E’ nato in laboratorio, si chiama X-MET (eX-vivo Muscle Engineered Tissue: tessuto muscolareingegnerizzato ex-vivo) e gia’ promette bene: non solo rappresenta un modello ideale per studiare la biologia muscolare limitando l’utilizzo di modelli animali, ma si dimostra essere un buon “pezzo di ricambio” per rimpiazzare ilmuscolo danneggiato a causa di traumi o dimalattia. X-MET e’ il frutto di una ricerca tutta made in Italy, condotta da Antonio Musaro’ (Istituto Pasteur e Sapienza Universita’ diRoma) in collaborazione con Zaccaria Del Prete (dipartimento di ingegneria meccanica presso i laboratori dell’Universita’ romana). Il lavoro e’ pubblicato su Scientific Reports.
Uno dei piu’ ambiziosi obiettivi della scienza medica di oggi e’ quello di sfruttare la “malleabilita’” delle cellule staminali per rigenerare tessuti persi o malfunzionanti.Nonostante i notevoli passi avanti fatti in questo campo, l’utilizzo delle cellule staminaliper ricostruire il tessuto muscolare deteriorato incontra ancora molteplici difficolta’ – principalmente a causa delle ridotte chances di sopravvivenza che queste cellule hanno una volta introdotte nell’organismo da curare. L’ingegneria dei tessuti, nata anche per aggirare queste limitazioni, si occupa di costruire tessuti ex-vivo a partire da biomateriali e cellule sia staminali sia non staminali. Grazie ai progressi fatti in questo campo sono stati avviati i primi studi clinici per riparare danni alla pelle, alla cartilagine, ai vasi sanguigni e ai tessuti epatico e renale. In campo internazionale si lavora per ingegnerizzare anche un tessuto, estremamente complesso, come quello muscolare e, oggi, importanti risultati giungono dai ricercatori di Roma.
“Con il nostro lavoro – ha spiegato Antonio Musaro’ – abbiamo generato in vitro untessuto muscolare vascolarizzato, che abbiamo chiamato X-MET, in grado di ricapitolare la complessita’ morfologica, funzionale e molecolare del muscolo in vivo”. Per costruire ilmuscolo in provetta i ricercatori hanno fatto ricorso a diversi “mattoni”.
Durante lo sviluppo, infatti, per poter generare in maniera corretta i tessuti, le cellulestaminali hanno bisogno di istruzioni ben precise che vengono fornite dall’ambiente circostante, formato dall’insieme delle cellule vicine. Per fare il muscolo, gli studiosi hanno percio’ utilizzato, insieme alle staminali, un “cocktail” di cellule proprie del muscoloscheletrico.
Ricreati in Italia tessuti muscolari in laboratorio.
Le lesioni parziali del midollo: imparare a controllare i riflessi per camminare meglio
Imparare a controllare i riflessi potrebbe essere una strategia efficace per le persone affette da lesioni incomplete del midollo spinale che vogliono migliorare la propria camminata. La scoperta arriva da una nuova ricerca condotta dalla Columbia University pubblicata sul Journal of Neuroscience. “Le persone tendono a pensare ai riflessi come a qualcosa di immutabile e fisso ma in realta’ i movimenti normali richiedono un aggiustamento costante dei riflessi da parte del cervello“, ha spiegato Jonathan Wolpaw, tra gli autori dell’indagine. “E’ proprio la perdita di questa capacita’ del cervello a mantenere tutto in equilibrio che influenza l’abilita’ a camminare delle persone con lesioni del midollo spinale” ha precisato Wolpaw.
Quando il cervello decide di muoversi lancia segnali che viaggiano attraverso il midollo spinale ai muscoli appropriati. I riflessi spinali controllati dai circuiti delle cellule nervose locali del midollo forniscono al corpo un modo per reagire e muoversi rapidamente senza la necessita’ di una scelta consapevole del cervello.
La Procura di Torino indaga la Stamina Foundation, e vengono sospese le cure, unica speranza di vita, a Celeste, bambina malata di Atrofia Muscolare.
Somministrazione di farmaci imperfetti o pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione per delinquere finalizzata a commettere reati. Sono i reati ipotizzati dalla Procura di Torino nella…
Distrofia muscolare: allo studio trattamento con cellule staminali del liquido amniotico.
