L’agenda politica nazionale pare voglia offrire qualche spazio alle più “fastidiose” pagine, locale e regionale afflitte, oltre dalle endemiche deficienze ecologiche –sanitarie – camorristiche e del mondo del lavoro, anche da una opaca, confusa diatriba politico-istituzionale.
Lo scenario è completamente occupato dai pidieppini e pidiellini.
I primi segnati dal loro caotico, disordinato, evanescente, compromissorio “ congresso “ senza fine; i secondi, dalla ricerca di una linea politica identitaria che consenta di filtrare una classe dirigente abile a gestire il cambiamento, nella felice ipotesi di una loro vittoria elettorale prossima ventura.
Per entrambi il setaccio dei fatti non riesce a contenere la intera materia del contenzioso in atto. Gioco forza, risulta debordante più quella che si perde, che la restante setacciata. Con la conseguenza di rimanere interessati al dibattito attori, protagonisti, comparse e spettatori del teatrino della politica, invischiati dallo sterile gioco di potere caro alle classi dirigenti di ieri e di oggi, avulse dal magmatico aspetto sociale ribollente la piazza regionale, provinciale e comunale, ove lavoro, scuola, sanità e governabilità sono i link più scelti del sistema, nella speranza di qualche efficiente connessione con un motore di ricerca utile alla bisogna .
In tale realtà risulta oltremodo scomposto se non addirittura fuorviante introdurre elementi di riflessione politica, laddove a prevalere rimangono motivi di bottega, contingentati da una logica comportamentale definita dagli analisti , anni scorsi, clientelare, partitocratrica, scandalosa, foriera delle espressioni più recondite dello scibile. Quegli non si sbagliavano, ieri, visto l’andamento degli eventi, il loro periodare, la terribile conclusione.
E oggi c’è da chiedersi : cosa è cambiato ?
La risposta non ci sorprende e non ci soddisfa. Ci amareggia !
Il segmento temporale alle nostre spalle, comunque maturato nell’ultimo quindicennio, embricante la fenomenologia politica del vertice e della periferia, ci affida un responso senza appello: il bipolarismo – presunto- della classe politica italiana riduce, in un asfittico compattatore, le realtà socio politico economiche incomprimibili; mortifica intelligenze altrimenti foriere di espansioni esistenziali; svilisce tensioni ideali utili alla crescita civile e culturale; depaupera il territorio delle necessarie energie per una crescita delle complesse realtà in conflitto; esangue rimangono il popolo, le genti e quanti con le loro istanze, innervate nel tessuto sociale, avrebbero fatto ribollire un autunno fervido di copiosa vendemmiata, oggi smunto profilo di un popolo chiassoso.
A tale traguardo ci conduce anche il colposo ritardo di quelle residuali realtà politiche fino a ieri determinanti per il governo nazionale e locale, pendat continuo della nomenclatura partitica, oggi distinte dalle note cifre percentuali, da profonde insolvenze e dissesti, prodromico corollario di segno concorsuale.
In esse albergano motivi revanscistici, nostalgici, nel miglior dei casi radical-psico-culturali legittimanti la persona, il gruppo, la casta e mai la causa, l’idea, l’obiettivo.
Nello scenario delineato tutti sottolineano, soprattutto i maggior quotidiani e i più illustri maitres à penser, la caduta del socialismo o quantomeno l’inarrestabile declino, abbinato al fenomeno-paradosso, tutto istituzionale, delle politiche economiche nazionali, europee e mondiali- dell’intervento massiccio dello stato nell’economia.
L’apparente dicotomia rileverebbe appunto il paradosso premiale elettorale della destra in presenza di politiche economiche di sinistra, di guisa che la causa del fallimento della sinistra o delle sinistre (quindi del socialismo e dei socialisti) fosse riconducibile a scelte di politiche economiche ( l’antica ricetta Keynesiana), non al modus operandi delle sue classi dirigenti e delle centrali politiche nazionali e locali.
Qualsiasi scelta politica, occorre ricordare, si sostanzia dal suo corretto impiego e soprattutto dall’attività gestionale dalle classi dirigenti, in definitiva dai governanti, sorretti dall’impegno, onestà, sobrietà. Valori dimenticati e sostituiti dal concetto del profitto distribuito in tutte le salse: economico, politico sociale e quindi elettorale .
Destra, Sinistra, Centro sono soltanto terminali di percorsi pensati, elaborati, sofferti e setacciati da comportamenti di intere generazioni, nella convinzione di perseguire la via utile ai bisogni umani in continua mutazione, scevri però da equilibrismi e logiche di appartenenze determinative la semplice occupazione del potere .
Purtroppo la semplificazione della vita politica nazionale, la congerie delle situazioni europee post 89, le crisi internazionali legate al dramma medio orientale, soprattutto la grossa bolla speculativa conseguente la insolvenza dei bonds suprime, il drammatico fenomeno migratorio hanno reso l’ambiente politico inagibile, coperto com’è da una nebbia fittissima che induce i protagonisti a navigare a vista.
Nelle nostre contrade arrivano i resti dei conflitti, perdurano anacronistici amarcord di epoche trascorse, si attardano misure salvavita, come l’ossigeno al capezzale di una classe politica giurassica e senza scopi, con l’intento esclusivo di resistere, in tal modo trastullandoci sul più terribile dei mali: l’accidia.
Figli di una oziosa roulette politica affidata al superenalotto delle scelte casuali non riusciamo nell’affrancamento delle pratiche utilitaristiche e folgoranti. Solo così si spiegano la miriade formazione di partitelli, o analoghe formazioni associative di dubbia utilità sociale finalizzati al semplice particolare, all’esaltazione del Io personale.
Il socialismo resta sullo sfondo come un orizzonte abbandonato dai naviganti in profondo naufragio.
La moderna navigazione sociale è affidata a bussole precise, infallibili, tecnologicamente sorrette dai moderni totem della conoscenza: i sondaggi assurti a verità rivelate. Il mondo, gli spazi vengono segnati da coordinate precise e conosciute. Il sud del mondo può ancora segnare la rotta del socialismo; il nord invece abbandona il profondo richiamo, la salvifica dottrina socialista, agli emarginati, agli esclusi, a quanti sono alla ricerca di una terra per non morire, pronti a rinverdire, sostenere i concetti di libertà, eguaglianza, legalità.
Le descritte riflessioni riverberano gli effetti nelle nostre zone. Qui nel meridione d’Italia, nella Campania, in Irpinia, in presenza di una società terziarizzata, della scolarizzazione di massa, segnata dalla rincorsa dei consumi, dalla crescente eterogeneità delle condizioni di lavoro, e della galoppante disoccupazione, caratteristiche queste di tutto l’occidente europeo, fa da contraltare il dramma di una classe dirigente vecchia e senza prospettive, dell’ordine pubblico, del lavoro e della governabilità dei problemi sociali. Sessant’anni di governo democratico non sono stati sufficienti ad eliminare le differenze e le storture Nord-Sud, le inefficienze di politiche e di scelte economiche improntate al più dissacrante utilitarismo familistico e purtroppo spesso anche camorristico.
L’ ammainamento della bandiera Socialista non arreca vantaggio alcuno, non risolve i problemi e non ne semplifica le valenze. Serve però a far riflettere! La cultura, la tolleranza, la libertà, soprattutto, la intuizione del sentire socialista ch’e fatta di laboriosità, di rispetto nella reciprocità, di liberalità, di analisi e ricerche, tutto ciò, può ancora continuare a costituire una ossatura necessaria delle istituzioni italiane, della loro crescita civile al servizio del popolo e delle future generazioni.
Antonio Tulino