Posts tagged ‘mes’

gennaio 15, 2021

Le ragioni di una crisi

Di Beppe Sarno

La crisi innescata da Matteo Renzi deve farci riflettere al di la dei pettegolezzi da bar che i mezzi di comunicazione ci propinano insieme agli innumerevoli bollettini sanitari sull’avanzamento del Covid e sui colori in cui è divisa l’Italia.

La riflessione deve ovviamente partire dai motivi di fondo che hanno determinato la crisi del governo Conte e della uscita di Renzi e dei suoi scherani dalla compagine governativa.

Renzi rappresenta interessi di quella parte della società che incurante dello stridente contrasto fra la “opulenza privata” e lo “Squallore pubblico” di cui parla John Galbraith nel suo “Società opulenta” tende ad accaparrarsi sempre più ingenti fette di ricchezza   aumentando a dismisura l’ineguale distribuzione della ricchezza nazionale  a favore di pochi e a danno di molti.

Quelli che sostengono Renzi hanno interesse a controllare i molti finanziamenti che arriveranno dal recovery fund e vorrebbero aggiungere i soldi del cd. Mes perpetuando nel tempo lo sfruttamento nei confronti del lavoratori basato sul controllo privato non solo dei mezzi di produzione con l’acquiescente complicità di una classe politica smarrita, ma anche del potere decisionale e della intera macchina statale.

Questo ha determinato e determinerà con sempre maggiore incidenza una usurpazione della sovranità popolare che la nostra Carta Costituzionale conferisce al popolo senza distinzione di classi.

Si tratta di un tentativo della finanza internazionale di cui Renzi si è fatto interprete che determina una perversione del processo politico generale in quanto i cd. “poteri forti”: banche, fondi di investimento,  finanziarie, con il potere che hanno conquistato in trenta anni di economia liberistica condizionano i governi, orientano l’opinione pubblica con il controllo dei mass media: televisioni, Facebook, Twitter, tic-tok e chi più ne ha più ne metta, sovvenziona i partiti gli uomini politici, intriga a livello internazionale per rafforzare ed estendere il controllo sulla vita di ognuno di noi.

Falso quindi pendere parte per questo o quello anche se cedere il governo della nazione alla destra sarebbe drammatico, ma il dovere di ogni democratico è quello di combattere per difendere l’esistente senza arretrare sui diritti costituzionalmente garantiti e nel contempo definire e proporre una organizzazione sociale alternativa.

Il limite di noi socialisti è di avere quel complesso di colpa per cui  ci si comporta come reduci di una guerra e le nostre discussioni  diventano pateticamente racconti di battaglie combattute e perdute.  

Ci sentiamo migliori, come un’aristocrazia politica lontana dalla realtà, fedeli custodi di un passato che si vorrebbe far rivivere. In questa illusione ci stiamo estinguendo. I giovani che non conoscono e che ormai confondono i socialisti con un periodo dannato della nostra storia preda facile di ogni populismo ci confondono nel migliore dei casi come eredi di un comunismo sconfitto e seppellito dalla storia.

Per i giovani, con i quali difficilmente tentiamo un dialogo, non esiste altra realtà che quella in cui vivono che è la realtà di un sistema capitalistico portato alle estreme conseguenze. Per la maggior parte dei giovani la bontà del sistema in cui vivono si misura sulla base della ricchezza che esso produce senza prendere in considerazione i costi umani e le diseguaglianze sociali. Per loro tutto questo fa parte del gioco. Il sogno americano a livello planetario.

In questo contesto i lavoratori subendo il ricatto di eventuali delocalizzazioni il sistema ha affidato il controllo della produzione a    managers che hanno un potere assoluto e omnipervasivo. I lavoratori hanno perso ogni potere, ogni tutela, ogni strumento di partecipazione politica, le elezioni gestite con leggi anticostituzionali non sono più libere, ma meri strumenti di certificazione di decisione assunte altrove, il diritto di sciopero di fatto non esiste più.

Quale risposta dare a tutto ciò? I socialisti non hanno  bisogno di quella che è stata definita “ coesistenza competitiva con il capitalismo” né debbono coltivare un utopismo messianico. Il  nostro dovere sia quello di continuare ad essere socialisti e a parlare ai giovani da socialisti. Questi giovani che hanno vissuto la crisi economica sulle loro spalle fin dal 2008 e continuano a viverla in maniera sempre più drammatica hanno voglia di politica, hanno voglia di contare, di cambiare le cose. Fino ad oggi la loro voglia, la loro rabbia si è indirizzata verso populismi malsani. E’ dovere dei socialisti dismettere i panni dei reduci e parlare della necessità di una progressiva modificazione delle strutture sociali per adeguarle al paradigma democratico e nella creazione di contropoteri che permettano ai lavoratori, al ceto medio impoverito, alla massa di disoccupati, ai migranti di intervenire attivamente ed efficacemente nel processo decisionale politico in Italia come in Europa. La Carta Costituzionale può essere il nostro vangelo laico.

