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giugno 16, 2021

CONTRO IL NEO-ATLANTISMO

di Giuseppe Giudice

Si potrebbe ripetere con Marx che la storia quando si ripete , la prima volta si presenta come tragedia e la seconda come farsa. Mi pare il caso di questo neo-atlantismo ideologico proposto da Biden ad una Europa senza idee. Una sorta di “unione sacra ” delle democrazie contro gli stati autocratici e dittatoriali. Devo fare una premessa necessaria per poter meglio far capire il senso del mio ragionamento. Io non sono affatto un ammiratore (anzi) del capitalismo oligarchico russo (anche se sono stato sempre contro le sanzioni). Così come non ho mai creduto che la Cina fosse un paese socialista e neanche in transizione verso il socialismo. Un paese che ha un numero di miliardari quasi uguali a quelli degli USA, con fortissime disuguaglianze. Che ha utilizzato , nel suo frenetico sviluppo , il lavoro minorile, ritmi di lavoro estenuanti ed anche forme di vera e propria schiavitù. La questione degli Uiguri dura da anni. Ma la condanna che fa Biden è evidentemente strumentale. Perchè, allo stesso modo, dovrebbe condannare il regime autocratico e dispotico di Erdogan, che fa lavorare come schiavi i bambini fuggiti con le famiglie dalla guerra in Siria e per la feroce repressione dei curdi (nonchè la persecuzione dei dissidenti). Ma la Turchia fa parte della Nato (e pur avendo avuto una politica estera ballerina – ha avuto armi anche dalla Russia) e non si tocca. E ci tocca vedere Draghi inchinarsi di fronte al sultano turco. Dicevo del rapporto tra tragedia e farsa. Personalmente sono sempre stato vicino ad una posizione di “neutralismo attivo” così come la espressa LOmbardi per tutta la vita. E come la ha espressa la sinistra laburista inglese (ma anche Olof Palme). Ma il primo atlantismo non era altro che il risultato della divisione del mondo in aree d’influenza tra le potenze vincitrici della II Guerra mondiale USA ed URSS. Si chiamò “guerra fredda” , ma alcuni storici contestano questa affermazione. In realtà era una politica di non ingerenza nelle rispettive aree di influenza che poi avevano la copertura ideologica della teoria dei “campi” il campo proletario e socialista dell’URSS” il Campo del -mondo libero- degli USA ed alleati. …si sono prodotte guerre regionali , ma si è sempre evitato con accuratezza un conflitto globale. Del resto gli USA non sono intervenuti quando ci fu l’invasione dell’Ungheria , prima, e della Cecoslovacchia, dopo. L’URSS non è certo intervenuta per fermare i colpi di stato reazionari organizzati dagli USA , in Cile, Argentina. Brasile, Uruguay o in Guatemala. Detto in estrema sintesi. Naturalmente , anche all’interno della Nato in Europa, ci sono stati tentativi di assumere posizioni più autonome in politica estera. Vedi l’Ost-Politik di Willy Brandt. Che era certo motivata dal far svolgere un ruolo di distensione tra ovest ed est Europa. Ma anche dai forti interessi