Archive for luglio, 2021

luglio 22, 2021

Una inutile passerella!

 di Antonella Ricciardi

Le violenze a sangue freddo sui detenuti di Santa Maria Capua Vetere suscitano più di una riflessione: stupiscono, ma non troppo, coloro che seguono le vicende delle prigioni in generale, e di quel carcere in particolare. La rappresaglia, che ricorda film dei filoni da “horror carcerari”, che sembrano appartenere ad altri tempi ed altri luoghi, è stata l’ultimo tassello di anni di sopraffazioni, ed illegalità: dal sovraffollamento alla mancanza di un allaccio all’acqua decente; da anni, manca acqua pulita dai rubinetti, che esce di un colore tra l’arancione ed il marrone. Le condizioni igieniche erano state denunciate, invano,  ma lodevolmente, soprattutto da organizzazioni di volontariato, tra cui “Antigone”, oltre che esponenti radicali… Diversi lavoratori nel carcere, provenienti dall’esterno, avevano rinunciato all’incarico, per condizioni sanitarie troppo avverse: c’era chi aveva commentato che in paesi più poveri forse i detenuti erano nel fango… ma l’acqua gliela davano; più di una persona aveva testimoniato quanto dovesse subire commenti sprezzanti e volgari di una parte del personale del carcere, quando parlava di riabilitazione dei detenuti, come se fosse stata una strana novità, senza tener conto dell’articolo 27 della Costituzione Italiana.  La visita di Draghi e della Cartabria offre maggiore ribalta, quindi, a vicende simili a quelle di altre carceri, ma meglio documentate: anche a Santa Maria Capua Vetere si era verificata una disperata rivolta contro le condizioni igienico-sanitarie indegne, aggravate dalla pandemia. In tali rivolte, dei penitenziari di più parti d’ Italia, c’erano stati morti e feriti, oltre che violenze degli agenti, documentate in più di un caso. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere, va detto, la Procura si è mossa molto correttamente, salvando i filmati della videosorveglianza, che dimostrano le raccapriccianti violenze: emerge che, partendo da perquisizioni estreme, in cui anche parti intime vengono ispezionate, si è passati pestaggi sfociati in vere e proprie torture: barbarie proprio da parte di chi avrebbe dovuto tutelare la legge.: Perfino un prigioniero in sedia a rotelle è stato malmenato, mentre qualche detenuto ha denunciato che, durante una delle ispezioni corporali, ufficialmente per appurare che non si nasconda qualcosa di illecito all’interno di parti intime del proprio stesso corpo, sia stato addirittura violentato con un manganello. Del resto, le troppo reiterate e gratuite perquisizioni estreme, senza motivi seri, erano già state condannate dalla Cassazione, pur non arrivando al fare violenza nel senso fisico: il confine tra ricerca della sicurezza, legittimo, ed umiliazione gratuita, purtroppo, spesso nei fatti si perdeva.  Umiliazioni che lasciano un sapore amaro, e di disgusto, aggiungendo solo male al male, e degradando anche chi le compia. Per questo, gli abusi ulteriori, ed estremi, perpetrati nel carcere “Uccella” di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020 stupiscono, ma, appunto, non troppo. In nuce, le gratuite mortificazioni erano già presenti, per quanto in grado minore. Del resto, il carcere è come un “sottosuolo” della nostra società, in cui, sotto-traccia, si riflette la violenza della società di fuori: sono proprio parti della società di fuori che andrebbero, per prime, aiutate a riorientarsi in un migliore ordine mentale, quando s’invocano reati contro chi abbia compiuto dei reati (e neanche sempre colpevoli, dati i casi di detenzione preventiva, di presunti innocenti); un incattivimento in cui ce la si prende, in modo non nobile, con chi ce la si possa prendere:.. un’onda cavalcata da politici cui fa comodo dimenticare che la violenza verso gli inermi sia tale anche quando colpisca persone che in passato abbiano sbagliato, ma che erano in condizione di particolare afflizione… La tendenza a giudicare troppo facilmente, del resto, già di per sè è presunzione, perchè ci si pone come se si conoscesse tutto, quando non è possibile: ci si pone come nel ruolo di Dio, quindi del Tutto, quando tutt’alpiù si può essere solo un frammento di una totalità. A suo tempo, peraltro, l’invito ad usare il pugno di ferro, contro rivolte nei confronti di condizioni igienico-sanitarie inaccettabili (ed illegali) era venuto proprio dal ministro della Giustizia, Alfredo Bonafede, supportato da trasmissioni televisive estremiste ed acritiche in questo senso, tra cui quella di Massimo Giletti. Responsabilità, dirette ed indirette, sono quindi non solo di una parte delle guardie e di una parte della direzione del carcere su tali eventi drammatici, che, però, offrono occasione per un nuovo inizio di consapevolezza, per una maggiore costruzione dello Stato di Diritto. Del resto, chi chiede legalità la deve dare, anche per rendere possibile maggiore rispetto per uno Stato che non si regga solo sulla forza…e non sia quindi debole, di fatto.