Maggio 14, 2020

Contro la Lagarde e contro il MES

di Franco Bartolomei, coordinatore nazionale di Risorgimento Socialista.

Questo e’ il documento base su cui sta lavorando il tavolo telematico tra le forze politiche che hanno aderito all’appello contro la Lagarde e contro il MES .
II tentativo e’ farne un vero e proprio manifesto di contestazione radicale del sistema Euro Maastricht, e di conseguente definizione di un piano di uscita dal sistema attraverso il pieno recupero della nostra sovranita’ costituzionale .
Le forze politiche che partecipano al Tavolo sono :
Risorgimento Socialista, Parti…

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Maggio 13, 2020

ACCORDO SUL MES/ Per soli 37 mld l’Italia finisce in mano a una banca del Lussemburgo

 – int. Alessandro Mangia
L’Eurogruppo ha trovato l’accordo sul Mes. Ma la lettera Gentiloni-Dombrovskis non è vincolante: il trattato continua a prevedere sorveglianza rafforzata e Troika
mes eurogruppo
Olaf Scholz, Christine Lagarde, Paolo Gentiloni e Bruno Le Maire (LAPresse)

ministri delle finanze dell’eurozona hanno trovato l’accordo sul Meccanismo europeo di stabilità. I paesi europei potranno ricorrere al Mes per finanziare le spese sanitarie “per importi fino al 2% del Pil (…) alla fine del 2019”, recita il comunicato. ECCL (Enhanced Conditions Credit Line) è il nome della “linea di credito” alla quale si potrà accedere per sopperire alle spese straordinarie causate dalla crisi pandemica. All’Italia andrebbero 37 miliardi. Tanto o poco? Per dare un’idea, in aprile Bankitalia ha calcolato che il lockdown ci è costato circa 9 mld a settimana.

Salutano con favore l’accordo, tra gli altri, Gentiloni, Lagarde, Sassoli, Gualteri; Conte dice che il Mes non basterà e chiede che i trilioni – per ora solo virtuali – del Recovery Fund vengano messi a disposizione il prima possibile.

Abbiamo fatto il punto con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano.

Con Mangia abbiamo detto e ripetuto che il Mes prevede strette condizionalità; eppure, chi chiederà l’accesso ai fondi Mes non sarà sottoposto a programmi di aggiustamento dei conti pubblici: lo ha fatto presente giovedì la Commissione, con una lettera dei commissari Dombrovskis e Gentiloni al presidente dell’Eurogruppo Mário Centeno. E ieri l’Eurogruppo ha detto sì.

“Il problema sta nel fatto che tutto questo è estremamente approssimativo” spiega il giurista.

Cosa non la convince?

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L’ottima lettera di Gentiloni e Dombrovskis esprime solo la posizione della Commissione al presidente dell’Eurogruppo. E non ha nessun valore formale. Si dice che, secondo la Commissione, il Regolamento 472/2013 non dovrebbe “essere attivato” nelle parti che lei richiama. Ma questo non ha nessun valore giuridico.

Allora che valore ha?

È solo un auspicio e un indirizzo politico. Che pone enormi problemi giuridici. Se il Reg. 472/2013 è in vigore – e prevede sorveglianza rafforzata prima, e troika poi – cambia qualcosa la lettera di Dombrovskis e Gentiloni? È un segnale ed un atto di intelligenza, se l’ho ben capita. Ma giuridicamente non vuol dire niente. E quindi, al momento, non è niente.

Ci faccia capire: cosa obietta lei alla lettera dei due commissari?

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Dico che quella lettera avrà un senso se si riterrà di sospendere il Reg. 472, che prevede tutto quello che lei ha richiamato. O, in alternativa, di introdurre una disciplina in deroga, destinata a valere una tantum, per i finanziamenti legati alla pandemia. Gli strumenti non mancano.

Quali alternative ci sono?

Si può usare il 122, che prevede il decreto legge dell’Unione. Si può delegare alla Commissione il compito di derogare sulla base dell’art. 290 TFUE. Si può fare persino una decisione, visto che sarebbe una disciplina speciale per alcuni membri dell’Ue, quelli dell’area euro, e non per tutti. Insomma, le forme giuridiche per formalizzare questa cosa ci sono.

A che cosa è dovuta questa “libertà”?

Al fatto che il diritto dell’Ue è un diritto senza categorie, che vive dell’ossequio alle decisioni della Corte di giustizia. Quando questo ossequio viene meno, come è successo solo due giorni fa in Germania, si vede quanto fragile e approssimativa sia tutta questa impalcatura. E come ci voglia poco a smontarla.

