Sono passati 30 anni dalla prematura scomparsa di Enrico Berlinguer e 14 dalla altrettanto prematura scomparsa di Craxi. Io quest’anno commemorerò il tentennale della scomparsa di Riccardo Lombardi ed il 90 anniversario dell’assassinio di Matteotti. Ma non mi unirò alla commemorazione di Berlinguer. Non lo farò fino a quando i dirigenti postcomunisti non diranno le cose che hanno detto BFabrizioarca e Nichi Vendola. Vale a dire che la storia del Psi dal 1976 in poi non può essere ridotta a “romanzo criminale” ma che anzi ha contenuto la ultima e profonda elaborazione culturale ed ideologica fatta dalla sinistra italiana. Poi vanno fatte le critiche che vanno fatte a Craxi, legittimamente , ma non buttando insieme bambino ed acqua sporca. E le critiche sono critiche politiche e concernono la gestione del partito (come ben hanno messo in rilievo Rino Formica e Giorgio Ruffolo) che poi ha prodotto una condizione per la quale il PSI si trovò disarmato quando montò quella ondata antipolitica che ha poi prodotto il disastro della II Repubblica . E che fu abilmente guidata da poteri forti interni ed internazionali. Beninteso anche con Berlnguer occorre far attenzione a non buttare insieme acqua sporca e bambino. In lui vi sono aspetti positivi ma anche regressioni e ricadute verso forme di settarismo ed integralismo che non hanno giovato alla sinistra , e si sono esposte a strumentalizzazioni postume (ma qui Berlinguer non c’entra) da parte di personaggi che poi. la storia ha dimostrato essere un pulpito inaffidabile per fare lezioni di morale ad altri. Insomma il manicheismo da II Repubblica per cui Craxi era un gangster e Berlinguer una sorta di Padre Pio non esiste. Del resto credo che lo stesso Berlinguer si rivolta nella tomba nell’essere strumentalizzato da un Travaglio, ad esempio. Naturalmente, pur se non parteciperò alle celebrazioni, personalmente resta in me un profondo senso di ammirazione per una figura che comunque merita rispetto e deferenza, pur nel dissenso su temi importanti. Vedete la critica al pensiero di Berlinguer non fu fatta solo da Craxi. Lombardi, Mancini e Giolitti erano altrettanto critici. Anzi quest’ultimo fu più profondo di Craxi nel criticare il concetto di III Via che si fondava su basi molto fragili e dava adito a elementi di ambiguità seri. Sul piano ideologico , dal mio punto di vista, ebbe certamente ragione il gruppo dirigente socialista del congresso di Torino del 1978 (Craxi, Giolitti, Lombardi, Signorile) rispetto a Berlinguer sul tema dell’Eurosocialismo e della critica radicale al socialismo reale. Pur evidenziando la necessità di andare oltre le esperienze socialdemocratiche tradizionali (Lombardi soprattutto) questo oltrepassamento era tutto all’interno della cultura del socialismo democratico e della contestazione delle stesse radici ideologiche del comunismo del 900 (e non solo della sua prassi) poichè anche in quelle radici si celava il presupposto della evoluzione totalitaria del comunismo reale. Insomma per Berlinguer l’URSS era un paese socialista “con tratti illiberali”. ERa un passo in avanti rispetto a Togliatti (che però appartiene ad altra epoca) ma restava in mezzo al guado. I socialisti ritenevano invece che l’URSS non era un paese socialista, perchè non è possibile un socialismo senza democrazia (lo diceva già Kautsky nel 1919 – non è poi una cosa nuova) e quindi un socialismo tra tratti illiberali era un non senso. La critica dei socialisti non era affatto rivolta contro Marx (qui si fece grande confusione) ma contro Lenin e le sue derivazioni dallo stalinismo al togliattismo. C’è tutta una grande tradizione di marxismo socialista democratico (che è molto più profonda delle teorie schematiche di Lenin e Trotzky) e che comprende il già citato Kautsky, l’austromaxismo di Hilferding, Bauer, Adler, del belga Vanderverlde, di Mondolfo, Turati, Saragat, Basso in Italia. Una tradizione che il Psi del dopo 1976 rivalorizzò. Insieme a Rosselli, Capitini. Per evidenziare che a sinistra non c’era il solo pensiero unico gramsciano-togliattiano. Le egemonie serie non si costruiscono per esclusione degli altri. Berlinguer fece una importante affermazione circa la natura pluralista del socialismo (un passo decisamente più avanzato delle “vie nazionali” di Togliatti) ma mantenne il modello di centralismo democratico del partito che contraddiceva il resto. Proprio Riccardo Lombardi disse che il punto di discrimine fondamentale tra socialisti e comunisti non era la dialettica riforme-rivoluzione , ma la concezione del partito depositario di una filosofia della storia. E quindi delle chiavi della verità. Per cui il partito non è uno strumento, così come lo è nel socialismo democratico, ma diviene quasi una entità mistico-metafisica. il “corpo mistico della Chiesa” di San Paolo laicizzato. Una entità a cui sottomettersi pena di essere un “individualista piccolo borghese” . Una entità che ha i suoi sacerdoti, l’apparato. Certo poi Berlinguer cercò di spostare questa caratteristica dal piano ideologico a quello morale-antropologico, la “diversità comunista”. Ma l’integralismo resta. NOn sappiamo se Berlnguer avesse o meno , in seguito, modificato questa posizione. Certo i suoi epigoni hanno utilizzato spesso il concetto di “diversità” come sacchi di sabbia a protezione di se stessi e della loro progressiva tendenza all’autoreferenzialità gestita in modo sempre più opportunistico e trasformista. Per cui si cambia spesso nome ma i dirigenti e l’apparato restano quelli. Fino a causare la liquidazione della sinistra. Quando il soggetto precede il progetto e si emancipa anche dalla sua rappresentanza sociale, si cade nel politicismo più negativo ed in una concezione manovriera della politica atta a conservare il potere. Punto. Natualmente la sinistra di oggi ha bisogno invece di recuperare progetto di trasformazione sociale ed idealità su cui costruire la rappresentanza sociale del mondo del lavoro, dei più deboli di tutti coloro che soffroni diseguaglianze ed esclusione. Ed evitare che si ricreino nomenclature autoreferenziali ….che degradano la politica. Ma di questo ne abbiamo parlato a lungo quando abbiamo affrontato il tema del recupero di una soggettività socialista.
Giuseppe Giudice