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luglio 6, 2021

Lorenzo Milani, uno di noi.

Di Beppe Sarno

Don Lorenzo Milani moriva a Firenze il 26 giugno 1967 stroncato da un tumore.

Per chi vuole capire l’atmosfera che si respirava negli anni sessanta i quei luoghi dove ha vissuto la sua esperienza di vita, dovrebbe uscire al casello di Barberino Mugello e ripercorrendo  belle strade di campagna  arrivare  sul monte Giovi e qui  percorrere il “sentiero della Costituzione” così chiamato perché vi sono 45 cartelli che illustrano la nostra Costituzione.

Un pellegrinaggio laico per provare l’emozione di visitare i luoghi dove visse un uomo incomparabilmente  forte artefice di una rivoluzione gentile, la cui eco viaggia nel tempo.

Don Lorenzo era una coscienza attenta, tormentatore dei pigri e degli indifferenti. Da giovane era stato socialista, nato ebreo divenne cattolico e da studente di architettura si fece prete. Fu parroco di Barbiana in Mugello che all’epoca contava quarantadue parrocchiani.

I primi dispiaceri alle gerarchie ecclesiastiche  li diede quando era Parroco di S. Donato in Calenzano con il libro “Esperienze Pastorali” prima autorizzato, poi vietato e poi tollerato dalle autorità ecclesiastiche.

La sua protesta più violenta  fu contrassegnata da due episodi significativi della sua esistenza: il processo per antimilitarismo e la scuola di Barbiana.

Un gruppo di cappellani militari in congedo, l’11 febbraio 1965 si riunirono a Firenze e redassero un documento per condannare l’obiezione di coscienza perché “estranea al comandamento cristiano dell’amore, espressione di viltà.” I cappellani rivendicavano i privilegi persi: disoccupati, senza attendenti, senza stipendio senza l’onore che la carico loro competeva. Una rivendicazione dal loro punto di vista giusta. Don Lorenzo Milani letto il comunicato rispose con una lettera “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in Italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato e privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente, squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere fare orfani e vedove; le uniche armi che io approvo sono nobili e incruente:   lo sciopero e il voto”  Parole profetiche. Conclude  don Milani “Per grazia di dio la nostra patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato; le patrie aggredite riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli: erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio , si sono scarificati per il solo malinteso ideale di Patria, calpestando senza avvedersene ogni altro  nobile ideale umano.” Per queste parole i “salvini” dell’epoca lo denunciarono alla Procura della Repubblica leggendo “nel  proditorio attacco gli estremi inconfutabili dell’incitamento alla diserzione e del vilipendio delle forze armate.” La rivista Comunista “Rinascita” riportò solidarizzando la lettera di don Milani, il quale si sentì in dovere di precisare ai giudici “che la rivista che aveva solidarizzato con lui  che la lettera “non meritava l’onore di essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non violenza” Sistemati i comunisti don Milani chiarisce ai giudici “ per voi vale la legge stabilita,” mentre per i suoi alunni  deve prendere il sopravvento “la volontà di leggi migliori” per questo spiega don Milani “la scuola è fuori dal vostro ordinamento giuridico” le leggi ingiuste vanno cambiate con il voto, con lo sciopero ed anche violando la legge cattiva. Così chi viene punito“ paga di persona e testimonia che vuole la legge migliore, che ama la legge più degli altri” Questa era appunto l’obiezione di coscienza.

Don Milani andò assolto.  In riferimento alla guerra don Milani fece una scelta chiara “Nella guerra futura l’inadeguatezza dei termini nella nostra teologia e nella vostra legislazione  è ancora più evidente …..la guerra difensiva non esiste più…..non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione. A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza delle specie umana.” Per don Milani la disubbidienza è necessaria per ubbidire ad una legge che può essere chiamata legge di Dio o legge della Coscienza. Per don Milani, infatti,  l’obbedienza cieca  è “ la più subdola delle tentazioni”

In quell’angolo del Mugello un prete insegnava a quarantadue parrocchiani ed ai giovani della sua scuola la forza della disubbidienza.

“Su una parete della nostra scuola – scrive don Milani – c’è scritto I care. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore. E’ il contrario del motto fascista me ne frego.

La scuola di don Milani divenne una stella cometa perché quei giovani che frequentavano la scuola di Barbiana impararono che la scuola durava tutto l’anno, senza bocciature, con la lettura del quotidiano ad alta voce da cima a fondo per “ comprendere le sofferenze degli altri”.

Il senso di quella scuola era avere lo scopo di liberazione sociale perchè nella scuola  si instaura la prima base della dittatura di classe – la dittatura degli alfabeti sugli analfabeti dei promossi sui ripetenti  dei viziati Pierini sui poveri Gianni. Dalla scuola, concludeva don Milani, deve partire la riscossa.

Tanto più importante è il discorso di don Milani perché la sua protesta è una protesta contadina che è alla base del suo discorso che diventa scopo principale della sua scuola: dare la parola, la virtù della parola scritta e parlata ai poveri, perché essi possono farsi sentire nei sindacati, nel posto di lavoro, nei partiti nelle assemblee politiche,  senza bisogno di affidarsi a mediatori truffaldini.  La Lettera ad una professoressa è un libro scritto da don Milani con uno stile asciutto aggressivo e pieno di quell’ironia sottile da toscanaccio quale era, ma sbaglia che ritiene che sia solo opera sua; il libro infatti è un’invenzione  di quei ragazzi della scuola che a suo tempo gli raccolsero e ordinarono il materiale per questa testimonianza che egli, malato inviava agli amici come il frutto più prezioso della sua esperienza didattica ed umana.

Il popolo russo ha fatto di Jasnaja  Poljania il luogo della memoria di uno dei suoi più grandi scrittori: Lev Nikolaevič Tolstoj. Barbiana  per tutti noi è diventato il luogo della memoria di questo irriverente e disubbidiente prete.