Posts tagged ‘Smo’

gennaio 14, 2011

Un derivato dei coralli del Mar Rosso aiuta a combattere i tumori della pelle.

Forse è nel meccanismo fotosintetico dei coralli una possibile sostanza benefica Forse è nel meccanismo fotosintetico dei coralli una possibile sostanza benefica

Un gruppo di scienziati della South Dakota State University stanno studiando i meccanismi per cui una sostanza derivata dal corallo del Mar Rosso potrebbe contribuire a curare il cancro della pelle. Lo studio ha continuato un precedente lavoro del professor Chandradhar Dwivedi il quale indicava che un composto di una sostanza chiamata sarcophine-diol, può essere isolato dal corallo soffice del Mar Rosso. Il nuovo studio indica che è possibile utilizzare questa sostanza nella prevenzione del cancro della pelle.

settembre 18, 2010

Dieta povera di carboidrati e rischi cardiovascolari

Rinunciare a pasta e pane per poter vantare una linea invidiabile può mettere a rischio la salute delle arterie e, alla fine, anche del cuore. Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (Usa), infatti, questi regimi alimentari sono efficaci nell’aiutare a perdere rapidamente peso, ma a lungo andare possono avere un effetto negativo per la salute vascolare. Aumentando il pericolo di aterosclerosi, prima causa di ictus e infarto. Non solo. La dieta povera di calorie altera la capacità di formare nuovi vasi sanguigni nei tessuti colpiti da un limitato afflusso di sangue, fenomeno che può verificarsi nel caso di un infarto. Complicando in questo modo il recupero.

Lo studio, condotto sui topolini e pubblicato dal team di Anthony Rosenzweig su ‘Pnas’, ha anche scoperto che – nonostante chiare evidenze di una patologia vascolare – i classici marker che rivelano il pericolo cardiovascolare (come il colesterolo) non risultavano alterati negli animali messi a dieta. Come dire: il pericolo c’è, ma non è semplice scoprirlo. “Il nostro studio suggerisce che, almeno negli animali – spiega lo studioso – questo tipo di dieta potrebbe avere effetti avversi dal punto di vista cardiovascolare, che non si riflettono in semplici esami dei valori del sangue”.

agosto 5, 2010

Helicobacter pylori: provoca ulcere ma ha anche una proteina in grado di ‘riparare’.

È un batterio bifronte, quello che scatena l’ulcera, ma grazie a una ricerca italiana la sua presenza nello stomaco non è più soltanto una cattiva notizia. L’Helicobacter pylori produce infatti una proteina capace di riparare le lesioni, sia quelle sulle pareti dello stomaco sia quelle di cornea e pelle. La scoperta dell’Università di Napoli Federico II, è pubblicata sulla rivista internazionale Journal of Immunology. «Questo effetto benefico – spiega perchè l’Helicobacter pylori convive con l’organismo umano da almeno 50.000 anni: era verosimile che facesse anche qualcosa di utile», ha detto il coordinatore dello studio, Gianni Marone. Si spiega anche perchè questo batterio continua ad essere così fedele all’uomo da colonizzare lo stomaco di metà della popolazione mondiale, trasmettendosi da persona a persona.

La proteina capace di curare l’ulcera prodotta dal batterio si chiama Hp2-20. «Sembra essere efficace non soltanto nel curare le ulcere dello stomaco, ma anche quelle di cornea e pelle – ha spiegato Marone. Grazie a queste sue proprietà – aggiunge – la proteina potrebbe diventare in futuro un farmaco biologico», e c’è già un brevetto da parte del Centro Interdisciplinare per le Scienze immunologiche di base e cliniche dell’università Federico II.

luglio 12, 2010

HIV: anticorpi rilevabili dalla saliva. A Londra test approvato.