Il Mes ha una nuova “linea di credito”. Banalizzo: “linea di credito” vuol dire che io vado in banca – il Mes – e la banca mi fa un prestito. Dove sta il problema?

Ma il Mes non è una banca e basta. Quello che non si vuole capire è che il Mes è una banca, ma è una banca che può intervenire solo a tre condizioni: che ci sia un rischio per la stabilità dell’euro; che non ci sia altro strumento per intervenire; e che l’intervento sia posto sotto stretta condizionalità. Questo sta scritto nel Trattato Mes (art. 3).

Dunque è questa la realtà.

Sì. E il resto sono chiacchiere approssimative. Spiace dirlo ma è così. Il problema è che ogni tanto la realtà presenta il conto. Lei crede che chi ha già portato con successo il Mes davanti alla Corte tedesca nel 2012 non impugnerebbe anche la “linea Covid-19” di cui si chiacchiera tanto? Con il precedente del 2012 e del 2020? Io ci vedo un’autostrada. Per questo, se si vuole fare seriamente, ci vuole una disciplina speciale di copertura. Se no, si tratta di parole e basta.   

Torniamo al nostro prestito. Avviene condizioni agevolate, come dice il punto 6 del comunicato dell’Eurogruppo, che si avvicina molto a quanto twittato dal ministro Gualtieri: “L’Eurogruppo conferma che il Mes potrà offrire finanziamenti per il 2% del Pil a tasso quasi zero per spese sanitarie e di prevenzione dirette e indirette legate al Covid-19. La Commissione verificherà solo questo requisito. Non potranno essere introdotte condizioni aggiuntive”.

Infatti non c’è bisogno di condizioni aggiuntive. Basta quel che c’è scritto nel Regolamento. Capisce che è imbarazzante commentare queste dichiarazioni: da una parte si dice una cosa, dall’altra sta scritto qualcos’altro. È come andare in banca e sentirsi dire una cosa dal cassiere di turno, sapendo che nel Codice Civile e nelle condizioni di contratto c’è scritto qualcos’altro.

Un bel guaio…

Il che non vuol dire che il cassiere sia necessariamente in malafede. In genere il cassiere non sa bene quel che sta nel Codice Civile e nelle condizioni del contratto che ti propone. E probabilmente pensa anche di fare il tuo bene. Poi, un bel giorno, scopre, magari assieme al cliente, che le cose stavano diversamente. In quel momento il cassiere in buona fede si può anche dispiacere, ma i problemi sono tutti del cliente.

Lei come spiega l’evidente sproporzione tra gli importi messi a disposizione dal Mes e la corsa – mediatica, politica, governativa – nelle braccia del “nuovo Mes” scatenata dalla pandemia?

Non la spiego se non in termini politici da una parte, e in termini di burocrazia autosufficiente dall’altra.

Veniamo ai primi.

Il Mes non è un organo dell’Ue. Anzi, ha una sua indipendenza nei confronti della stessa Commissione, tant’è vero che stipula intese con la Commissione. L’ideologia dell’indipendenza della Bce, che non ha eguali al mondo, ed è un’anomalia anche rispetto all’indipendenza della vecchia Bundesbank della Germania Ovest, è penetrata anche nel Mes. Che è un’istituzione inutile dai tempi della crisi di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, e che da allora non ha fatto altro se non la banca lussemburghese, però con le immunità di una rappresentanza diplomatica. E senza rispondere a nessuno se non a sé stessa.

Insomma è un’anomalia istituzionale e finanziaria priva di controlli esterni.

Precisamente. E che è in grado di contrattare da pari a pari con la Commissione perché è fuori dall’ordinamento dell’Unione.

E la burocrazia autosufficiente che diceva?

Al Mes credono di essere il Fmi, ma sono qualcosa di molto diverso. Ma non hanno problemi perché nessuno li può controllare e in questo il Mes è molto simile al Fmi e ai suoi funzionari.

Le cifre le conosciamo. Si tratta di un prestito decennale di 36-37 mld. Molto poco.

Direi niente, soprattutto per uno Stato con un Pil di oltre 1.600 mld con depositi e attività finanziarie per 6.200. Come se fossimo poveri in canna. Di quei 36 mld non ce ne facciamo niente a fronte di quel che si potrebbe mobilizzare con le risorse interne. Che non stanno in nessuna parte d’Europa. È che non c’è nessuno in grado di mobilizzare quelle risorse. E questa è la vera tragedia. Da qui viene tutta la questione Mes o non Mes. E quello che rischia di venirne, a legislazione europea invariata.

Lei ha curato un libro appena uscito dedicato al Fondo salva-Stati: Mes. L’Europa e il Trattato impossibile. Perché impossibile?

