Posts tagged ‘MIT’

ottobre 13, 2011

Dal MIT studio su ‘stelline’ negli occhi, che potrebbe portare ad una soluzione contro la cecità.

Succede a tutti, quasi ogni giorno: capita di alzarsi troppo velocemente e di ‘vedere le ’. Ma si tratta di qualcosa di più di un fenomeno fisiologico: analizzando l’area del che crea questi piccoli lampi di luce si potrebbe arrivare a trovare un rimedio per la .

 

Ci proveranno i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, che ne parlano sulla rivista ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’.
Le classiche ‘stelline’ appaiono quando alcune zone del che elaborano le informazioni visive vengono attivate da un improvviso flusso sanguigno alla testa. E le persone sperimentano questi ‘’, nome scientifico del fenomeno, anche se hanno gli occhi chiusi o se sono cieche. Dunque, si tratta di un meccanismo indipendente dalla capacità visiva.

marzo 18, 2011

H1N1: la mutazione che rende il virus piu’ contagioso.

La sostituzione di un’occorrenza dell’ con una di mostrato di aumentare notevolmente la capacità del di legarsi fortemente alle respiratorie

Una singola mutazione nella struttura genetica del potrebbe renderne molto più facile la trasmissione da uomo a uomo, innescando una pandemia. La mutazione è stata identificata da un gruppo di ricercatori del che ne danno conto in un articolo pubblicato sulla rivista online ad accesso pubblico PLoSOne.


novembre 25, 2010

Le cellule staminali del cancro al seno: scoperta causa diffusione.

Le cellule staminali del cancro al seno, cioe’ le cellule aggressive che si crede essere responsabili della resistenza alle attuali terapie e che promuovono le metastasi, sono stimolate dagli estrogeni attraverso un percorso che rispecchia il normale sviluppo delle cellule staminali. L’interruzione di questo percorso potrebbe aiutare i ricercatori a fermare la diffusione delle cellule staminali del tumore. Una scoperta, questa, che suggerisce un nuovo bersaglio per la terapia farmacologica. Sono le conclusioni di uno studio della Tufts University School of Medicine pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. “Un aspetto critico del nostro lavoro – ha spiegato Charlotte Kuperwasser, che ha coordinato lo studio – e’ stato quello di scoprire che l’estrogeno potrebbe promuovere la crescita del cancro al seno modulando la proporzione delle cellule staminali del cancro al seno.

novembre 3, 2010

L’energia nucleare? In bolletta sarebbe più cara di gas e carbone.

Il ritorno all’atomo potrebbe non essere conveniente per le tasche degli italiani. Anzi, l’elettricità proveniente dal nucleare in bolletta potrebbe risultare ben più salata di quella che arriva dalle centrali a gas o a carbone.

A sostenerlo, mentre il neoministro Romani assicura che le nomine per l’Agenzia nucleare arriveranno a inizio novembre, è la Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Nel suo ultimo report, che confronta i costi dell’elettricità prodotta nel mondo da nuove centrali a gas e a carbone con quelli dell’elettricità prodotta da nuove centrali nucleari, il centro studi presieduto dall’ex ministro dell’ambiente Edo Ronchi, spiega che quest’ultima è mediamente di 72,8 Euro per Megawattora (MW/h). Più elevata del 16% rispetto ai 61 Euro/MWh delle centrali a gas e del 21% rispetto ai 57,5 del carbone.

Il report comparativo si basa sull’analisi di 8 studi, pubblicati tra il 2008 e il 2010 da Agenzia Nucleare dell’Ocse, Commissione Europea, Ufficio budget del Congresso e Dipartimento energetico americani, Mit, Camera dei Lords, Electric Power Research Institute e Moody’s.

Secondo un recente studio della Duke University la convenienza rispetto all’atomo ci sarebbe già. L’energia fotovoltaica, dicono gli studiosi americani, è già meno cara di quella nucleare.

settembre 18, 2010

Dieta povera di carboidrati e rischi cardiovascolari

Rinunciare a pasta e pane per poter vantare una linea invidiabile può mettere a rischio la salute delle arterie e, alla fine, anche del cuore. Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (Usa), infatti, questi regimi alimentari sono efficaci nell’aiutare a perdere rapidamente peso, ma a lungo andare possono avere un effetto negativo per la salute vascolare. Aumentando il pericolo di aterosclerosi, prima causa di ictus e infarto. Non solo. La dieta povera di calorie altera la capacità di formare nuovi vasi sanguigni nei tessuti colpiti da un limitato afflusso di sangue, fenomeno che può verificarsi nel caso di un infarto. Complicando in questo modo il recupero.

