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settembre 6, 2022

Più luce, più luce!

di  Beppe Sarno

Al VI° congresso dell’internazionale Comunista che si tenne a Mosca  dal 17 luglio al 1° settembre 1928 chiese la parola con le parole di Goethe “Più luce, più luce!” Nel suo intervento Togliatti aveva ammonito a proposito delle divisioni interne al Komintern affermando “l’avanguardia del proletariato non può battersi nell’ombra!” Togliatti dopo quel congresso entrò a far parte della direzione dell’Internazionale e fece sua la scelta di Stalin  della terza fase, cioè della strategia chiamata classe contro classe caratterizzata da una radicale ostilità verso la socialdemocrazia.

Togliatti non era fra i compagni che uscirono dal teatro Goldoni di Livorno Venerdì 21 gennaio 1921 era infatti rimasto a Torino laddove invece era presente Gramsci che però non prese la parola.

Il fatto è che Togliatti nella accidentata storia del movimento comunista ebbe un solo faro orientato ad est. Questa sua fedeltà gli dette grande potere che gli derivava dal peso politico, parlamentare sindacale del più grosso partito comunista occidentale. L’unione sovietica aveva grande fiducia e stima del “Migliore” perché Togliatti fu il fedele interprete delle direttive che provenivano da Mosca.

Note sono le polemiche all’indomani del delitto Matteotti, quando Togliatti rientrato da Mosca che rifiuta ogni accordo con il PSI e con i massimalisti giustificando l’uscita blocco delle opposizioni. Secondo Togliatti i socialisti erano c oloro che “lottano per tenere in piedi il sistema capitalistico dall’altra (i comunisti n.d.r.) chi la vuole mandare in pezzi per sempre. Da una parte chi vuole un governo non più fascista ma sempre di capitalisti e sfruttatori, dall’atra chi vuole un governo di operai e contadini.” Questa posizione antisocialista e la debolezza dei socialisti incapaci si assumere una decisione farà poi fallire la proposta di sciopero generale. Il 18 giugno il comitato esecutivo della CGL dirà “Si decide di invitare alla calma le organizzazioni confederate, i dirigenti, le masse lavoratrici, per non compromettere con iniziative particolari e inconsulte lo svilupparsi degli avvenimenti.”

Quando  Togliatti arrivò in Italia non dialogò con i gruppi antifascisti ma con Badoglio, con la monarchia e con gli alleati. Il suo arrivo fu preceduto da una lettera indirizzata a Badoglio per chiedere l’autorizzazione a rientrare in Italia. Con la monarchia assunse fin da subito un atteggiamento blando “Abbiamo sempre evitato di fare della monarchia e del re il problema centrale del momento presente.”

La cd. svolta di Salerno fu il risultato di un accordo fra le diplomazie sovietiche e le potenze alleate e che ogni iniziativa di Togliatti furono concordate a Mosca. Scrive in proposito Valiani” i documenti diplomatici dimostrano che la svolta di Salerno fu suggerita dal governo sovietico prima ancora dell’arrivo di Togliatti ….”. In questa visione non ci sarà spazio per gli altri partiti. Sull’Unità del 2 aprile Togliatti scriverà “E’ il partito comunista, è la classe operaia che deve impugnare la bandiera della difesa degli interessi nazionali che il fascismo e i gruppi che gli dettero il potere hanno tradito.

Il 22 giugno 1946 per celebrare la nascita della Repubblica italiana, Palmiro Togliatti, firmò la cd. amnistia Togliatti definita “colpo di spugna sui crimini fascisti»; amnistia che interrompe i procedimenti giudiziari nei confronti di criminali fascisti e imputati di «reati di collaborazione con i tedeschi».

L’amnistia che chiudeva la svolta di Salerno divenne grazie ad un’interpretazione estensiva della magistratura un generalizzato perdono, applicato anche a torturatori e ad assassini. Piero Calamandrei definì l’amnistia un clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze.

Consapevole del radicamento della Chiesa cattolica in tutto il paese ebbe in grande considerazione le gerarchie vaticane  e con l’approvazione dell’art. 7 della Costituzione provò a mitigare l’ostilità della Chiesa verso i comunisti. L’ inclusione dell’ articolo 7 nella Costituzione, osservò Benedetto Croce, “è uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico“. Accorata la perorazione di Piero Calamandrei: “La pace religiosa esiste. Se volete alterarla votate l’ articolo 7

Piero Nenni così commenterà il voto dei comunisti : “E’ cinismo applicato alla politica. Ma non è il cinismo degli scettici, ma di chi ha un obiettivo e non vede altro. E’ la svolta di Salerno che continua, applicata questa volta alla Chiesa e ai cattolici…“. 