luglio 14, 2021

U tiempo d’è buone azioni è finito!

Di Beppe Sarno

Questo il grido delle guardie carcerarie convenute a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Poi cominciò la mattanza da parte dei reparti speciali delle guardie carcerarie.

A seguito delle denunce dei parenti dei detenuti la magistratura ha preso severi provvedimenti disponendo ben 52 misure cautelari. La notizia ha fatto il giro del mondo e la classe politica si è variamente schierata. Matteo Salvini si è schierato subito dalla parte delle guardie affermando “sono venuto qui per dare solidarietà a tutte le forze dell’ordine.” Giorgia Meloni, a sua volta ha espresso fiducia e solidarietà nei confronti degli agenti.

Questi due personaggi sono oggi quelli che volano nei sondaggi e ricevono maggior consenso politico da parte degli elettori.  Certo la Lega e fratelli d’Italia non rappresentano altrettante coscienze e convinzioni, ma non possiamo negare che questi sondaggi non rappresentino la stato d’animo del paese in cui viviamo.

S. Maria Capua Vetere non è solo un problema carcerario ma è il frutto di un sentimento di paura che per molteplici circostanze circola nel paese.

Per questo motivo vengono approvate leggi che la coscienza collettiva in altri periodi non avrebbe accettato e siamo diventati succubi di scelte in politica estera quasi mai  in linea con gli interessi della collettività.

La democrazia esce sconfitta e si consegna alla prevalenza delle forze reazionarie le quali hanno già preso in mano il governo della nazione e si apprestano a farlo in maniera definitiva alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento e del Senato.

S. Maria Capua Vetere rappresenta la  metafora di una situazione generalizzata di degrado delle istituzioni che suscitano preoccupazione quando vediamo i mass media( giornali, televisioni, giornali on-line) e organi politici che non solo non contrastano questa mentalità ma anzi la riprendono, la avvalorano e la diffondono, a volte, col pretesto della difesa della democrazia.

Senza questo retroterra i fatti di S. Maria Capua Vetere non si sarebbero potuti verificare.

Filippo Turati in un discorso tenuto a Montecitorio il 18 marzo 1904 disse che “Sovente ci gonfiamo le gote a parlare di emenda di colpevoli e le nostre carceri  sono fabbriche di delinquenti” che “ le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta.”

Il successo del discorso di Turati convinse l’opinione pubblica che era giunto il momento per porre mano ad una radicale trasformazione del sistema penitenziario italiano. Ci pensò Alfredo Rocco a smentire Turati affermando nel 1930 che “ le pene concorrono con le misure di sicurezza nella lotta contro il reo” e che “l’emenda e la rieducazione del reo non sono le funzioni principali delle pene, si tratta invece di scopi secondari ed accessori.”

