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aprile 26, 2022

 SOCIALISTI CONTRO…….

Di Beppe Sarno

ll 20 ottobre 1914 la direzione nazionale del Partito socialista Italiano firmava un documento che aveva le seguenti conclusioni “in mezzo al fragore delle armi, innanzi all’orrore della guerra, noi socialisti d’Italia dobbiamo dire :il partito socialista è contro la guerra per la neutralità. Contro la guerra per la neutralità perchè così vuole il socialismo che per noi vive e per cui l’Internazionale oggi perita dovrà tornare vigorosamente a risorgere.” Il 24 novembre 1914 La sezione milanese del Partito Socialista Italiano chiedeva di espellere Benito Mussolini in disaccordo sulla sua tesi di intervento italiano nella Prima Guerra Mondiale al fianco dei Paesi della Triplice Intesa.

Matteotti, il disobbediente, l’unico a capire la pericolosità del fascismo, fu uno strenuo oppositore della guerra proponendo iniziative di boicottaggio,   bloccare i treni che portavano armi al fronte, lo sciopero generale  e contrastò in ogni modo il partito quando lanciò lo slogan “né aderire, né sabotare”

 Giuseppe Modigliani in un famoso discorso tenuto alla camera dei deputati il 9/11 dicembre 1914 , propose di indire uno sciopero generale contro l’entrata in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) contro gli Imperi centrali (Germania, impero austro-ungarico). Karl Liebtnech In una relazione tenuta a Mannheim nel 1914 riportata nell’Avanti del 2 gennaio 1915 afferma testualmente “ il proletariato sa che le guerre che la classe capitalistica sta facendo per interesse proprio, sono proprio le guerre che più pesano sulle spalle della classe lavoratrice imponendole e più gravi sacrifici di lavoro e di denaro. Il proletariato sa che ogni guerra travolge i popoli in  un’onda di barbarie e di volgarità e la civiltà ne viene annientata per anni e anni….. il proletariato non può quindi non essere profondamente e consapevolmente contrario alla guerra ossia a tutta la politica espansionista. Il proletariato ha un nobilissimo compito di combattere il militarismo nel modo più energico anche in questa sua manifestazione di violenta espansione capitalista.”  E segue  “Ci   troviamo       quindi    di    fronte    alla    più grande  tragedia   delle storia   di   puro  carattere  capitalistico,   che   si   consuma   in  uno  sfondo  grigio  di  basse  passioni   e  di  appetiti   insoddisfatti,   senza luce di    pensiero   e   genialità   di   aspirazioni.    Si  tratta  di   borghesie  giunte   ormai, qua    o   là,  all’apogeo  della   loro   forza    e    del    loro   sviluppo,    bramoso     continuamente   di   dominio    e   di   guadagno,    che    esauriscono   la   loro   funzione   in    barbariche   piraterie   od   in   ignominiosi   mercati,    e    rinnegano   e  sconfessano   i  loro   principi   del   «   pacifismo »  e  dell’   «  equilibrio  »     mentre   vergognosamente      si    palleggiano     le   responsabilità” (L’Avanti  del 7 gennaio 1915). Mai il giornale socialista venne meno alla sua funzione di sentinella contro la guerra denunciandone quasi quotidianamente come una guerra voluta dal capitalismo contro gli interessi delle classi lavoratrici.

Turati non riuscì a controllare il partito e dopo la scissione del 1912, con l’uscita di Bissolati per le sue posizioni interventiste (Carlo Tognoli lo definisce: “un liberal ante litteram”)  dovette mantener una posizione equilibrata e prudente che si condensò nella famosa formula “non aderire, non sabotare”.

Nel 1910 si tenne a Copenaghen il congresso internazionale socialista ed il dibattito più importante del congresso fu sulla guerra. Quasi tutti i delegati  erano d’accordo che l’Internazionale dovesse sollecitare i propri deputati all’interno dei propri parlamenti decisioni aventi ad oggetto un accordo tra le grandi potenze per la riduzione degli armamenti e che tutte le controversie tra gli  Stati venissero sottoposte ad arbitrato internazionale. I socialisti italiani  con  il relatore Morgari proposero una risoluzione che invitasse tutti i partiti socialisti con rappresentanza parlamentare a proporre ai propri parlamenti una riduzione del 50% di tutti gli armamenti. Alla fine fu approvata una risoluzione presentata da Vailland e Keir Hardie con l’appoggio del partito laburista britannico e del partito socialista francese che affermava “tra tutti i mezzi da usare per prevenire e impedire la guerra, il Congresso considera particolarmente efficace lo sciopero generale degli operai, soprattutto nelle industrie che producono gli strumenti bellici (armi, munizioni, trasporti, etc) oltre all’agitazione e all’azione popolari nelle loro forme più attive.”

Anche il successivo  Congresso di Basilea nel novembre 1912 ebbe esclusivo l’argomento della guerra e soprattutto la posizione dei socialisti contro la guerra in corso nei Balcani per impedire che il conflitto si allargasse.

nel 1914 si tenne in Francia il Congresso dell’internazionale già fissato per Vienna, che non si era potuto tenere per l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono austriaco. La risoluzione approvata dall’internazionale socialista invitava tutti i movimenti operai dei paesi interessati affinché la controversia austro-serba venisse composta tramite arbitrato.  il 31 luglio successivo Jan Iaures veniva assassinato da un giovane reazionario in un ristorante mentre teneva una riunione con i colleghi della redazione dell’Humanitè.

Diversa fu la posizione dei socialisti Del Belgio i quali per effetto dell’ultimatum del governo tedesco di ottenere l’autorizzazione a traversare il territorio Belga si schierarono praticamente dalla parte della difesa nazionale.  Gli stessi socialdemocratici tedeschi  votarono compatti a favore dei crediti di guerra. Lo stesso Karl Liebtnech si adeguò alla volontà della maggioranza del partito. Il famoso gruppo degli spartachisti composto da Rosa Luxembourg  nel 1916 votò contro  il rifinanziamento dei crediti di guerra e per questo motivo furono espulsi dal Partito. La nascita del USPD determinò in Germania l’esistenza di due partiti di ispirazione socialista. A questa seconda organizzazione aderirono i capo storici del socialismo radicale e successivamente anche la  lega degli spartachisti.  Va osservato che Karl Liebtnech in un successivo momento decise di rompere la fedeltà al partito e votò  da solo contro gli  stanziamenti per la guerra e motivò la sua posizione in uno scritto in cui affermava che la guerra era il risultato dell’ imperialismo capitalistico che avrebbe avvantaggiato solo le forze imperialistiche che l’avevano provocata, che sarebbe stata usata per schiacciare il movimento dei  lavoratori nei  paesi belligeranti. La Germania combatteva quella guerra non per legittima difesa ma con fini espansionistici.

Karl Kautsky in un articolo pubblicato in Italia dalla “Critica sociale” difese la scelta dei socialisti tedeschi affermando “Ogni nazione deve difendere la propria pelle, donde segue che il partito socialista di tutte le nazioni ha lo stesso diritto e lo stesso dovere di partecipare a questa difesa.”(Critica Sociale pag 375/2014). La “Critica” a commento dell’articolo scriveva “Kautsky, unificando governi e governati,  astrae dal fenomeno di classe e ……non risolve in dottrina quale deve essere la condotta dei socialisti a guerra scoppiata.” I socialisti italiani criticarono aspramente le scelte dei socialisti tedeschi di votare a favore dei crediti di guerra “ Il Partito socialista tedesco legato all’Internazionale, il quale con la sua tenace resistenza ai criminali del patriottismo ufficiale e imperiale soleva fare scuso alla Germania delle simpatie del proletariato internazionale. Ma il partito Socialista Tedesco ad un certo punto si mise a spezzare tutto ciò …lasciò compiere l’infamia della distruzione del Belgio, lasciò passare la distruzione delle città e l’assassinio collettivo dei neutri…Così il Partito socialista tedesco, ha servito la Germania con la stessa stolidità cieca del suo kaiser e dei suoi kaiseriani. “ e conclude “Quale orrore! Quale delitto contro la patria, contro l’Umanità! ()Critica sociale 1915 p. 165/166)

In Inghilterra nel periodo precedente la prima guerra mondiale non c’era un  partito socialista che potesse essere paragonato ai partiti socialisti di massa che c’erano in Francia, Germania, Austria, Italia. Certo c’era la Fabian Society, l’0ILP il Partito Laburista da cui nacque in seguito ad una scissione il Brithis Socialist Party. In Inghilterra nel period0 19010-1914  vi furono una catena di scioperi mai visti in precedenza ma tutti riguardavano in buona sostanza rivendicazioni salariali e sulle condizioni di vita dei lavoratori. Il personaggio più vicino ai socialisti della seconda internazionale fu sicuramente Keir Hardie. Devoto internazionalista diventò un ardente sostenitore dello sciopero generale per impedire la guerra.  Secondo Franco Astengo “In Gran Bretagna la resistenza alla guerra è più forte: si dimette il presidente del gruppo parlamentare laburista Mac Donald e quattro deputati dell’Indipendent Labour Party votano contro: ma la grande maggioranza dei dirigenti delle trade unions, la maggioranza del British Socialist Party e numerosi fabiani (ancorché la società fabiana non prenda ufficialmente posizione) approvano.” Anche se storicamente rappresenta la verità è pur vero che Ramsay Mac Donald era un personaggio ambiguo ed il suo atteggiamento contro la guerra non fu sempre chiaro. Dal 1929 al 1931 divenne primo ministro del secondo governo  laburista.

Altrettanto ambiguo il comportamento dei menscevichi in Russia divisi fra l’avversione alla guerra e quelli che invece appoggiarono le scelte dello Zar.

Nel maggio 1915 i socialisti italiani Lanciarono d’accordo con gli svizzeri “un appello per una conferenza socialista internazionale, rivolto a tutti i partiti, organizzazioni operaie, gruppi che erano rimasti fedeli ai vecchi principi dell’internazionale e che erano disposti abbattersi contro la politica di pace interna per la lotta di classe, che per un’azione unitaria dei socialisti in tutti i paesi contro la guerra. Il punto di sintesi sulla posizione dei socialisti controlla guerra fu trovato a Zimmerwald uno Svizzera dove si tenne una conferenza internazionale a cui parteciparlo i rappresentanti di 42 partiti socialisti nazionali dovuto Italia, Svizzera, Olanda, Svezia Norvegia Russia Polonia Romania Bulgaria. Ero presente anche per la Russia bolscevichi  e menscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra. la conferenza di Zimmerwald viene indicata come la madre della terza internazionale. Il documento finale recitava “Questa guerra non è la nostra guerra” e impegnava tutti i socialisti “a condurre un’incessante agitazione per la pace e costringere i governi a porre fine al massacro”. E concludeva “I socialisti dei paesi belligeranti hanno il dovere di condurre questa lotta con ardore ed energia; i socialisti dei paesi neutri hanno il dovere di sostenere con mezzi efficaci i loro fratelli in questa lotta contro la barbarie sanguinosa.

