliardi di dollari alle società americane proprietarie fino allora delle miniere.

I salari vengono aumentati come pure le spese sociali.  Alle elezioni municipali dell’aprile 1971 Unitad Popular sfiora il 50% dei voti.

L’assassinio di un ex ministro democristiano insieme ad una forte crisi economica determinata dall’abbassamento del prezzo del rame e dalla mancata concessione di prestiti da parte del FMI mette in crisi i rapporti con la DC, in cui ha ripreso potere Frei, che chiede ad Allende di ridurre il numero delle industrie da nazionalizzare.

Altro fattore di crisi è la richiesta di aumenti salariali da parte degli operai delle miniere a cui Allende non riesce ad aderire. Di questo stato di cose approfitta la Dc che avendo insieme al Fronte Nazionale la maggioranza al Senato ed alla Camera mette in seria difficoltà il cammino delle riforme e il governo stesso. 

Il 1972 è l’anno della riscossa della DC e delle destre tra cui spicca l’organizzazione parafascista “Patria e Libertà”. Il candidato alle presidenziali della DC Tomic, viene sostituito dal redivivo Frei. Le elezioni suppletive, caricate dalla destra di significato politico porta al successo i candidati democristiani.

Lo scontro tutto istituzionale avviene prima sul bilancio: obbiettivo delle destre è bloccare il programma di nazionalizzazione delle industrie. Per questo motivo oltre a chiedere l’incriminazione del ministro Toha  per motivi di ordine pubblico, viene chiesta l’incriminazione del ministro dell’economia Vuksovic considerato colpevole di aver voluto accelerare il processo di nazionalizzazione delle industri private. Comunisti e socialisti a questo punto avrebbero voluto tentare l’apertura del dialogo con una parte della Dc, il Mir invece proponeva misure di trasferimento di poteri al popolo al di fuori del quadro istituzionale.

la DC dal canto suo organizza una forte opposizione sia all’interno del parlamento che nelle piazze con un’organizzazione capillare. Viene proposto un progetto di riforma istituzionale teso ad attuare una limitazione dei poteri del presidente.

Una serie di misure incongrue e di difficile sostentamento in materia economica porta necessariamente alla mancanza di beni, fenomeni di accaparramento, speculazione e mercato nero. la “battaglia per la produzione” del 1971, aveva solo attenuato per un breve periodo l’aggravarsi della crisi.

All’interno di Unità Popolare si apre un dibattito: da una parte Vuksovic che propone di accelerare e riqualificare il processo di allargamento del settore statale, di promuovere una forte politica fiscale sugli alti redditi e una manovra sui prezzi; lo stesso ministro contemporaneamente propone di sospendere il pagamento del debito estero e di aprire negoziati con altri paesi per attrarre investimenti esteri. Dall’altra parte i comunisti che continuando ad avere un atteggiamento prudente, propongono di ridurre il numero delle imprese da nazionalizzare e pongono forti freni al controllo della produzione da parte degli operai. Vince la linea dei  comunisti, ma la cosa non ferma la crisi.

Al dibattito sulle prospettive economiche si aggiunge il dibattito politico che porta  a delle profonde spaccature all’interno di Unitad Popular.

la fedeltà alle istituzioni di Allende e di Unitad Popular si dimostra una camicia di forza per il governo, lasciando alla DC e alle forze di destra la piazza. Lo scontro si radicalizza anche perchè i comunisti prendono le distanze da Unitad Popular. Alle proposte in materia sociale ed economica del governo, “El Siglo” quotidiano del partito comunista scrisse all’epoca “parlare di controllo operaio è pura fraseologia, che non ha nulla a che fare con il nostro programma[….]proporre una amministrazione fondata sulle organizzazioni popolari dei consigli di zona, incaricati a risolvere i problemi dei lavoratori è anarchismo puro mentre quel che occorre è un’azione sindacale sociale politica economica  coordinata ed efficace di guadagnare la fiducia degli imprenditori(sic!)”ed ancora “un piano realistico che si proponga misure molto chiare di aumento della produzione e della produttività” 

Nel giugno ’72 cambia il governo con un programma che corrisponde ad un arretramento rispetto alle scelte politiche iniziali di unitad Popular.  I tentativi di Allende con la proposta di misure economiche e politiche più moderate non ottengono i risultati sperati; la rottura con i comunisti fa il resto.