Perché il Mes è stato approvato in fretta e male. Perché il Mes in vigore in Germania è diverso dal Mes in vigore in Italia e in tutti i paesi della zona euro. Perché il Mes in vigore in Germania funziona sulla base di due correzioni della Corte tedesca sul segreto professionale dei ministri che partecipano all’Eurogruppo, e sul potere del Bundestag di bloccare ogni singola erogazione del Mes.

Com’è possibile?

La sentenza sul Mes della Corte tedesca è del 12 settembre 2012. Nella Gazzetta Ufficiale tedesca del giorno dopo – e cioè del 13 settembre 2012 – viene pubblicata la legge tedesca sulla procedura di contribuzione al Mes della Repubblica Federale. Le sembra casuale?

E in Italia?

In Italia le dichiarazioni interpretative che correggono il Trattato approvato dal Parlamento italiano il 23 luglio 2012 non sono mai passate in Parlamento, perché sono state depositate dal Governo nel settembre 2012. In Germania la legge sulle contribuzioni al Mes era già scritta prima della sentenza ed è stata pubblicata il giorno dopo. Difficile che l’abbiano scritta, approvata e pubblicata in 24 ore.

Questo che cosa comporta?

Il risultato è che quella legge per il diritto tedesco è costituzionalmente coperta. E per il diritto tedesco il Mes non può muoversi senza un voto del Bundestag. Mi sembra un eccellente esempio di “sistema paese”, come si dice in Italia. Per questo bisognerebbe ringraziare il prof. Kerber per tutto quello che ha fatto in questi 12 anni, da Lisbona in poi.

Che cos’ha fatto, secondo lei?

Ci ha messo sotto gli occhi le falle di progettazione di un sistema che viene presentato come se fosse uno Stato federale. Ma che di uno Stato federale è solo una replica funzionale. A suo modo il prof. Kerber è un grande europeista.

(Federico Ferraù)

Maggio 10, 2020

MES, BCE E FUTURO DELL’EUROPA

La prima è chiaramente una battaglia di retroguardia, oltre tutto promossa dalla Afd e non dalla Cdu, e men che meno del governo tedesco. Possiamo dunque ritenere, anche in base alla reazione negativa di tutto il quadro politico e istituzionale, tedesco ed europeo, che la cosa morirà lì e che la Bce potrà continuare a sv

Altro…

Maggio 10, 2020

Oro alla patria!

di Beppe Sarno

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Ancora una volta  Salvini ci stupisce con una delle sue invenzioni apodittiche per salvare l’Italia dal disastro economico e dalla morsa del MES e della BCE.

Salvini fa sua una vecchia idea di Tremonti che il prof. Francesco Forte recentemente ha riproposto su “Critica Sociale” rivista del socialismo italiano fra le più antiche ed autorevoli.

La ricetta teoricamente è ineccepibile perchè consiste nell’offrire “titoli di Stato pensati esclusivamente per i cittadini italiani, come mezzo di finanziamento per raccogliere le risorse necessarie a coprire l’enorme deficit pubblico, creatosi per fronteggiare i costi della crisi economica e finanziaria conseguente alla pandemia.“(Fonte Brunetta in HP)

Ai due campioni della destra risponde efficacemente Renato Brunetta su Huffington Post, che non rinnegando una volta tanto la sua matrice socialista critica fortemente la proposta di Salvini e Tremonti definendolo efficacemente “Oro alla  patria” Molto più modestamente anche io  su un articolo in risposta ad una proposta analoga di Francesco Forte avevo  espresso le mie riserve affermando ” “Certamente un investitore attento italiano o di qualsiasi altra nazione preferirà acquistare titoli tedeschi a zero rendimento piuttosto che titoli italiani con rendimenti appetitosi, perchè con i titoli tedeschi alla scadenza si è certi di recuperare almeno il capitale investito, mentre con i titoli italiani si corre  il rischio di non trovare nemmeno quello.” Molto più efficacemente Brunetta critica la proposta definendola un rimedio peggiore del male per una serie di motivi: primo la dimostrazione di debolezza dello Stato che arriverebbe ai mercati finanziari; secondo diventerebbe uno strumento di destabilizzazione dei mercati finanziari che nulla porterebbe alla causa; infine un maggior costo per lo stato sicuramente non compensato dai mercati finanziari.

Mi dispiace per Tremonti di cui sono un estimatore,   il quale si appoggia a Salvini nella sua ricerca di una “casa” politica dopo aver lasciato Forza Italia. Peccato, Tremonti è stato un buon  ministro delle finanze, rispettato negli ambienti della finanza internazionale ma evidentemente, le sue ambizioni politiche lo hanno fatto rinunciare alla serietà e all’onestà scientifica (destino, purtroppo, comune nella storia a tanti intellettuali) ma il disegno del salvinismo è – dopo la grande crisi, e tenuto conto del consenso politico di cui gode – ben più pericoloso ed eversivo e pertanto le critiche di Brunetta, tenuto conto la schieramento politico di riferimento di brunetta appaiono quanto mai opportune e significative.

