Gli donano una casa editrice e la fa risorgere a Scampia
di Marina Sogliani
Propone un libro da pubblicare, a soli 20 anni, e gli regalano la casa editrice. Non una casa editrice qualunque: la storica Marotta&Cafiero di Posillipo, cuore della Napoli “bene”. E non un libro qualunque: la storia vera di un cugino disabile ucciso (per sbaglio) dalla Camorra a Scampia. Come una favola a lieto fine. I…Visualizza altro
Alcuni spezzoni della conferenza stampa di Nicola Cosentino, dopo la sua esclusione dalle liste. Ne ha per Alfano, il “perdente di successo”, per Italo Bocchino, definito “l’unico riferimento casalese vero in Parlamento”, e bordate arrivano anche ad Antonio Bassolino, eletto con preferenze bulgare, come l’83% a Scampia, a Barra o Ponticelli, senza che nessuno si domandasse mai da dove arrivava tutto quel consenso.
Oggi non lavoro per meno di 50 euro” è lo slogan della protesta del movimento dei migranti di Caserta. Riuniti in gruppi di 80-100 persone a zona, i lavoratori hanno presidiato stamattina i cosiddetti kalifoo round, tra Napoli e Caserta.
Hanno sollevato i cartelli invece di incrociare le braccia gli africani che questa mattina si sono rifiutati di lavorare in nero nell’area di Castelvolturno, sulla via Domiziana e nell’hinterland napoletano per lo sciopero dai caporali. “Oggi non lavoro per meno di 50 euro. Today I’m on strike”. Questo lo slogan della protesta del movimento dei migranti e rifugiati di Caserta. Riuniti in gruppi di 80-100 persone a zona, i lavoratori africani hanno presidiato i kalifoo round, nome con cui gli stranieri chiamano le rotonde del caporalato, dove ogni mattina si recluta la manodopera alla giornata. Dall’alba fino alle 10.30, lo sciopero dei kalifoo round ha coinvolto un territorio vasto. Castelvolturno, villa Literno, Casal di Principe, Licola, Giugliano, Marano, Afragola, Scampia e Pianura sono le zone in cui ha avuto luogo la protesta dei lavoratori che volge al termine in questi minuti.
Riportiamo una intervista di Roberto Saviano di Oliver Meil pubblicata su Giustizia, giornale Elvetico
Roberto Saviano, conoscitore di camorra di fama mondiale e minacciato di morte egli stesso, a proposito delle scene dell’esecuzione in pieno giorno a Napoli per mano di un killer della camorra e del comportamento dei passanti.
Signor Saviano, un video sconvolge gli italiani. Si tratta delle immagini da poco pubblicate di un’esecuzione in centro Napoli davanti a un bar del quartiere Sanità. E dei passanti, che passano sopra al cadavere apparentemente indifferenti. Cosa ci dicono le immagini, che sono state riprese a maggio dalla telecamera di sicurezza di un negozio?
Sono un’anteprima. Per la prima volta nella storia ci sono riprese in cui si vede di fatto un’esecuzione della camorra. Immagini di sparatorie ce n’erano già, ovviamente anche di cadaveri, molte. Ma mai prima d’ora c’erano state riprese di un killer che va a compiere un’ esecuzione, documentata dal primo all’ultimo secondo dell’operazione. La magistratura ha conservato a lungo il video. Poichè però non si è riusciti a identificare l’assassino, nonostante il suo viso sia ben riconoscibile, ora si sono decisi a pubblicare le immagini.
Nella speranza che qualcuno si metta in contatto e che denunci l’assassino. Quant’è realistica questa speranza? Non è troppo grande la paura, il muro del silenzio non è troppo forte?
Io sogno che, diciamo, una ventina di abitanti di un caseggiato si rivolgano alla polizia, che vadano tutti insieme al commissariato – toc, toc, toc! In fondo però sogno la ribellione di un intero quartiere, di un’intera comunità di uomini che reagiscono insieme. Non solo un singolo, che si espone con il suo coraggio correndo così migliaia di pericoli. Se fossero in molti, una collettività, questo cambierebbe l’intera dinamica del conflitto. Questo darebbe nuova vita alla guerra alla camorra. Non possono certo uccidere con la loro vecchia logica gli abitanti di un intero quartiere, per vendicarsi.
Lei pensa che la sequenza video possa rappresentare una svolta?
Le immagini sono uno shock per l’Italia e per l’Europa, perchè comunemente non si ritiene possibile che una scena del genere si possa verificare nel centro di una grande città europea. Per i napoletani però il colpo alla testa, questo omicidio per regolare i conti tra due clan, è un classico. Chi non ha assistito al colpo di grazia se lo è fatto descrivere dalla gente che era lì. Il killer deve essere sicuro che la sua vittima non sopravviva, altrimenti si vede sottrarre alcuni compensi mensili oppure viene fatto arrestare. Deve, in un certo qual modo, riportare a casa la pelle della vittima, altrimenti si ritrova con dei problemi.
Immagini crude e brutali passano mediamente su tutti i canali. Per quale ragione queste scioccano più di altre?