Il 12 ottobre dello stesso anno inizia la serrata dei trasporti, del commercio e di altre categorie professionali. L’attacco ad Unitad Popolare è cominciato.

Unitad Popular si radicalizza e il segretario del partito Socialista Carlos Altamirano sostiene che il progetto politico di Unitad Popular deve andare avanti con più rigore; continua la statalizzazione delle fabbriche e vengono attuati aumenti indiscriminati dei salari. Insomma la scelta rispetto alla serrata è quello di spostare sempre più a sinistra le scelte politiche. L’obbiettivo dei socialisti,  del Mir e del Mapu è quello di creare un  blocco rivoluzionario che contrasti lo scontro ormai aperto con le destre e la DC. Allende e i comunisti rimangono invece  fedeli alla scelta di non uscire dalla legalità.

A questo punto Allende gioca la carta dell’accordo con i militari. dopo un incontro con il Generale Carlos Prats, questi accetta, in nome della fedeltà alle istituzioni, di entrare nel governo e accetta la presidenza impegnandosi a stroncare la serrata in 48 ore. L’illegalità viene sconfitta.

La sinistra DC che in un primo momento aveva seguito Allende per il riscatto del rame dagli Stati Uniti e per una riforma agraria che ella stessa aveva concepito, di fronte a scelte più radicali di Unitad Popular si dissocia e si allea con la destra con il comune intento di sconfiggere Unitad Popular.

L’isolamento internazionale, la crisi economica, il controllo da parte della Dc dei mezzi di informazione, della polizia di strati dell’esercito riescono ad avere partita vinta rispetto al tentativo di Unitad Popular di costruire un blocco alternativo operaio e contadino che usciva dagli schemi capitalistici con l’obbiettivo di costruire una società socialista per le vie legali.

L’aumento della qualità della vita e le migliori condizioni economiche della classe operaia, insieme al processi di nazionalizzazione delle industrie e tutte le misure economiche e politiche del governo  determinarono nel ceto medio la convinzione che  “il processo sociale è andato oltre il punto di equilibrio d’un governo riformista” . Il Cile si avviava a diventare socialista. La nazione si divise da una parte la classe operaia sostenitrice di Unitad Popular, dall’altra la media borghesia, gli industriali i ceti ricchi, i latifondisti sostenuti dal governo degli Stati Uniti e questo portò ad una radicalizzazione dello scontro politico. Nessuno più crede al raggiungimento del socialismo in maniera indolore. La Dc propone per uscire dalla crisi il blocco dei salari, una riattivazione degli incentivi ai capitali nazionali ed esteri unite a misure inflattive.

All’interno di Unitad Popular si determina una spaccatura fra socialisti e comunisti sulle misure economiche da adottare. Rispetto alla proposta dei socialisti di istituire per combattere il fenomeno del mercato nero una dotazione fissa mensile di prodotti alimentari di base per ogni nucleo familiare, il PC si rifiuta di aderire. Lo scontro decisivo si verifica sulla proposta dei socialisti di portare fino in fondo il processo di nazionalizzazione delle industrie. I comunisti avrebbero voluto invece bloccare il processo e riattivare con misure incentivanti gli investimenti privati. Il ministro all’economia Millas, a questo proposito propone di bloccare il processo di nazionalizzare l’industria e di restituire ai privati 123 aziende che stavano per essere nazionalizzate. Gli operai scesi in piazza chiedono l’abolizione del progetto Millas e solo l’impegno di Allende a far naufragare il progetto Millas ferma la protesta operaia.

Contrariamente ad ogni aspettativa nelle elezioni del marzo 1973 i socialisti ottengono il 43,9 % dei suffragi. Intanto l’inflazione tocca il 238%. Gli operai, i contadini il terziario e gli intellettuali scelgono Allende, il dialogo fra DC e Unitad Popular appoggiato dai  comunisti non è più possibile, Frei si riappropria della DC. Una parte dell’esercito che in un primo momento aveva appoggiato Allende prova un tentativo di golpe nel giugno 1973, ma sono le stesse forze al suo interno, leali ad Allende che lo stroncano.

