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giugno 13, 2022

Heri dicebamus!

Di Beppe Sarno

Si narra di un monaco spagnolo docente di diritto canonico  nell’Università di Siviglia, che avendo passato lunghi anni prigioniero dei mori, chiuso in una fortezza, dopo aver riconquistato la libertà sia tornato immediatamente al suo posto e, riaperto il testo nel punto in cui lo aveva lasciato prima della sofferta  prigionia, abbia ripreso tranquillamente le lezioni con la  consueta formula heri dicebamus…..

Così dopo l’ubriacatura referendaria che ha fatto sognare Salvini di sottomettere finalmente la magistratura al potere politico trasformando i PM in cani da guardia della politica e le altre amenità promesse dai quesiti referendari in ossequio al verbo di Licio Gelli,  riprendiamo la nostra discussione per testimoniare il nostro attaccamento alla democrazia, alla Costituzione, al pensiero socialista.

La nefasta influenza di Beppe Grillo sta istillando nella gente la convinzione che la nostra Repubblica debba trasformarsi da repubblica parlamentare in repubblica popolare. Seguendo questa logica si è provveduto alla riduzione del numero dei parlamentari mentre.  Secondo questi novelli populisti il Parlamento non risponderebbe più ai suoi compiti essendo un’istituzione vecchia da sostituire dall’intervento diretto dal popolo che così potrebbe partecipare direttamente all’amministrazione pubblica modernizzando il profilo ottocentesco della nostra democrazia. Giovanni Sartori nel 1994 già ci ammoniva affermando “Dio ci salvi, allora, dagli inesperti che ci propongono il governo dell’inesperto trionfante, dal cittadino premibottone”

Rosmini riteneva che i partiti fossero manifestazione di una società disunita e malata. Successivamente alcuni costituzionalisti ritennero di definirli “insieme di organi statali” necessari per lo svolgimento della vita parlamentare. Altri infine li consideravano come spontanee manifestazioni dell’opinione pubblica che non esprimono la volontà statale, ma preparano e favoriscono la formazione di tale volontà. Per tutti,  i partiti pur avendo rilevanza costituzionale dovevano rimanere strumenti di parte tutelati costituzionalmente dall’art. 18 necessari per concorrere democraticamente a determinare la politica nazionale secondo l’art. 49 della Costituzione.

Seguendo il pensiero di Kelsen (La lotta per il diritto!)la  funzione dei parlamenti non è quella di preparare il popolo, ma quella di consentire al popolo di partecipare all’esercizio del suo potere “sovrano”.

Ecco perché i partiti vengono finanziati dallo Stato attraverso i rimborsi in relazione alle spese elettorali sostenute per le campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei consigli regionali. Inoltre la legge del 2017,  consente esclusivamente ai partiti  di ottenere la destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche su precisa scelta del contribuente, e di ottenere erogazioni liberali dei privati, che possono così usufruire delle detrazioni fiscali.

Per il marxismo i sindacati e i partiti sono indispensabili e  Marx nel 1852 si allontanò dal partito preferendo dedicarsi ai suoi lavori teorici per essere più utile “alla lotta della classe lavoratrice”. Marx si schierò contro “la Lega dei comunisti” perché ritenne  al pari di Engels il partito “una banda di seguaci passivi di chi li guidava” e che non  rappresentava la coscienza del proletariato. Marx ed Engels però, poi parteciparono alla fondazione della seconda internazionale ritenendo quindi indispensabile il partito come strumento per la trasformazione delle cose e il raggiungimento dell’obbiettivo della costruzione della società socialista.