Mai fu nella storia una missione più nobile e più urgente. Non vi sono sforzi e sacrifici troppo grandi per raggiungere questo scopo: la pace fra gli uomini. Operai e operaie, madri e padri, vedove e orfani, feriti e storpiati, a voi tutti, vittime della guerra, noi diciamo: al di sopra dei campi di battaglia, al di sopra delle campagne e delle città devastate: Proletari di tutti i paesi unitevi!”

Malgrado il documento fosse approvato all’unanimità Lenin ed altri cinque delegati (Zinoviev, Radek (delegato di Brema), Hoglund e Nerman (rappresentanti dell’estrema sinistra scandinava) e il delegato lettone Winter.) presentarono un documento con lo scopo di  spostare a  sinistra il dibattito fra i socialisti. Nel documento si leggeva “La guerra che da più di un anno devasta l’Europa è una guerra imperialista per lo sfruttamento economico di nuovi mercati, per la conquista delle fonti di materie prime, per lo stanziamento di capitali. La guerra è un prodotto dello sviluppo economico che vincola economicamente tutto il mondo e lascia al tempo stesso sussistere i gruppi capitalisti costituitisi in unità nazionali, e divisi dall’antagonismo dei loro interessi. Col tentativo di dissimulare il vero carattere della guerra, la borghesia ed i governi, i quali pretendono che si tratti di una guerra per l’indipendenza, di una guerra che è stata loro imposta, non fanno che trarre in inganno il proletariato, perché in realtà lo scopo della guerra è proprio l’oppressione dei popoli e di paesi stranieri. Lo stesso è delle leggende che attribuiscono ad essa il ruolo di difesa della democrazia, mentre invece l’imperialismo significa dominio più brutale del grande capitalismo e della reazione politica. ……(sequitur)” Lenin e i suoi compagni non volevano che l’Internazionale si limitasse a promuovere Azioni di lotta per la pace, ma con quel documento si voleva spingere a s far nascere in ogni paese la guerra civile per realizzare la rivoluzione socialista. L’obbiettivo fu raggiunto nella successiva conferenza di Khiental, sempre in Svizzera le cui conclusioni furono che non si sarebbe potuta raggiungere la pace senza una rivoluzione socialista che portasse al potere la classe operaia.

Inutile proseguire fino ai giorni nostri per dimostrare che i socialisti storicamente sono allineati contro la guerra e per la neutralità. Il novecento con le sue disastrose guerre è costellato da grandi martiri socialisti e comunisti che hanno dato la loro vita per la pace e contro la guerra.

Nella sciagurata guerra a cui stiamo assistendo nei resoconti giornalistici come un sequel televisivo in cui tutti i media sono schierati in maniera acritica dalla parte dell’Ucraina e che dipingono Putin come un pazzo assassinio assetato di sangue, come socialista non ho dubbio a schierami con Matteotti, Modigliani, Turati e gli innumerevoli personaggi che hanno speso la loro vita per combattere il pensiero unico dominate dei fautori della guerra e mi sentirei se fosse possibile farlo pronto a firmare senza riserve il documento approvato alla Conferenza di Zimmerwald. Mi sentirei molto più a mio agio nei panni di un socialista di inizi novecento con la cravatta rossa svolazzante a predicare per le neutralità e contro la guerra.

Il neutralismo dei socialisti non è non può essere un neutralismo passivo, impotente, ma viceversa un neutralismo vivi, attuale , duttile pronto a prendere iniziative, pronto a discutere con chiunque e sempre dalla parte dei più deboli.

Nessuno vuole la pace non la vuole al momento Putin il ci ministro della difesa dice che non è arrivato il momento per una trattiva di pace non  la vuole Zelesky, il quel oltre a chiedere più armi vuole solo continuare la guerra invocando la terza guerra mondiale. Di fatto questa guerra è il frutto di una diversa interpretazione del capitalismo da una parte un regime basato su un capitalismo oligarchico dall’altro un paese che ambisce ad entrare nel consesso del capitalismo occidentale. Sulla base di questa la guerra mediatica in corso, ancora più efficace forse delle bombe impone un consenso sulla guerra di maniera tale che tutte le categorie sociali di ogni nazione siano unite dallo scopo di parteggiare per una parte o per l’altra. Il frutto di questa guerra è un nazionalismo esasperato e la guerra diventa soltanto uno strumento di offesa e difesa, mentre invece questa guerra la decidono solo le classi dirigenti, nello stesso tempo le classi subalterne sono chiamate ad una anomala collaborazione, pena essere definiti fascisti o filo putiniani mettendo da parte ogni rivendicazione e calpestando ogni diritto. Si accetta senza fiatare l’aumento del costo dell’energia, del carburante, le limitazioni delle libertà, i sacrifici economici per mandare armi alla nazione amica. Si chiama in causa la democrazia, l’interesse della civiltà occidentale. Qualcuno ha detto se Putin occupa l’Ucraina poi verrà il nostro turno. La gente è chiamata a difendere la civiltà occidentale dalla minaccia del mostro russo. La vittoria dell’Ucraina, per Draghi e i suoi amici, è la vittoria della democrazia. All’inizio della pandemia si diceva “tutti insieme ce la faremo” si sperava in un mondo migliore. Sappiamo com’è andata. I ricchi più ricchi e i poveri in mezzo a una strada.

La verità da quello che si legge sui giornali e si vede per televisione e che non si innesca una trattativa  di pace perché Zelesky non vuole la pace: l’obbiettivo di Zelesky è la guerra. La vuole perché il suo sodale american Biden vuole lo scontro con la Russia per vederla finalmente sconfitta. Quando Gorbaciov voleva smantellare l’Urss e sostituirla con una federazione di stati socialdemocratici, l’occidente,  a parte i socialisti, e Craxi questo lo capì, preferì appoggiare il colpo di Stato di Eltsin.

Le multinazionali, appoggiate dal governo americano in prima fila, pensavano che un fantoccio come Eltsin e la corruzione dilagante in Russia avrebbe consentito loro di arricchirsi ed impadronirsi di interi stati e le ricche risorse  naturali che esse avevano. Il disegno non è riuscito ed allora oggi si ripropone quel progetto con la guerra. L’obbiettivo di Zelesky è la guerra non l’indipendenza del suo popolo ed egli usa lo spettacolo delle migliaia di morti come scudo umano per attirare il consenso sulle sue scelte. Dal canto suo Biden accecato dalla sua sete di potere insieme all’0ingilterra ed all’Italia soffia sul fuoco di questa guerra che deve divampare  sempre più ardentemente- La destra americana a sua volta lascia fare Biden in questa sua folle corsa verso la distruzione. A suo tempo i mezzi di comunicazione di massa faranno il loro mestiere convincevo il popolo americano che questa è una guerra ingiusta e che costa troppo ai contribuenti americani e Biden sarà disarcionato dal cavallo del potere. Purtroppo non succederà molto presto.

La  guerra non darà un risultato rispondente alle aspettative di coloro che aspettano il trionfo del diritto e della democrazia  e l’eliminazione di tutte le cause di futuri conflitti. Anzi più andremo avanti nel conflitto e peggio sarà. La Francia e la Germania hanno inteso che è giunto il momento di prendere le distanze dal loro alleato d’oltreoceano perché hanno capito che è follia volere accrescere le stragi che vediamo per le vie di Mariupol e farci trascinare ancora di più in un conflitto che non risolve alcun   problema dei lavoratori ma ne genera altri e ancora più gravi. L’Europa deve in questo momento dimostrare di essere autonoma dall’America e costringere Putin ad accettare una trattativa di pace basata su reciproche concessioni. Deve essere l’Europa per quel poco o molto di credito che ha nei confronti della Russia di Putin di farsi garante della pace laddove si raggiungesse un risultato dalla trattiva. Sappiamo bene che il nostro governo, asservito acriticamente su posizioni filoamericane non ha alcuna credibilità internazionale, laddove storicamente invece le nostre diplomazie primeggiavano. Dobbiamo quindi trovare gli strumenti per convincere il governo Francese e quello tedesco anche in considerazione che la Francia ha la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea a chiedere n a Putin un immediato cessate il fuoco, su tutta la linea con interposizione di forze ONU prevalentemente europee, l’apertura di una conferenza di pace sulla configurazione internazionale dei territori contesi, la rinuncia definitva dell’Ucraina ad entrare nella Nato, con dichiarazione epslicita sulla sua neutralità, il ritiro delle sanzioni contro la Russia con un contributo della Russia a devolvere una parte degli introiti della vendita del gas a favore dell’’Ucraina per la sua ricostruzione.

Ni socialisti italiani siamo ormai una piccola pattuglia ma sulla guerra, come ho provato a dimostrare abbiamo le idee chiare. Dobbiamo quindi avere la forza di gridare e farci ascoltare  per convincere ad uscire all’orrore di questa guerra e riuscire a fermarla dimostrando concretamente il nostro antimilitarismo e il nostro internazionalismo. Contro il populismo ed il nazionalismo sostituiamo i doveri della solidarietà internazionale fra i popoli.  

aprile 1, 2022

La politica estera di Craxi.

Di Beppe Sarno

L’Italia in cui oggi viviamo è governata da avventurieri, uomini piccoli piccoli, che vivono la loro avventura come una grazia ricevuta o da uomini servitori del capitale internazionale che non hanno a cuore e gli interessi della gente, dei lavoratori, della classi meno abbienti e men che meno dei giovani. L’Italia è ridotta ad un feudo dell’America di Biden, uomo guerrafondaio che prova a risolvere i problemi della sua assenza di una visone politica globale e delle sue difficoltà elettorali fomentando una guerra che potrebbe essere fermata in ventiquattro ore.

Il servilismo di Draghi nei confronti degli alleati è imbarazzante laddove è stato dimostrato che si può essere alleati di un paese senza diventarne il suo servitorello sciocco. Lo dimostrò Craxi con la crisi di Sigonella, episodio in cui pur senza rinnegare la posizione dell’Italia come paese schierato contro il terrorismo da qualunque parte venisse e amico degli Stati Uniti ribadì con fermezza l’autonomia delle scelte politiche dell’Italia dotata di una sovranità propria che nessuno poteva calpestare.