Fu sempre Togliatti che fece bocciare con un artificio tecnico la proposta  di Mortati di inserire l’obbligo del sistema elettorale in Costituzione e di far approvare il sistema maggioritario al senato.

Dopo aver combattuto Tito definito “un tirannello Jugoslavo”, si recò personalmente in Jugoslavia per stringergli la mano non appena Mosca lo riabilitò.  Sempre dalla parte dei vincitori fu nell’immaginario collettivo considerato un nemico dei padroni, ma egli stesso fu un padrone severo con i suoi sottoposti. Nel partito Comunista Italiano non esisteva l’opposizione. Quanti compagni si scoprirono agenti dell’OVRA a loro insaputa solo per essere stati troskisti.

Il pensiero di Togliatti era un non pensiero e nella sua biografia non è possibile rintracciare alcun contributo teorico anche se con lui il PCI ha sempre raccolto valanghe di voti. Questi voti però non hanno contribuito significativamente nell’evoluzione della società italiana del dopoguerra condizionata positivamente dal compromesso fra la Democrazia Cristiana e il partito socialista.

La fortuna del partito Comunista fu dovuta in gran parte all’impotenza del partito Socialista che nel dopoguerra non riuscì ad attrarre i sindacati, il movimento cooperativistico, e perdette l’egemonia nelle amministrazioni locali di sinistra.

Certo il PSI non disponeva dell’appoggio internazionale dell’URSS e Togliatti da grande stratega quale era organizzò un gande partito efficiente compatto, con un grade giornale di massa “L’Unità” grandi pubblicazioni per la massa e per gli intellettuali. Per lunghi periodi potè contare anche sull’alleanza del PSI considerato un partito subordinato.

Con la forza politica che aveva e con l’organizzazione di tipo militare che era stata messa in piedi il PCI avrebbe potuto essere una reale alternativa alla DC ed imprimere alla storia italiana una ben  altra evoluzione.   La cultura italiana per oltre cinquant’anni è stata  monopolio esclusiva degli intellettuali comunisti. Malgrado ciò e con tutta la sua potenza di fuoco il PCI non è riuscito ad ottenere l’attuazione della Carta Costituzionale ed oggi stiamo ancora scontando questa sconfitta.

Togliatti disprezzava il riformismo e il massimalismo dei socialisti, ma quale risultato ha dato l’azione del PCI diverso dall’impotenza dei massimalisti? Se il movimento operaio  attratto dalla seduzione del Pci si è trovato isolato ed è stato spinto verso la DC e i partiti delle classi medie è stato solo ed esclusivamente per una scelta politica del PCI, che non ha voluto mai promuovere alcun sviluppo democratico e socialista della società.

Dei massimalisti Turati ebbe a dire nel congresso socialista di Bologna del 1919 “Il massimalismo è il nullismo, e il massimalismo è la corrente reazionaria del socialismo.” Questa definizione si adatta perfettamente alla personalità di Togliatti.

La domanda allora è perché malgrado la forza elettorale, il radicamento sul territorio, la presenza organica nelle fabbriche, l’essere stato il maggior partito comunista occidentale il PCI non ha combattuto una battaglia realmente socialista? Forse perché il Pci  nell’assumere posizioni a parole sinceramente socialiste nei fatti si smentiva perché quelle posizioni erano solo tattiche e strumentali. Il PCI non avrebbe mai contraddetto le indicazioni che provenivano da Mosca e queste indicazioni erano in contraddizione evidenti con i principi che venivano enunciati in Italia.

Togliatti era l’artefice e nello stesso tempo il prodotto di questo risultato politico negativo. Uomo freddo senza vera passione politica fu u costruttore politico ed amministratore accorto del patrimonio che gli era stato affidato. Non si può certo dire che sia stato un rivoluzionario di professione, piuttosto un burocrate attento a rispettare le direttive di Mosca.

 L’impotenza del PCI  è dimostrata dalla sua storia e dalla sua fine ingloriosa.

