di Beppe Sarno
Chi dobbiamo processare adesso che tutto sembra fermarsi in attesa di un evento salvifico che nessuna sa cosa sia e quando e se arriverà?
La moderna società capitalistica sì e sviluppata seguendo una regola costante e immodificabile perchè gli abbiamo conferito i contorni di un culto: quello della preziosità del tempo. “Il tempo è denaro!” si dice.
Una preziosità che si aggiunge ad altri simboli della venalità perchè trova il suo motore in uno degli istinti più bassi dell’uomo: la cupidigia.
Oh cieca cupidigia e ira folle/ che si ci sproni nella vita corta/ e ne l’etterna poi si mal c’immolle!
Così Dante scrive nel XII Canto dell’Inferno (vv. 49-51) della Divina Commedia. Con tali versi Dante intende spiegare che l’avidità di beni materiali e la rabbia (rivolta alle persone) guidano l’animo degli uomini ad azioni molto violente durante la loro breve vita terrena (nella vita ultraterrena Dante descrive i violenti in una pozza di sangue bollente immersi per gradi a seconda della gravita delle loro azioni).
Abbiamo assistito fino all’altro ieri ad una corsa a comprimere il maggior numero di eventi e di notizie nel più breve tempo possibile. una notizia su facebook dura qualche minuto e poi scompare divorata da altre notizie che si susseguono nell’arco di una giornata nella frenetica ingordigia di chi ha una insaziabile fame e mentre si ingozza di cibo, nasconde il cibo restante agli altri per portarselo via. “E’ la finanza” ci dicevano “è la globalizzazione” facevano eco gli stupidi.
Così il vivere civile si è strutturato in funzione di questa velocità. comprimere il tutto per riempire di più il sacco. Più eventi ma sempre più brevi. un articolo non deve superare le tremila parole altrimenti nessuno lo legge. Il bombardamento di informazioni che riceviamo in un giorno solo pochi anni fa avrebbero richiesto mesi, anni.
Malgrado ciò lavoravamo intenti al lavoro per produrre in maniera sempre più completa dal punto di vista qualitativo e quantitativo tanto che il prezzo che ci viene pagato o che viene pagato ai lavoratori in genere è ben poca cosa rispetto alle rinunce che vengono chieste in nome della produttività.
Una partita di pallone su sky, le vacanze al mare, la pizza al sabato sera. Per questo abbiamo svenduto la nostra dignità. Il merito però fino ad oggi veniva dato alla tecnologia, al progresso scientifico per cui chi avesse voluto accampare diritti, rivendicazioni sarebbe stato trattato come un ladro un traditore della classe dominate che ci consentiva tutto questo.
I lavoratori in questo ciclo infernale avevano ben poco da rallegrarsi.
La pandemia che stiamo vivendo ha però allargato il problema. Ci rendiamo conto che la folle corsa che stavamo facendo i nostri folli sforzi intesi ad accorciare i tempi e le distanze hanno coinvolto tutti non solo i lavoratori.
L’intera umanità si è dovuta fermare perchè quella folle corsa che stavamo facendo in nome dell’efficienza produttiva aveva bisogno di una energia che ricavavano dalla’avvelenamento costante dell’ambiente.
L’autogenocidio dell’umanità nasce da questo sforzo del sintema capitalistico di accorciare il tempi per renderli più funzionali al profitto e perciò più produttivi.
la tecnologia, il progresso hanno scaricato sulla natura il prezzo di questo prendere sempre senza rendesi conto che prima o poi sarebbe venuto il momenti do pagare il conto.
Il mito di Prometeo ci aveva accecati e non ci rendevamo conto di quanto il sistema fosse labile, pronto a collassare prima o poi.
Prima si è cominciato con le auto sempre più veloci ma impedite a muoversi per via del traffico, gli aerei uguale, tutto all’insegna della velocità, però poi ti rendevi conto che fra attese e ripartenze da Napoli a Milano impiegavi lo stesso tempo con il treno di quanto impiegavi con l’aereo.
Nelle fabbriche senza nessuna protezione sociale i tempi di produzione diventavano sempre più febbrili pena il trasferimento della produzione all’estero. Il lavoro come alienazione. Contemporaneamente le case farmaceutiche diffondevano farmaci elaborati con il preciso intento di curare quelle nevrosi causate dalla corsa contro il tempo.
Perchè è successo tutto questo?
Perchè non abbiamo capito che la vita ha cicli biologici legati al un unico concetto: ‘equilibrio” fra gli uomini, fra la natura e l’uomo, fra gli uomini e gli altri esseri viventi.
