di Beppe Sarno
La crisi sanitaria ed economica che la pandemia sta producendo ha messo sotto gli occhi di tutti che la politica lacrime e sangue che l’Europa ci chiedeva era una politica suicida che ha distrutto l’economia italiana in nome di un Europa intesa come un’unione di popoli e della democrazia. Ma l’Europa non è stato mai questo né mai lo sarà. La pandemia cambierà tutto: il nostro modo di vivere, il nostro modo di lavorare, il ritorno a politiche ambientaliste serie basate sul rispetto del territorio.
Basteranno le misure adottate dal governo italiano in carica ad invertire la tendenza di venti anni di servilismo nei confronti della Germania che su questa politica suicida ha costruito la propria rinascita?
Se qualcosa è stato fatto è nulla rispetto al danno che il Mezzogiorno d’Italia ha dovuto subire. Soprattutto la crisi ha messo in evidenza questo importante rapporto che esiste tra la crisi economica che la pandemia ha scatenato e il sottosviluppo delle aree depresse del mezzogiorno sottolineando come nessun progetto politico di rinascita e sviluppo e nessun investimento produttivo sia stato messo in campo per rilanciare il mezzogiorno.
In tempo di crisi sono proprio le aree più deboli a vacillare mentre quelle più forti riescono ad organizzare una difesa certamente più resistente. Non a caso il neo presidente della Confindustria Carlo Bonomi è un lombardo poco dialogante con la politica e molto attento agli interessi del padronato del Nord.
Per il sud non esistono piani di sviluppo perché non c’è una classe politica che li elabori e li sostenga, laddove il nord, e il nord-est trovano sostegno politico e nella stampa perché in tempi di crisi come quella che stiamo vivendo e che continueremo a vivere nel prossimo futuro è più importante è più facile difendere il tasso di occupazione nelle zone ad alta concentrazione industriale.
Così succede che oggi di fronte alla crisi economica che avanza nulla si dice circa la possibilità di progetti industriali nel sud per accrescere l’occupazione e creare opportunità di lavoro. Vi è un progetto per la ripresa delle attività industriali? Certo sono state messe in campo misure per la salvaguardia dei livelli occupazionali che riguardano anche il SUD, ma fino a dicembre 2020 e poi? Che cosa ha fatto il governo per rilanciare le aree in crisi del mezzogiorno? Quali misure sono state messe in campo per attrarre nuovi investimenti e per la riqualificazione e il recupero ambientale? L’ex Ilva di Taranto è stata lasciata nelle mani della Mittal, imprenditori senza scrupoli che la porteranno alla chiusura dopo averla spogliata di ogni bene materiale ed immateriale. Stessa sorte è capitata alla Wirphool. Potremmo parlare per giorni del destino di Termini Imerese, di Gela, delle miniere sarde. Avviene quindi di ascoltare da parte di politici improvvisati che trovano media consenzienti che tornano a riaffermare ancora una volta che il Mezzogiorno d’Italia deve rafforzare i suoi tesori naturali e cioè l’agricoltura ed il turismo in attesa di tempi migliori per gli investimenti industriali.
Il problema del sud non si risolve con l’agricoltura ed il turismo, che senza dubbio sono un parte importante della sua bilancia commerciale, ma il problema del mezzogiorno si risolve salvando le attività industriali esistenti e promuovendone altre nel rispetto del territorio. Certo una promozione dell’agricoltura deve prevedere una industria di supporto come era la “Cirio” degli anni della Cassa del Mezzogiorno e dell’IRI.
Una riscoperta del sud come il giardino d’Europa dove i ricchi industriali tedeschi vengono a trascorrere le vacanze e a mangiare i cibi genuini della cucina mediterranea significa dare una risposta limitata al discorso dello sviluppo che deriva certamente da esperienze e da errori finora commessi per lo sviluppo delle aree industriali del sud. Oggi quegli errori e quelle imposizioni subite da un‘Europa poco attenta e forse contraria ad uno sviluppo economico vengono a galla ma vengono anche facilmente risucchiati e compressi nell’attuale situazione. La verità è che la politica meridionalistica va ripensata nella sua globalità e dovrà toccare da vicino l’industria manifatturiera, l’agricoltura ed il turismo.
La verità è che, mancando un piano organico di sviluppo dell’economia del meridione, tutte le economie sono state punite: sia quella agricola che quella dell’industrializzazione, che deve continuare ad essere il punto principale intorno a cui fa ruotare l’economia meridionale. L’errore è stato è di aver bloccato l’industrializzazione trasferendola altrove. Se invece fosse stata legata con la realtà sociale ed economica avremmo avuto certamente un aumento dell’occupazione e della ricchezza generale. Ricordo quando Prodi regalò l’Alfasud alla Fiat, tutto l’indotto della Campania fu azzerato. I responsabili acquisti della Fiat ripetevano il mantra che un fornitore Fiat rispettabile “doveva parlare torinese”. Morirono più di cinquecento aziende medio piccole in poco più di due anni.
E’ necessario un piano organico di sviluppo del Mezzogiorno investendo capitali ed energie senza rincorrere il sogno di una vita bucolica, di fare l’aria pulita, o dare il pane ai poveri con il reddito di cittadinanza. E’ necessario risollevare le condizioni economiche del mezzogiorno e fermare quell’emorragia di giovani che partono in cerca di fortuna, inquadrando l’agricoltura in un piano di sviluppo generale. Soltanto saldando le varie realtà economiche turismo, agricoltura, ambiente industrializzazione si potrà evitare che il sud diventi il solito alibi per sfuggire ai problemi che la crisi sanitaria, economica, sociale ed ambientale ci pone davanti e che normalmente si risolve rinviando al di la da venire la soluzione del problema.
Ma siamo sicuri che “legge di Maastricht” preveda questo?
Siamo sicuri che questo sia possibile nell’orto chiuso dell’Ue, sotto la legge liberista dell’euro?