Fu Craxi che diede all’Italia un ruolo di primo piano nella scacchiere internazionale  perché pur essendo le sue scelte in campo internazionale  storia di vittorie esaltanti e sconfitte dolorose il Leader del PSI capì che la politica estera avrebbe dovuto rappresentare uno spazio prioritario per l’Italia destinato a crescere negli anni della sua presidenza.

Già all’interno nelle organizzazioni universitarie grazie al suo impegno conobbe politici che poi diventarono leader nazionali e internazionali. Craxi era convinto, infatti, che una maggiore considerazione in campo europeo e mondiale avrebbe contribuito alla valorizzazione dell’Italia costituita di un  formidabile sistema produttivo fatto da tante piccole e medie imprese. Se si confronta con la condizione dell’Italia di oggi si può vedere quale abisso ci separa da quella visione. Nella politica estera di Craxi erano presenti  principi e valori a cui si era ispirato nella sua militanza nell’Internazionale Socialista. Il suo forte e coraggioso sostegno alla nascenti democrazie dell’America Latina, dall’Argentina di Alfonsin dall’Uruguay di Sanguinetti al Perù di García, era un segnale di un nuovo corso per la nostra proiezione internazionale e di un  diverso modello di convivenza fra Nazioni sovrane, nonché la difesa del principio di libertà e dell’autodeterminazione dei popoli, un principio che considerava non negoziabile.

Per Craxi l’Europa allora come oggi divisa, doveva diventare punto di riferimento per un sistema basato sulla convivenza pacifica e sullo spegnimenti di tutti i focolai di guerra. Egli capì che l’antagonismo fra la Russia e l’America andava neutralizzato  e che bisognava creare le premesse per spostare il dibattito  da un piano strettamente militare ad un piano economico e politico.

La scelta sull’installazione degli Euromissili, deciso su sollecitazione di Helmut Schmidt che aveva legato lo schieramento delle forze nucleari nel territorio della Germania federale, a un analogo spiegamento almeno in un altro importante paese dell’Europa servì  ad un mutamento di rotta che contribuì ad un decisivo miglioramento del clima tra le due superpotenze militari. Per Craxi la politica verso la regione mediorientale e mediterranea era anche una questione Europea: “ I socialisti europei hanno perciò non soltanto il dovere di dare un giudizio ma anche il compito di contribuire attivamente per raggiungere questi obbiettivi, individuando i problemi, indicando soluzioni, intensificando le relazioni reciproche con le forze politiche affini, influendo sui governi per operare la pace nel Mediterraneo.” (B.Craxi, Discorso alla riunione dell’Internazionale socialista “I Socialisti nel mediterraneo”, Madrid, 8 Maggio 1977).  Ma si può ricordare, della politica estera del governo Craxi, anche la straordinaria apertura alla Cina di Deng Xiaoping. Nell’ormai famoso episodio di Sigonella Craxi dimostrò che l’onore e il rispetto per il Paese venivano prima di tutto.

Circa l’informazione Craxi poneva estrema attenzione nella corretta informazione e nell’analisi internazionale. Non fidandosi delle “veline” che soprattutto i servizi segreti israeliani e inglesi facevano circolare servendosi della sponda americana, teneva contatti frequentissimi, spesso riservati, con personaggi della politica, della finanza e dell’economia per, come lui diceva, vedere meglio “le carte” e giudicare secondo coscienza e conoscenza. Non di rado, ricorreva ai legami che risalivano ai primi anni del suo impegno politico; ricorda Ugo Intini: “Non c’era in Craxi né incoscienza né spirito avventuristico nel suo approccio diplomatico. Al contrario, egli era conscio che ci fosse sempre un prezzo da pagare, ovvero un rischio da assumersi per ogni azione che uscisse dagli schemi di una diplomazia convenzionale, asservita all’ortodossia e alla liturgia dell’atlantismo e dell’Europeismo di maniera.”( U. Intini, I socialisti , Gea, Milano, 1996, (pp. 217).

Negli avvenimenti di oggi invece assistiamo ad un sistema informativo schierato  da una sola parte.  Ci vuole poco per capire che non è più né la guerra, ne la sua evoluzione, ne il problema dei profughi che interessa  ma il gruppo di persone al potere. Il “Quarto potere” è ridotto al livello del buffone di corte che loda il padrone e ne ruffianeggia le trame. Tutto viene dall’alto: Draghi è onnipotente: una minoranza privilegiata fabbrica l’opinione e diventa la coscienza del paese. E’ l’ubriacatura del servilismo; è un cupio dissolvi collettivo. Chi non è con loro è contro di loro, chi prova a ragionare o è un fascista o un comunista. Questa dissoluzione porta gli uomini al potere che da maestri di cinismo quali sono,  ci giocano e ci portano dove vogliono. Un’oligarchia onnipotente che si identifica con lo Stato ne hanno occupato gli organismi e provano calpestando la Costituzione, ad annullare la  sovranità popolare.

Craxi non fu mai un guerrafondaio ma si schierò  sempre a difesa delle  ragioni della pace. Valgano in questo senso le parole che usò in difesa dei diritti del popolo Palestinese “Vedete io contesto all’OLP l’uso della lotta armata non perché ritengo che non ne abbia il diritto, ma perché sono convinto che la lotta armata non porterà a nessuna soluzione. (Camera dei Deputati seduta del 6 novembre 1985. Discussione sulle comunicazioni del governo di Bettino Craxi.. )

Un’altra questione fondamentale per Craxi era la necessità di presentarsi come paese neutrale per potersi garantire il ruolo di interlocutore affidabile nella trattive di pace. Dice Craxi “ Com’è noto, i compagni del Partito Laburista maltese hanno preannunciato un progetto per il riconoscimento dello status di neutralità più o meno garantita dell’isola a partire dal marzo 1979, epoca in cui verrà a scadere l’accordo dell’affitto della base navale stipulato con la Gran Bretagna e, per certi aspetti finanziari, di fatto con la NATO. La neutralità garantita di Malta, ampliando di per se i margini della pace nel Mediterraneo, deve essere vista con il massimo favore. A questo progetto i nostri partiti non possono dunque non dare la loro adesione, anche se esso richiederà certamente uno sforzo finanziario congiunto dei paesi europei per permettere all’isola di operare una riconversione della sua economia, oggi notevolmente dipendente dai proventi dell’affitto delle attrezzature navali militari. Il Partito Laburista maltese ha posto con chiarezza la questione di fronte ai governi europei, in particolare della Francia e dell’Italia. Le risposte che sino ad oggi sono state formulate non possono essere considerate soddisfacenti. Malta ha chiesto ai due paesi Europei sopra citati, e contemporaneamente alla Libia e all’Algeria, una dichiarazione politica che riconosca il valore e l’importanza della futura neutralità. Il governo maltese non è disponibile a divenire base militare di potenze straniere e men che meno delle maggiori che già si contendono l’influenza militare nel mare Mediterraneo. È questa una posizione importante che deve spingere i governi europei e arabi più direttamente interessati a cooperare con Malta per consentirle di affrontare prospettive derivanti dal suo nuovo status, senza contraccolpi gravi per la vita economica e sociale dell’isola.” (CRAXI). NEUTRALITA’. Parola sconosciuta al funzionario delle multinazionali Draghi, capo del nostro governo su mandato delle Banche e della multinazionali.

Rispetto a quello che oggi avviene fra Russia ed Ucraina Craxi capì con decenni di anticipo quello che sarebbe successo in caso di dissoluzione dell’impero sovietico. Il suo viaggio a Mosca avvenuto nel maggio 1985 era il segno che il leader socialista aveva capito che le scelte politiche di Gorbaciov andavano sostenute  perché il segretario del PCUS che sognava di costruire un paese su base socialdemocratica andava nella direzione giusta. Fu la miopia deli leader occidentali che preferirono sedersi al banchetto della dissoluzione dell’URSS appoggiando il colpo di stato di Yeltsin . Putin e la sua nomenclatura sono il frutto di quelle scelte scellerate.

Circa le ragione dell’attuale guerra è ancora attuale il pensiero di Craxi  “Non c’è dubbio che i nostri partiti hanno un interesse fondamentale alle vicende del mediterraneo…Dal manifestarsi della crisi economica in Europa nel 1974 si è continuamento parlato di un dialogo euro-arabo e di un dialogo fra nord e sud senza peraltro che esso sia approdato a un qualche concreto risultato…La verità è che l’approccio è avvenuto nei termini di interessi economici reciproci fra le strutture capitalistiche dell’Europa occidentale legate al capitalismo americano e alle compagnie multinazionali e i Paesi produttori di petrolio e materie prime. Rapporti di tale genere non possono risolvere i problemi di una cooperazione che, per essere concreta e duratura ha bisogno di una visione politica fondata sui principi della parità e dell’uguaglianza

Durante un convegno, Andreotti ebbe modo di ricordare con franchezza che “lavorare con Craxi non era facile, specialmente avendo un carattere completamente opposto” e aggiungeva “io sono sostanzialmente un burocrate, Craxi, se volevi veramente che leggesse un appunto non doveva andare oltre una sola pagina. Però egli aveva la grande virtù e la grande capacità di individuare il centro dei problemi, e di sapere poi trasmettere quelle che erano le sue posizioni.” Perennemente, per tutta la vita, combatté battaglie di minoranza affrontandole sempre con spirito garibaldino e modi e convinzioni di democratico: da segretario di zona del Psi a Sesto San Giovanni fino al suo seggio di Presidente del Consiglio dei Ministri e di interlocutore dei potenti della terra. La sua passione per la politica e la sua anima patriottica lo spinsero a dedicarsi costantemente e con profitto alla politica estera, “la più alta e decisiva delle esperienze umane” come amava sottolineare. Con l’azione del suo governo ottenne rispetto internazionale per l’Italia e a agli italiani, la realizzazione di una politica estera da protagonista, né marginale né subalterna”.

Non so quando finirà la Guerra fra la Russia e l’Ucraina, sono consapevole però che questa guerra come tutte le guerre soddisferà le pretese di qualcuno che resterà soddisfatto della guerra come istituzione e quindi, invece di desiderare la fine di tutte le guerre, avrà la tendenza opposta.  C’è una casta che guarda e sempre guarderà alla guerra come ad una finalità della vita.

Non così Craxi!

marzo 3, 2022

“Coloro che non ricordano il passato saranno condannati a viverlo di nuovo”

Di Beppe Sarno

La Russia ha lanciato un’operazione su vasta scale  dell’Ucraina dopo che il presidente Vladimir Putin ha autorizzato, quella che ha definito, una “operazione militare speciale” nell’est.

l’occidente sia essa L’Europa che l’America hanno condannato questa operazione e l’Europa compresa l’Italia si è prestata ad inviare armi e personale militare a sostegno per l’esercito. Il governo Draghi cancellando di fatto l’articolo 11 della Costituzione in cui espresso il sacro principio il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie si è assunta la grave responsabilità di entrare in una guerra al fianco di uno dei contendenti.