Questa volta è la scena dell’azione in sè. L’autore dell’azione appare senza maschera, senza calza sulla testa, semplicemente così – l’assoluta normalità di una mattina di maggio a Napoli. Non passa su una moto, non scappa via, compie semplicemente la sua missione. Evidentemente non uccide per la prima volta. Si piega in avanti, spara alla sua vittima alla testa, si rialza e se ne va. Molto tranquillo, pacifico. Come un soldato. Questa è una guerra. Napoli è in guerra da trent’anni. I clan hanno i loro eserciti, soldato contro soldato.
I camorristi provano azioni di questo genere per restare calmi e tranquilli?
Non sono formati militarmente, non vanno sul campo e imparano là a sparare. Non imparano nemmeno a essere freddi. La loro vita è semplicemente così. Si dice loro solamente: “Vai lì e sparagli alla testa!”. E loro vanno e gli sparano alla testa. Recentemente mi è stata descritta una telefonata intercettata in cui si sente un killer del clan Licciardi di Scampìa (un noto quartiere di Napoli, N.d.R.). L’uomo si lamenta, dopo un omicidio del fatto che le sue scarpe nuove, appena comprate, sono piene di sangue. Deve buttarle via a causa delle macchie, si lagna. I camorristi non provano emozioni quando uccidono – zero emozioni.
E uccidono molto.
Sì, la camorra è quell’organizzazione in Europa che uccide di più – più dell’IRA, dell’ETA o della RAF di un tempo e delle Brigate Rosse. Nel mondo soltanto i narcotrafficanti messicani e colombiani, le bande di trafficanti uccidono più di frequente.
Nella seconda parte della sequenza di cinque minuti si vedono passanti che scavalcano il cadavere apparentemente indifferenti. Un padre con la sua bambina in braccio, che non copre nemeno gli occhi a sua figlia. Altri inciampano sulla vittima, la cui testa giace nel sangue e proseguono.
Questo è forse anche più degno di riflessione, più scioccante della stessa esecuzione. Io la definirei una tragica calma. L’inferno e’ diventato banale, la morte anche. La vita non ha piu’ valore. I passanti non si preoccupano dell’ingiustizia. Ciò che li preoccupa invece è la paura di fare un movimento sbagliato, un gesto sbagliato, con il quale potrebbero esporsi a un rischio e assumere una posizione. Se uno corre via, si identifica lui stesso come testimone. La calma è invece semplice autoprotezione. Per questo tutti fanno come se niente fosse successo, come se tutto fosse normale.
Perplessita’ soffocata.
Sì, istintivamente si chiamerebbe la polizia, si urlerebbe, si correrebbe. Qui niente. Qui si ha paura di esporsi. La sintassi della paura a Napoli è altra da quella di grandi città come Madrid o Londra. Questa non è una criminalità normale. La guerra ha un altro meccanismo, un’altra dialettica e un’altra dinamica. Se ci fosse stato lo stesso omicidio in centro Londra sono sicurissimo che lì la gente intorno avrebbe gridato, alcuni avrebbero forse ripreso la scena con il telefonino, la maggioranza sarebbe fuggita. A Napoli ogni gesto agitato è un segnale. Se testimoni casuali vengono interrogati su un omicidio per regolamento di conti tagliono sempre corto. Di recente un passante dopo un omicidio ha detto di aver perso la memoria, un altro di aver cercato assorto nei suoi pensieri la strada per la chiesa e di non aver visto e sentito niente.
Tutte le emittenti televisive italiane hanno mostrato le riprese. E nelle fasce di maggiore ascolto. Questo cambia qualcosa?
Sì, questo cambia la percezione generale della camorra. Trovo che la Procura della Repubblica abbia agito correttamente. Molti l’hanno criticata e hanno detto che le immagini sono brutali, specie per i bambini che guardano il notiziario. Io sono convinto del contrario. Le immagini sono importanti. E non sono brutali in senso classico, il sangue si vede appena. La cosa importante è che gli italiani abbiano visto per la prima volta come la camorra uccide, come questo sia quotidiano a Napoli, in una città in questo paese, come sia enormemente banale. Come se si trattasse di un incidente automobilistico di poco conto, di un danno alla carrozzeria.
L’omicidio aveva occupato titoli di giornale a maggio?
No, la maggior parte dei giornali italiani non hanno proprio riferito niente e i giornali regionali “Il Mattino” e “lI Corriere del Mezzogiorno” avevano comunicato la morte di Mariano Bacio Terracino solo brevemente, un paio di righe. Non è un fatto che crea stupore, ci sono molte morti. Adesso però mezzo mondo ha visto le immagini dell’esecuzione. Queste immagini sono più potenti di qualsiasi reality show.
Cosa porta questo al suo lavoro?
Mi aiuta molto. Forse per un po’ non mi si dirà più: “esageri”.
E’ accaduto spesso?
Continuamente. Lo sento dire quasi sempre. L’argomento va così: “Se è tutto così brutto, come tu lo descrivi, perchè allora a nessuno prima di te è venuto in mente di scrivere sull’argomento?”. Io non sono stato il primo. Ma la maggior parte delle opere è stata scritta da specialisti per altri esperti, per giudici e e sociologi. Il mio libro ha raggiunto moltissime persone, questa è la sola differenza. E questo a molti non va.
Com’è stato accolto il suo libro “Gomorra” a Napoli?
Da Napoli ricevo soprattutto rimproveri. Mi si offende come quello che sputa nel piatto in cui mangia. Mi si critica di fare soldi alle spalle della camorra. Sulle prime ci sono rimasto male. Ora ci rido su.