Beppe Sarno

Maggio 10, 2020

PROFEZIE

Anziani fissati. Una categoria che non è prevista né dai politici né dai pubblicitari. Per i primi siamo autosufficienti: e quindi privileg…

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Maggio 6, 2020

L’Italia non vuole più l’Unione Europea, lo rivela uno studio

 Violetta Silvestri

L'Italia non vuole più l'Unione Europea, lo rivela uno studio

Gli italiani sempre più euroscettici: è quanto si osserva in un approfondito sondaggio del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali dell’Università Luiss) effettuato nel nostro Paese in questo particolare tempo dominato dal coronavirus.

Una rappresentazione dell’Italia a 360° quella emersa dall’istituto, con lo scopo di testare il sentiment della popolazione nei confronti dell’appartenenza all’Unione Europea. Un tema sempre attuale, che richiama l’irrisolta questione della costruzione politica dell’UE e, di conseguenza, dell’incompiuto processo di creazione di un’identità europea.

In Italia, durante l’epidemia, il dibattito sull’Europa resta intenso e dai toni aspri e critici, tanto da esacerbare gli stessi rapporti tra maggioranza, opposizione e i componenti del Governo. Dal MES agli aiuti economici europei fino alla solidarietà dei Paesi comunitari, la percezione sull’UE è di ostilità, lontananza e poca soddisfazione.

Tutti i dati emersi dallo studio CISE su italiani ed Europa nel pieno dell’emergenza coronavirus.

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Sondaggio: crolla la fiducia degli italiani nell’Unione Europea, mai così in basso

Euroscetticismo cresce. E avanza il desiderio di Italexit

Il dato che stupisce maggiormente leggendo il report è la netta svolta anti-europea degli italiani.

Sebbene il risultato del sondaggio sia strettamente legato alla cornice della pandemia, in grado di influenzare la percezione sull’Europa a causa dei forti disagi economici, sanitari e sociali, il crescente sentimento contro le istituzioni comunitarie è un fatto evidente.

Innanzitutto, tale direzione si evince dal seguente quesito e dalle sue risposte:

Anche alla luce di quello che è successo con questa crisi, per l’Italia è un fatto positivo o no far parte della Unione Europea?

  • Negativo42%
  • Né positivo né negativo: 23%
  • Positivo: 35%

Chi ha un’opinione negativa piuttosto convinta e consapevole sull’UE supera di gran lunga gli italiani più europeisti. Da sottolineare anche la percentuale degli indecisi su un giudizio: segno, quest’ultima, di evidenti titubanze sulla positività di istituzioni che prima non sarebbero state messe in discussione.

Azzardare soluzioni estreme, quindi, non è poi così assurdo, come emerso nella domanda seguente:

Anche alla luce di quanto è successo con questa crisi, l’Italia dovrebbe…

  • Uscire dall’UE: 35%
  • Uscire dall’Euro ma non dall’UE: 18%
  • Restare nell’UE: 47%

Un ripensamento della visione europeista fondante la storia del nostro Paese, quindi, è in atto. Galvanizzata dalla frustrazione della grave crisi economica da coronavirus e dalle spinte anti-europeiste di partiti politici quali Lega e Fratelli d’Italia, la questione di uscire completamente dal sistema UE non è più così assurda.

Questo andamento spiega anche la quasi totale percezione di scarsa solidarietà verso l’Italia da parte dei Paesi europei. Un sentimento, quest’ultimo, che sembra non tenere conto di differenze nelle idee politiche e nell’appartenenza partitica, come si legge nel quesito:

Secondo lei, in questo momento gli altri Paesi della UE nel complesso stanno aiutando il nostro Paese…

  • No: 85%
  • Si: 15%

Chi sono i più euroscettici in Italia? La fotografia socio-economica

Sebbene, in generale, in Italia si legge un incremento del sentimento di ostilità verso l’Europa e le sue istituzioni, la percezione dell’UE non è uguale nelle varie classi socio-economiche del Paese.

Lo studio, infatti, ha messo in evidenza differenze indicative tra le categorie della nazione e il loro sentimento europeista.

La divisione più netta è quella in base alla ricchezza personale: chi ha maggiori disponibilità economiche prova ancora un sentimento piuttosto positivo verso le istituzioni comunitarie e l’appartenenza nell’UE.

Al contrario, operai e italiani disoccupati sono i più insoddisfatti e quelli maggiormente propensi ad azioni anche estreme contro l’Unione Europea.