economici che la Germania aveva nei confronti dell’URSS. A Brandt gli fecero pagare un prezzo salato (contemporaneamente dalla DDR e dagli USA) , ma è anche vero che fitti scambi economici sia con l’Urss che poi con la Russia, la Germania ha continuato a intrattenerli. Come dicevo, oggi siamo alla farsa. Credo che questo neo-atlantismo propugnato da Biden , sia determinato dalla crisi ventennale che gli USA vivono nello scacchiere internazionale. Che è culminata con la guerra in Iraq del 2003. Che non solo è stato un atto sciagurato e criminale, ma ha registrato un colossale fallimento. Che in seguito ha dato fiato al terrorismo islamico di Al Queda e dell’ISIS. Poi c’è stata la grande crisi economica del 2008 partita dagli USA. Biden , come dicevo, sta, cercando di recuperare un ruolo forte a livello internazionale, ed aveva bisogno del sostegno europeo. Ma la questione è molto complessa. Sia perchè la Cina detiene una quota importante del debito pubblico USA (che Biden vuole ridurre) , sia perchè l’Europa ha ormai forti interdipendenze con l’economia cinese. Quindi, al di là dei proclami, bisogna fare i conti con questa realtà. Volendo o nolendo , la Cina ha raggiunto il PIL degli USA (non quello pro-capite, da cui è molto distante) , ha fatto notevoli progressi nel campo dell’Hi Tech (anche se gli USA manterranno, per diverso tempo il primato). E comunque Biden, per raggiungere tali obbiettivi, ha certo bisogno di dare più coesione sociale ad un paese che ha visto ancor più crescere le disuguaglianze, la povertà, il razzismo. Il jobs Act di Biden ha questo obbiettivo : Marta Fana ,una studiosa serissima, che certo non ha alcuna simpatia per gli USA, ha comunque rilevato che il piano di Biden è comunque molto più avanzato del PNRR di Draghi (che in realtà si muove entro schemi “tedeschi”). Fra l’altro il Piano Biden ha subito forti contestazioni dall’establishment clintoniano dei democrats. Ed è sostenuto criticamente da Sanders e dalla Ocasio-Cortez . I quali però hanno preso nettamente le distanze da Biden , in politica estera. Penso al tema della Palestina, ed il continuo ricordo che essi fanno del sostegno USA ai regimi fascisti e criminali dell’America Latina. Cerco di giungere alle conclusioni, anche per stanchezza mentale. Io sono sempre stato contro la teoria dei “campi”. Ad esempio se l’America fa porcherie, non mi va di difendere un regime criminale solo dice di essere antiamericano (pure Mussolini ed Hitler lo erano). Ho sempre condannato l’imperialismo americano. Ma non credo che gli USA siano l'”impero del male ” o il “grande Satana”. E’ oggi un paese complesso in cui stanno emergendo fenomeni nuovi , di cui occorre tener conto. Preferisco la saggezza ebraica che dice “il nemico del mio nemico non è mio amico” a quella maoista. E comunque credo che la sinistra debba recuperare la sua missione che quella della liberazione dell’uomo da ogni sfruttamento ed oppressione di classe, politica ed ideologica