Un semplice stick per sapere se si ha il virus dell’Aids in soli venti minuti da un campione di saliva. A Londra fare il test per l’Hiv è ora più facile. Il test, già in uso negli Stati Uniti, è stato approvato dal servizio sanitario nazionale (Nhs) e Londra è la prima città in tutta la Gran Bretagna ad offrire questo servizio. Si può fare in meno di mezz’ora e senza fare le analisi del sangue.

Con uno speciale spazzolino da denti, infatti, si prende un campione di saliva e degli indicatori che si trovano sul tampone segnalano se nell’organismo si sono sviluppati gli anticorpi contro l’Hiv. Da marzo scorso già 200 persone hanno fatto questo esame e l’azienda sanitaria locale si augura che si arrivi a 250 pazienti al mese, sperando di poter iniziare a distribuire i tamponi anche nei locali.

luglio 8, 2010

Tumori, ricercatori italiani scoprono il gene che blocca le metastasi.

Una ricerca svolta da studiosi delle Università di Padova di Modena e Reggio Emilia, pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cell ha individuato un gene in grado di proteggere l’organismo dalla diffusione delle metastasi tumorali, il gene p63. Due team guidati da Stefano Piccolo (Padova) e da Silvio Bicciato (Modena e Reggio Emilia) hanno infatti scoperto i meccanismi che fanno sì che un tumore non resti localizzato all’organo colpito ma si diffonda ad altre aree del corpo attraverso le metastasi.

Le cellule che formano un tumore non sono molto diverse dalle cellule staminali: entrambi sono infatti dotate di un grande potenziale riproduttivo e hanno la capacità di migrare e trasformarsi in cellule che hanno caratteristiche aspecifiche, in grado cioè di migrare, riprodursi, colonizzare tessuti diversi.

In condizioni normali, la capacità delle cellule di riprodursi ad oltranza è bloccata da una proteina, la p63, che ha il compito di porre un limite al processo di riproduzione cellulare, cellule staminali comprese. Se infatti una cellula staminale si riproducesse all’infinito si comporterebbe né più né meno come una cellula neoplastica: invece, dopo che le cellule staminali hanno formato un particolare tessuto in un organo specifico, ad esempio il fegato o il cervello, la loro crescita viene bloccata da una specie di meccanismo di servocontrollo legato appunto alla proteina p63.

Ma se una cellula staminale tumorale manca del gene che codifica la proteina p63 o questo è inattivo, la cellula diventa potenzialmente immortale: la mancanza della proteina apre la porta a un comportamento aggressivo delle cellule tumorali, alla possibilità cioè di una loro migrazione, vale a dire alle metastasi.

luglio 5, 2010

Tumori, ricercatori italiani scoprono il gene che blocca le metastasi.

Una ricerca svolta da studiosi delle Università di Padova di Modena e Reggio Emilia, pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cell ha individuato un gene in grado di proteggere l’organismo dalla diffusione delle metastasi tumorali, il gene p63. Due team guidati da Stefano Piccolo (Padova) e da Silvio Bicciato (Modena e Reggio Emilia) hanno infatti scoperto i meccanismi che fanno sì che un tumore non resti localizzato all’organo colpito ma si diffonda ad altre aree del corpo attraverso le metastasi.

Le cellule che formano un tumore non sono molto diverse dalle cellule staminali: entrambi sono infatti dotate di un grande potenziale riproduttivo e hanno la capacità di migrare e trasformarsi in cellule che hanno caratteristiche aspecifiche, in grado cioè di migrare, riprodursi, colonizzare tessuti diversi.

In condizioni normali, la capacità delle cellule di riprodursi ad oltranza è bloccata da una proteina, la p63, che ha il compito di porre un limite al processo di riproduzione cellulare, cellule staminali comprese. Se infatti una cellula staminale si riproducesse all’infinito si comporterebbe né più né meno come una cellula neoplastica: invece, dopo che le cellule staminali hanno formato un particolare tessuto in un organo specifico, ad esempio il fegato o il cervello, la loro crescita viene bloccata da una specie di meccanismo di servocontrollo legato appunto alla proteina p63.