Cellule staminali contenute nel liquido amniotico contro la distrofia muscolare: è quanto emerge da uno studio pubblicato su Stem Cell da un gruppo di ricercatori coordinati da Paolo De Coppi e da Michela Pozzobon.
Grazie alla collaborazione con l’University College London, dove De Coppi è primario di Chirurgia Pediatrica e con l’Hopital Necker di Parigi, dove lavora Marina Cavazzana-Calvo, leader nella terapia genica e cellulare, i ricercatori dell’ateneo patavino hanno dato nuova speranza alla cura delle miopatie e in particolare delle distrofie muscolari. Da qualche anno, infatti, il gruppo di De Coppi ha scoperto la presenza di cellule staminali nel liquido amniotico. Queste cellule sono in grado di differenziare in diversi tessuti e organi: ma solo grazie a questo studio è stato possibile scoprire, attraverso il loro trapianto in un modello animale di atrofia spinale muscolare, che potrebbero essere in grado di curare anche malattie genetiche.
Telethon: pallottole molecolari in arrivo contro fibrosi, emofilia e SMA.
Ricercatori dell’Icgeb di Trieste e dell’Università di Ferrara hanno messo a punto una strategia terapeutica a base di piccoli Rna per bypassare il difetto genetico responsabile di queste gravi patologie ancora senza una cura definitiva.
Pallottole molecolari per ovviare alle “sviste” dei macchinari cellulari deputati alla sintesi delle proteine: a descriverle sulle pagine di Human Molecular Genetics* è uno studio finanziato da Telethon e dalla Fondazione italiana fibrosi cistica coordinato da Franco Pagani del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb) di Trieste**. In collaborazione con il gruppo guidato da Mirko Pinotti all’Università di Ferrara, il team triestino ha dimostrato le potenzialità di una strategia terapeutica a base di piccoli Rna nei confronti di tre gravi malattie genetiche: la fibrosi cistica, l’atrofia muscolare spinale (Sma) e l’emofilia***.
[Telethon] Distrofia di Duchenne: importante preservare la salute delle ossa.
La lotta alla distrofia di Duchenne passa anche per la salute delle ossa: uno studio finanziato da Telethon e condotto da Anna Maria Teti dell’Universita’ dell’Aquila indica una nuova strada per contrastare questa grave malattia neuromuscolare, che compromette progressivamente i muscoli di gambe e braccia, quelli del respiro e il cuore.
Pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research, il lavoro e’ parte di un ampio progetto multicentrico coordinato da Fabrizio De Benedetti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ di Roma il cui obiettivo era capire se particolari ”messaggeri chimici” del nostro organismo, fra cui l’interleuchina-6 (IL-6), potessero avere un ruolo nella distrofia muscolare di Duchenne. ”L’IL-6 e’ coinvolta in tantissimi processi biologici molto diversi tra loro, come l’infiammazione e la trasformazione tumorale” spiega Anna Maria Teti. ”In questo studio abbiamo dimostrato sia nel modello animale, sia nelle cellule di bambini distrofici, che questa stessa molecola e’ coinvolta nella perdita di tessuto osseo gia’ nelle prime fasi della malattia, quando la capacita’ di camminare non e’ ancora compromessa”. Le condizioni delle ossa sono strettamente correlate a quelle dei muscoli: quando il muscolo e’ debole, anche l’osso si danneggia di conseguenza, perche’ non riceve un adeguato stimolo meccanico. E’ quanto accade non solo nelle malattie neuromuscolari come la distrofia, ma anche durante l’invecchiamento, in condizioni di sedentarieta’ prolungata o di paralisi, oppure anche agli astronauti sottoposti per lungo tempo alla mancanza di forza di gravita’. Allo stesso tempo, un osso debole non fornisce al muscolo un adeguato sostegno e contribuisce cosi’ alla debolezza progressiva che si osserva in questi pazienti.
Distrofia di Duchenne: ridotto danno muscolare nei topi.
La somministrazione di biglicano ha dimostrato di poter incrementare la resistenza strutturale del tessuto muscolare e di rallentarne la degenerazione in condizioni di stress.