Fu l’Assemblea Costituente a mettere le cose a posto approvando l’art. 27 della Costituzione che stabilisce “ che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.”

Tutti tentativi di riforma e le riforme avvenute dal 1947 ad oggi hanno di fatto conservato il principio punitivo come cardine di comportamento da tenere nei confronti del condannato, per non parlare del regolamento degli istituti di Prevenzione e pena che conserva nel suo corpo il principio generale punitivo della pena. In questa maniera la Costituzione viene di fatto  calpestata nella pratica quotidiana.

E’ inutile parlare di riforme ogni qual volta succedono fatti come quelli di S. Maria Capua Vetere o più in generale quando si constata che qualche male tormenta la nostra società e che occorre porvi rimedio se poi questo rimedio rimane nelle dichiarazioni indignate del ministro della Giustizia di turno, rispettabilissime ma destinate a rimanere come pura dichiarazione di sdegno.

Questa riforma che da più parti viene invocata spaventa se sono i governanti in carica a doverla promuovere ed approvare.

Per la riforma del codice di diritto canonico la Chiesa cattolica ha impiegato decenni coinvolgendo studiosi di tutto il mondo.

Per la riforma della giustizia, del codice penale e delle sue regole, del sistema carcerario occorrerebbe un serio studio da parte di professori universitari, magistrati, avvocati, sociologi, criminologi, pedagogisti, enti e associazioni degli stessi detenuti che si interessano concretamente della vita dei detenuti, delle guardie carcerarie  e, perchè no?, degli stessi detenuti, con il compito di offrire agli organi legislativi il frutto del loro lavoro collegiale. Questo metodo esprimerebbe correttamente la forma d’azione e il modo di vita di una società democratica in cui pur affidandosi al potere costituito le funzioni che le sono proprie, i cittadini vengono chiamati a contribuire alla soluzione dei problemi che interessa l’intera collettività.

Nel caso dei fatti di S. Maria Capua Vetere si tratta di un problema particolarmente grave per la nostra collettività che non si sente più oggi sufficientemente garantita dall’esistenza di quelle sbarre che dividono le cosiddette persone per bene dai cosiddetti delinquenti quando coloro che dovrebbero garantire il rispetto delle regole lo fanno con la violenza sistematica convinti dell’impunità e di un problema estremamente doloroso per quegli uomini che la società, senza troppo indagare sulla causa dei loro errori e sulle responsabilità della intera collettività, manda in quelle carceri dalle quali vengono restituiti alla comunità quasi sempre peggiori di quello che erano al momento della condanna.

luglio 8, 2021

HOLLANDE E LETTA.