ottobre 5, 2020

IL CASO ISRAELIANO: COME E PERCHE’ MUORE UN PARTITO SOCIALISTA.

di Alberto Benzoni

Ancora alla fine degli anni novanta, il partito laburista israeliano era alla guida del paese e il suo leader, Ehud Barak, si recava a Camp David per discutere, con Clinton e Arafat, di un possibile accordo di pace. Ad appena vent’anni data questa formazione, unita ai socialisti di sinistra del Meretz, rappresenta intorno al 5% dell’elettorato, in una curva discendente che appare senza fine.Le ragioni di questo disastro coincidono, anche se in forma molto più accentuata, con quelle che hanno portato al declino del socialismo europeo; elencarle tutte può dunque servire anche a noi.La prima, e forse fondamentale, sta nella trasformazione della società israeliana. Sin dalle sue origini, il socialismo, intrecciato con il pieno recupero dell’identità ebraica, era l’asse portante del progetto sionista. Non a caso portato avanti dall’immigrazione proveniente dall’Europa centrale e orientale. Una specie di socialismo dal basso (kibbutz, cooperative, sindacati); i cui benefici erano però riservati soltanto agli ebrei. A differenza della destra, i palestinesi non erano considerati nemici permanenti, sensibili soltanto all’uso della forza; ma, semplicemente ignorati. Infine, c’era la convinzione che gli ebrei israeliani, avessero sempre bisogno di quella solidarietà internazionale mancata in passato ai loro confratelli.Oggi Israele è, invece, una società capitalista avanzata con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. E il socialismo non è solo, come in Europa, scomparso dal futuro ma relegato in un passato di cui si sta perdendo la memoria e di cui sono venute meno le strutture portanti.Per altro verso, il socialismo israeliano ha totalmente perso la sua dimensione internazionale. Nello specifico, legata all’essere o, almeno, all’apparire il partito della pace con i palestinesi. Sino a pagarne il prezzo con la morte di Rabin. Ora, appena cinque anni dopo, con il fallimento di Camp David e la successiva seconda intifada, il tema scompare totalmente dall’agenda; e in tutti i sensi. Ad occuparsi della guerra ma anche della pace saranno, da allora in poi, leader di destra, come Sharon o centristi, come Tzipi Livni e Olmert; ai laburisti, il concentrarsi sui temi del lavoro e della giustizia sociale. Ma qui i temi tradizionali si riveleranno assai poco se se non per nulla paganti. Per effetto del mutamento del “clima” (meno speranze e più paure). Ma anche perché, in generale, il socialismo non ha mai saputo rappresentare i ceti medi impoveriti e, ancor più, gli ultimi; gli uni e gli altri privi, in tutti i sensi, della necessaria coscienza di classe e della dimensione collettiva. Nello specifico poi, l’immigrazione, dagli anni sessanta in poi, contrariamente alle aspettative dei nostri compagni, ha nettamente favorito la destra populista. Gli ebrei provenienti dal mondo arabo, per tacere di quelli russi, essendo segnati segnati dall’ostilità esistenziale sia verso il socialismo reale che verso l’èlite socialista allora al potere; per tacere degli arabi. Come si diceva, siamo qui di fronte all’esasperazione di fattori di crisi che investono, in maggiore o minor misura, tutta l’area del socialismo democratico.Come risorgere, allora? O, più esattamente, come evitare di diventare irrilevanti in un terreno che i socialisti non hanno saputo coltivare, fino a vederlo occupato da altri; ma che, nel frattempo, è diventato oggettivamente sempre meno coltivabile?I suggerimenti che continuano ad arrivare dal mondo intellettuale e accademico sono per lo più interessanti e pregevoli. Ma hanno due difetti, per ora insuperabili, relativi alla comunicazione ma anche alla sostanza del messaggio. Nel primo caso, le riflessioni dei Piketty o degli Strauss Kahn (per citare solo due esempi) hanno molti pregi ; ma non a quello di com/muovere e ancor più di mobilitare i loro destinatari. Certo, i grandi profeti non nascono a domanda (e, questo vale anche per i socialisti). Ma il fatto è che il personale culturale e politico a disposizione non è in grado di suscitare energie e passioni comparabili a quelle alimentate della destra autoritaria e populista. E i rimedi suggeriti in proposito, diversi se non opposti nei contenuti, hanno in comune l’inefficacia.Inefficace, per non dire irrilevante, il bollito scaduto del riformismo, leggi di un socialismo che parte dall’ordoliberismo ma non arriva da nessun’altra parte. Ma anche il ritorno all’ortodossia di una contestazione generale quanto generica, fatta di denunce che lasciano il tempo che trovano e della riproposizione di ricette spesso superate.Naturalmente, tutte le mie simpatie vanno ai Corbyn e ai Sanders. Ma non al punto di pensare che, in un mondo dominato dalla paura e non dalla speranza, la loro capacità complessiva di suscitare adesioni sia superiore al loro effetto di rigetto.E allora bisognerà assolutamente alzare il tiro. Non foss’altro perché siamo in una fase di transizione tra la fine del vecchio ordine e la faticosa e lontana nascita del nuovo; fase di incertezza e di disordine in cui la catastrofe è sempre possibile.Ora, per risuscitare la speranza, c’è bisogno di un movimento che l’incarni. Che sappia contestare il capitalismo imbarbarito di oggi anche per la sua insufficienza sistemica. E che restituisca ai socialisti la capacità di partecipare in prima persona, anche se in un quadro e con scelte diverse dal passato, al movimento permanente dell’umanità in direzione di un mondo migliore.Una rivoluzione copernicana; l’unica possibile.