I bombardamenti nella regione del Donbass si sono intensificati quando Putin ha riconosciuto le due regioni separatiste di Donetsk e Luhansk come indipendenti e ha ordinato il dispiegamento di quelle che ha chiamato forze di pace, una mossa che l’Occidente ha definito l’inizio di un’invasione.

Mercoledì, i separatisti hanno lanciato un appello a Mosca per chiedere aiuto per fermare la presunta aggressione ucraina – affermazioni che gli Stati Uniti hanno respinto come propaganda russa.

La Russia ha lanciato un’invasione su vasta scala giovedì poco dopo che Putin ha detto di aver autorizzato un’azione militare per difendersi da quelle che ha detto essere minacce provenienti dall’Ucraina.

I missili russi hanno colpito diverse città ucraine, tra cui Kiev, mentre l’Ucraina ha riferito di colonne di truppe che si riversavano attraverso i suoi confini nelle regioni orientali di Chernihiv, Kharkiv e Luhansk e sbarcavano via mare nelle città di Odessa e Mariupol nel sud.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha dichiarato la legge marziale e ha fatto appello ai leader mondiali per imporre tutte le possibili sanzioni alla Russia, incluso Putin, che ha accusato di voler distruggere lo stato ucraino.

Immediatamente gli Stati occidentali si sono accordati per infliggere pesanti ritorsioni economiche alla Russia fra cui quello di tagliare la Russia fuori dal sistema finanziario SWIFT.

Da due giorni sono iniziate le trattative fra i rappresentanti dell’Ucraina e rappresentanti della Russia per cercare di fermare la guerra.

Cosa chiede La Russia per fermare la guerra?  la richiesta principale Di Putin e che le nazioni ex sovietiche come Bielorussia Georgia Ucraina non facciano mai parte della NATO così come in buona sostanza riconosciuto dai precedenti accordi internazionali. L’America risponde che allo stato attuale L’Ucraina non è in possesso dei requisiti democratici per accedere all’organizzazione mondiale della NATO.

L’Ucraina dal canto suo chiede l’istituzione di una no-flyzona  e   la sospensione degli attacchi militari.

Infine il Presidente Putin ha chiesto la “denazificazione” dell’esercito di Kiev con la messa al bando del “battaglione Azov” che è l battaglione Azov è un reggimento della Guardia nazionale ucraina che  nel maggio del 2014  è stato nei ranghi delle forze armate di Kiev. Il battaglione neonazista è stato anche associato a accuse di tortura e di abusi dei diritti umani e continua d essere tra i più tenaci e feroci oppositori delle milizie separatiste filorusse che hanno occupato una parte delle province di Donetsk e Lugansk.

Oggi l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione a schiacciante maggioranza che chiede alla Russia di fermare gli attacchi nei confronti dell’Ucraina.

Mentre l’intero mondo occidentale si sbraccia nel definire Putin un pazzo furioso paragonandolo ad Hitler, nessuno si domanda se l’America e l’Europa vogliono veramente la pace o invece come alcuni compagni sottolineano l’America, a soprattutto L’Europa, o almeno una parte dell’Europa non ha interesse alla pace.

Tutto questo mentre il mondo ignora completamente ciò che avviene in Siria bombardata quotidianamente da Israele e la guerra civile in Yemen rappresenta la più grande crisi umanitaria di oggi. Questa guerra va avanti da più di sei anni, e l’invasione del paese è stata condotta dall’Arabia Saudita, volendo mettere al potere il “suo popolo” in quel paese. È poco da dire che si tratta di una catastrofe umanitaria e umana totale perché oltre 2 milioni di bambini sono affamati e affamati per le strade di città e villaggi devastati. Le operazioni saudite nello Yemen sono state assistite dai loro alleati, Stati Uniti, Gran Bretagna ed Emirati Arabi Uniti. La prima richiesta di Putin di fatti è rivolta ai paesi occidentali perché è da loro che deve essere accettato il principio che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato e certamente non basta una semplice rassicurazione del premier inglese, ma è sicuramente necessario un atto formale.

Il problema è invece un altro Putin: chiede la denazificazione dell’esercito. Il battaglione Azov detto anche la legione straniera Ucraina è una parte consistente dell’esercito Ucraino che si ispira a principi neonazisti di cui gli stati europei fingono di non accorgersi.

Andriy Yevhenovych Biletsky è un politico di estrema destra nazionalista bianco ucraino e leader del partito politico National Corps. Fu il primo comandante della milizia volontaria Azov Battalion, e co-fondatore del movimento nazionalista Social-National Assembly. Dal 2014 al 2019 Biletsky è stato membro del parlamento ucraino.

Intanto i nazionalisti ucraini che fanno arte dell’esercito ucraino usano la bandiera gialla e blù con lo stesso logo  (la runa “Wolfsangel”) che era  usata dalla 2a divisione SS Panzer “Das Reich” nella seconda guerra mondiale. Il loro leader, Andriy Biletsky, una volta disse che lo scopo dell’Ucraina era di “guidare le Razze Bianche del mondo in una crociata finale” contro “Untermenschen a guida semita”. Gli attivisti del partito nazionalista ucraino tengono nelle loro sedi il ritratto del leader dell’UPA Stepan Bandera.

Vediamo nelle immagini televisive il Presidente Zelinsky con alle spalle la bandiera Ucraina con il logo dei Wolfsangels simbolo nazista.

Il 22 gennaio 2010, il presidente uscente dell’Ucraina Viktor Yushchenko ha conferito a Stefan Bandera il titolo postumo di Eroe dell’Ucraina. Il titolo fu poi revocato per le proteste della comunità internazionale.

Bandera fu in gran parte responsabile dei massacri di civili polacchi e in parte dell’Olocausto in Ucraina. Per aver orchestrato l’assassinio nel 1934 del ministro dell’Interno polacco Bronisław Pieracki, Bandera fu condannato a morte ma la sentenza fu commutata in ergastolo. Nel 1939, in seguito all’invasione congiunta tedesco-sovietica della Polonia, Bandera fu rilasciato dalla prigione e si trasferì a Cracovia, nella zona della Polonia occupata dai tedeschi.

L’Olocausto in Ucraina ha avuto luogo nel Reichskommissariat Ucraina, nel governo generale, nel governo generale della Crimea e in alcune aree sotto il controllo militare a est del Reichskommissariat Ucraina (tutte sottomesse alla Germania nazista), nel Governatorato della Transnistria e nella Bucovina settentrionale (entrambe occupate dal quest’ultima annessa alla Romania) e la Rutenia dei Carpazi (allora parte dell’Ungheria) nella seconda guerra mondiale. Le aree elencate fanno oggi parte dell’Ucraina.[ Tra il 1941 e il 1944, più di un milione di ebrei che vivevano nell’Unione Sovietica furono assassinati dalle politiche di sterminio della “Soluzione finale” della Germania nazista. La maggior parte di loro fu uccisa in Ucraina perché la maggior parte degli ebrei sovietici prima della seconda guerra mondiale viveva nel Pale of Settlement, di cui l’Ucraina era la parte più grande.

Stefan Bandera è il riferimento storico della Brigata di Azov che è parte integrante dell’esercito dell’Ucraina con cui noi oggi ci apprestiamo a combattere contro l’orso sovietico. I soldati italiani vanno a combattere al fianco di gente che ha a celebrato il compleanno di Hitler nel 2018 distruggendo un campo rom a Kiev e inseguendo i suoi residenti terrorizzati, compresi i bambini, per le strade. Il compleanno di Bandera, il 1 gennaio, è diventato una festa ufficiale ucraina.

Il Presidente Ucraino  Zelensjy chiede aiuto ad Israele che  allo stato sembra non inviare personale militare. Certo mi domando come potrebbe un ebreo combattere sotto la bandiera che porta il  logo  (la runa “Wolfsangel”) che era  usata dalla 2a divisione SS Panzer “Das Reich” nella seconda guerra mondiale?

Alla richiesta di Zelensky ha risposto il  primo ministro israeliano Naftali Bennett che ha rifiutato la richiesta del presidente ucraino di fornire assistenza militare alla nazione dell’Europa orientale assediata, anche se ha inviato aiuti umanitari e ha votatao a favore della risoluzione dell’ONU che condanna l’occupazione militare dell’Ucraina.

 I media occidentali sono rimasti per lo più in silenzio sul ruolo dei gruppi nazisti neo e classici nel Maidan e nella guerra nell’Ucraina orientale, scegliendo di eliminarli dalla narrativa sull'”aggressione russa” che hanno creato. Nessuno ne parla e se qualche vago accenno vien fatto viene subito messo a tacere.

La domanda sorge spontanea: perché?

La pietà e la solidarietà per il popolo ucraino sofferente non ci deve far dimenticare che come è stato detto “non si può manifestare per la Pace senza denunciare il progetto americano ed europeo di spingere tutto l’Occidente ad una politica di guerra rappresentando con un bombardamento mediatico martellante ed unilaterale la Federazione Russa come il nemico frontale da combattere tentando di sanare tutti gli atti criminosi di guerra ed aggressione commessi dal 1991 in poi dagli usa e dalla nato in Europa e nel mondo per imporre in modo violento un modello politico economico e finanziario, ormai in crisi drammatica , che sta distruggendo ovunque le società civili, i valori umani e le risorse naturali e le istituzioni  democratiche” (F. Bartolomei).

 La Germania si è fatta capofila di questa escalation antirussa e allora sorge il sospetto che la Germania abbia interesse che la guerra non si fermi e duri a lungo per poter giustificare nei confronti della comunità internazionale la sua corsa al riarmo annunciata  dal cancelliere  tedesco, Olaf Scholz, il quale nel corso di un intervento al Parlamento in cui ha condannato aspramente l’attacco russo all’Ucraina ha dichiarato che Il governo federale tedesco intende finanziare le Forze armate (Bundeswehr) con un fondo speciale da 100 miliardi di euro.

La Germania al di là della propaganda mediatica si appresta diventare una potenza militare oltre che economica e quindi è chiaro che la volontà dei suoi governati è quella di  costruire la quarta potenza politica ed economica mondiale dopo l’America, la Russia e la Cina. Questo significa la morte del sogno europeo e la riduzione dell’Italia ad un paese insignificante sul piano internazionale pronto ad obbedire al dittatore di turno.

marzo 2, 2022

La guerra non ferma la guerra!

Di Beppe Sarno

Certamente va condannato l’atto scellerato di Putin di invadere l’Ucraina e di arrivare alle porte di Kiev.