Lo studio, condotto sui topolini e pubblicato dal team di Anthony Rosenzweig su ‘Pnas’, ha anche scoperto che – nonostante chiare evidenze di una patologia vascolare – i classici marker che rivelano il pericolo cardiovascolare (come il colesterolo) non risultavano alterati negli animali messi a dieta. Come dire: il pericolo c’è, ma non è semplice scoprirlo. “Il nostro studio suggerisce che, almeno negli animali – spiega lo studioso – questo tipo di dieta potrebbe avere effetti avversi dal punto di vista cardiovascolare, che non si riflettono in semplici esami dei valori del sangue”.

settembre 15, 2010

Le pile del futuro si ottengono dai virus.

Le batterie del futuro potrebbero essere costituite da minuscoli virus ‘spruzzati’ sul dispositivo che devono alimentare, dai vestiti ai cellulari. Lo affermano due ricerche presentate in questi giorni, una del Mit e una dell’università del Maryland, in cui microrganismi non pericolosi sono stati usati per costruire le parti fondamentali di una pila.

Per il loro studio, presentato al meeting dell’American Chemical Society, i ricercatori del Mit hanno usato un virus chiamato M13, che infetta soltanto i batteri. Con alcune modifiche genetiche, il microrganismo incorpora i metalli necessari a diventare un perfetto catodo, il polo positivo della pila, che può quindi essere utilizzato per formare una batteria leggera e che funziona a temperatura ambiente.

In futuro film sottili creati con questi virus potrebbero essere incorporati nei tessuti o nei dispositivi, fornendo energia. Dall’altro lato di una futura pila a virus ci potrebbe essere l’anodo realizzato dall’università del Maryland: in questo caso è stato utilizzato il virus del mosaico del tabacco, che come testimonia l’articolo su Acs nano è stato modificato per creare un elettrodo di silicio: “Per ora il procedimento avviene solo in laboratorio – spiega James Culver, uno degli autori – ma in futuro pensiamo di far crescere i virus modificati direttamente nei campi, in modo da rendere il processo più economico”.(ANSA)

agosto 5, 2010

Helicobacter pylori: provoca ulcere ma ha anche una proteina in grado di ‘riparare’.

È un batterio bifronte, quello che scatena l’ulcera, ma grazie a una ricerca italiana la sua presenza nello stomaco non è più soltanto una cattiva notizia. L’Helicobacter pylori produce infatti una proteina capace di riparare le lesioni, sia quelle sulle pareti dello stomaco sia quelle di cornea e pelle. La scoperta dell’Università di Napoli Federico II, è pubblicata sulla rivista internazionale Journal of Immunology. «Questo effetto benefico – spiega perchè l’Helicobacter pylori convive con l’organismo umano da almeno 50.000 anni: era verosimile che facesse anche qualcosa di utile», ha detto il coordinatore dello studio, Gianni Marone. Si spiega anche perchè questo batterio continua ad essere così fedele all’uomo da colonizzare lo stomaco di metà della popolazione mondiale, trasmettendosi da persona a persona.

La proteina capace di curare l’ulcera prodotta dal batterio si chiama Hp2-20. «Sembra essere efficace non soltanto nel curare le ulcere dello stomaco, ma anche quelle di cornea e pelle – ha spiegato Marone. Grazie a queste sue proprietà – aggiunge – la proteina potrebbe diventare in futuro un farmaco biologico», e c’è già un brevetto da parte del Centro Interdisciplinare per le Scienze immunologiche di base e cliniche dell’università Federico II.

luglio 24, 2010

Test diagnostici meno esosi con nuove tecniche e senza costosi anticorpi.

Dal laboratorio del Nobel Sharpless  in molti test diagnostici sarà possibile sostituire il ricorso ai costosi e delicati anticorpi con peptidi stabili e altamente selettivi ottenuti grazie a una nuova tecnica di sintesi

L’identificazione di specifiche proteine in un preparato biologico viene oggi spesso eseguita ricorrendo all’uso di anticorpi. La tecnica, per quanto efficace, presenta tuttavia diversi inconvenienti, come il costo e la scarsa stabilità degli anticorpi stessi.