Anche i giovani e gli studenti, solitamente legati al sogno dell’integrazione europea, iniziano a mostrare un certo scetticismo.

Imprenditori e dirigenti i più europeisti
Imprenditori e dirigenti sono tra le categorie che più si sentono legate all’Europa: il 52% considera ancora positivo per l’Italia essere nell’UE e il 63% è convinto che occorre restare nelle istituzioni comunitarie.

Anche i professionisti socioculturali mantengono un sentiment generalmente a favore dell’Europa: per il 43% l’Italia in UE è un fatto positivo e per l’83% bisogna rimanere Paese membro.

Operai e commercianti: cresce la rabbia contro l’UE
Operai, disoccupati, commercianti: sono loro i più arrabbiati verso l’Unione Europea. Non a caso, rappresentano le categorie sociali ed economiche che più stanno subendo l’impatto della grave crisi del coronavirus.

La frustrazione del lockdown e delle troppe incertezze per la ripresa del lavoro e per le finanze domestiche si sta traducendo in un sentimento anti-europeista molto marcato.

Commercianti, operai e disoccupati valutano come negativa la permanenza dell’Italia in UE alla luce del coronavirus rispettivamente per il 50%, 57% e 58%.

In questa ottica, uscire completamente dall’UE è auspicabile per il 49% degli operai e per il 48% dei disoccupati. I commercianti restano sul 26%, ma il 38% vorrebbe abbandonare l’euro.

Ne consegue che l’Europa è sempre più valutata come un’entità nemica delle categorie deboli, quasi un ostacolo all’emancipazione economica. Una sconfitta, questa, per l’UE, fondata proprio per la prosperità e l’integrazione innanzitutto dell’economia.

E un campanello d’allarme per gli europeisti: la crescita della rabbia contro le istituzioni comunitarie da parte di una fetta importante del Paese alimenta il nazionalismo, anche il più estremo.

I giovani non sognano più l’Europa?
Interessante, inoltre, i dati sugli studenti. Da sempre considerati i più vicini al sogno europeo e dell’integrazione delle nazioni del Vecchio Continente, anche i giovani sembrano turbati dalla crisi da coronavirus e dall’atteggiamento delle istituzioni comunitarie.

Per il 46% di loro è negativo restare in UE ora. Una percentuale maggiore del 43% di chi ha una visione positiva al riguardo.

Uscire dall’Unione, inoltre, è un desiderio espresso dal 36% degli studenti, che sommato al 13% di chi vorrebbe addirittura lasciare l’euro, si avvicina molto al 53% dei giovani ancora convinti del progetto europeo.

Euroscetticismo e partiti politici

Sui partiti politici, i dati non sorprendono molto. L’euroscetticismo è più evidente nelle formazioni di destra, quali Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Non è un segreto che questo schieramento si stia battendo per un’Europa diversa a suon di aspre polemiche e di proposte anche estreme, come l’uscita dall’euro e dalle istituzioni UE non disdegnata da Matteo Salvini.

Il giudizio sulla permanenza dell’Italia in UE, quindi, è negativo per il 79% degli elettori Lega, 71% dei sostenitori di Fratelli d’Italia e 30% di quelli di Forza Italia.

I più europeisti sono i democratici del PD e i seguaci di Italia Viva: positivi su appartenenza europea per, rispettivamente, l’84% e il 69%.

Non stupisce, quindi, che il 65% dei leghisti e il 60% dei sostenitori di Fratelli d’Italia voglia uscire dall’Europa, contro il 96% e il 60% degli elettori di PD e Italia Viva che desiderano restare in UE.

In posizione meno certa c’è il Movimento 5 Stelle, diviso sul sentiment europeista. Il 37% degli elettori ha una visione negativa sull’Italia in UE contro il 29% dei più positivi al riguardo.

Uscire dall’Europa sarebbe auspicabile per il 28% dei grillini, mentre il 32% vorrebbe eliminare l’euro e il 40% preferisce restare in UE.

Proiezioni, quest’ultime, che mettono in evidenza una certa confusione del Movimento sull’argomento Europa.

aprile 25, 2020

25 aprile 1° maggio!

di Beppe Sarno

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Scriveva Sandro Pertini sull’Avanti del 25 aprile 1947 “Tutti  i  lavoratori  del brac­cio  e  della  mente,  che  nella guerra  di  liberazione e  nella insurrezione  d’aprile  furono uniti nella lotta  per la nostra indipendenza  e per  la  nostra libertà,  rimarranno  ancora .saldamente  uniti  perchè  la Patria  sia  del  popolo e  per­chè la libertà abbia finalmen­te  come  base  una  profonda giustizia sociale, onde essa di­venga una conquista duratura per  tutti  gli  italiani. La  lotta,  dunque,  non  è terminata  il  25  aprile  1945, ma continua.