A questo punto Allende forma un governo senza esercito con un programma politico moderato orientato a riaprire il dialogo con la DC. Dopo il tentato golpe del 29 giugno  gli operai occupato circa duecento fabbriche e chiedono ad Allende di punire i militari infedeli e di istaurare un’emergenza basata sull’organizzazione popolare armata. Allende rifiuta ed ad agosto forma di nuovo il governo con il fedele generale Prats.

La DC ormai straripa e il generale Prats deve lasciare il governo il 24 agosto. Lo sciopero dei trasporti continua bloccando praticamente l’economia del paese. La divisione all’interno di Unitad Popular fa il resto.
 la mattina dell’11 settembre, strana coincidenza di date, i generali Pinochet, Leight, Medina e il comandante dei carabineros Mendoza si costituiscono in giunta militare e gli danno tempo fino a mezzogiorno per dimettersi. Santiago è occupato dall’esercito.

Allende dalla Moneda lancia un appello alla mobilitazione del paese. A mezzogiorno parte l’attacco al palazzo presidenziale, comincia il massacro.

Allende fucile alla mano tenta di difendersi, ma inutilmente. Il suo corpo sarà trovato crivellato di colpi nel suo studio, muore combattendo anche se i militari, mentendo, diranno che si era ucciso.  

La giunta militare inizia il genocidio. La parola d’ordine sarà “Estirpare il cancro marxista.”

Si è scritto tanto su Allende, sull’esperienza Cilena, su Unitad Popular e sul tentativo di costruire una società socialista all’interno di uno stato a democrazia rappresentativa utilizzando gli strumenti rappresentativi e rispettando la legalità. La domanda è stata, era, e sarà se è possibile arrivare per via pacifica alla costruzione di una società socialista. Unitad Popular sotto la guida del socialista Allende, ha tentato nel lontano 1973, quando noi, allora giovani, uscivamo dall’ubriacatura sessantottina o per un processo di riflessione o per un processo di maturazione politica o semplicemente per diffidenza e paura nei confronti del terrorismo di alcune formazioni dell’ultrasinistra di istaurare una società socialista utilizzando le istituzioni democratiche rappresentative. Se invece di questo tentativo estremo avesse soltanto  tentato di riformare le istituzioni democratiche in senso socialdemocratico, migliorando le condizioni sociali ed economiche dei ceti meno abbienti, probabilmente ci sarebbe riuscito. In questo senso Leon Blum negli anni trenta parlava di “leale gestione  della società capitalistica.” Cioè l’attuazione nella società capitalistica di una redistribuzione del reddito a favore delle classi subalterne senza intaccare i meccanismi di produzione e di divisione della società. La storia è l’attualità ci insegnano quanto sia illusorio questo progetto.  Ma era possibile questo in Cile negli anni ’70 o ha avuto ragione Allende?

Certo se avesse voluto sopravvivere politicamente avrebbe dovuto chiaramente manifestare questa scelta ed adottare quella linea di prudenza che i comunisti cileni, forse dietro suggerimento della Russia, gli suggerivano, ma questo significava per Allende tradire il mandato ricevuto dagli elettori. Data la condizione politica in cui si trovava il Cile probabilmente non esistevano le condizioni per attuare il progetto di Unitad Popular e la profezia di Engels    che la via legale per la creazione di uno stato socialista avrebbe ucciso i reazionari si è rivelata sbagliata. L’estrema destra cilena opponeva al disegno di Allende la parola d’ordine “GiaKarta è vicina”.

Il premio Nobel messicano Ottavio Paz affermava “A Praga i carri armati russi e a Santiago i generali istruiti e provvisti di armi dal Pentagono, gli uni in nome del marxismo gli altri in quello dell’antimarxismo hanno portato la stessa dimostrazione: “la democrazia e il socialismo sono incompatibili.” 

Allende con il suo esperimento ha tentato di abolire dei privilegi di una classe dominante che ha reagito con violenza per salvaguardare quei privilegi che riteneva diritti acquisiti. Nel 1963 Luis Corvalan segretario del Partito comunista cileno affermava che in caso di vittoria elettorale “Bisognerà affrontare un’altra prova: quella dei tentativi controrivoluzionari di riprendere il potere.” Ardonis Sepulveda socialista affermava “Non saremo noi a cercare lo scontro, ma crediamo che sarà impossibile evitarlo, perché la borghesia e l’imperialismo non rinunceranno mai volontariamente ai loro privilegi di classe.” Forse fu questo uno dei motivi per cui Allende favorì l’ingresso dei militari nel governo.