Riprendendo  le parole di Goethe mi sia consentito, ora che la  differenza fra comunisti e socialisti non ha più senso, invitare tutti quelli che hanno a cuore la democrazia di fare: più luce, più luce!

Ad esempio la subalternità del micro PSI di adesso al PD senza nemmeno quel senso critico del Nenni di allora che individuata il cinismo del PCI e Togliatti di predicare in un modo socialista ma di praticate in senso contrario.

La disputa coi socialisti massimalista di allora che oggi sarebbero stati come Craxi si oppose alla privatizzazione vergognosa della SME mentre il PDS DS favorì privatizzazioni delle grandi imprese anche in settori strategici espellendo lo Stato dal capitale come in Autodtrade e Telecom che nessun paese eutopeo… men che meno Francia e Germania ha fatto, al di fuori dell’Italia hanno fatto.

aprile 19, 2022

LA NEUTRALITA’ ATTIVA DI RICCARDO LOMBARDI.

di Giuseppe Giudice

Il caro compagno Lombardi ha sempre avuto una posizione neutralista in politica estera. Era la sua posizione nel 1948 , alternativa sia al frontismo di Nenni e Morarandi, da un lato, che all’atlantismo di Saragat (che fino a tre anni prima era anch’egli neutralista). Era la posizione di molte parti della socialdemocrazia europea. La posizione di Kurt Schumacher , che rifondò la SPD nel 1945 (dopo aver trascorso 13 anni in un lager nazista); era la posizioone di una parte consistente (Bevan, Foot) del laburismo inglese. Nenni giustificò il suo filo-sovietismo nel nome del concetto di “unità di classe” . In quella fase , secondo lui, la unità della classse operaia imponeva lo schierarsi con l’URSS. Indubbiamente, quella posizione, sacrificò moltissimo alla autonomia ed alla specificità socialista, nella sinistra. Ma consentì di far mantenere un forte radicamento operaio e popolare al PSI, che pose le basi dell’autonomismo socialista dopo i fatti d’Ungheria. Anche se , per pagare pegno all’entrata nel governo di centro-sinistra , il PSI accettò la la NATO intesa come alleanza geograficamente e politicamente limitata. Del resto Berlinguer 13 anni dopo , accettò l'”ombrello protettivo della Nato”. C’è comunque da sottolineare che il PSI si mantenne molto distante dall’Atlantismo ideologico” del PSDI. Che fu una delle cause del fallimento dell’unificazione. Lombardi comunque continuò a rimanere sostanzialmente un neutralista. Ma in cosa consisteva il neutralismo di Lombardi? Era innanzi tutto un netto rifiuto dell'”atlantismo ideologico”, come “scelta di civiltà” (quella idea che ha portato alla mistificazione dell'”esportazione della democrazia”). Vi era in lui l’idea che europeismo ed atlantismo erano progetti contraddiottori, in quanto sanciva la piena subordinazione dell’Europa Occidentale agli USA non solo sul piano militare ma anche sui quello ideologico. E comunque Lombardi era un socialista occidentale ma non atlantico. Vedeva bene la differenza tra il concetto di occidente radicato in Europa, e quello declinato dagli USA. E vedete , non esiste neanche, una unità anglosassone. Questa era una idea dei conservatori da Churchill al Johnson. Non dei socialisti inglesi. Se è vero che il liberismo nasce in Inghilterra (ma ancora prima in Olanda), in questo paese (contemporaneamente alla Francia) nasce il movimento operaio e socialista. Nasce il movimento sindacale. La GB laburista vara il welfare universalistico, pubblico e gratuito, l’economia mista, la programmazione economica frutto della scuola post-keynesiana di Cambridge. Sviluppa il concetto di democrazia industriale. Nulla di più lontano dal modello economico e sociale USA. Ma torniamo a Lombardi. La sua idea di neutralismo era sostanzialmente vicina a quelli attuati dalla Svezia e dell’Austria socialdemocratiche. Nell’occidente, ma fuori dalla Nato. Vedeva, inoltre nell’Europa Occidentale il luogo privilegiato dove avviare una transizione democratica al socialismo, tramite un modello alternativo nel modo di produrre e consumare, che avrebbe reso possibile lo sviluppo del Terzo Mondo, ponendo fine allo sfruttamento imperialistico delle risorse. Anche se non accettò mai le ipotesi terzomondiste , il III mondo rimase sempre un oggetto costante di interesse. Per ultimo: Lombardi fu uno dei critici più acuti del leninismo e dei suoi sviluppi. Era un marxista laico ed eterodosso. La sua critica ai regimi sovietici si fondava non solo sul carattere dispotico e dittatoriale di quei sistemi, ma cercava di individuarne le basi strutturali. In definitiva l’URSS e i satelliti non erano paesi socialisti. Ma regimi di classe, fondate sul dominio organico di classe della burocrazie e della nomenclatura sulla società e l’economia…un tesi che richiama la previsione di . In conclusione, il neutralismo di Lombardi, oggi lo porrebbe in netta antitesi al ritorno all'”atlantismo ideologico” , quello che ha portato l’allargamento della Nato ad est (in cui è forte la componente relativa ai profitti fatti con la crescita delle spese militari), contro la subalternità dell’Europa agli USA. Senza alcun dubbio Lombardi sarebbe stato un critico feroce del regime reazionario, neo-zarista e del capitalismo oligarchico di Putin. Avrebbe condannato in modo netto l’invasione dell’Ucraina (ma, se mi consentite non avrebbe avuto fiducia in Zelensky). Anche se avrebbe riconosciuto il diritto di resistenza, sarebbe stato , senza alcun dubbio contrario all’escalation militare , ed al bellicismo di certi paesi europei. E per una soluzione negoziata del conflitto. Avrebbe visto , con chiarezza, che l’alternativa sarebbe stata la III guerra mondiale.

