Dolore neuropatico, c’è una nuova scoperta. Arriva dall’Irccs Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta”, infatti, l’individuazione di un’anomalia che potrebbe essere all’origine di una parte del 5% dei casi…
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Dolore neuropatico, c’è una nuova scoperta. Arriva dall’Irccs Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta”, infatti, l’individuazione di un’anomalia che potrebbe essere all’origine di una parte del 5% dei casi…
Il resveratrolo, la cosiddetta “molecola miracolosa” che si trova nel vino rosso, potrebbe contribuire a migliorare la mobilita’ e a prevenire le pericolose cadute negli anziani. La scoperta,… Leggi tutto »
Scoperta una molecola in grado di uccidere batteri che causano le cavita’ dentali e le carie. I ricercatori della Yale University negli Usa in collaborazione con l’Universita’ di…
15 luglio 2012 / Leggi tutto
Alcuni ricercatori hanno creato una versione stabile di una “molecola trofeo” che per decenni ha eluso gli scienziati e potrebbe portare alla produzione di energia nucleare pulita.
Scrivendo sulla rivista Science, il team, composto da scienziati delle università di Nottingham e Manchester nel Regno Unito, dimostra che si può preparare un composto terminale di uranio nitruro che è stabile a temperatura ambiente. Inoltre, dimostrano che il composto può essere immagazzinato in vasi in forma di polvere o cristalli.
Lo studio è stato supportato in parte dal progetto UNCLE (“Uranium in non-conventional ligand environments”), finanziato dall’UE, che ha ricevuto una sovvenzione Starting Grant di 999.996 euro dal Consiglio europeo della ricerca (CER).
I ricercatori riferiscono che la scoperta potrebbe avere implicazioni future per l’industria dell’energia nucleare, in quanto i materiali di nitruro di uranio possono potenzialmente essere una valida alternativa agli attuali combustibili di ossidi misti utilizzati nei reattori nucleari, dal momento che i nitruri presentano alte densità, e punti di fusione e conducibilità termica superiori. Inoltre, il processo che gli scienziati hanno utilizzato per creare il composto potrebbe offrire un percorso più pulito a temperatura inferiore rispetto ai metodi attualmente utilizzati.
E’ possibile rigenerare la cartilagine direttamente li’ dove serve, con una semplice iniezione nell’articolazione danneggiata dall’artrosi: questo grazie alla cartogenina, una nuova molecola che risveglia le cellule staminali della cartilagine spingendole a riparare i danni creati dalla malattia.
L’hanno sperimentata con successo nei topi i ricercatori dello Scripps Research Institute in California, che presentano i primi risultati su Science.
Questa piccola, ma potente, molecola ‘anti-artrosi’ agisce sulle cellule staminali adulte presenti nelle articolazioni e chiamate staminali mesenchimali: queste ultime sono capaci di differenziarsi in diversi tipi di cellule e da tempo si sospetta che possano essere coinvolte nella riparazione della cartilagine articolare.
Scoperta una molecola che ha un ruolo chiave nel classico “colpo della strega”, la lombalgia e anche in altri dolori acuti (come la cervicalgia) tutti dovuti al fisiologico invecchiamento della colonna vertebrale.
Infatti, ricercatori dell’Universita’ Cattolica-Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma hanno scovato una molecola, “NF-kB”, responsabile della degenerazione dei dischi intervertebrali, che inizia gia’ a 30 anni, soprattutto se si adotta uno stile di vita sedentario. E’ emerso che quando NF-kB diventa iperattiva all’interno delle cellule dei dischi intervertebrali, innesca una serie di reazioni deleterie che finiscono per alterare la struttura fisiologica della colonna.
Ma non e’ tutto, i ricercatori hanno visto che “spegnendo” NF-kB con un “farmaco sperimentale”, e’ possibile rallentare la degenerazione dei dischi intervertebrali. Il risultato, che sara’ pubblicato sulla rivista Spine, e’ merito del professore aggregato Enrico Pola, e del dottor Luigi Aurelio Nasto, specializzando in Ortopedia e Traumatologia presso il Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia dell’Universita’ Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, diretto dal professor Carlo Fabbriciani. Lo studio e’ stato realizzato in collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Universita’ di Pittsburgh diretto dal professor Paul Robbins e dal professor James Kang. I risultati del lavoro saranno presentati e premiati con l’ISSLS Award il 31 maggio ad Amsterdam presso l’Auditorium dell’Amsterdam Rai Congress and Exhibition Venue.
