Di Beppe Sarno
Questo il grido delle guardie carcerarie convenute a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Poi cominciò la mattanza da parte dei reparti speciali delle guardie carcerarie.
A seguito delle denunce dei parenti dei detenuti la magistratura ha preso severi provvedimenti disponendo ben 52 misure cautelari. La notizia ha fatto il giro del mondo e la classe politica si è variamente schierata. Matteo Salvini si è schierato subito dalla parte delle guardie affermando “sono venuto qui per dare solidarietà a tutte le forze dell’ordine.” Giorgia Meloni, a sua volta ha espresso fiducia e solidarietà nei confronti degli agenti.
Questi due personaggi sono oggi quelli che volano nei sondaggi e ricevono maggior consenso politico da parte degli elettori. Certo la Lega e fratelli d’Italia non rappresentano altrettante coscienze e convinzioni, ma non possiamo negare che questi sondaggi non rappresentino la stato d’animo del paese in cui viviamo.
S. Maria Capua Vetere non è solo un problema carcerario ma è il frutto di un sentimento di paura che per molteplici circostanze circola nel paese.
Per questo motivo vengono approvate leggi che la coscienza collettiva in altri periodi non avrebbe accettato e siamo diventati succubi di scelte in politica estera quasi mai in linea con gli interessi della collettività.
La democrazia esce sconfitta e si consegna alla prevalenza delle forze reazionarie le quali hanno già preso in mano il governo della nazione e si apprestano a farlo in maniera definitiva alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento e del Senato.
S. Maria Capua Vetere rappresenta la metafora di una situazione generalizzata di degrado delle istituzioni che suscitano preoccupazione quando vediamo i mass media( giornali, televisioni, giornali on-line) e organi politici che non solo non contrastano questa mentalità ma anzi la riprendono, la avvalorano e la diffondono, a volte, col pretesto della difesa della democrazia.
Senza questo retroterra i fatti di S. Maria Capua Vetere non si sarebbero potuti verificare.
Filippo Turati in un discorso tenuto a Montecitorio il 18 marzo 1904 disse che “Sovente ci gonfiamo le gote a parlare di emenda di colpevoli e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti” che “ le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta.”
Il successo del discorso di Turati convinse l’opinione pubblica che era giunto il momento per porre mano ad una radicale trasformazione del sistema penitenziario italiano. Ci pensò Alfredo Rocco a smentire Turati affermando nel 1930 che “ le pene concorrono con le misure di sicurezza nella lotta contro il reo” e che “l’emenda e la rieducazione del reo non sono le funzioni principali delle pene, si tratta invece di scopi secondari ed accessori.”
Fu l’Assemblea Costituente a mettere le cose a posto approvando l’art. 27 della Costituzione che stabilisce “ che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.”
Tutti tentativi di riforma e le riforme avvenute dal 1947 ad oggi hanno di fatto conservato il principio punitivo come cardine di comportamento da tenere nei confronti del condannato, per non parlare del regolamento degli istituti di Prevenzione e pena che conserva nel suo corpo il principio generale punitivo della pena. In questa maniera la Costituzione viene di fatto calpestata nella pratica quotidiana.
E’ inutile parlare di riforme ogni qual volta succedono fatti come quelli di S. Maria Capua Vetere o più in generale quando si constata che qualche male tormenta la nostra società e che occorre porvi rimedio se poi questo rimedio rimane nelle dichiarazioni indignate del ministro della Giustizia di turno, rispettabilissime ma destinate a rimanere come pura dichiarazione di sdegno.
Questa riforma che da più parti viene invocata spaventa se sono i governanti in carica a doverla promuovere ed approvare.
Per la riforma del codice di diritto canonico la Chiesa cattolica ha impiegato decenni coinvolgendo studiosi di tutto il mondo.
Per la riforma della giustizia, del codice penale e delle sue regole, del sistema carcerario occorrerebbe un serio studio da parte di professori universitari, magistrati, avvocati, sociologi, criminologi, pedagogisti, enti e associazioni degli stessi detenuti che si interessano concretamente della vita dei detenuti, delle guardie carcerarie e, perchè no?, degli stessi detenuti, con il compito di offrire agli organi legislativi il frutto del loro lavoro collegiale. Questo metodo esprimerebbe correttamente la forma d’azione e il modo di vita di una società democratica in cui pur affidandosi al potere costituito le funzioni che le sono proprie, i cittadini vengono chiamati a contribuire alla soluzione dei problemi che interessa l’intera collettività.
Nel caso dei fatti di S. Maria Capua Vetere si tratta di un problema particolarmente grave per la nostra collettività che non si sente più oggi sufficientemente garantita dall’esistenza di quelle sbarre che dividono le cosiddette persone per bene dai cosiddetti delinquenti quando coloro che dovrebbero garantire il rispetto delle regole lo fanno con la violenza sistematica convinti dell’impunità e di un problema estremamente doloroso per quegli uomini che la società, senza troppo indagare sulla causa dei loro errori e sulle responsabilità della intera collettività, manda in quelle carceri dalle quali vengono restituiti alla comunità quasi sempre peggiori di quello che erano al momento della condanna.