Ovvero: errare humanum est, perseverare diabolicum

di Alberto Benzoni

Scrivo queste righe mentre, rotte, che dico rifiutate le trattative sul Ddl Zan, siamo arrivati alla vigilia della guerra. E già vedo Qualcuno che, salito sul podio, ci invita ad arruolarci. Ascoltiamo, distrattamente le sue parole (siamo, un gruppo di amici, tutti decisi a restarsene a casa). Ma, quando arriva, inevitabilmente, alla “scelta di civiltà”, con gli, altrettanto inevitabili, annessi e connessi, vedo uno di noi alzarsi e interromperlo. E, attenzione, non per discutere con lui nel merito del ddl Zan – sarebbe fiato sprecato – ma per dirgli che sta andando a sbattere e che è suo elementare dovere di cittadino non dico di impedirglielo ma di metterlo sull’avviso.Ecco, allora, le sue parole; sempre nella speranza che qualcuno sia ancora disposto ad ascoltarle.“La vostra legge, vedete, è la tipica “legge manifesto”. E cioè una proposta che non punta soltanto a risolvere un problema. Ma anche a chiarire “urbi et orbi” i propositi e la natura di chi la propone. Con il rischio permanente di disinteressarsi completamente delle sue sorti, leggi della possibilità concreta che la riforma venga svuotata in sede di attuazione.Ma non è questo il pericolo che ci preoccupa. Perché, nel nostro caso, fare una legge manifesto non era affatto necessario. Se aveste pensato alle persone da proteggere contro i reati di omofobia, avreste dovuto semplicemente tutelarli con una legge, cui nessuno avrebbe potuto dire no. E, invece, consapevolmente o, peggio, inconsapevolmente, avete partorito un testo che contiene in sé tutto il messaggio ideologico Lgbt: con il rischio di non farla passare. Ma con la assoluta certezza di porre al centro delle elezioni prossime venture uno scontro da cui rischiamo di uscire con le ossa rotte.Abbiamo detto “rischiamo”; non “rischiate”. Perché una cosa deve esservi ben chiara: che, in questo caso, continuare a sbagliare non vi è più consentito. Perché la più che probabile sconfitta del Pd porterebbe al disastro l’intera sinistra. Non stiamo lanciando profezie a casaccio. Vi stiamo avvertendo. Stiamo per raccontarvi, con la speranza di essere ascoltati, quello che è successo alla sinistra francese durante il trascorso decennio. E lo facciamo perché, qui da noi, siamo ancora nelle fase iniziale di un processo che in Francia si è concluso con un totale disastro mentre, in Italia, può ancora essere fermato.In Francia il dramma inizia nel 2012. E procede, inizialmente, in modo lento; e a tentoni. Ma, a partire da una certa data, accelera in modo incontrollabile, fino a portare la macchina a sbattere, ad altissima velocità, contro un muro.Il suo protagonista, Hollande è, in tutto e per tutto, compreso il suo aspetto fisico (come diceva un mio carissimo amico : “a partire da una certa età, ognuno ha la faccia che si merita”), la quintessenza della mediocrità. Mentre, come mestierante politico (è stato, per moltissimi anni segretario del partito socialista), è bravissimo. Il che lo porta a capire che, per battere Sarkozy, non c’è nessun bisogno di voli pindarici: basta far capire di essere diversi da lui (diciamo meno avventurosi e avventurieri) e garantirsi al ballottaggio il concorso della sinistra radicale e dei comunisti. Voti certi in cambio di impegni simbolici. Contestare l’austerity di Bruxelles; tassare i superricchi, difendere i posti di lavoro, cose così.Il fatto è che su ognuno di questi fronti viene respinto con perdite; all’insegna, esplicita, del “non se parla proprio”. Per ripiegare immantinenti, sul “matrimonio gay”. Anch’esso una misura fortemente simbolica. Perché il diritto di vivere insieme, con i relativi impegni diritti e doveri, l’avevano avuto, assieme alle coppie eterosessuali, nei patti di solidarietà della fine del secolo scorso. Mentre il matrimonio gay vi aggiungeva soltanto il diritto alla sua esibizione.Ora, il “combinato diposto” della rinuncia totale sul fronte economico e sociale e dell’esibizione di parata de matrimonio gay innescò un vero e proprio processo autodistruttivo.Prima, la rottura a sinistra. Poi, il trovare rifugio e consolazione nella braccia degli imprenditori. E, ancora, l’abbandono della zattera da parte prima di Valls poi di Macron. Nel giro di pochi anni, dalle stelle alle stalle. Con il partito socialista ridotto ad una delle tante sette che passano il loro tempo a litigare tra di loro.In quel periodo Enrico Letta era li’. Alla Sorbona. Ma non si è accorto di nulla. Affetto, evidentemente, da quella tendenza a guardare dall’altra parte, malattia professionale dei dirigenti Pd.Pure, il Nostro, tornato in Italia per salvare la baracca, era partito più che bene. Sottolineando il fatto che il Pd non era un partito alternativo; e che avrebbe dovuto diventarlo rapidamente, pena l’irrilevanza. E, ancora, che a tal fine fosse necessario porre al centro dell’agenda politica temi suscettibili di modificare, a proprio vantaggio, un senso comune e un immaginario collettivo oggi governati dalla destra.Candidati a questo ruolo, il riconoscimento dello jus soli, il ripristino dell’imposta di successione e, infine, il voto ai sedicenni.Tre appuntamenti perfetti per ricordare alla gente che il buon senso deve far premio sul senso comune. Mostrando a tutti che nel nostro paese vivono centinaia di migliaia se non milioni di persone che sono e si sentono italiani a tutti gli effetti; e che è assolutamente ignominioso pretendere di sottoporgli a qualsivoglia esame di ammissione. E ancora, che, da tempo immemorabile, le tasse di successione sono state strumento essenziale per una fiscalità redistributiva. E, infine, che non è vero affatto che i giovani schifino in linea di principio la politica; mentre spetta a noi il compito di coinvolgerli.Da allora, sono passate diverse settimane. E su questi temi è calato il silenzio. E non perché siano arrivati veti; più probabile che i vostri dirigenti se li siano posti da soli.Questo mentre la legge contro l’omofobia, che sino ad allora era andata avanti a fari spenti, appariva in una luce accecante. Trasformandosi da strumento di difesa delle persone in manipolazione ideologica; e, appunto, da proposta in legge manifesto.Una legge manifesto, ve lo diciamo subito che non possiamo proprio sottoscrivere. Perché trasforma i diritti in valori. E perché propone o suggerisce una visione della società in cui non ci possiamo proprio riconoscere. E ve lo diciamo a nome non solo nostro ma anche di quel popolo che avete il dovere di rappresentare.Modificare una legge o vedersela bocciare sarebbe uno smacco, ce ne rendiamo conto. Ma solo per voi. Mentre arrivare allo scontro, politico e culturale, con la destra su questo tema o, peggio, solo su questo , sarebbe una catastrofe per tutti. Tenetelo a mente.