Oggi assistiamo ad una prevalenza del potere esecutivo esasperato dal nostro Presidente del Consiglio che ritiene il parlamento poco meno che un’inutile istituzione, ricorrendo sempre a provvedimenti d’urgenza determinati dalla necessità di assumere decisioni senza i tempi lunghi causati da un dibattito parlamentare. E’ stato così per i provvedimenti sulla pandemia è stato e sarà così per i provvedimenti riguardo la nostra entrata in guerra a fianco dell’Ucraina in dispregio dell’art.11 della Costituzione e le  determinazioni economiche che ci chiede l’Europa. E’ così che lo Stato da strumento che garantisce la convivenza tra i “consociati” che agiscono per determinati scopi, si trasforma in un poderoso mezzo di aggressione ed i oppressione, contraddicendo se stesso e rinnegando i principi espressi nella nostra Costituzione, definita figlia della Resistenza.

Se si può teorizzare una società senza partiti perché composti per lo più di ladri, malfattori, corrotti e superpagati dai contribuenti, nella pratica i partiti sono inevitabili  nella misura in cui un partito è l’unione di persone che attorno ad un problema politico hanno unità di pensiero ed identiche opinioni (idem sentire de republica). I partiti di massa sono stati il cuore pulsante di milioni  di lavoratori contribuendo a trasformare una società distrutta dalla guerra, dall’invasione tedesca e dal fascismo a realizzare riforme, a costruire una società industriale a creare un benessere diffuso portando l’Italia ad essere una delle prime potenze economiche mondiali. Molti nel corso della storia della nostra Repubblica  hanno criticato i patititi politici  perché trasformati in elites di capi che abbandonando il metodo democratico   “non sono più scuola di democrazia.” E come ebbe a dire Basso finirono per “assolvere male il loro compito di favorire il popolo nel suo effettivo esercizio del suo potere sovrano.”

Il problema è che mentre la mafia, la criminalità organizzata si sono adattati alle sfide della società moderna lo Stato e i Partiti sono rimasti inermi. Ciò spiega la crisi dei partiti, che mentre diventano potenti nei confronti dello Stato, lo occupano con i suoi uomini, ne condizionano le scelte, perdono la fiducia dei loro elettori, perdono la partecipazione degli iscritti, la preparazione delle classi dirigenti, il  ricambio e selezione dei quadri e l’ efficienza operativa. Ciò spiega alla fine la crisi del Parlamento svuotato delle sue funzioni  a vantaggio del governo,  dei nuovi centri di potere pubblico  e privato, della trasformazione delle Regioni in piccoli principati ma anche dello stesso Governo semiparalizzato da un amministrazione inadeguata dalla incompetenza dei funzionari, dalle influenze dei gruppi di pressione pubblici e privati, dalle istituzioni finanziarie internazionali.

Diceva Nenni che di fronte ad uno Stato  in sfacelo che usa le maniere forti con i deboli e  cede di fronte ai poteri forti non si può andare avanti,  ma prendere  atto della situazione e da lì ricominciare.

Se lo stato democratico non provvede prima ai bisogni del “sovrano” occorre apire un fronte di lotta per far si che “il sovrano” cioè i cittadini abbiano concretamente la possibilità di esercitare la libertà che la Costituzione garantisce loro.  Il fondamento della nostra democrazia sono l’istruzione ed il lavoro, essi sono diritti e doveri che indicano allo stato e cioè ” rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Con questo articolo viene precisata la vera natura dello Stato quello di limitare la libertà teorica degli individui per il loro effettivo vantaggio. In questa visione lo stato deve fare in modo chela scuola non sia un’agenzia che prepara i nuovi sfruttati e  il lavoro non sia un merce ma un diritto e  un dovere sociale allo stesso tempo. Lo dice con grande lungimiranza  Papa Francesco.

In questo quadro i partiti politici sono la espressione naturale e necessaria della vita politica. Una democrazia diretta non è pensabile nella situazione storica che viviamo. In questa situazione  i partiti sono inevitabili come strumento di concentrazione della volontà popolare.  E’ lecito allora domandarsi perché i Parlamento non è più un organo rappresentativo ma un diaframma che separa la volontà politica dalla volontà generale. Si può rispondere che la crisi che attraversa la democrazia parlamentare è stata accentuata per rispondere alle emergenze determinate dalla pandemia e dalla crisi economica e  il governo guidato da Mario Draghi ha avuto gioco facile a ribaltare i ruoli per cui è stato l’esecutivo a dettare l’agenda politica ai membri di camera e senato e non il contrario.