agosto 7, 2021

RICORDO DI OTTO BAUER.

di Giuseppe Giudice

Un grande militante , intellettuale e dirigente socialista austriaco. Uno dei principali esponenti di quell’Austromarxismo (il nome fu dato loro , se non erro, dal socialista americano Boudin – loro non si definirono come tali). Che poi fu la maggiore espressione teorica e politica di quella “socialdemocrazia di sinistra” che ebbe notevole influenza su tutte le correnti di sinistra dei partiti socialisti. Marcando una posizione di critica radicale alla socialdemocrazia di destra tedesca (quella di Ebert e Noske, per intenderci), e nel contempo contestando la deriva burocratica, dittatoriale ed autoritaria del bolscevismo. Ma di questo abbiamo già parlato. Otto Bauer fu indubbiamente un grande leader politico, di vastissima cultura. Cresciuto con gli altri suoi compagni Fritz e Max Adler, nella Vienna dei primi del 900. Uno straordinario crogiuolo di culture , movimenti artistici , nuove scienze e filosofie. Basti pensare all’empiriocriticismo, alla Psicanalisi (da Freud ed Alfred Adler), alle avanguardie artirtische nella musica , nella pittura , nella letteratura. In questo brodo di cultura emerge la peculiarità del marxismo dei socialisti austriaci. Che rifiutarono sia una lettura positivista sia quella hegeliana, del marxismo stesso. Ciò non va confuso con il “revisionismo” di Berstein (verso cui Bauer fu sempre critico) , ma il rifiuto del marxismo come concezione del mondo; no un marxismo evolutivo e ripensato come “sociologia” o per usare le parole di Max Adler : il materialismo storico come “scienza sociale mediante esperienza”. Insomma il marxismo come strumenti di analisi critica delle contraddizioni del capitalismo come base per un socialismo come progetto etico-politico. Una chiara “terza posizione ” tra il doppio determinismo , sia della II che della III Internazionale. E comunque gli austromarxisti ebbero una influenza importante anche in molti intellettuali e politici socialisti italiani negli anni dell’esilio o della prigione. Addirittura in personaggi diversissimi come Morandi e Saragat. Del resto il Saragat degli anni Trenta, attento lettore di Marx (lesse tutte le sue opere in tedesco) ebbe una forte influenza da parte di Bauer (che conosceva personalmente) essendo stato in esilio a Vienna dal 1924 al 1930. Era il Saragat che contstava le derive parlamentaristiche dei riformisti e il velleitarismo astratto dei massimalisti. Un nuovo socialismo sarebbe dovuto andare oltre riformismo e massimalismo. Ma era il Saragat che , con Nenni , firmò il Patto di Unità D’Azione con i comunisti. Non certo certo il Saragat ultratlanitista del dopo 1948 e totalmente subalterno a De Gasperi. Irriconoscibile rispetto a quello di di dieci anni prima, Ma non mi interessa parlare di Saragat. Torniamo a Bauer. Merito suo e dei suoi compagni fu quello di aver costruito un partito fortemente radicato nella classe operaia e nei ceti popolari. Con un rappoprto fecondo con il sindacato e le altre forme di autorganizzazione sociale. A Vienna (che era città land) costruirono uno dei progetti più arditi ed ampi di edilizia popolare (la Karl Marx Offe) negli anni 20. Organizzavano concerti per gli operai. Un grande partito socialista. Ma in un piccolo paese , dove la parte occidentale (Tirolo, Carinzia) era ultra reazionaria. E dopo la crisi del 29, venne alla ribalta un personaggio come Dolfuss, un clerico-fascista, che attuò un colpo di stato e fece bambardare la “Karl Marx Hoffe dove gli operai socialisti si rivoltarono contro il colpo di stato, e diedero un grande tributo di sangue. I dirigenti del partito andarono in larga parte in esilio. Bauer andò in Cecoslovacchia e poi a Parigi dove morì nel 1938. Inchiniamoci alla memoria di questo grande compagno.