Gli rispondeva Pietro Nenni sull’Avanti del primo maggio “non  sia   da   noi  un   giorno di   feste,   ma  di  lotta,   concor­rono   oltre    alle   incognite politiche della situazione,  le   tristissime condizioni  economiche del   Paese   e  segnatamente    dei ceti più diseredati.”

25 aprile e primo maggio. Ci troviamo a celebrare queste due date mentre infuria una tempesta senza precedenti .

Due date vicine, 25 aprile e primo maggio soprattutto nelle coscienze di ogni cittadino veramente democratico perchè il riscatto dal lavoro può avvenire  solo in presenza della libertà dei lavoratori.

Mai avrei pensato di trovarmi in una situazione come quella attuale preoccupante e avvelenata dagli errori di una sinistra che non riconosce se stessa e si chiude per paura di affrontare la   realtà e i problemi: fabbriche chiuse e  strade vuote.

I lavoratori che non sanno se dopo questa terribile emergenza torneranno a lavorare. Molti probabilmente no. I partigiani cantavano “una speranza m’è nata in cuor” ma dove sono finite quelle speranze che all’indomani della liberazione tutto un popolo ha sognato?

Sono finite perchè oggi molti di noi non hanno voglia di ricordare queste due date  e perchè le speranze si sono tramutate in una dolorosa sfiducia o in una cinica indifferenza.

La lotta continua” diceva Pertini e gli rispondeva Nenni “Il primo maggio sia un giorno di lotta.”

La realtà  non è stata capace di dare una risposta alle speranze della gente. Ma è evidente che all’indomani di “mani pulite” le responsabilità di noi socialisti sono state gravi e imperdonabili. Impegnati a salvare noi stessi  non abbiamo provato a tornare alle origini, dalla parte dei lavoratori,  la nostra casa madre. Non siamo stati capaci o non abbiamo voluto seguire la strada indicata da  Pertini e di Nenni e di tutti i socialisti che hanno dato la vita per un principio.

Abbiamo lasciato i lavoratori soli ed il malcontento  è nato dal perdurare dei problemi non risolti, che ha generato il qualunquismo, il disgusto per la politica, occupata da mestieranti senza scrupoli e da prime donne querule e senza sostanza.

In Europa,  la Germania e l’Olanda preparano la trappola del MES  per rendere privato tutto quello che è stato costruito con i sacrifici di generazioni di lavoratori.

Il divorzio, la scuola dell’obbligo, la nazionalizzazione dell’energia, del sistema sanitario, lo statuto dei lavoratori, che all’epoca ci sembrarono fatti quasi naturali, logica conseguenza di un percorso condiviso da tutti, paragonandoli alla forza del Capitale oggi, appaiono per quello che furono: conquiste gigantesche di democrazia e civiltà.  La  democrazia  che ci hanno regalato i nostri padri l’abbiamo lasciata degradare  e funziona male perchè noi siamo mancati al nostro dovere di socialisti.

Oggi i giovani ci voltano le spalle cercando altre strade, improbabili  scorciatoie verso il  nulla.  In questo nulla,  in questo non aver saputo ricostruire la nostra identità per difendere le istituzioni, i diritti del lavoro, le conquiste sociali che sta il pericolo maggiore: il pericolo di un vuoto che fa paura.

Quanti sono gli errori che dal 1992 noi socialisti abbiamo commesso con le nostre divisioni, le nostre vigliaccherie, i nostri tradimenti?

Sappiano i socialisti della mia generazione, i democratici tutti, trarre occasione da questa pausa forzata con cui celebriamo il 25 aprile e il primo maggio per  trovare la forza ed il coraggio per compiere in umiltà un approfondito esame di coscienza per ritrovare la forza di ricominciare.

 

 

 

aprile 22, 2020

Italexit: l’uscita dall’euro non è da escludere – Financial Times

 Cristiana Gagliarducci

 Il rischio Italexit torna a far discutere. L’analisi del Financial Times
Italexit: l'uscita dall'euro non è da escludere - Financial Times

Attraverso la penna dell’editorialista Wolfang Munchau, il quotidiano ha dipinto tre scenari differenti, alcuni meno probabili di altri, che potrebbero delinearsi nei prossimi mesi.

Tra questi come non citare l’Italexit, ossia la possibilità di uscire dall’euro, rispolverata negli ultimi anni con la progressiva avanzata dei partiti euroscettici. La domanda sorge spontanea: il rischio esiste ancora?

Rischio Italexit: i tre scenari del FT

I tre scenari del Financial Times sono partiti da due considerazioni ormai assodate: nel 2020 il Prodotto Interno Lordo dell’Italia crollerà (come confermato dal FMI e da altri illustri analisti) mentre il debito pubblico decollerà.