Il colpo di stato del settembre 73, salvo  pochi casi isolati, lasciò le classi subalterne inerti. E allora torna la domanda era possibile il socialismo in Cile? 

Il socialismo è un’organizzazione sociale che si impone solo se si creano le condizioni storiche economiche e sociali. Nel Cile del 1970 queste condizioni non esistevano. La popolazione attiva era per lo più impiegata nell’agricoltura dove imperava il latifondo e solo il 20% della popolazione era impiegata nell’industria. Nell’industria oltre la mano d’opera impiagata nelle miniere il resto era impiegato in aziende di piccole dimensioni. Il socialismo veniva così imposto dall’alto e non da movimenti di base. Le nazionalizzazioni imposta da Allende avevano questo scopo, ma lo stato era in mano alla reazione. Unitad Popular pur avendo vinto le elezioni non aveva la forza per governare. Pur utilizzando tutte le possibilità che la via legale gli offriva per realizzare le riforme democratiche e sociali del suo programma Allende si è scontrato contro ostacoli oggettivi che hanno reso impossibile il percorso delle riforme e della trasformazione dello stato. Certo il primo errore è stato quello di nazionalizzare le industrie del rame senza indennizzare la proprietà. Più astutamente il suo predecessore Eduardo Frei pur avendo dato inizio alla nazionalizzazione delle industrie del rame, si era guardato bene da non indennizzare gli ex proprietari, anche perché questi avevano accettato il programma di nazionalizzazione. La scelta di Allende portò ad una reazione delle società estrattive e con esse dal governo americano. Sicuramente Allende avrebbe potuto avere delle dilazioni nel pagamento delle indennità senza perdere la possibilità di prestiti internazionali. Contemporaneamente e forse come reazione diminuì la produzione e il prezzo del rame sui mercati internazionali subì dei ribassi pilotati. Altro elemento di debolezza di Allende e del suo governo fu il mancato controllo dell’inflazione per effetto dell’aumento dei prezzi e  l’aumento della domanda.

La riforma agraria voluta da Unitad Popular e le nazionalizzazioni misero in moto una spirale perversa che determinò un’accelerazione dell’inflazione. Le classi medie spaventate si sollevarono contro il governo.

Ma non furono solo le scelte economiche, pur fondamentali, a determinare la fine dell’esperienza cilena, le riforme volute da Unitad Popular in così breve tempo senza avere una maggioranza in parlamento portarono il governo alla sconfitta. Allende non si arrese, forse, se si fosse arreso dimettendosi, avrebbe conservato al Cile la democrazia necessaria  per continuare in altri momenti più propizi la sua esperienza. Così non fu. Il Cile diventò un enorme mattatoio.

Se è vero come è vero che il socialismo non si impone con la lotta armata né coi colpi di stato è pur vero che le trasformazioni sociali per la creazione di una società socialista non possono essere frutto delle decisioni di una élite, bensì dalla coscienza sociale. Per ogni riforma , per ogni trasformazione sociale occorre partire dalla realtà e non dai desideri, perché come   è stato detto “l’impazienza rivoluzionaria non ha mai permesso alla storia di saltare le fasi normali del suo sviluppo. Essa ha sempre portato alla sconfitta, o perché schiacciata dal nemico, o perché ha partorito un regime che non corrispondeva per niente a ciò che si desiderava. E’ la situazione reale che fa da forza motrice alla rivoluzione e non la semplice volontà.”(Pierre Rimbert)

settembre 6, 2022

Più luce, più luce!

di  Beppe Sarno

Al VI° congresso dell’internazionale Comunista che si tenne a Mosca  dal 17 luglio al 1° settembre 1928 chiese la parola con le parole di Goethe “Più luce, più luce!” Nel suo intervento Togliatti aveva ammonito a proposito delle divisioni interne al Komintern affermando “l’avanguardia del proletariato non può battersi nell’ombra!” Togliatti dopo quel congresso entrò a far parte della direzione dell’Internazionale e fece sua la scelta di Stalin  della terza fase, cioè della strategia chiamata classe contro classe caratterizzata da una radicale ostilità verso la socialdemocrazia.

Togliatti non era fra i compagni che uscirono dal teatro Goldoni di Livorno Venerdì 21 gennaio 1921 era infatti rimasto a Torino laddove invece era presente Gramsci che però non prese la parola.