Maggio 1, 2021

Vento del Nord!

Pubblicato su Avanti! del 27 aprile 1945 |

di Pietro Nenni |

Quando parlammo la prima volta di vento del Nord, i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile? 

Era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo?

Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazi-fascista, dovevano essere all’avanguardia della riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica era stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria.

Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia.

Nelle ultime quarantotto ore le notizie dell’insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L’insurrezione dalla periferia guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova.

Nell’ora in cui scriviamo tutta l’alta Italia al di qua dell’Adige è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano, a Torino e a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada.

Sappiamo il prezzo della riscossa. A Bologna ha nome Giuseppe Bentivogli. Quali nomi porterà la testimonianza del sangue a Torino e a Milano? La mano ci trema nel dare un dettaglio dell’insurrezione milanese. Ieri mattina alle cinque, secondo una segnalazione radiotelegrafica, il posto di lotta e di comando di Alessandro Pertini e dell’Esecutivo del nostro partito era circondato dai tedeschi e in grave pericolo. Nessuna notizia è più giunta in serata per dissipare la nostra inquietudine o per confermarla. Ma sappiamo, ahimè, che ogni battaglia ha le sue vittime e verso di esse, oscure od illustri, sale la nostra riconoscenza.

Perché gli insorti del Nord hanno veramente, nelle ultime quarantotto ore, salvato l’Italia. Mentre a San Francisco, assente il nostro paese, si affrontano i problemi della pace, essi hanno fatto dell’ottima politica estera, facendo della buona politica interna, mostrando cioè che l’Italia antifascista e democratica non è il vaniloquio di pochi illusi o di pochi credenti, ma una forza reale con alla sua base la volontà l’energia il coraggio del popolo.

 In verità il vento del Nord annuncia altre mete ancora oltre l’insurrezione nazionale contro i nazi-fascisti. Gli uomini che per diciotto mesi hanno cospirato nelle città, che per due lunghi inverni hanno dormito sulle montagne stringendo il fucile, che escono dalle prigioni o tornano dai campi di concentramento, questi uomini reclamano, e all’occorrenza sono pronti a imporre, non una rivoluzione di parole, ma di cose. Per essi il culto della libertà non è una dilettantesca esasperazione dell’”io” demiurgico, ma sentimento di giustizia e di eguaglianza per sé e per tutti. Alla democrazia essi tendono non attraverso il diritto formale di vita, ma attraverso il diritto sostanziale dell’autogoverno e del controllo popolare. Non si appagheranno quindi di promesse, né di mezze misure. La rapidità stessa e l’implacabile rigore delle loro rappresaglie sono di per sé sole un indice della loro maturità, perché se la salvezza del paese è nella riconciliazione dei suoi figli, alla riconciliazione si va non attraverso l’indulgenza e la clemenza, ma l’implacabile severità contro i responsabili della dittatura fascista e della guerra.

 In codesta primavera della patria che consente tutte le speranze, c’è per noi un solo punto oscuro, si tratta di sapere se gli uomini che qui a Roma scotevano sgomenti il capo all’annuncio del vento del Nord, che vedevano sorgere dal passato l’ombra di Marat o quella di Lenin se qualcuno osava parlare di comitato di salute pubblica, che trovavano empio o demagogico il nostro grido: “tutto il potere ai Comitati di Liberazione”, si tratta di sapere se questi uomini intenderanno o no la voce del Nord e sapranno adeguarsi ai tempi. Ad essi noi ripetiamo quello che ieri, da queste stesse colonne, dicevamo agli Alleati. – Abbiate fiducia nel popolo, secondatene le aspirazioni, scuotete dalle ossa il torpore che vi stagna, rompete col passato, non fatevi trascinare, dirigete.