Topi di laboratorio affetti da una forma di distrofia molto simile a quella umana trovano beneficio da una nuova terapia basata su una proteina prodotta fisiologicamente dal nostro organismo: è quanto reso noto in un articolo pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences da Justin Fallon, professore di neuroscienze presso la Brown University.
La distrofia muscolare di Duchenne è una patologia di origine genetica che colpisce un nuovo nato su circa 3500 ed è causata dalla mancanza di una proteina denominata distrofina, cruciale per dare sostegno strutturale ai muscoli.
Lo scorso autunno la società startup Tivorsan Pharmaceuticals ha cominciato a produrre su licenza della Brown una proteina che si trova nella matrice extracellulare, il biglicano, con la speranza di aprire una breccia nella difficile ricerca sui trattamenti farmacologici della distrofia.
Il biglicano ha dimostrato di poter indurre un recupero della resistenza strutturale del muscolo agendo su un’altra proteina chiamata utrofina, normalmente prodotta dall’organismo dei bambini molto piccoli.
Il rapporto tra resistenza muscolare e acetilcolina.
Topi ingegnerizzati in modo da avere una maggiore disponibilità di questo importante neurotrasmettitore riescono a correre per una distanza doppia. Aumentare la resistenza alla fatica con un incremento della disponibilità di acetilcolina: è quanto sono riusciti a fare i ricercatori della Vanderbilt University con alcuni topi ingegnerizzati.
In sostanza, gli animali hanno dimostrato di poter correre per una distanza doppia producendo in misura maggiore questo neurotrasmettitore fondamentale per la contrazione muscolare: il risultato apre la strada a ulteriori studi che consentirebbero in linea di principio di trattare in modo efficace patologie umane come la miastenia grave, in cui i segnali colinergici non riescono a raggiungere i muscoli.
Nel corso di quest’ultima ricerca, Randy Blakely e colleghi della Vanderbilt hanno inserito nei topi un gene che incrementa la produzione del trasportatore colina nelle sinapsi. Tale composto è un
Parkinson: nuovi studi sulla proteina Parkin.
Una recente ricerca ha rivelato che i difetti dei geni associati al Parkinson sono la causa di circa il 10% dei casi di morbo di Parkinson, mentre altri studi hanno dimostrato che i mitocondri (che sono spesso descritti come gli impianti energetici delle cellule) danneggiati potrebbero essere un’altra causa. Un nuovo studio condotto da ricercatori in Germania collega questi due fenomeni, mostrando in modo efficace l’importanza di due geni associati al Parkinson nel mantenere la funzionalità mitocondriale. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Biological Chemistry.
“Le malattie come il Parkinson, dove almeno alcuni casi sono collegati chiaramente alla disfunzione di geni specifici, offrono una promettente opportunità di ricerca,” ha spiegato il biochimico, dott. Konstanze Winklhofer della Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco. “Quando capiremo la funzione di questi geni, potremo apprendere molte cose sulle cause della malattia, il suo decorso e le possibili nuove cure.”(liquidarea)
Nuove ricerche sul ‘gene del fitness’ che allunga la vita.
Un aiutino genetico per assomigliare a Matusalemme. Grazie a un piccolo ‘mattone’ di Dna sembra infatti possibile migliorare le performance durante l’esercizio fisico. E lo sport, si sa, allunga la vita. Nei topi funziona e secondo gli scienziati americani dell’università del Missouri, autori di uno studio pubblicato sul ‘Plos One’, questo ‘gene del fitness’ – nome tecnico Mcat – potrà essere usato in futuro anche nell’uomo. Per terapie geniche alleate di longevità.L’ideale sarebbe vivere di più, restando comunque attivi e in salute. Ebbene, i ricercatori hanno osservato che i topi sottoposti a terapia genica con il gene Mcat sono più resistenti allo sforzo fisico. Corrono più veloci e a lungo, coprono distanze maggiori. Insomma sono più ‘fit’ e più longevi.
L’invecchiamento progressivo della popolazione è una delle principali sfide della società moderna, ricordano Dongsheng Duan e colleghi. Ma l’obiettivo non è solo quello di vivere più a lungo, avvertono.