Ma se una cellula staminale tumorale manca del gene che codifica la proteina p63 o questo è inattivo, la cellula diventa potenzialmente immortale: la mancanza della proteina apre la porta a un comportamento aggressivo delle cellule tumorali, alla possibilità cioè di una loro migrazione, vale a dire alle metastasi.

Il processo di crescita tumorale è regolato da un insieme di fattori: da un lato i fattori di crescita fanno proliferare le cellule neoplastiche e i vasi che le nutrono, dall’altro i fattori difensivi, come appunto il gene p63, sono in grado di bloccare o rallentare la proliferazione cellulare. Vi sono perciò tumori più aggressivi, pronti a formare metastasi, e tumori più contenuti, dotati di una minor carica proliferativa.

La scoperta dei ricercatori di Padova e di Reggio Emilia/Modena è importante in quanto p63 è una specie di spia molecolare potenziale che può permettere all’oncologo di conoscere se un tumore è più o meno aggressivo e quindi selezionare la terapia più adatta: ma in futuro potrebbe essere possibile utilizzare questa proteina per bloccare la crescita dei tumori.

giugno 18, 2010

Una variante genica aumenta il rischio di obesità.

   

Un team internazionale di ricercatori ha scoperto l’esistenza di una correlazione tra una variazione in un gene attivo del sistema nervoso centrale e un aumentato rischio di obesità. Lo studio, pubblicato nella rivista Public Library of Science (PLoS) Genetic, avvalora i risultati ottenuti in passato dai quali emergeva che i nostri geni determinano in modo significativo le nostre scelte rispetto agli alimenti e alla quantità di cibo che assumiamo e alla nostra predisposizione all’obesità. La ricerca fa parte del progetto EUROSPAN (“European special populations research network: quantifying and harnessing genetic variation for gene discovery”) che ha ricevuto dall’Unione europea un finanziamento pari a 2,4 milioni di euro nell’ambito del Sesto programma quadro (6° PQ). In questo ultimo studio, 34 istituti di ricerca statunitensi e europei hanno scoperto che le persone che hanno ereditato la variante genica denominata neurexin 3 (NRXN3) hanno dal 10 al 15% di possibilità in più di soffrire di obesità rispetto ai soggetti che non presentano tale variante. “L’obesità, sotto il profilo della salute, è un problema di dimensioni planetarie. Nel corso degli ultimi due anni, gli studi di associazione relativi all’intero genoma svolti sui marker del DNA (acido deossiribonucleico), denominati SNP (polimorfismi a singolo nucleotide) hanno individuato due fattori genetici che potrebbero essere d’ausilio agli scienziati per meglio comprendere perché alcune

giugno 17, 2010

Studio finanziato dall’UE dimostra che la cannabis può avere un effetto nocivo sul DNA.

Nel Regno Unito alcuni ricercatori hanno provato che fumare cannabis può avere un effetto nocivo sul DNA. Questo effetto potrebbe potenzialmente incrementare la possibilità di sviluppare il cancro. I risultati, pubblicati nella rivista Chemical Research in Toxicology, sono l’esito della Rete d’eccellenza ECNIS (“Environmental cancer risk, nutrition and individual susceptibility”) che ha ricevuto un finanziamento pari a 11 milioni di euro in riferimento all’area tematica “Qualità e sicurezza alimentare” del Sesto programma quadro (6° PQ) al fine di analizzare in che modo l’alimentazione e i fattori ereditari possano influire sul rischio tumorale legato all’ambiente. Per analizzare la formazione dei composti cancerogeni nel DNA naturale (Calf thymus DNA) esposto al fumo di una sigaretta di cannabis in vitro, lo studio ha utilizzato una nuova tecnica: una cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa tandem ad elevata sensibilità. I risultati evidenziano che la cannabis, in laboratorio, danneggia il DNA.