A questa condizione oggi è finalmente possibile risollevare la nazione a dignità di vita nuova, nella concordia del più gran numero di cittadini.

Vento del Nord.

Vento di Liberazione contro il nemico di fuori e quelli di dentro.

Maggio 13, 2020

Solo e sempre “Avanti”!

di Gaetano Colantuono

Spoiler: trova tutte le analogie con l’attuale scenario politico. Vi dicono niente i fasci teo-con, il ramo moderato del PCI, la strategia di cancellare scandali e problemi con il richiamo plebiscitario su temi etico-sociali, i differenti atteggiamenti di CEI e Vaticano?
Vi dico molto chiaramente è che ciò che manca è proprio un partito socialista autentico di massa, che sappia trovare mediazioni importanti per il progresso civile e sociale.
Per il resto, il principale stor

Altro…

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Maggio 1, 2020

Buon primo maggio!

di Beppe Sarno.

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Buon primo maggio! Forse. Io non me la sento di fare questo augurio perchè a causa delle restrizioni necessarie al contenimento della pandemia da Covid-19, quest’anno le piazze del mondo, in occasione del Primo maggio, saranno vuote e silenziose.

A piazza San Giovanni a Roma non ci sarà il concerto e la piazza testimone di tanti eventi sarà prigioniera del silenzio testimone per i pochi passanti della sconfitta di questa società egoista e ottusa.

D’altra parte in numerosi paesi dove la ricorrenza della festa del lavoro è formalmente riconosciuta, i diritti fondamentali non godono di altrettanta tutela e già negli anni passati ha subito forti misure repressive.

In Italia assistiamo da anni impotenti ad un attacco sistematico ai diritti dei lavoratori; l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori  è stato abolito non solo per il suo contenuto concreto ma anche e soprattutto perchè  esso era la rappresentazione legale della dignità dei lavoratori anche nel posto di lavoro.

la sinistra, i socialisti, i sindacati non sono riusciti  ad evitare questa sconfitta perchè la forza delle multinazionali e il ricatto di un Europa sempre più matrigna hanno avuto la meglio rispetto a quei pochi che hanno provato ad impedire questo disegno reazionario.

Diceva Maurizio landini “Credo che la decisione del Presidente del Consiglio e del Governo di modificare l’Art. 18, risponda a un’idea sbagliata in cui si pensa che per uscire da questa crisi bisogna lasciare fare alle imprese quello che ritengono più opportuno, compresa la libertà di licenziare.” e così è stato.

Quest’idea sbagliata, come la definiva Landini, ha preso il sopravvento ed ha vinto ogni resistenza. I decreti sicurezza del governo dei 5 stelle e della lega nati per contrastare l’immigrazione clandestina rappresentano un’ulteriore sfida nei confronti dei lavoratori ed un’ulteriore riduzione dei diritti.

La Finlandia quest’anno ha rinunciato a dare la caccia alle balene, ma nel mondo, dalle nazioni più evolute fino ai regimi più oppressivi non si ferma la corsa alla mortificazione del mondo del lavoro cosicché le coscienze dei lavoratori son sempre più fiaccate ed ognun vive il proprio personale dramma senza più voglia di condividerlo con altri e di lottare e  difendersi per affermare il principio che i diritti conquistati con anni di lotta sono inviolabili.

“Pietà l’è morta” recita una canzone e con essa la solidarietà.

Aspettiamo con ansia i prestiti dalla BCE, dal Mes in qualunque forma essi arrivino, dimenticando che questi soldi prima o poi bisognerà restituirli e questa restituzione sarà contrassegnata da ulteriori sacrifici e da ulteriori riduzione di diritti

Il primo maggio 1947 i contadini siciliani si radunarono a Portella della Ginestra per celebrare la festa del lavoro. il calzolaio Giacomo Schiro segretario della sezione socialista di Piana,diede inizio al suo discorso “Compagni lavoratori siamo qui riuniti per festeggiare il primo maggio festa dei lavoratori” fu l’incipit, ma  il discorso fu interrotto da raffiche di mitra che lasciarono per terra decine di morti. Dalle dieci e trenta del mattino per dieci interminabili minuti fu un susseguirsi di spari e di morti.

