E ora, guardateli lì.
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Normalmente, a causa dei riequilibratori automatici, deficit e disoccupazione presentano un andamento molto simile. Ma dalla seconda metà del 2010 in Europa è successo qualcosa di totalmente differente.
di Andrea Terzi* per Keynes blog
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Silvio “Padre Costituente”
Come dire Erode “Presidente della fondazione Montessori”
Coro di dissensi contro una proposta degna delle fasi finali di un droga-party. O come chiamare un Prete a dirigere un asilo infantile. (forse questo già lo fanno)
Stefano Fassina, responsabile economico del PD, su “L’Unità” di ieri [link] ha analizzato le cause della sconfitta del centrosinistra in collegamento con i temi europei. Un’analisi convincente, in cui Fassina spiega che il voto a Grillo non è solo “anticasta”. Sono però le conclusioni a lasciare perplessi.
di Gennaro Zezza(*)
Fonti autorevoli, di recente Eugenio Scalfari, terrorizzano gli ascoltatori o i lettori sulle conseguenze dell’abbandono dell’euro, con conseguente ritorno ad una valuta nazionale. Scalfari ritiene che “…non hanno ben chiaro che cosa significa il ritorno alla moneta nazionale: le banche americane e la speculazione giocherebbero a palla con la liretta, roba da emigrazione forzata”
Su simili toni, in un recente, interessante incontro con Stefano Fassina, quest’ultimo ribatteva ad un tavolo di euro-scettici “mica vorrete tornare agli anni ’70???”, con riferimento alla situazione precedente al “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, in un assetto istituzionale in cui l’Italia aveva il controllo, sia pur relativo, sul tasso di cambio della lira, e la Banca d’Italia acquistava eventuali titoli pubblici di nuova emissione non sottoscritti dai mercati.
Stefano Fassina, responsabile economico del Partito Democratico, in una recente intervista al Financial Times ha avanzato la proposta di fermare gli aumenti salariali in cambio di maggiori investimenti, che porterebbero maggiore occupazione. Si scambierebbe cioè una possibile riduzione del potere d’acquisto in cambio di maggiore occupazione. Tenendo poi conto del fatto che i salari sono una delle componenti che guidano l’inflazione, in realtà i lavoratori andrebbero a perderci, in termini reali, molto poco, se non nulla.
Se questa ipotesi fosse plausibile i sindacati farebbero probabilmente bene ad accettarla. Il problema è che essa appare, a seconda di come la si interpreta, contraddittoria o fuori tempo massimo.