Se gli acari della polvere domestica vi provocano l’asma, potreste presto tirare un respiro di sollievo. Ricercatori nel Regno Unito hanno identificato una molecola che potrebbe condurre allo sviluppo di nuovi trattamenti contro le allergie a queste fastidiose creature. I risultati dello studio sono stati presentati sul Journal of Biological Chemistry.
Immunologi dell’Università di Nottingham, guidati dal dott. Amir Ghaem-Maghami e dal professor Farouk Shakib, hanno scoperto come la molecola DC-SIGN potrebbe potenzialmente essere un antagonista dell’acaro della polvere domestica. Il team fa sapere che la molecola si trova alla superficie delle cellule immunitarie che contribuiscono a individuare un importante allergene dell’acaro della polvere domestica, che gli esperti chiamano Der p 1. Gli asmatici dell’Europa settentrionale potrebbero incolpare Der p 1 dello scatenarsi dei loro attacchi asmatici.
I ricercatori ritengono che il riconoscimento dell’allergene da parte del sistema immunitario potrebbe causare una sensibilizzazione in atto e lo sviluppo di sintomi allergici. Grazie a questi risultati di ricerca, gli scienziati potrebbero contribuire a gettare luce su come il nostro sistema immunitario identifica e reagisce agli allergeni. Questo condurrà quindi a terapie o trattamenti migliori per combattere le allergie.
Indubbiamente, milioni di asmatici accoglieranno con favore la notizia. L’acaro della polvere domestica, insieme ad altri allergeni ambientali, contribuise ad aggravare le altre allergie. I detriti dell’acaro della polvere domestica sono ricchi di allergeni che provocano reazioni quando sono trasmessi nell’aria e vengono inalati, dicono i ricercatori.
L’idrogeno solforato, noto per il odore che ricorda le uova marce, insieme all’ossido nitrico potrebbe essere usato come terapia nella cura dei problemi cardiaci.
Un team di scienziati internazionali avrebbe trovato un rimedio per i problemi cardiaci in due sostanze, tra l’altro, già presenti nel corpo umano. Si tratta dell’idrogeno solforato, riconoscibile per il suo tipico odore di uova marce, e l’ossido nitrico.
Questi due gas, sono stati oggetto di uno studio condotto dai ricercatori della Peninsula Medical School presso l’Università di Exeter e la National University of Singapore. Gli scienziati hanno scoperto che l’interazione tra questi due elementi può rivelarsi utile nel trattamento dei problemi cardiaci, attraverso anche l’equilibrio nella presenza di questi gas con altri composti chimici, che possono così interagire nel promuovere la salute.
Una molecola ‘richiama’ le cellule staminali dal midollo osseo alle ferite per iniziare il processo di cicatrizzazione. Lo ha scoperto uno studio pubblicato dalla rivista Pnas, che potrebbe essere utilizzato per sviluppare nuove terapie per ustioni e ferite profonde.
I ricercatori americani e giapponesi hanno inserito nel midollo osseo di alcune cavie un ‘tracciante’ verde per poter monitorare il cammino delle staminali nel corpo. Alle cavie sono state poi provocate delle ferite, e solo ad alcune di queste sono state applicati degli innesti di pelle. Nei topi senza le ‘toppe’ e’ stato notato uno scarso movimento delle staminali verso la ferita, al contrario delle altre dove invece le cellule ‘guaritrici’ sono accorse.
Il trucco e’ unire la radioterapia alla chemioterapia sin dall’inizio del trattamento: lo iodio–radiattivo, traghettato nelle cellule malate da una molecola vettore, le uccide scovandole anche se ci sono gia’ metastasi.
I ricercatori dell’Universita’ Cattolica-Policlinico A.Gemelli di Roma hanno messo a punto una nuova strategia terapeutica contro il neuroblastoma, uno tra i tumori pediatrici piu’ aggressivi.
La terapia innovativa consiste nell’associare, sin dall’inizio del trattamento del tumore, la radioterapia alla chemioterapia classica gia’ in uso contro il neuroblastoma, utilizzando il composto 131-I-metaiodobenzilguanidina. La terapia e’ stata testata con successo in uno studio pilota i cui risultati sono stati pubblicati online su Pediatric Blood and Cancer, rivista scientifica organo ufficiale della Siop (Societa’ internazionale Oncologia pediatrica). La ricerca e’ stata condotta da Stefano Mastrangelo, ricercatore dell’Unita’ operativa di Oncologia pediatrica del Gemelli diretta da Riccardo Riccardi, in collaborazione con l’Istituto di medicina nucleare della Cattolica di Roma.