L’assemblea costituente a seguito di quel drammatico evento votò una risoluzione presentata da Pietro Nenni in cui nel condannare l’eccidio di Portella della Ginestra  in cui si invitava la nazione a trovare ” nella legalità democratica l’inderogabile limite di ogni pubblica manifestazione”.

Gli operai metalmeccanici della Lombardia offrirono mezz’ora di salario i favore delle famiglie delle vittime, fu proclamato un sciopero generale di protesta a partire dal tre maggio. Tutti i lavoratori italiani si unirono allo sdegno ed al dolore.

Ad  primo maggio nato sotto il segno dell’aggressione ai diritti dei lavoratori fu data una risposta univoca dalla classe politica e dai lavoratori.

La solidarietà della classe operaia, dei lavoratori tutti diede in quell’episodio un prova di forza  che fu un monito e indicò quale fosse la strada da seguire per ricostruire l’Italia distrutta da venti anni di nazifascismo.

Fu quello stesso spirito che animò le lotte operaie degli anni sessanta dove ad una risposta padronale che trovò nella Fiat di Valletta la punta di diamante  si rispose con  una dura lotta che chiedeva e pretendeva il riconoscimento del valore e della dignità del lavoro negata da salari troppo bassi, da gerarchie e divisioni tra operai, tecnici, impiegati, da una ferrea disciplina di fabbrica e da un altrettanto ferreo controllo della produttività.

Fu quella lotta come lo era stata la risposta alla strage dei Portella della Ginestra che portò all’affermarsi dei diritti dei lavoratori che troverà il suo approdo, nel 1970, nello Statuto dei diritti dei lavoratori, ma a cui non si sarebbe arrivati senza lo choc determinante della rivolta operaia del 1969.

Allo statuto dei lavoratori fece seguito il riconoscimento di altri diritti  fondamentali, la normativa sulla tutela della maternità, le prime regolamentazioni del mercato del lavoro, le regole sugli affitti e sulle case pubbliche.

Io credo che oggi come allora bisognerebbe ritrovare quel vigore e quella vitalità che allora consentì ai lavoratori di diventare e restare per decenni un protagonista della vita sociale e politica del Paese. Senza questo protagonismo senza questa rinnovata voglia di lottare il primo maggio sarà sempre più svuotato del senso sacro che  il sacrificio di migliaia di lavoratori gli aveva dato.

Aspettare soluzioni date non potrà che condurci che a nuove forme di dittatura mascherate da una parvenza di democrazia.

 

 

aprile 25, 2020

25 aprile 1° maggio!

di Beppe Sarno

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Scriveva Sandro Pertini sull’Avanti del 25 aprile 1947 “Tutti  i  lavoratori  del brac­cio  e  della  mente,  che  nella guerra  di  liberazione e  nella insurrezione  d’aprile  furono uniti nella lotta  per la nostra indipendenza  e per  la  nostra libertà,  rimarranno  ancora .saldamente  uniti  perchè  la Patria  sia  del  popolo e  per­chè la libertà abbia finalmen­te  come  base  una  profonda giustizia sociale, onde essa di­venga una conquista duratura per  tutti  gli  italiani. La  lotta,  dunque,  non  è terminata  il  25  aprile  1945, ma continua.

Gli rispondeva Pietro Nenni sull’Avanti del primo maggio “non  sia   da   noi  un   giorno di   feste,   ma  di  lotta,   concor­rono   oltre    alle   incognite politiche della situazione,  le   tristissime condizioni  economiche del   Paese   e  segnatamente    dei ceti più diseredati.”

25 aprile e primo maggio. Ci troviamo a celebrare queste due date mentre infuria una tempesta senza precedenti .

Due date vicine, 25 aprile e primo maggio soprattutto nelle coscienze di ogni cittadino veramente democratico perchè il riscatto dal lavoro può avvenire  solo in presenza della libertà dei lavoratori.

Mai avrei pensato di trovarmi in una situazione come quella attuale preoccupante e avvelenata dagli errori di una sinistra che non riconosce se stessa e si chiude per paura di affrontare la   realtà e i problemi: fabbriche chiuse e  strade vuote.