Come stiamo vedendo la guerra ha innestato una spirale pericolosa  che come primo risultato ha portato il rafforzamento della NATO e la subordinazione dell’Italia e dell’Europa  agli interessi politici ed economici americani. Il discorso di Biden alla televisione e il consenso ricevuto nel suo paese ne sono la riprova.   

Bettino Craxi fu il primo a denunciare il pericolo che la crisi dell’Unione Sovietica si risolvesse nel passaggio dell’economia di stato ad un’economia di mercato predatoria ed affamatrice dei lavoratori. Il capitalismo finanziario occidentale preferì appoggiare il tentativo di Eltsin a danno della speranza di Gorbaciov che sognava di trasformare la federazione degli stati russi  in una socialdemocrazia con lo strumento della perestroika e della glasnost.   La scelta dell’occidente di partecipare al banchetto delle immense ricchezze dell’URSS hanno, da un lato inserito la Russia nella competizione internazionale con caratteristiche sue proprie, dall’altro hanno generato quel nazionalismo esasperato di cui Putin si è fatto interprete.

L’Italia e l’Europa invece di spendersi fin da subito per trovare una soluzione pacifica alla tragedia della guerra fra Ucraina e Russia ha deciso di armare l’Ucraina. Questo atto irresponsabile cancella con un colpo di spugna l’art. 11 della Costituzione rinnega i valori della resistenza e mette d’accordo tutta la classe politica italiana da Meloni a Bersani. L’Usa e l’Europa hanno dimostrato chiaramente di voler destabilizzare  la parte orientale del nostro continente al fine di isolare la Russia per scopi commerciali e di politica  di basso livello.  Le televisioni nazionali sostengono che sia giusto partecipare a questa guerra anche a costo di rinnegare la nostra costituzione. Certamente il popolo ucraino va aiutato, ma non inviando armi e aiuti militari.  La nostra  coscienza civile ci deve imporre di evitare il maggior danno che alla guerra si contrapponga un’altra guerra. La giusta resistenza del popolo ucraino contro la prepotenza dell’invasore non deve spingerci a dire che è giusto inviare armi e soldati in Ucraina.

È sbagliata la convinzione che i buoni siano da una parte e i cattivi dall’altra. Non è così! a chi dice questo va ricordato che non è vero che questa è la prima volta che comincia una guerra in territorio europeo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il governo D’Alema bombardò la ex Jugoslavia per portarvi la democrazia.

Sappiamo com’è andata a finire!

La guerra in  l’Ucraina è scoppiata nel 2014. La  brigata d’Azov tristemente famosa ha fatto migliaia di vittime senza che nessuno si si commuovesse. A Biden non interessa l’economia europea; al presidente americano  interessa sottomettere l’Europa ai propri disegni imperiali.

Il Governo Draghi cammina nella scia di questo disegno incapace di esprimere un’autonomia che il governo Conte con tutti i suoi limiti aveva cercato di imporre. Conte è caduto non per la cattiva gestione della pandemia ma perché non asservito al capitalismo politico militare finanziario internazionale.

Nel dibattito politico interno americano Biden cerca di conquistare consensi umiliando la Russia e isolandola dal resto dell’Europa.

La guerra più che un delitto è una follia. E’ una follia per l’Europa perché essa al di la delle vite umane che si stanno perdendo,  seguirà n disastro economico di cui gli imprenditori più chiaroveggenti dall’una e dall’altra parte non ignorano e di cui già stanno calcolando le conseguenze. Chi alla fine pagherà il conto saranno come sempre i lavoratori e le classi subalterne.

Per questi motivi la guerra sarà una catastrofe cruenta che aggiungerà nuove rovine a quelle già esistenti e non risolverà i problemi dell’Ucraina, della Russia e di nessuno. Come abbiamo visto dopo aver violato la nostra Costituzione invocando lo stato di necessità, verrà violato, in nome della guerra, ogni diritto, ogni istituzione di libertà di ragione di democrazia. La guerra senza risolvere alcun problema, accanto alle ferite della pandemia ne aggiungerà, per tutti, nessun escluso,  altre ancora più terribili ancora più sanguinanti.

Gli unici attori al di fuori di queste logiche sono, non a caso, Pap Francesco e il presidente cinese Xi Jinping. Ed è nella loro mediazione che guardiamo  con ansia.

Nel frattempo Israele bombarda regolarmente la Siria ma nessuno si commuove come se quella guerra non essitesse. 

dicembre 15, 2021

Si è interrotta la catena dei rifornimenti, ma non quella degli speculatori.

Di Alberto Angela

Ricorrere alla metafora Smithiana della mano invisibile quale colpevole della interruzione della catena degli approvvigionamenti, costituirebbe una semplificazione della crisi che sta investendo il mondo ancora alle prese con la pandemia COVID 19. Nessuno, men che meno gli economisti di rito classico avevano presagito quale sarebbe stato il disastro sulla logistica nella fase centrale della pandemia. Ora lo sappiamo, perché abbiamo appreso quale sia la portata dell’interruzione della catena di approvvigionamento globale. I media ci hanno messo di fronte a un docufilm attraverso cui abbiamo potuto vedere navi portacontainer attraccate ai più grandi porti o file di autotreni in attesa di svolgere il proprio lavoro di trasporto delle merci. Manca di tutto, chip per computer, attrezzature per esercizi, cereali per la colazione, medicinali, materie varie per le attività industriale. Dai giornali e dalla TV abbiamo appreso che il mondo è a corto di moltissimi prodotti. Sorprende questa notizia, visto che viviamo in un epoca in cui ci siamo abituati a fare clic e ad aspettare che tutto ciò che desideriamo arrivi alle nostre porte. So di molti miei amici che da mesi aspettano di ricevere lo smartphone o di altri che devono rinunciare alla pretesa di avere l’auto nuova, da lungo tempo ordinata, con il colore preferito. La pandemia fin dai suoi inizi è stata una lezione terribile a causa dalla mancata disponibilità e ritardi nei rifornimenti dei dispositivi medici. La pandemia ha quasi interrotto ogni procedura della catena di approvvigionamento globale; cioè il percorso solitamente invisibile di produzione, trasporto e logistica che porta le merci da dove sono fabbricate, estratte o coltivate fino al luogo del deposito o dell’ordinazione, e poi nelle vicinanze della nostra abitazione. Alla fine della catena c’è un’altra azienda o un consumatore che ha pagato per il prodotto finito e la scarsità ha fatto aumentare i prezzi di molte cose, da cui, come l’Araba Fenice, riprende a padroneggiare la speculazione. Quindi, i segnali c’erano già nella fase iniziale della pandemia.  Le fabbriche in alcune parti del mondo in cui si trova gran parte della capacità produttiva mondiale, paesi come Cina, Corea del Sud e Taiwan, nonché nazioni del sud-est asiatico come il Vietnam e giganti industriali europei come la Germania,  sono state duramente colpite dalla diffusione dei casi di coronavirus. Molte fabbriche hanno chiuso o sono state costrette a ridurre la produzione perché i lavoratori erano malati o in isolamento. In risposta, le compagnie di navigazione hanno ridotto i loro impegni in previsione di un calo della domanda di merci in movimento in tutto il mondo. La spiegazione che viene data è che con il lockdown il cittadino ha fatto più acquisti, per cui la quantità e la tempistica degli  acquisti dei consumatori hanno sommerso il sistema. Le fabbriche, la cui produzione tende ad essere predefinita mediante un  processo di programmazione abbastanza prevedibile, si sono impegnate ad aumenta tali processi per soddisfare un’ondata imprevista di ordini e questo ha prodotto i suoi problemi organizzativi. Le fabbriche generalmente hanno bisogno di introdurre componenti, programmare i tempi e la logistica per realizzare le cose che esportano. Ad esempio, un computer assemblato in Cina potrebbe richiedere un chip prodotto a Taiwan o in Malesia, un display a schermo piatto dalla Corea del Sud e dozzine di altri dispositivi elettronici provenienti da tutto il mondo, che richiedono prodotti chimici specializzati da altre parti della Cina o dell’Europa. Il drammatico aumento della domanda ha intasato il sistema di trasporto delle merci alle fabbriche che ne avevano bisogno. Allo stesso tempo, i prodotti finiti, molti dei quali realizzati in Cina, si accumulavano nei magazzini e nei porti di tutta l’Asia a causa di una profonda carenza di container.

In parole povere, i prodotti sono rimasti bloccati nei posti sbagliati. Nella prima fase della pandemia, poiché la Cina ha spedito enormi volumi di dispositivi di protezione come maschere per il viso e camici ospedalieri in tutto il mondo, i container sono stati scaricati in regioni come l’Africa occidentale e l’Asia meridionale, che generalmente non rimandano in Cina altri prodotti diversi  e di cui  il Paese ha necessità. In quei luoghi, allora, i container vuoti si accumulavano proprio mentre le fabbriche cinesi stavano producendo una potente ondata di altri beni destinati ai ricchi mercati del Nord America e dell’Europa. Poiché i container erano scarsi e la domanda di spedizione intensa, il costo del trasporto delle merci è salito alle stelle. Prima della pandemia, spedire un container da Shanghai a Los Angeles costava forse 2.000 dollari. All’inizio del 2021, lo stesso viaggio costava fino a  25.000 dollari. E molti container venivano buttati giù dalle navi e costretti ad aspettare, aggiungendo ritardi lungo tutta la catena di approvvigionamento. Persino grandi aziende come Target e Home Depot hanno dovuto aspettare settimane e persino mesi per portare i loro prodotti di fabbrica finiti sulle navi.

Nel frattempo, nei porti del Nord America e dell’Europa, dove arrivavano i container, il pesante afflusso di navi ha travolto la disponibilità delle banchine. Allo stesso tempo, camionisti e lavoratori portuali sono rimasti bloccati in quarantena, riducendo la disponibilità delle persone per scaricare le merci e rallentando ulteriormente il processo. Questa situazione è stata aggravata dalla chiusura del Canale di Suez dopo che una gigantesca nave portacontainer vi è rimasta bloccata, e poi dalle chiusure dei principali porti cinesi in risposta ai nuovi casi di Covid. Molte aziende hanno risposto alle carenze iniziali ordinando articoli extra, aumentando le tensioni sui porti e riempiendo i magazzini . Con i magazzini pieni, i container, che improvvisamente fungono da aree di stoccaggio e si accumulano nei porti, il risultato è stato la madre di tutti gli ingorghi. Quasi tutto ciò che viene prodotto o fabbricato, dai prodotti chimici all’elettronica alle scarpe da corsa. Le carenze generano altre carenze. Un produttore di vernici che ha bisogno di 27 sostanze chimiche per realizzare i propri prodotti potrebbe essere in grado di acquistarne tutte tranne una, ma quella, forse bloccata su una nave portacontainer al largo del porto di Trieste, potrebbe essere sufficiente per fermare la produzione. Si consideri la domanda delle nuove auto, che beneficiano di contributi governativi, usano chip per computer, molti di loro, e la carenza di chip ha reso più difficile la produzione di veicoli. A sua volta, ciò ha reso più difficile e costoso acquistare automobili.

