giugno 19, 2013
Lo rivela uno studio pilota dellUniversità di Milano-Bicocca pubblicato sulla rivista Pain. Leffetto è indotto dalle correnti elettriche anodiche a bassa intensità che attivano una sorta di circuito analgesico. Dolore ridotto fino al 60 per cento nei pazienti affetti da sindrome dellarto fantasma, sulla quale hanno poco effetto i trattamenti con farmaci.
Milano, 18 giugno 2013 La stimolazione elettrica della corteccia motoria attiva un circuito analgesico. È la conclusione alla quale sono arrivati i ricercatori dellUniversità di Milano-Bicocca che hanno condotto uno studio pre-clinico i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Pain.
La riduzione del dolore arriva in media fino al 60 per cento nei pazienti affetti dalla cosiddetta sindrome dellarto fantasma, ovvero la sensazione anomala (e spesso dolorosa) di persistenza di un arto dopo la sua amputazione, difficile da trattare in maniera farmacologica. La sindrome dellarto fantasma è dovuta a una errata riorganizzazione da parte del cervello che, pur registrando la mancanza di un arto, non è in grado di escluderlo del tutto dalla mappa mentale del corpo. Per questo si parla di una riorganizzazione maladattiva che interessa le aree corticali motorie e parietali.
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marzo 2, 2013
l trapianto dei precursori di alcuni tipi di neuroni da topi a ratti con una durata di vita differente ha dimostrato che queste cellule nervose possono vivere per un arco di tempo molto superiore a quello dell’organismo che li ha generati.
Sopravvivenza e invecchiamento neuronale sarebbero dunque processi coincidenti ma separabili, aumentando così la speranza che estendere la durata della vita di un organismo con interventi dietetici, comportamentali e farmacologici non comporti necessariamente un cervello impoverito di neuroni.
Alcuni neuroni hanno la capacità di vivere molto più a lungo di quanto possa fare l’organismo che li ha prodotti. E’ questo il sorprendente risultato a cui è giunto un gruppo di ricercatori italiani dell’Università di Pavia e di quella di Torino, che lo illustrano in un articolo a firma Lorenzo Magrassi, Ketty Leto e Ferdinando Rossi pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Science”.
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agosto 2, 2012
| Alcuni studi hanno dimostrato che i fattori neurotrofici, che svolgono un ruolo nello sviluppo e nella sopravvivenza dei neuroni, hanno notevole potenziale terapeutico e rigenerante per malattie neurologiche…
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luglio 9, 2012
Quando si osserva un’azione su un oggetto, per esempio una persona che afferra una mela, la risposta dei neuroni specchio è proporzionale al valore che si attribuisce all’oggetto…
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luglio 4, 2012
Un team europeo di scienziati ha scoperto che il bulbo olfattivo, una struttura del cervello dei vertebrati che elabora l’input sensoriale dal naso, possiede una caratteristica singolare nell’uomo: si differenzia da quello di tutti gli altri mammiferi perché non si sviluppano nuovi neuroni in questa zona dopo la nascita.
Questa scoperta potrebbe far luce sul motivo per cui gli esseri umani non hanno il senso olfattivo che hanno gli animali. Lo studio, presentato sulla rivista Neuron, è stato finanziato in parte dal Consiglio europeo della ricerca (CER) nell’ambito del Settimo programma quadro dell’UE (7° PQ). Questo progetto è stato condotto dal Karolinska Institutet in Svezia, in collaborazione con ricercatori in Francia, Austria e Svezia.
Nei mammiferi adulti i neuroni nuovi si formano in due regioni del cervello: l’ippocampo e il bulbo olfattivo. La memoria è collegata all’ippocampo e l’interpretazione degli odori è associata al bulbo olfattivo. Nonostante gli sforzi compiuti per aumentare la nostra comprensione circa la formazione di nuove cellule nervose nel cervello umano, non è mai emersa una risposta chiara… finora.
I ricercatori impegnati in questo studio hanno messo insieme questo puzzle stimando l’età delle cellule. Per questo scopo, hanno misurato la quantità di isotopi radiottivi di carbonio-14 contenuti in queste cellule. Il carbonio-14 (14C) è un isotopo radioattivo naturale del carbonio presente nei materiali organici e quindi incorporato nel DNA quando le cellule vengono prodotte. Il suo decadimento viene usato come metodo di datazione. I ricercatori hanno osservato che i neuroni del bulbo olfattivo nei soggetti adulti umani avevano livelli di carbonio-14 che corrispondevano a quelli nell’atmosfera al momento della loro nascita. Non vengono prodotti nuovi neuroni in questa parte del cervello, distinguendo quindi l’uomo dagli altri mammiferi.