luglio 6, 2021

Lorenzo Milani, uno di noi.

Di Beppe Sarno

Don Lorenzo Milani moriva a Firenze il 26 giugno 1967 stroncato da un tumore.

Per chi vuole capire l’atmosfera che si respirava negli anni sessanta i quei luoghi dove ha vissuto la sua esperienza di vita, dovrebbe uscire al casello di Barberino Mugello e ripercorrendo  belle strade di campagna  arrivare  sul monte Giovi e qui  percorrere il “sentiero della Costituzione” così chiamato perché vi sono 45 cartelli che illustrano la nostra Costituzione.

Un pellegrinaggio laico per provare l’emozione di visitare i luoghi dove visse un uomo incomparabilmente  forte artefice di una rivoluzione gentile, la cui eco viaggia nel tempo.

Don Lorenzo era una coscienza attenta, tormentatore dei pigri e degli indifferenti. Da giovane era stato socialista, nato ebreo divenne cattolico e da studente di architettura si fece prete. Fu parroco di Barbiana in Mugello che all’epoca contava quarantadue parrocchiani.

I primi dispiaceri alle gerarchie ecclesiastiche  li diede quando era Parroco di S. Donato in Calenzano con il libro “Esperienze Pastorali” prima autorizzato, poi vietato e poi tollerato dalle autorità ecclesiastiche.

La sua protesta più violenta  fu contrassegnata da due episodi significativi della sua esistenza: il processo per antimilitarismo e la scuola di Barbiana.