Se stiamo a quanto scrivono alcuni politici ed economisti la carenza nella catena di approvvigionamento globale sembra potersi spiegare e giustificare ricorrendo alla pandemia, che ha sicuramente reso l’offerta e la domanda estremamente volatili, spostandosi più velocemente di quanto la catena di approvvigionamento possa adattarsi. Ma si può anche spiegare dal comportamento speculativo delle aziende produttrici, le quali per decenni hanno mantenuto e accumulato le scorte a livelli scarsi per limitare i loro costi, cosicchè all’accrescersi della domanda è stato per loro redditizio spostare sui prezzi dei prodotti resi carenti ulteriori incrementi dei loro profitti. Poi ci sono i gruppi di monopolio esercitato sulle materie prime, cioè delle terre rare a cui si associa il ricatto, non solo economico, esercitato dai paesi che controllano queste aree e i flussi di petrolio e gas naturale. La risposta a questi problemi non può essere data da un solo paese, qui occorre che sia l’Europa a costruire in fretta una sua iniziativa per impedire che i deboli segnali di ripresa dell’economia dell’area europea non siano soffocati da politiche speculative e monopolistiche, mettendo in atto tutte le difese che il momento difficile richiede per non compromettere quanto costruito in questi anni. Nell’ultimo Consiglio dell’Europa la questione strategica dello stoccaggio europeo del gas è stata posta con forza da Draghi, con l’invito ad assumere una più responsabile linea di chiarezza verso i paesi fornitori, in primis la Russia. Nello stesso tempo è stata affrontata la difficile materia della transizione energetica, che richiederà tempo e investimenti, nonché costi rilevanti prevedibilmente a carico dei consumatori, per cui, anche su questa condizionalità Draghi ha richiamato l’attenzione del Consiglio, confidando che alla fine l’Europa si mobiliti più rapidamente, superando i diversi interessi che tra i 27 sembrano ancora prevalere e ritardare una risposta. Singolare situazione politica quella del nostro Paese, che deve affidarsi ad un ex Banchiere per uscire da una crisi economica e sociale terribile, cogliendo l’opportunità di ingenti risorse finanziarie concesse dall’Europa contro la quale una parte della maggioranza di governo dell’emergenza cannoneggiava proponendosi financo l’obiettivo di uscire dall’Euro. Il momento è difficile e le alternative non sono all’orizzonte. Dobbiamo solo sperare che quando residua dei partiti della sinistra sappia trovare un’idea miracolosa sulla quale ricostruire l’identità della sinistra in una visione moderna e all’altezza dei compiti che il presente c’impone di affrontare per un futuro diverso.

ottobre 24, 2021

La terza via.

Di Beppe Sarno

Karl Kautsy è stato sempre definito dai comunisti un “revisionista” e anche un “opportunista” traditore della causa dei lavoratori che introduceva nell’ortodossia comunista intransigente le “le idee borghesi”.

Per i comunisti ortodossi il presupposto di questa condanna nei confronti del grande teorico della seconda internazionale era che l’unica teoria possibile per interpretare gli interessi del proletariato era quella marxista-leninista. Tutte le altre teorie, ovviamente, erano espressione degli intellettuali borghesi.

Va osservato, però, che lo stesso Lenin in “Che fare?” riconosceva che le idee socialiste erano frutto dell’elaborazione teorica di intellettuali borghesi. Lenin, in maniera arbitraria, invece di concludere che,  dati i presupposti,  per la costruzione del socialismo sarebbe stata necessaria la collaborazione ed il contributo culturale proveniente da ogni parte della società, concludeva invece che solo la filosofia marxista  esprimeva gli interessi dei lavoratori. Secondo questa visione solo il partito comunista era quella istituzione privilegiata che aveva il diritto di definire quali fossero gli interessi per i lavoratori. Questa singolare elaborazione teorica fu definita  da Ignazio Silone “L’oppio del proletariato” Cioè quella droga ideologica che  consentiva ai comunisti duri e puri di esercitare la loro personale dittatura sui lavoratori.

Si sono visti i risultati!

L a  situazione che stiamo vivendo vede da una parte una destra arrogante e prevaricatrice che accettando l’idea liberista ne accentua i caratteri eversivi e illiberali dall’altra parte, invece, una sinistra sedicente socialdemocratica che utilizzando in maniera scorretta le idee socialdemocratiche  accetta il liberismo e se ne fa alfiere.

Karl Kautsy fu un sincero democratico e un grande socialista. Per chi, come una parte del movimento socialista, si richiama ai principi espressi dalla nostra Carta Costituzionale e la difende e ne chiede l’attuazione, opponendosi ad un governo che invece ogni giorno ne calpesta i principi e cerca di imporre scelte antidemocratiche, Karl Kautsy può diventare un riferimento ideologico e morale (perché no?).

Nei suoi libri Karl Kautsy, In polemica con il bolscevismo, afferma che il proletariato è pronto per il potere “quando coloro che vogliono il socialismo sono diventati più forti di coloro che non lo vogliono”. Ovviamente perché ciò avvenga non si può non tener conto dello sviluppo economico “cioè dall’aumento del numero dei proletari, di coloro che hanno interesse al socialismo e dalla diminuzione dei capitalisti.” Karl Kautsy si schiera contro la violenza affermando che se il socialismo “ha profonde radici nelle masse” perché queste dovrebbero far uso della violenza dal momento che  l’uso della violenza sarà necessaria “unicamente per tutelare la democrazia e non per sopprimerla.?” l’ostilità nei confronti del socialismo e perché interessi oggettivi non trovano un riconoscimento. “Quando ci sono liberi parlamenti- osserva Kautsy- ogni classe o partito può esercitare la più libera critica su ogni proposta di legge, indicarne le debolezze e anche farne conoscere l’ampiezza dell’ ostilità che eventualmente incontra tra il popolo”. Ecco perché la democrazia e nel nostro caso la Costituzione,  va difesa come il metodo per affermare una società più giusta e solidale. Il governo Draghi appoggiato dalla Confindustria sta andando nella direzione opposta. All’indomani nelle recenti elezioni amministrative Draghi ha affermato che “ il Governo va avanti: l’azione del governo non può seguire il calendario elettorale” Come dire: gli strumenti della democrazia hanno solo  la funzione notarile di certificare l’operato del governo senza per questo poter intervenire per discutere o controbattere alle decisioni del governo. D’altro canto quando la piazza si muove giustamente o meno il governo non esita a mandare in piazza la polizia con gli idranti e i manganelli. n questo quadro è  chiaro che la destra eversiva trova spazio per aggredire la CGIL  quale simbolo del mondo del lavoro. Ritornando a Kautsy e alla necessità di una terza via, ora più che mai è indispensabile e necessario stare attenti a non identificare il pensiero di Kautsy con  la teoria e con la prassi di quei partiti che si definiscono socialisti o di  derivazione socialdemocratica. infatti Kautsy “riconosce che la rivoluzione sociale alla quale aspira il proletariato non può essere condotta a compimento se esso non arriva a conquistare il potere politico” e Kautsy aggiunge “il proletariato non può arrivare al potere politico senza rivoluzione, senza un grosso cambiamento dei rapporti di forza nello Stato, ma semplicemente grazie a una tattica intelligente di collaborazione con i partiti borghesi vicini al proletariato, insieme ai quali si possa formare un governo di coalizione che nessuno dei partiti che compongono la coalizione potrebbe costituire da solo” e continua “il potere statale e soprattutto un organo del dominio di classe” e ancora “un partito proletario in un governo di coalizione borghese diventerà inevitabilmente complice delle azioni di repressione contro il proletario, la complicità in queste azioni lo farà disprezzare dal proletariato, ma al tempo stesso non gli servirà a conquistarsi la fiducia dei suoi alleati borghesi e gli impedirà di svolgere qualsiasi attività utile” .

Kautsky a differenza dei socialisti nostrani complici di governi ultraliberisti chiarisce che per lui la borghesia man mano che il proletariato aumenta “è tentata di provocare la guerra civile per paura della rivoluzione” e non è lontano il tempo che “ il borghese sarà capace di tutto e quanto maggiore sarà la sua paura, tanto più selvaggiamente esigerà del sangue.” in riferimento all’imperialismo Kautsy ammonisce” l’imperialismo non può essere condotto avanti senza forti armamenti, senza flotte che siano in grado di ingaggiare battaglie nei mari più lontani.” la realtà dei nostri giorni ha dato ragione al teorico della seconda internazionale.

Secondo Kautsky le riforme sociali e le misure di protezione del lavoro non sono più possibili e gli unici obiettivi che i lavoratori debbano tenere di mira sono la conquista dei diritti politici e un regime parlamentare effettivo suscettibile di essere usato un giorno dal proletariato come strumento per il suo dominio democratico di classe. “Finché questi compiti non saranno realizzati, esso non potrà sperare in alcun progresso riformistico di una certa importanza tenuto conto della crescita delle associazioni di imprenditori, dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dell’afflusso di strati più arretrati di operai, del ristagno generale della legislazione per le riforme sociali, del crescere degli oneri dello Stato, che in gran parte vengono accollati al proletariato.” Sembra la fotografia di quello che sta accadendo ai giorni nostri grazie governo Draghi, che le due vie: la destra  e la  sinistra unite insieme in un abbraccio mortale, portano avanti sotto l’occhio benevolo della Confindustria. in questa situazione ogni alleanza con i partiti della borghesia, diventa una pura illusione.

Rileggendo Kautsky si può capire quanto diversa sia l’impostazione ideologica e politica dell’autore rispetto a quelle sinistre contemporanee che ne rivendicano l’eredità. Di fronte a un imperialismo sfrenato e dissennato che stiamo vivendo nella fase attuale certamente il pensiero di Kautsky non può risolvere tutti i problemi che si presentano ma nonostante ciò “la terza via” non può e non deve essere una utopia riservata a pochi intellettuali; dobbiamo invece domandarci se esiste ancora una terza via o non vi sono più alternative alla compromissione borghese.