Il fatto è che Togliatti nella accidentata storia del movimento comunista ebbe un solo faro orientato ad est. Questa sua fedeltà gli dette grande potere che gli derivava dal peso politico, parlamentare sindacale del più grosso partito comunista occidentale. L’unione sovietica aveva grande fiducia e stima del “Migliore” perché Togliatti fu il fedele interprete delle direttive che provenivano da Mosca.

Note sono le polemiche all’indomani del delitto Matteotti, quando Togliatti rientrato da Mosca che rifiuta ogni accordo con il PSI e con i massimalisti giustificando l’uscita blocco delle opposizioni. Secondo Togliatti i socialisti erano c oloro che “lottano per tenere in piedi il sistema capitalistico dall’altra (i comunisti n.d.r.) chi la vuole mandare in pezzi per sempre. Da una parte chi vuole un governo non più fascista ma sempre di capitalisti e sfruttatori, dall’atra chi vuole un governo di operai e contadini.” Questa posizione antisocialista e la debolezza dei socialisti incapaci si assumere una decisione farà poi fallire la proposta di sciopero generale. Il 18 giugno il comitato esecutivo della CGL dirà “Si decide di invitare alla calma le organizzazioni confederate, i dirigenti, le masse lavoratrici, per non compromettere con iniziative particolari e inconsulte lo svilupparsi degli avvenimenti.”

Quando  Togliatti arrivò in Italia non dialogò con i gruppi antifascisti ma con Badoglio, con la monarchia e con gli alleati. Il suo arrivo fu preceduto da una lettera indirizzata a Badoglio per chiedere l’autorizzazione a rientrare in Italia. Con la monarchia assunse fin da subito un atteggiamento blando “Abbiamo sempre evitato di fare della monarchia e del re il problema centrale del momento presente.”

La cd. svolta di Salerno fu il risultato di un accordo fra le diplomazie sovietiche e le potenze alleate e che ogni iniziativa di Togliatti furono concordate a Mosca. Scrive in proposito Valiani” i documenti diplomatici dimostrano che la svolta di Salerno fu suggerita dal governo sovietico prima ancora dell’arrivo di Togliatti ….”. In questa visione non ci sarà spazio per gli altri partiti. Sull’Unità del 2 aprile Togliatti scriverà “E’ il partito comunista, è la classe operaia che deve impugnare la bandiera della difesa degli interessi nazionali che il fascismo e i gruppi che gli dettero il potere hanno tradito.

Il 22 giugno 1946 per celebrare la nascita della Repubblica italiana, Palmiro Togliatti, firmò la cd. amnistia Togliatti definita “colpo di spugna sui crimini fascisti»; amnistia che interrompe i procedimenti giudiziari nei confronti di criminali fascisti e imputati di «reati di collaborazione con i tedeschi».

L’amnistia che chiudeva la svolta di Salerno divenne grazie ad un’interpretazione estensiva della magistratura un generalizzato perdono, applicato anche a torturatori e ad assassini. Piero Calamandrei definì l’amnistia un clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze.

Consapevole del radicamento della Chiesa cattolica in tutto il paese ebbe in grande considerazione le gerarchie vaticane  e con l’approvazione dell’art. 7 della Costituzione provò a mitigare l’ostilità della Chiesa verso i comunisti. L’ inclusione dell’ articolo 7 nella Costituzione, osservò Benedetto Croce, “è uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico“. Accorata la perorazione di Piero Calamandrei: “La pace religiosa esiste. Se volete alterarla votate l’ articolo 7

Piero Nenni così commenterà il voto dei comunisti : “E’ cinismo applicato alla politica. Ma non è il cinismo degli scettici, ma di chi ha un obiettivo e non vede altro. E’ la svolta di Salerno che continua, applicata questa volta alla Chiesa e ai cattolici…“. 

Fu sempre Togliatti che fece bocciare con un artificio tecnico la proposta  di Mortati di inserire l’obbligo del sistema elettorale in Costituzione e di far approvare il sistema maggioritario al senato.

Dopo aver combattuto Tito definito “un tirannello Jugoslavo”, si recò personalmente in Jugoslavia per stringergli la mano non appena Mosca lo riabilitò.  Sempre dalla parte dei vincitori fu nell’immaginario collettivo considerato un nemico dei padroni, ma egli stesso fu un padrone severo con i suoi sottoposti. Nel partito Comunista Italiano non esisteva l’opposizione. Quanti compagni si scoprirono agenti dell’OVRA a loro insaputa solo per essere stati troskisti.