Ora, come viene riferito sulla rivista “Angewandte Chemie” un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) e del Scripps Research Institute diretti da K. Barry Sharpless, premio Nobel per la chimica nel 2001, e James R. Heath hanno sviluppato un protocollo che consente la produzione rapida ed economica di composti altamente stabili, costituiti da brevi catene di peptidi, che sono in grado di legare una particolare proteina con un’affinità e una selettività estremamente elevate.

Lo scorso anno Heath e colleghi avevano sviluppato un’apparecchiatura di diagnostica medica delle dimensioni di un vetrino da microscopio, l’Integrated Blood-Barcode Chip, che può separare e analizzare rapidamente decine di proteine presenti in una goccia di sangue.

“Ciò che ci limitava nella capacità di esaminare diciamo 200 proteine con il barcode chip è il fatto che gli anticorpi sono instabili e costosi” spiega Heath. “Così abbiamo cercato di sviluppare degli equivalenti degli anticorpi, che chiamiamo agenti di cattura delle proteine, che potessero legarsi a esse con alta affinità e selettività, e che fossero capaci si superare questo test: metterne una scorta nel portabagagli di una macchina ad agosto a Pasadena e, un anno dopo, ritrovarli ancora funzionali.”

Per ottenere il risultato i ricercatori hanno sfruttato la tecnica di “in situ click chemistry” introdotta proprio da Sharpless nel 2001, che permette la costruzione passo passo a partire da piccoli frammenti peptidi capaci di legarsi a una proteina di interesse.

luglio 10, 2010

Parkinson: nuovi studi sulla proteina Parkin.

Una recente ricerca ha rivelato che i difetti dei geni associati al Parkinson sono la causa di circa il 10% dei casi di morbo di Parkinson, mentre altri studi hanno dimostrato che i mitocondri (che sono spesso descritti come gli impianti energetici delle cellule) danneggiati potrebbero essere un’altra causa. Un nuovo studio condotto da ricercatori in Germania collega questi due fenomeni, mostrando in modo efficace l’importanza di due geni associati al Parkinson nel mantenere la funzionalità mitocondriale. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Biological Chemistry.

“Le malattie come il Parkinson, dove almeno alcuni casi sono collegati chiaramente alla disfunzione di geni specifici, offrono una promettente opportunità di ricerca,” ha spiegato il biochimico, dott. Konstanze Winklhofer della Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco. “Quando capiremo la funzione di questi geni, potremo apprendere molte cose sulle cause della malattia, il suo decorso e le possibili nuove cure.”(liquidarea)

luglio 8, 2010

Tumori, ricercatori italiani scoprono il gene che blocca le metastasi.

Una ricerca svolta da studiosi delle Università di Padova di Modena e Reggio Emilia, pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cell ha individuato un gene in grado di proteggere l’organismo dalla diffusione delle metastasi tumorali, il gene p63. Due team guidati da Stefano Piccolo (Padova) e da Silvio Bicciato (Modena e Reggio Emilia) hanno infatti scoperto i meccanismi che fanno sì che un tumore non resti localizzato all’organo colpito ma si diffonda ad altre aree del corpo attraverso le metastasi.

Le cellule che formano un tumore non sono molto diverse dalle cellule staminali: entrambi sono infatti dotate di un grande potenziale riproduttivo e hanno la capacità di migrare e trasformarsi in cellule che hanno caratteristiche aspecifiche, in grado cioè di migrare, riprodursi, colonizzare tessuti diversi.

In condizioni normali, la capacità delle cellule di riprodursi ad oltranza è bloccata da una proteina, la p63, che ha il compito di porre un limite al processo di riproduzione cellulare, cellule staminali comprese. Se infatti una cellula staminale si riproducesse all’infinito si comporterebbe né più né meno come una cellula neoplastica: invece, dopo che le cellule staminali hanno formato un particolare tessuto in un organo specifico, ad esempio il fegato o il cervello, la loro crescita viene bloccata da una specie di meccanismo di servocontrollo legato appunto alla proteina p63.

Ma se una cellula staminale tumorale manca del gene che codifica la proteina p63 o questo è inattivo, la cellula diventa potenzialmente immortale: la mancanza della proteina apre la porta a un comportamento aggressivo delle cellule tumorali, alla possibilità cioè di una loro migrazione, vale a dire alle metastasi.