Occorre cioè non rimettere in discussione il pensiero di Kautsky, ma integrare e attualizzare le sue analisi storico sociali. Occorre, cioè, liberarsi di quelle teorie che attribuiscono l’imperialismo e la guerra unicamente alle contraddizioni del capitalismo, sicché basta che i lavoratori mandino al governo i propri rappresentanti perché vengono eliminati tutti i contrasti. Rinunciare a percorrere la terza via e comportarsi e lavorare diversamente significherebbe intraprendere una via senza uscita che ci condannerebbe all’irrilevanza politica e a ricoprire il ruolo di compagni visionari e generosi destinati a gridare alla luna senza che ci sia nessuno che ci ascolti.

marzo 27, 2021

DOPO DRAGHI LETTA,LA NORMALIZZAZIONE CONTINUA!

Di Luca Massimo Climati

Letta è arrivato per ‘modernizzare’ il PD e toglierlo da una condizione di rissa permanente e di subordinazione politica.

Chi ha deciso di sostituire Zingaretti con Letta ha però  in mente anche una ridefinizione complessiva degli equilibri politici in Italia all’interno del quadro europeista e atlantico. Quindi bisogna concepire questo passaggio non solo come alternanza di leadership, ma qualcosa di molto più ampio che è partito dalla defenestrazione di Conte. Siamo in piena pandemia, ma parallelamente siamo dentro una operazione di riorganizzazione del campo imperialista occidentale che coinvolge l’EU e i rapporti con gli USA.

Se questo è il disegno bisogna fare un bilancio sia di come procede l’operazione restaurazione e normalizzazione che di come ci si deve muovere per contrastare i disegni dei nostri avversari politici e di classe. Pensare di contrapporsi a tutto questo con dichiarazioni ‘ e con i appelli generici non può modificare la situazione.

Abbiamo avuto modo di constatare questa cosa nella iniziativa  dell’11 marzo scorso a Roma. L’appello a manifestare veniva da un comitato internazionale che, sostenuto da molti governi, richiedeva la sospensione dei brevetti sui vaccini per consentire la vaccinazione gratuita a livello mondiale. Un’ottima occasione dunque che peraltro è legata a tutta la gestione sanitaria del nostro paese. Davanti a Montecitorio c’erano però solo alcune decine di persone, tutte riconducibili al solito circuito della sinistra ‘alternativa’ romana, con tanto di sventolio di bandiere, mentre mancavano del tutto  settori di popolazione a cui la proposta di lotta sui vaccini sarebbe dovuta sicuramente interessare.

Si può dichiarare guerra al governo Draghi in queste condizioni?

Continua ad imperare in questo modo il principio che non importa quello che facciamo e quali risultati otteniamo, ma quello che diciamo coi comunicati e le testimonianze. Quando si comincerà a stabilire una connessione tra proposte, risultati e gli strumenti operativi per conseguirli? Le prospettive dipendono difatti da questa capacità di connessione. Draghi e il suo blocco golpista dobbiamo imparare a combatterlo veramente e non a parole.

Torniamo dunque alla questioni essenziali che riguardano sia gli strumenti che un ipotesi di programma che sia in grado di misurarsi con la sfida della normalizzazione  che ci viene  dall’operazione Draghi e ora anche dal programma di Letta. In primo luogo abbiamo la questione dello strumento. Pensare di poter affrontare un nemico che, nonostante le contraddizioni che si esprimono al suo interno e nella gestione del potere non solo non può essere assolutamente sottovalutato, ma neppure combattuto con l’arco e con la freccia perchè questo ci rende ininfluenti. Se vogliamo affrontare lo scontro, alle parole devono seguire i fatti. E fatti significa cogliere in modo preciso le contraddizioni e coinvolgere veramente coloro che le subiscono. Bisogna rendersi conto che siamo ben lontani da questa capacità e senza acquisirla rimaniamo soggetti alla manipolazione mediatica che il potere, nelle sue varie articolazioni, esercita sulla gente.

Mao diceva: osare combattere, osare vincere. Per noi il motto deve essere: imparare a combattere, imparare a vincere.

Si tratta, di riportare la discussione sul terreno del realismo e della verifica delle intenzioni di chi dichiara di voler combattere.

Ma quale forza organizzare e in che modo?

Intanto si tratta di fare, in proposito, i conti con un luogo comune in cui sguazza una certa sinistra: la retorica delle lotte senza tener conto che esse, per essere vere,  hanno un inizio e anche una fine e soprattutto un esito. Nutrirsi di ideologia non fa progredire il movimento: o si riduce questo ad un rito o lo si porta alla dispersione e alla sconfitta. Quindi, per andare al concreto, bisogna in questa nuova fase capire da dove partono queste lotte e qual’è il percorso e come ci attrezziamo. La riflessione da fare è questa.

Senza allargare il discorso limitiamoci alla partenza e rendiamoci conto che la prima e la più urgente delle questioni che ci stanno di fronte è quella della pandemia, dei vaccini e delle condizioni di salute della gente e le questioni sociali collegate.

Le forze che si raccolgono attorno a Draghi sanno che su questo si gioca la loro credibilità e il loro futuro.

Possiamo su questo affrontare lo scontro e disarticolare i progetti della restaurazione e della normalizzazione?

Possiamo da questo iniziare a creare una forza reale che sappia combattere la battaglia e porre le condizioni perchè l’esperienza e il risultato positivo possa rimettere in moto ampi settori di sinistra e dargli fiducia che le cose possono cambiare?

In  Italia ci sono milioni di persone che sono diffidenti rispetto all’azione di governo, ma confuse sulle responsabilità. Quest’opera di chiarimento dobbiamo saperla fare uscendo dalle nicchie e impegnandoci in campo aperto e con una forza unitaria e credibile.

marzo 8, 2021

LINGUAGGIO ED EGEMONIA MANAGERIALE – LA MCKINSEY

di Ferdinando Pastore

La lingua non è mai statica. Nel corso del tempo si lascia influenzare dalle reciproche relazioni tra gli esseri umani. In questo modo ciò che un tempo era una regola linguistica può diventare più avanti desueta o scorretta. E allo stesso modo i singoli termini mutano forma o significato. Si può legittimamente pensare per esempio che una società sempre più multietnica ridisegnerà corposamente il nostro vocabolario con nuove parole che irromperanno nell’uso comune o con leggere trasformazioni di altre. Nella musica leggera questi mutamenti si possono già intravedere. Anche la comunicazione di massa è destinata a imprimere un’accelerazione a questo processo. Questo lo si può definire un meccanismo virtuoso, costante nella storia. Diverso è quando si iniziano a utilizzare termini presi forzatamente da un’altra cultura e calati dall’alto. In questo caso si compie un’operazione ideologica. Durante il fascismo tutto era italianizzato fino ad arrivare e vere e proprie forzature spesso grottesche. Oggi appare consueto un uso apparentemente neutrale di parole inglesi che non dicono nulla di più dei corrispondenti termini italiani. Questo fenomeno ha preso piede in un determinato mondo, quello dei manager. La loro unificazione in vera e propria classe dotata di una specifica coscienza è stata cristallizzata anche attraverso l’irruzione di uno vero e proprio idioma internazionale. Puoi esserti formato in scuole di business sparse per il mondo ma uscito da lì avrai digerito quel determinato modo di esprimerti. Così come l’aristocrazia dell’800 utilizzava il francese per porre un confine tra la buona società e il mondo villano, oggi l’inglese aziendale decodifica un’appartenenza elitaria.Ma appunto quel linguaggio non è neutro. Fa riferimento a specifici dispositivi di comando. Le sue clausole retoriche poggiano le basi sulla vita plasmata dalla managerialità in senso assoluto, non ferma al semplice luogo di lavoro. L’idea appunto che l’esistenza debba trovare stimoli nelle qualità imprenditoriali di ognuno. In questo modo il mercato ha ritrovato una sua dinamica seducente. La vita si consuma in progetti evolutivi che trovano senso all’interno del sistema della concorrenza. Ogni scelta personale costruisce un percorso dinamico che educa il soggetto alle regole di mercato. Quando quel linguaggio si separa dalla dimensione tecnica e irradia le proprie maglie nella lingua di tutti i giorni quell’ideologia vuol dire che è egemone. Non che non sia sottoposta a critica ma che diventa improvvisamente senso comune. Nonostante le avversità, la crisi, le eventuali proteste si respira comunque quella mentalità. Ultimamente e sempre di più viene utilizzato il termine “too much” per descrivere l’idea di “troppo” in tutte le sue sfaccettature. Non si parla dunque di un concetto tipicamente aziendale. In questo caso la ricchezza di un concetto che si sostanzia in molteplici termini linguistici – eccessivo, esagerato, inappropriato, sovrabbondante solo per citarne alcuni – si uniforma in una sola parola buona per ogni contesto. Ciò che emerge è proprio la via omogeneizzante di questa deriva. Quando si perde la facoltà di arricchire il proprio linguaggio scegliendo di volta in volta il termine più adatto a una determinata circostanza si affievolisce progressivamente la capacità di analizzare la realtà in senso critico. Si rischia insomma di piegarsi arrendevolmente a una forma mentis che condizionerà le relazioni sociali, i rapporti di forza e la capacità conflittuale di un popolo o di una classe. Non deve stupire quindi l’affidamento sul controllo del Recovery Plan a una società privata americana di consulenza. Draghi è un esponente qualificato di una peculiare ideologia politica. Quella che vuole pubblicizzare il diritto privato e assoggettare lo Stato a mero esecutore degli interessi di profitto dei privati. Nulla di nuovo sotto il sole, funziona così da un trentennio. Quello che ancora spaventa è la considerazione generale della popolazione che vede in questa operazione un segnale di normale efficienza. Quindi l’incapacità ormai consolidata di interpretare gli eventi. Pensare insomma che la McKinsey possa sostituire il meccanismo democratico sul controllo della spesa pubblica che dovrà essere delimitata secondo i canoni di una presunta razionalità. Non capire che quella certificazione di qualità dovrà stabilire quanto lo Stato si sia attenuto alle indicazioni dei privati sulle modalità di impiego di quelle minime risorse che il “vincolo esterno” ci concede. Certificare insomma che lo Stato non racchiude in sé gli sviluppi dinamici e conflittuali della società intera ma – come pensano alcuni antagonisti funzionali al sistema – è un ente statico che non si potrà mai conquistare. La privatizzazione della sfera pubblica è un processo apparentemente travolgente proprio perché le ramanzine sulla competenza tecnica degli operatori razionali di mercato hanno foggiato i costumi e le condotte degli individui. La didattica pedagogica delle scuole di business.

marzo 4, 2021

SFRUTTAMENTO E CLASSE!

di Franco Astengo

Pubblicato a Lipsia nell’estate del 1845 ritorna in libreria (edizioni Feltrinelli), nella storica traduzione di Raniero Panzieri “La situazione delle classe operaia in Inghilterra” di Friederich Engels.

