Epatite C: farmaco per eradicarlo pronto ma solo in 50 mila dosi
Un anno dopo l’approvazione europea arriva in Italia il “sofosbuvir”. “Precedenza ai malati più gravi”. Ma in Italia almeno 400mila diagnosi C’è un farmaco in…
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Un anno dopo l’approvazione europea arriva in Italia il “sofosbuvir”. “Precedenza ai malati più gravi”. Ma in Italia almeno 400mila diagnosi C’è un farmaco in…
Diagnosi precoce per cure mirate
Prevedere la comparsa dell’Alzheimer prima che la malattia neurodegenerativa procuri i suoi danni più gravi al cervello: la perdita di memoria e dei ricordi più cari, quello degli affetti familiari. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Genome Biology rilancia la possibilità di un test del sangue, semplice ed efficace. Potrebbe consentire di individuare i primi segni della malattia e l’avanzare delle placche di beta-amiloide, la proteina tossica che soffoca i neuroni e fa progredire la malattia.
Preciso nel 93% dei casi – Un gruppo di ricercatori dell’Università Saarland, in Germania, ha testato l’esame su 202 persone analizzando 140 frammenti di microRna (parti del codice genetico) in pazienti con Alzheimer e in persone sane. Il confronto ha permesso di evidenziare 12 microRna presenti in quantità maggiori nelle persone con Alzheimer. Il test ha avuto un livello di precisione del 93% dimostrando di essere “in grado di distinguere con un’elevata accuratezza diagnostica tra i pazienti con malattia di Alzheimer e le persone sane”, spiegano i ricercatori.
Forma ereditaria – Si tratta di studi sperimentali, che precedono la possibile messa in commercio di test diagnostici ancora in fase di ricerca. Un gruppo di ricercatori del Banner Alzheimer‘s Institute in Arizona, della Boston University e della University of Antioquia, ad esempio, avrebbero individuato dei “marcatori” diagnostici – così si chiamano i segni presenti nel sangue che indicano un’eventuale patologia – in grado di rivelare già a 20 anni se ci si ammalerà di Alzheimer.
L’età dell’esordio della malattia di Parkinson si abbassa sempre più e, oggi, 10 malati su 100 hanno meno di 40 anni. Parte una Campagna di sensibilizzazione sul Parkinson che culminerà con la Giornata Nazionale del 30 novembre e punta a far luce su una malattia che non colpisce le sole fasce di anzianità
Il Parkinson è “sempre più giovane”. La malattia che fino a poco tempo fa si credeva infatti colpire soltanto le persone anziane, mostra una specie di inversione di tendenza, andando a interessare fasce d’età sempre più basse, tanto che oggi 10 malati su 100 hanno meno di 40 anni.
«A differenza di quanto è stato ipotizzato sino a un recente passato – sostiene il Comitato Limpe e Dismov-Sin promotore della Giornata Nazionale del 30 novembre – il Parkinson non è legato all’età avanzata».
Una recente ricerca britannica condotta dal prof. Colin Pritchard, poi, evidenzia come vi sia stato un’allarmante “epidemia nascosta” di aumento dei decessi neurologici tra il 1979 e il 2010 di adulti (sotto i 74 anni) nei paesi occidentali.
La bassa velocita’ di camminata delle persone affette da malattie renali e’ risultata correlata a un rischio di mortalita’ piu’ elevato. L’associazione e’ stata dimostrata da uno studio pubblicato sul Journal of the American Society of Nephrology: in presenza di malattia renale cronica gli arti inferiori riducono l’efficienza delle performance di circa il trenta per cento e per ogni 0,1 metri al secondo in meno relativi alla velocita’ della camminata il rischio di mortalita’ si alza del ventisei per cento in un periodo di tre anni. I soggetti con malattia renale cronica hanno maggiori probabilita’ di diventare fragili o disabili e di morire di problemi legati al cuore. I test delle prestazioni fisiche sono spesso utilizzati per valutare la loro salute generale e vulnerabilita’. La ricerca condotta da Baback Roshanravan dell’Universita’ di Washington ha seguito 385 pazienti con insufficienza renale cronica di eta’ media 61 anni. Gli studiosi hanno misurato la forza dell’impugnatura, la velocita’ di cammino abituale, i ritmi di copertura di una distanza a piedi da sei minuti, il tempo impiegato ad alzarsi da una sedia, camminare per quattro metri, girarsi e tornare indietro per risedersi. I partecipanti sono stati seguiti in media per tre anni. Ogni 0,1 metri al secondo in meno di velocita’ di camminata e’ stato collegato ad un rischio del 26 per cento piu’ elevato di morire e ciascun secondo in piu’ di tempo impiegato ad allontanarsi e riavvicinarsi alla sedia e’ stato collegato a un rischio di mortalita’ dell’8 per cento in piu’.
Circa 15 mila italiani convivono con la retinite pigmentosa, una malattia degenerativa dell’occhio di natura ereditaria, che colpisce le cellule della retina e puo’ portare progressivamente alla cecita’. Secondo le stime, ogni anno 30 italiani perdono la vista a causa della malattia e finora per loro non esistevano trattamenti o soluzioni.
Prima nel mondo, l’Italia ha introdotto il sistema di protesi retinica della californiana Second Sight, che permette di restituire funzionalita’ visiva ai pazienti resi ciechi dalla malattia. Presentati oggi a Milano, in un incontro organizzato in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare, in programma il prossimo 28 febbraio, i risultati dei primi otto impianti su pazienti italiani. ”Un successo e un primato per il nostro Paese di cui siamo orgogliosi.
Abbiamo realizzato a Pisa il primo impianto al mondo dopo l’approvazione europea e siamo primi per numero di impianti realizzati – dichiara Stanislao Rizzo, Direttore del reparto di Chirurgia oftalmica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana – . Finora non esistevano opzioni di trattamento di efficacia scientificamente provata per i pazienti affetti da retinite pigmentosa. Con la protesi retinica, i fotorecettori danneggiati sono sostituiti da un microcomputer in grado di trasformare e trasmettere l’impulso luminoso, ricevuto da una telecamera montata sugli occhiali del paziente, alle cellule nervose della retina ancora attive.
Scienziati creano un nuovo semplice e singolo test del sangue per rilevare tempestivamente la presenza di uno tra ben tredici diversi tipi di tumore. Grazie a un nuovo test del sangue sarà possibile individuare per tempo la presenza di un tumore. Il test, poco invasivo, e denominato “Onko-Sure” si distingue dagli altri tipi di esami per diagnosticare il cancro come, per esempio, quelli radiologici o istologici per la capacità di rilevare la presenza tra ben 13 tipi di tumore fin dalle primissime fasi della malattia, per cui si può essere in grado di intervenire tempestivamente.
02:12 am | Fra gli over50, 1 uomo su 16 e’ a rischio tumore e ad oggi sono circa 217 mila gli italiani che convivono con la malattia, tendenza che nel…
14 dicembre 2012 / Leggi tutto
01:29 am | Cellule nervose ottenute da staminali adulte hanno curato i difetti del movimento in scimmie con il morbo di Parkinson. Il risultato, pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, di…
6 dicembre 2012 / Leggi tutto »
05:58 pm | Il morbo di Alzheimer e’ una delle piu’ comuni cause di demenza. L’accumulo di specifiche proteine anormali, incluso il beta-amiloide, nel cervello dei pazienti gioca un ruolo centrale…
27 novembre 2012 / Leggi tutto
Scoperta una mutazione genetica che puo’ aiutare naturalmente a prevenire l’Alzheimer. La mutazione, la prima mai trovata che protegge dalla malattia, risiede in un gene che produce le…