Scenario 1 – L’intervento della BCE

In questo primo caso, nel Consiglio europeo di domani gli Stati membri troveranno un compromesso su un fondo di ristrutturazione.

“Una volta che gli applausi svaniranno e le persone inizieranno a concentrarsi sui dettagli, esse si renderanno conto che (il fondo, ndr) non avrà alcuna rilevanza macroeconomica. Ciò lascerà la BCE, ancora una volta, come l’unica istituzione dell’UE che conta. Quest’anno il suo programma sulla pandemia farà il necessario.”

Nel primo scenario non ci sarà il rischio Italexit. Ad agire sarà nuovamente l’istituto centrale magari con le OMT, Outright Monetary Transactions mai davvero lanciate. Come ricordato dal FT, il programma permetterebbe a Francoforte di acquistare direttamente titoli di Stato dei Paesi più colpiti dalla crisi ma soltanto in caso di accettazione del MES.

Una strada poco probabile viste le opposizioni dell’Italia nei confronti del fondo salva-Stati e le incertezze sulle reali possibilità di attivare le OMT.

Scenario 2 – Default/Ristrutturazione debito

Questa ipotesi richiederebbe comunque l’intervento della BCE che permetterebbe al debito del Belpaese di non perdere il suo status. Allo stesso tempo, però, uno scenario del genere metterebbe in difficoltà gli istituti bancari che, viste le grandi quantità di BTP detenute, potrebbero fallire.

Una possibile soluzione? Quella di “tagliare” i bond nazionalizzando i depositi e “spazzando via gli investitori”.

Scenario 3 – Italexit

Uno scenario poco probabile, secondo il Financial Times, ma non da escludere.

“Come accaduto nel Regno Unito, gli italiani stanno iniziando ad accusare l’UE di qualsiasi cosa vada storta.”

In questo contesto il Movimento 5 stelle potrebbe tornare a guadagnare consensi cavalcando politiche anti-UE. L’euroscetticismo, ha tuonato il quotidiano, non finirà neanche dopo il lockdown.

In linea di massima, comunque, il rischio Italexit appare al momento molto basso. Certamente l’argomento continuerà ad essere dibattuto anche alla luce delle prossime decisioni dell’UE.

aprile 22, 2020

Se Conte ricorre al MES può cadere il governo

 Alessandro Cipolla

  L’eurodeputato del Movimento 5 Stelle Ignazio Corrao non ha dubbi sulle conseguenze che ci sarebbero in caso di un ricorso al MES da parte dell’Italia: “Cade il governo, ma non credo che Conte lo attiverà”.
Se Conte ricorre al MES può cadere il governo

La storia è ben nota. Dall’Eurogruppo sono uscite fuori quattro soluzioni per aiutare economicamente i Paesi membri a sostenersi durante questa crisi dovuta dal coronavirus, tra cui anche un MES rivisitato vista l’emergenza in corso.

L’unica cosa che al momento appare certa è che per l’Italia ci sarebbero 36 miliardi a disposizione per le spese sanitarie. Sulla presenza o meno di condizionalità non è ancora dato sapere, così come sulle modalità di attivazione, con le linee guida che verranno decise (forse) nel Consiglio Europeo di giovedì.

Una parte del Partito Democratico e Italia Viva sarebbero favorevoli a un utilizzo del MES senza condizionalità, mentre il Movimento 5 Stelle non ne vuol sapere a prescindere. In mezzo c’è Giuseppe Conte che ha più volte ribadito come al momento l’Italia non è interessata ad attivare il fondo, puntando tutto invece sugli Eurobond.

Il premier durante il Consiglio Europeo potrebbe anche non porre il veto sul MES per non mettere in difficoltà quei paesi come la Spagna che vorrebbero utilizzarlo, senza che poi l’Italia poi ne faccia a sua volta richiesta.

Con il MES governo a rischio

Secondo le immancabili voci di corridoio, alla fine però Conte potrebbe anche decidere di non rinunciare ai 36 miliardi che sarebbero a disposizione per l’Italia. L’ultima parola comunque spetterebbe sempre al voto in Parlamento dove i giallorossi potrebbero andare in crisi.

Intervistato da La Repubblica l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Ignazio Corrao, considerato vicino ad Alessandro Di Battista, non ha usato giri di parole nel far capire come il governo Conte bis potrebbe arrivare al capolinea in caso di una attivazione del MES.

La conseguenza immediata sarà la caduta del governo – ha spiegato Corrao – Tutti nel M5S, anche i più moderati, sono sempre stati contro il MES. Ma non credo che Conte vi ricorrerà, è sempre stato di parola. Se l’Italia attiverà il Mes, sarà un altro governo a farlo”.