Se l’emergenza, però, non è un valido motivo per giustificare la forzatura delle regole democratiche è pur vero che i partiti per come sono strutturati oggi sono destinati a subire lo stato delle cose se non si comincia a riformarli dal basso attraverso un coinvolgimento della base attraverso il dibattito riapprodandosi dei temi di cui la gente sente il bisogno di discutere. Un lavoro difficile destinato magari a molti insuccessi però  se è vero che la democrazia non significa partecipazione diretta, ma solo indiretta del popolo al governo della cosa pubblica è pur vero che il governo riceve autorità e potere dal basso e non dall’alto.  Ripartendo dai bisogni della gente un partito diventerà  portatore di un programma. Beppe Grillo lanciò l’idea, non sua, che i parlamentari venissero scelti attraverso un sorteggio  e alcuni invece prevedono che in futuro si possa votare usando il computer. Questo significa far morire la speranza di un cambiamento dei rapporti di forza all’interno di uno Stato, significa chiedere alla gente di rassegnarsi all’idea che lo Stato è uno strumento tecnico per assecondare i disegni del mercato che diventa a sua volta “sovrano” in sostituzione del popolo.  Marco pannella nel 1993 sintetizzò questi concetto con la frase “chiudere i partiti”.

I partiti viceversa non vanno chiusi ma bisogna avere la forza di riaprirli per ridare speranza alla gente e per  ridefinire il ruolo del parlamento come libera espressione della democrazia  dandogli  quella centralità che sempre ha avuto nella  storia della nostra Repubblica. Pietro Ingrao in un suo libro  (”Crisi e riforma del Parlamento“, dialoghi con N. Bobbio e introduzione di L. Ferrajoli)  metteva in luce come, prima degli anni ottanta, il Parlamento fosse davvero la sede di un confronto alto tra le forze politiche e, come spiega Ferrajoli nel suo saggio introduttivo, “lo fu perché le battaglie parlamentari erano tutte sorrette da grandi mobilitazioni popolari, quali espressioni politiche di altrettante lotte sociali”.

Ridare consapevolezza agli italiani che essi sono “ popolo sovrano” significa ridare alla gente la speranza che attraverso la sua mobilitazione tutto può cambiare ed è possibile invertire questa involuzione democratica che stiamo vivendo al momento attuale. Con la difesa della  democrazia e della  centralità del Parlamento infine  si riabilita la politica come azione collettiva che rifonda la rappresentanza sulla base di rinnovati radicamenti sociali. 

luglio 14, 2021

U tiempo d’è buone azioni è finito!

Di Beppe Sarno

Questo il grido delle guardie carcerarie convenute a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Poi cominciò la mattanza da parte dei reparti speciali delle guardie carcerarie.

A seguito delle denunce dei parenti dei detenuti la magistratura ha preso severi provvedimenti disponendo ben 52 misure cautelari. La notizia ha fatto il giro del mondo e la classe politica si è variamente schierata. Matteo Salvini si è schierato subito dalla parte delle guardie affermando “sono venuto qui per dare solidarietà a tutte le forze dell’ordine.” Giorgia Meloni, a sua volta ha espresso fiducia e solidarietà nei confronti degli agenti.

Questi due personaggi sono oggi quelli che volano nei sondaggi e ricevono maggior consenso politico da parte degli elettori.  Certo la Lega e fratelli d’Italia non rappresentano altrettante coscienze e convinzioni, ma non possiamo negare che questi sondaggi non rappresentino la stato d’animo del paese in cui viviamo.

S. Maria Capua Vetere non è solo un problema carcerario ma è il frutto di un sentimento di paura che per molteplici circostanze circola nel paese.

Per questo motivo vengono approvate leggi che la coscienza collettiva in altri periodi non avrebbe accettato e siamo diventati succubi di scelte in politica estera quasi mai  in linea con gli interessi della collettività.