Il pensiero di Togliatti era un non pensiero e nella sua biografia non è possibile rintracciare alcun contributo teorico anche se con lui il PCI ha sempre raccolto valanghe di voti. Questi voti però non hanno contribuito significativamente nell’evoluzione della società italiana del dopoguerra condizionata positivamente dal compromesso fra la Democrazia Cristiana e il partito socialista.

La fortuna del partito Comunista fu dovuta in gran parte all’impotenza del partito Socialista che nel dopoguerra non riuscì ad attrarre i sindacati, il movimento cooperativistico, e perdette l’egemonia nelle amministrazioni locali di sinistra.

Certo il PSI non disponeva dell’appoggio internazionale dell’URSS e Togliatti da grande stratega quale era organizzò un gande partito efficiente compatto, con un grade giornale di massa “L’Unità” grandi pubblicazioni per la massa e per gli intellettuali. Per lunghi periodi potè contare anche sull’alleanza del PSI considerato un partito subordinato.

Con la forza politica che aveva e con l’organizzazione di tipo militare che era stata messa in piedi il PCI avrebbe potuto essere una reale alternativa alla DC ed imprimere alla storia italiana una ben  altra evoluzione.   La cultura italiana per oltre cinquant’anni è stata  monopolio esclusiva degli intellettuali comunisti. Malgrado ciò e con tutta la sua potenza di fuoco il PCI non è riuscito ad ottenere l’attuazione della Carta Costituzionale ed oggi stiamo ancora scontando questa sconfitta.

Togliatti disprezzava il riformismo e il massimalismo dei socialisti, ma quale risultato ha dato l’azione del PCI diverso dall’impotenza dei massimalisti? Se il movimento operaio  attratto dalla seduzione del Pci si è trovato isolato ed è stato spinto verso la DC e i partiti delle classi medie è stato solo ed esclusivamente per una scelta politica del PCI, che non ha voluto mai promuovere alcun sviluppo democratico e socialista della società.

Dei massimalisti Turati ebbe a dire nel congresso socialista di Bologna del 1919 “Il massimalismo è il nullismo, e il massimalismo è la corrente reazionaria del socialismo.” Questa definizione si adatta perfettamente alla personalità di Togliatti.

La domanda allora è perché malgrado la forza elettorale, il radicamento sul territorio, la presenza organica nelle fabbriche, l’essere stato il maggior partito comunista occidentale il PCI non ha combattuto una battaglia realmente socialista? Forse perché il Pci  nell’assumere posizioni a parole sinceramente socialiste nei fatti si smentiva perché quelle posizioni erano solo tattiche e strumentali. Il PCI non avrebbe mai contraddetto le indicazioni che provenivano da Mosca e queste indicazioni erano in contraddizione evidenti con i principi che venivano enunciati in Italia.

Togliatti era l’artefice e nello stesso tempo il prodotto di questo risultato politico negativo. Uomo freddo senza vera passione politica fu u costruttore politico ed amministratore accorto del patrimonio che gli era stato affidato. Non si può certo dire che sia stato un rivoluzionario di professione, piuttosto un burocrate attento a rispettare le direttive di Mosca.

 L’impotenza del PCI  è dimostrata dalla sua storia e dalla sua fine ingloriosa.

Riprendendo  le parole di Goethe mi sia consentito, ora che la  differenza fra comunisti e socialisti non ha più senso, invitare tutti quelli che hanno a cuore la democrazia di fare: più luce, più luce!

Ad esempio la subalternità del micro PSI di adesso al PD senza nemmeno quel senso critico del Nenni di allora che individuata il cinismo del PCI e Togliatti di predicare in un modo socialista ma di praticate in senso contrario.

La disputa coi socialisti massimalista di allora che oggi sarebbero stati come Craxi si oppose alla privatizzazione vergognosa della SME mentre il PDS DS favorì privatizzazioni delle grandi imprese anche in settori strategici espellendo lo Stato dal capitale come in Autodtrade e Telecom che nessun paese eutopeo… men che meno Francia e Germania ha fatto, al di fuori dell’Italia hanno fatto.