Sfruttamento e Classe: ci troviamo così nell’occasione di una rilettura di questi due termini fondamentali per la storia (e l’avvenire?) di quello che un tempo avevamo definito movimento operaio.

Un’occasione di riflessione che si presenta in un momento di grande difficoltà per le espressioni politiche, di sfrangiamento sociale, di mutazione pressoché antropologica imposta da circostanze ed eventi da molti non previsti e ignoti nella loro destinazione storica.

Nella recensione del testo, curata per il “Manifesto” da Donatella Santarone, si fa cenno a quanto scrivono i due curatori della riedizione, Donaggio e Kammerer, indicando come uno dei temi centrali del libro di Engels appaia essere quello “dell’odio di chi lavora verso i padroni del lavoro”.

Sale subito alla mente il Sanguineti “dell’odio di classe” e ci si interroga su quanto vale oggi quell’affermazione in tempi di indefinitezza delle contraddizioni e di società non più liquida ma “gassosa”,almeno in quelli che qualche anno fa avremmo definito “ i punti alti dello sviluppo”.

L’interrogativo che principalmente dovrebbe interessarci adesso potrebbe essere così riassunto: Il mutamento che si è registrato nella condizione materiale di vita e di lavoro dal tempo in cui Engels scrisse quel testo ad oggi, è stato dovuto dall’impeto della lotta di classe o alla crescita infinita dello sviluppo produttivo oppure, ancora, quanto dal combinato disposto tra questi due fattori?

La lotta di classe vive se ci sono condizioni per un governo della politica verso lo sviluppo e non esiste quando questa capacità di governo viene meno e la politica resta ancillare rispetto alla tecniche, trasformandosi appunto in “tecnocrazia”?

Come si capirà bene l’attualità di questo secondo interrogativo appare quanto mai stringente.

Engels non aveva dubbi: lotta di classe e sviluppo (tecnologico, scientifico, industriale) dovevano camminare a fianco a fianco e da lì sarebbe nata la scintilla della trasformazione, che poi avrebbe assunto diverse forme fino al fallimento del più “forte” tentativo di inveramento statuale che ha attraversato il ‘900.

Così dalla lotta di classe portata dentro lo sviluppo tecnologico nacquero i grandi partiti di massa nell’Europa Occidentale fino al leniniano “Soviet più elettrificazione uguale socialismo” e all’interventismo statale della pianificazione e/o della programmazione (più o meno democratica).

Oggi l’evoluzione scientifica e la raffinatezza del comando mediatico hanno portato ad “smarrimento” determinato dall’individualismo (anche quello dei “diritti”) che agisce ormai indisturbato in un quadro di diseguaglianze complesse.

L’asimmetricità delle condizioni materiali di vita (e di sfruttamento) tra le varie parti del mondo appare come questione dominante tale da impedire, forse, di vedere oggi una dimensione compiuta e organica della lotta di classe facendo smarrire anche l’idea dello sviluppo.

Intendo affermare, con questo, che non possiamo più considerare lo scontro sociale patrimonio dell’avanzato mondo occidentale e che non basta il residuo di un “terzomondismo” condito da una sorta di esigenzialismo ambientalista per fornire alle contraddizioni una nuova miscela di lotta.

E’ rimasta tutta intera la questione irrisolta del XX secolo e che Engels non proponeva nel suo testo del 1845 (tre anni prima della pubblicazione con Marx del “Manifesto): la questione del potere e dello stato.

La traduzione di Panzieri fu pubblicata per la prima volta nel 1955 dalle edizioni Rinascita.

Panzieri in quel momento era impegnato nell’analisi con la quale elaborò i concetti di “operaio massa” e di “composizione di classe”.

Panzieri indicava la strada dell’alternativa in lotte di fabbrica che presentassero la richiesta di un controllo operaio sulla produzione (come produrre, per chi produrre).

L’avanzamento di questa domanda “tutta politica”, di presa di potere “nella e sulla fabbrica”, fu disconosciuta dalle organizzazioni ufficiali del movimento operaio, tutte intente – in quella

fase – a muoversi sulla linea delle politiche keynesiane indirizzate alla sfera dei bisogni e dei consumi (era il momento del cosiddetto “miracolo italiano”).

Le lotte di fabbrica di quel periodo spiazzarono, però, l’analisi marxista ufficiale incentrata sulla arretratezza del capitalismo italiano, sulla necessità della ricostruzione nazionale e sull’esaltazione della capacità produttiva del lavoro.

L’ analisi di Panzieri incontrò il limite del non incrociarsi con la possibilità di realizzare, in quella fase, una adeguata rappresentanza politica.

Rimase tutta interamente inevasa, anche allora, l’esigenza di incarnare l’analisi in una strutturazione politica.

Rileggere oggi Engels con la mente rivolta al suo traduttore può rappresentare un momento di riflessione non tanto e non solo sulle occasioni mancate e sull’impossibilità di ripetere schemi ormai desueti nella modernità ma per comprendere meglio la nuova qualità delle fratture sociali in una fase nella quale il tema del rapporto tra Potere/Stato/modello di sviluppo rimane ancora tutto da costruire, tanto più in assenza di soggettività definite e di egemonia di forti “contraddizioni in seno al popolo”, come si diceva una volta.

marzo 4, 2021

Il romazno di una giovane povera.

Elodie è una a cantante classe 1990 figlia di un’artista romano e di ex modella creola. I suoi genitori si separano quando la futura cantante è ancora piccola, così la famiglia affronta una serie di pesanti problemi economici. Nel 2015 comincia la sua scalata al successo, che la porta ad essere una delle cantanti italiane più apprezzate e remunerate del Bel Paese. Perchè ci interessa tutto ciò? Perchè Elodie ieri sul palco di Sanremo ha dato vita ad un monologo autobiografico-motivazionale in cui la sua parabola da sottoproletaria a stella dello showbiz tricolore è posta come esempio per le nuove generazioni. Il suo monologo si inserisce non a caso in un contesto economico-sociale drammatico: la disoccupazione aumenta a ritmi vertiginosi (in particolare quella femminile), le nuove generazioni incastrate nella didattica a distanza avranno meno possibilità di trovare lavoro rispetto a quelle precedenti, il meridione (da cui Elodie proviene, avendo effettuato la sua scalata sociale fra Roma e Lecce) viene considerato ormai defunto, in quanto il nuovo governo a guida Draghi non ha alcun programma di rilancio per il Sud, i figli di immigrati nati in Italia in questa situazione sono fra i più penalizzati, poiché vedono i genitori perdere il lavoro e dubitano la scuola offra a loro la possibilità di trovarne uno (Elodie è di famiglia mista). In questo contesto il discorso autobiografico-motivazionale di Elodie ha un forte senso politico, e un chiaro orientamento ideologico: è la traduzione del sogno americano in salsa tricolore.Analizzando meglio la biografia di Elodie, possiamo notare altri particolari significativi: la sua scalata nello showbiz inizia grazie alla frequentazione del mondo delle discoteche in giovanissima età, in cui lei dapprima fa la cubista e poi la vocalist. Grazie alle conoscenze raccolte nell’ambiente, si presenta dapprima al talent X Factor nel 2009 (venendo subito scartata), poi al programma Amici di Maria De Filippi nel 2015, dove arriva seconda. La notorietà conseguita grazie al talent la fa salire rapidamente nel rank delle giovani cantanti italiane, dove la sua scalata s’incrocia con quella di alcuni big provenienti dal movimento rap e trap (da Guè Pequeno a Marracash, passando per Mahmood e Dardust) che vedono nella sua ascesa sociale da povera di provincia a star nazionale la realizzazione del sogno di riscatto sociale tipico del movimento trap. C’è qualcosa di male in tutto ciò? Assolutamente no, ma farne un modello collettivo presenta forti problematiche, accenneremo ad alcune di queste.La scalata di Elodie è nel contempo la negazione e l’affermazione paradossale della meritocrazia: abbandonato il liceo per seguire la carriera di cubista, la nostra capisce fin da giovane che l’istruzione è ormai obsoleta se si vuole tentare l’ascesa sociale, si dedica quindi ad ampliare il suo giro di conoscenze, facendosi notare per le sue qualità canore e la sua ambizione. La sua entrata nello showbiz avviene grazie ai talent televisivi, la quintessenza stessa del modello populista (ad ognuno è aperta la porta per diventare una stella) di era berlusconiana, modello nato dall’ideologia del Biscione e poi divenuto un modo di concepire il mondo universalmente accettato, poiché sostituisce con l’ascesa individuale l’ormai obsoleto modello del miglioramento delle condizioni economico-sociali collettive, ottenute mediante la lotta di classe e non l’arrangiarsi del singolo.L’altro problema è dato dal fatto che la biografia di Elodie è un ottimo esempio di riscatto individuale, ma ha in sé il problema dell’estendibilità: quante persone possono oggettivamente sperare di fare la stessa scalata sociale? Qualche centinaio se va bene… e le milioni di persone che non ce la fanno? Il discorso motivazionale di Elodie gli suggerisce di continuare a sognare e provare, poiché non c’è altra strada. Elodie ribadisce quindi l’ideologia thatcheriana del TINA: non c’è altra strada per fuggire dalla povertà se non lottare ognuno per sé e sperare qualcuno di già inserito nel sistema (e qui si innesta il suo commosso omaggio al pianista jazz e mentore Mauro Tre) ti noti e ti coopti al suo interno. Il populismo si fonde perfettamente con l’ideologia della meritocrazia, ed insieme sorreggono l’idea che a questo sistema non ci sia alcuna alternativa: o così oppure non c’è che la povertà e l’insignificanza.Perché questo discorso è accettato tanto da sinistra quanto da destra, tanto fra i liberal conservatori quanto fra i progressisti? Perché Elodie ci suggerisce tramite la suo biografia che questa lotta verso la vetta è aperta a tutti, indipendentemente da sesso, orientamento sessuale, razza, religione, ecc e tale deve rimanere: qualsiasi tentativo di bloccare l’accesso a tale lotta di tutti contro tutti per motivi legati all’identità etnica o sessuale dev’essere fermamente condannato.Nel suo discorso motivazionale quindi antirazzismo, antisessismo, antiomofobia si fondono alla perfezione con il No Way Out liberista: il miglioramento delle condizioni economico-sociali di tutti diventa la lotta universale a mantenere aperta a chiunque l’arena per arrivare alla vetta.Visto nella nostra ottica il messaggio di Elodie si trasforma quindi da commovente/incoraggiante ad inquietante: una vita migliore è potenzialmente aperta a tutti, ma solo pochi ci arriveranno, per gli altri non c’è più alcuna speranza, né individuale né collettiva.