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giugno 15, 2012
Non ha un nome, ma ha già un identikit ben preciso la malattia genetica descritta per la prima volta studiando i componenti di una famiglia francese da un team internazionale coordinato dall’equipe di Vittorio Bellotti del Dipartimento di Medicina Molecolare Università di Pavia e del Center for Amyloidosis and Acute Phase Proteins dello University College London.
Il “tallone d’Achille” è una versione mutata della proteina umana beta-2 microglobulina, che si traduce nella perdita della sua struttura. La conseguenza è una amiloidosi, materiale proteico che “tracima” in forma di fibre allungate e robuste dalle cellule e va a depositarsi in tessuti e organi con effetti tossici. La scoperta a cui ha partecipato anche il Laboratorio di Biologia Strutturale del Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano sarà pubblicata domani sul New England Journal of Medicine.
La scoperta è stata possibile a seguito della individuazione di alcuni componenti di una famiglia francese afflitti da problemi cronici di funzionalità intestinale, che portavano a un calo di peso eccessivo. Nel corso degli anni nella stessa famiglia si sono manifestati problemi neurologici e numerosi decessi.
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aprile 27, 2012
Un problema di “traffico” molecolare, all’interno della cellula, provocato dall’alterazione del prione, sarebbe uno dei meccanismi che determinano la neurodegenerazione nelle malattie da prioni, categoria con una estesa base genetica alla quale è associata anche il “morbo della mucca pazza”, la variante infettiva della malattia di Creutzfeldt-Jakob.

A svelare cosa accade quando ad impazzire è il prione è l’italiano Roberto Chiesa, ricercatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano e dell’Istituto Telethon Dulbecco, in uno studio pubblicato su Neuron condotto con la collaborazione dell’Università di Milano e dello University College di Londra.
Mucca pazza, ma non solo – Non se ne sente parlare più da qualche anno, ma la fobia generata dalla “mucca pazza”, in occasione dell’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina, si era diffusa dalla fine degli anni Ottanta dal Regno Unito in tutta Europa. Chiave di questo pericolo i prioni, versioni anomale della proteina prionica cellulare, entità biologiche ancora piuttosto misteriose per gli scienziati di tutto il mondo. Lo studio italiano potrebbe contribuire ad aprire nuove strade per il trattamento di malattie neurodegenerative in cui i prioni, ma non solo, conducono ad una progressiva morte dei neuroni.
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aprile 12, 2012
Sviluppata una nuova tecnica per l’analisi di immagini del cervello che offre la possibilita’ di utilizzare la risonanza magnetica (MRI) per predire il tasso di progressione di molte malattie degenerative.

La tecnica e’ stata messa a punto da un team interdipartimentale del San Francisco Medical Center e della University of California – San Francisco (UCSF). Gli scienziati hanno utilizzato nuove metodologie di modellazione al computer per prevedere realisticamente, partendo da immagini di 14 cervelli sani, la progressione fisica del morbo di Alzheimer e della demenza frontotemporale (FTD).
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marzo 4, 2012
Una nuova sperimentazione sui topi ha permesso di scoprire la base neurobiolgica dell’effetto negativo del consumo di cannabinoidi sulla memoria di lavoro: a essere colpiti non sarebbero direttamente i neuroni, ma gli astrociti, che per la prima volta vengono implicati in questo tipo di meccanismi, fondamentali per l’apprendimento e per il ragionamento.
La marijuana influisce negativamente sui processi di memoria, ma qual è l’origine neurobiologica di questo effetto? Se lo sono chiesti gli autori di un nuovo articolo apparso sulla rivista “Cell” riscontrando con sorpresa come tali problemi di memoria siano imputabili all’effetto della sostanza psicoattiva contenuta nella marijuana – Delta-9-tetraidrocannabinolo – non direttamente sui neuroni ma sull’astroglia, che rappresenta la principale struttura di sostegno dei neuroni.
In particolare, la ricerca clinica ha messo in luce come la marijuana influenzi la memoria di lavoro, dove vengono immagazzinate temporaneamente ed elaborate le informazioni utili per i processi di ragionamento, di comprensione e di apprendimento.
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dicembre 30, 2011
L’obesita’ altera il funzionamento dell’ipotalamo, regione del cervello indispensabile per il controllo del peso. A dimostrarlo sono due studi pubblicati sul Journal of Clinical Investigation.
In particolare, un gruppo di ricercatori guidati da Michael Schwartz dell’Universita’ di Washington (Seattle, Stati Uniti) ha rilevato che sia nell’uomo, sia nei roditori l’obesita’ e’ associata al danneggiamento dei neuroni presenti a livello dell’ipotalamo. Secondo gli scienziati una dieta ricca di grassi scatena nell’ipotalamo dei processi infiammatori i cui danni possono essere limitati, in una prima fase, dai meccanismi di neuroprotezione, ma a lungo termine puo’ danneggiare permanentemente i neuroni.
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