La democrazia esce sconfitta e si consegna alla prevalenza delle forze reazionarie le quali hanno già preso in mano il governo della nazione e si apprestano a farlo in maniera definitiva alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento e del Senato.

S. Maria Capua Vetere rappresenta la  metafora di una situazione generalizzata di degrado delle istituzioni che suscitano preoccupazione quando vediamo i mass media( giornali, televisioni, giornali on-line) e organi politici che non solo non contrastano questa mentalità ma anzi la riprendono, la avvalorano e la diffondono, a volte, col pretesto della difesa della democrazia.

Senza questo retroterra i fatti di S. Maria Capua Vetere non si sarebbero potuti verificare.

Filippo Turati in un discorso tenuto a Montecitorio il 18 marzo 1904 disse che “Sovente ci gonfiamo le gote a parlare di emenda di colpevoli e le nostre carceri  sono fabbriche di delinquenti” che “ le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta.”

Il successo del discorso di Turati convinse l’opinione pubblica che era giunto il momento per porre mano ad una radicale trasformazione del sistema penitenziario italiano. Ci pensò Alfredo Rocco a smentire Turati affermando nel 1930 che “ le pene concorrono con le misure di sicurezza nella lotta contro il reo” e che “l’emenda e la rieducazione del reo non sono le funzioni principali delle pene, si tratta invece di scopi secondari ed accessori.”

Fu l’Assemblea Costituente a mettere le cose a posto approvando l’art. 27 della Costituzione che stabilisce “ che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.”

Tutti tentativi di riforma e le riforme avvenute dal 1947 ad oggi hanno di fatto conservato il principio punitivo come cardine di comportamento da tenere nei confronti del condannato, per non parlare del regolamento degli istituti di Prevenzione e pena che conserva nel suo corpo il principio generale punitivo della pena. In questa maniera la Costituzione viene di fatto  calpestata nella pratica quotidiana.

E’ inutile parlare di riforme ogni qual volta succedono fatti come quelli di S. Maria Capua Vetere o più in generale quando si constata che qualche male tormenta la nostra società e che occorre porvi rimedio se poi questo rimedio rimane nelle dichiarazioni indignate del ministro della Giustizia di turno, rispettabilissime ma destinate a rimanere come pura dichiarazione di sdegno.

Questa riforma che da più parti viene invocata spaventa se sono i governanti in carica a doverla promuovere ed approvare.

Per la riforma del codice di diritto canonico la Chiesa cattolica ha impiegato decenni coinvolgendo studiosi di tutto il mondo.

Per la riforma della giustizia, del codice penale e delle sue regole, del sistema carcerario occorrerebbe un serio studio da parte di professori universitari, magistrati, avvocati, sociologi, criminologi, pedagogisti, enti e associazioni degli stessi detenuti che si interessano concretamente della vita dei detenuti, delle guardie carcerarie  e, perchè no?, degli stessi detenuti, con il compito di offrire agli organi legislativi il frutto del loro lavoro collegiale. Questo metodo esprimerebbe correttamente la forma d’azione e il modo di vita di una società democratica in cui pur affidandosi al potere costituito le funzioni che le sono proprie, i cittadini vengono chiamati a contribuire alla soluzione dei problemi che interessa l’intera collettività.

Nel caso dei fatti di S. Maria Capua Vetere si tratta di un problema particolarmente grave per la nostra collettività che non si sente più oggi sufficientemente garantita dall’esistenza di quelle sbarre che dividono le cosiddette persone per bene dai cosiddetti delinquenti quando coloro che dovrebbero garantire il rispetto delle regole lo fanno con la violenza sistematica convinti dell’impunità e di un problema estremamente doloroso per quegli uomini che la società, senza troppo indagare sulla causa dei loro errori e sulle responsabilità della intera collettività, manda in quelle carceri dalle quali vengono restituiti alla comunità quasi sempre peggiori di quello che erano al momento della condanna.