Un gruppo di cappellani militari in congedo, l’11 febbraio 1965 si riunirono a Firenze e redassero un documento per condannare l’obiezione di coscienza perché “estranea al comandamento cristiano dell’amore, espressione di viltà.” I cappellani rivendicavano i privilegi persi: disoccupati, senza attendenti, senza stipendio senza l’onore che la carico loro competeva. Una rivendicazione dal loro punto di vista giusta. Don Lorenzo Milani letto il comunicato rispose con una lettera “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in Italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato e privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente, squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere fare orfani e vedove; le uniche armi che io approvo sono nobili e incruente:   lo sciopero e il voto”  Parole profetiche. Conclude  don Milani “Per grazia di dio la nostra patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato; le patrie aggredite riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli: erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio , si sono scarificati per il solo malinteso ideale di Patria, calpestando senza avvedersene ogni altro  nobile ideale umano.” Per queste parole i “salvini” dell’epoca lo denunciarono alla Procura della Repubblica leggendo “nel  proditorio attacco gli estremi inconfutabili dell’incitamento alla diserzione e del vilipendio delle forze armate.” La rivista Comunista “Rinascita” riportò solidarizzando la lettera di don Milani, il quale si sentì in dovere di precisare ai giudici “che la rivista che aveva solidarizzato con lui  che la lettera “non meritava l’onore di essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non violenza” Sistemati i comunisti don Milani chiarisce ai giudici “ per voi vale la legge stabilita,” mentre per i suoi alunni  deve prendere il sopravvento “la volontà di leggi migliori” per questo spiega don Milani “la scuola è fuori dal vostro ordinamento giuridico” le leggi ingiuste vanno cambiate con il voto, con lo sciopero ed anche violando la legge cattiva. Così chi viene punito“ paga di persona e testimonia che vuole la legge migliore, che ama la legge più degli altri” Questa era appunto l’obiezione di coscienza.

Don Milani andò assolto.  In riferimento alla guerra don Milani fece una scelta chiara “Nella guerra futura l’inadeguatezza dei termini nella nostra teologia e nella vostra legislazione  è ancora più evidente …..la guerra difensiva non esiste più…..non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione. A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza delle specie umana.” Per don Milani la disubbidienza è necessaria per ubbidire ad una legge che può essere chiamata legge di Dio o legge della Coscienza. Per don Milani, infatti,  l’obbedienza cieca  è “ la più subdola delle tentazioni”

In quell’angolo del Mugello un prete insegnava a quarantadue parrocchiani ed ai giovani della sua scuola la forza della disubbidienza.

“Su una parete della nostra scuola – scrive don Milani – c’è scritto I care. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore. E’ il contrario del motto fascista me ne frego.

La scuola di don Milani divenne una stella cometa perché quei giovani che frequentavano la scuola di Barbiana impararono che la scuola durava tutto l’anno, senza bocciature, con la lettura del quotidiano ad alta voce da cima a fondo per “ comprendere le sofferenze degli altri”.

Il senso di quella scuola era avere lo scopo di liberazione sociale perchè nella scuola  si instaura la prima base della dittatura di classe – la dittatura degli alfabeti sugli analfabeti dei promossi sui ripetenti  dei viziati Pierini sui poveri Gianni. Dalla scuola, concludeva don Milani, deve partire la riscossa.

Tanto più importante è il discorso di don Milani perché la sua protesta è una protesta contadina che è alla base del suo discorso che diventa scopo principale della sua scuola: dare la parola, la virtù della parola scritta e parlata ai poveri, perché essi possono farsi sentire nei sindacati, nel posto di lavoro, nei partiti nelle assemblee politiche,  senza bisogno di affidarsi a mediatori truffaldini.  La Lettera ad una professoressa è un libro scritto da don Milani con uno stile asciutto aggressivo e pieno di quell’ironia sottile da toscanaccio quale era, ma sbaglia che ritiene che sia solo opera sua; il libro infatti è un’invenzione  di quei ragazzi della scuola che a suo tempo gli raccolsero e ordinarono il materiale per questa testimonianza che egli, malato inviava agli amici come il frutto più prezioso della sua esperienza didattica ed umana.

Il popolo russo ha fatto di Jasnaja  Poljania il luogo della memoria di uno dei suoi più grandi scrittori: Lev Nikolaevič Tolstoj. Barbiana  per tutti noi è diventato il luogo della memoria di questo irriverente e disubbidiente prete.