I lavoratori che non sanno se dopo questa terribile emergenza torneranno a lavorare. Molti probabilmente no. I partigiani cantavano “una speranza m’è nata in cuor” ma dove sono finite quelle speranze che all’indomani della liberazione tutto un popolo ha sognato?

Sono finite perchè oggi molti di noi non hanno voglia di ricordare queste due date  e perchè le speranze si sono tramutate in una dolorosa sfiducia o in una cinica indifferenza.

La lotta continua” diceva Pertini e gli rispondeva Nenni “Il primo maggio sia un giorno di lotta.”

La realtà  non è stata capace di dare una risposta alle speranze della gente. Ma è evidente che all’indomani di “mani pulite” le responsabilità di noi socialisti sono state gravi e imperdonabili. Impegnati a salvare noi stessi  non abbiamo provato a tornare alle origini, dalla parte dei lavoratori,  la nostra casa madre. Non siamo stati capaci o non abbiamo voluto seguire la strada indicata da  Pertini e di Nenni e di tutti i socialisti che hanno dato la vita per un principio.

Abbiamo lasciato i lavoratori soli ed il malcontento  è nato dal perdurare dei problemi non risolti, che ha generato il qualunquismo, il disgusto per la politica, occupata da mestieranti senza scrupoli e da prime donne querule e senza sostanza.

In Europa,  la Germania e l’Olanda preparano la trappola del MES  per rendere privato tutto quello che è stato costruito con i sacrifici di generazioni di lavoratori.

Il divorzio, la scuola dell’obbligo, la nazionalizzazione dell’energia, del sistema sanitario, lo statuto dei lavoratori, che all’epoca ci sembrarono fatti quasi naturali, logica conseguenza di un percorso condiviso da tutti, paragonandoli alla forza del Capitale oggi, appaiono per quello che furono: conquiste gigantesche di democrazia e civiltà.  La  democrazia  che ci hanno regalato i nostri padri l’abbiamo lasciata degradare  e funziona male perchè noi siamo mancati al nostro dovere di socialisti.

Oggi i giovani ci voltano le spalle cercando altre strade, improbabili  scorciatoie verso il  nulla.  In questo nulla,  in questo non aver saputo ricostruire la nostra identità per difendere le istituzioni, i diritti del lavoro, le conquiste sociali che sta il pericolo maggiore: il pericolo di un vuoto che fa paura.

Quanti sono gli errori che dal 1992 noi socialisti abbiamo commesso con le nostre divisioni, le nostre vigliaccherie, i nostri tradimenti?

Sappiano i socialisti della mia generazione, i democratici tutti, trarre occasione da questa pausa forzata con cui celebriamo il 25 aprile e il primo maggio per  trovare la forza ed il coraggio per compiere in umiltà un approfondito esame di coscienza per ritrovare la forza di ricominciare.

 

 

 

gennaio 27, 2014

Martiri socialisti.

“Molti non sono tornati, non è tornata la mia figliuola Vittoria, e pure domani è giorno ancora, cioè la morte stessa è un atto di vita, quando chi l’affronta, e non la teme, con il sangue sottoscrive i più alti ideali della umanità ” (Pietro Nenni ).

gennaio 1, 2013

1° Gennaio 1980. I socialisti non dimenticano Pietro Nenni.

luglio 28, 2010

Perchè noi no?

Nichi Vendola è un grande leader. Ha vinto contro il PD, ha mortificato D’Alema, ha sconfitto la destra e governa bene. Si è candidato alle primarie  del centrosinistra, la gente pugliese è con lui. Ha dichiarato: «Vincerò le primarie e batterò Berlusconi».

Forse ci riuscirà, forse non ci riuscirà. Non è importante. E’ importante il fatto che crea una speranza, un’alternativa. La gente si sente motivata ha voglia di lottare o come dice lui di sparigliare.

e Il PSI? calma piatta! Non è così che si ricostruisce un partito. Il congresso svoltosi alcune settimane fa è stata una pena. E allora perchè noi no? Perchè invece del gesuitico Nencini che bussa a tutte le porte per elemosinare un posto in parlamento non ci inventiamo anche noi un candidato alle primarie che sappia smuovere le coscienze, fra nascere la speranza, motivare la base. La sinistra è piena di uomini carismatici che potrebbero incarnare il perfetto candidato socialista alle primarie del centrosinistra. Allora Compagni dirigenti abbiate il coraggio di rischiare. Lo diceva Nenni: rinnovarsi o perire.