Tutti legati da rapporti di tempo lentamente variabili a cui anche il dio Kronos doveva sottomettersi.
Ci siamo illusi di poter corrompere Kronos.
la pandemia ci ha insegnato che tentare di spezzare i rapporti del tempo spezza a sua volta questo equilibrio fra uomo e la natura. Impadronirci dei delicati meccanismi del tempo ci ha dannati piegando la nostra presunzione che ci ha spinto ad illuderci che potevamo cambiare le regole incontrovertibili del gioco.
la natura ci ha fermato. Nel momento in cui ci apprestiamo ad uscire da questa bolla temporale dobbiamo riconsiderare i nostri progetti e provare a fermare la nostra folle ed inutile corsa.
Per fermare lo scempio dei patrimoni naturali e culturali per arrestare la dilapidazione della natura dobbiamo svestirci di questi due bassi istinti: la cupidigia e la presunzione.
Se no lo faremo la Natura come un flagello biblico non si fermerà e questa volta Kronos divorerà per sempre i suoi figli.
Beppe Sarno
Kronos ultimo dio!
Futura!
LA SINISTRA NEL MONDO CHE VERRA’
di Alberto Benzoni.
Oramai è ufficiale. Dio è morto. E ad annunciarlo è stato il Papa. Non in un’enciclica “urbi et orbi”; ma nel corso di un appuntamento domenicale.
Stiamo parlando dell’Economist. E del suo editoriale del 28 marzo. Una pagina per prendere atto che il mondo nato trent’anni fa e destinato, così si diceva, ad una vita eterna, non c’è più. Finita la globalizzazione, con le infinite reti che la strutturavano. Finita (forse perché mai realmente esistita) l’autonomia dell’economia rispetto alla politica o meglio la dipendenza della seconda rispetto alla prima. Finita l’ortodossia economico-finanziaria con le sue regole e i suoi custodi. Finito, anzi definitivamente sepolto, l’ordinamento liberale nella sua ipotesi di fondo: l’estinzione, per irrilevanza, degli stati nazionali.
Finita, soprattutto, un’intera epoca storica. Anzi sepolta per sempre. Perché, da oggi in poi, il pendolo tenderà verso una direzione del tutto opposta. Una direzione di cui il settimanale (come tutti noi) coglie facilmente il protagonista; ma non la natura e i possibili sbocchi. Così da dedicare all’annuncio una pagina; ma non, come sarebbe necessario, l’intero numero.
E si capisce anche il perché. Il cantore della democrazia liberale (anche in questo caso, l’aggettivo fa nettamente premio sul sostantivo) sta guardando la scritta sul muro; e chiude gli occhi terrorizzato. Vede lo stato padrone dell’economia; ma vede anche lo stato padrone della vita dei suoi cittadini. Dovrebbe vedere anche una cosa che a noi è ben chiara, la crescita esponenziale delle disuguaglianze e ad ogni livello; ma sarebbe chiedergli troppo.
Guardiamola allora noi, la scritta sul muro. E senza distogliere lo sguardo. Perché la pandemia sarà tra noi ancora per molto tempo. Cambiando in profondità tutte le regole del gioco. E perché le scelte che compiremo nel “durante” saranno decisive nel determinare il “dopo”.
E queste scelte, attenzione, non si collocano lungo la scala del “più o meno”. Me in termini di “o/o”. Magari per arrivare, a partire da questa base, ai necessari compromessi. O/o: chi difende il diritto alla salute per tutti i cittadini contro chi considera prioritaria la ripresa economica; chi considera prioritaria la lotta contro l’esplodere delle disuguaglianze, contro chi considera il tema secondario se non irrilevante; chi guarda con speranza al ritorno di uno stato protagonista dello sviluppo economico e sociale contro di chi si muove per ritornare all’ordine di prima; chi sogna uno stato garante e promotore della democrazia contro chi opera per uno stato autoritario e onnipotente; chi sostiene la centralità del servizio pubblico contro chi vorrebbe sostituirla con erogazione momentanee per i bisognosi; e, infine, chi opera in vista di un internazionalismo solidale contro i cultori, e praticanti della lotta di tutti contro tutti.
Uno scontro. Tanti scontri. Un dramma. Tanti drammi. Il cui svolgimento e la cui “visibilità politica” dipenderanno dalla natura e dalla consistenza delle forze messe in campo.
Alcune le vediamo in azione e le conosciamo quindi perfettamente. Conosciamo Trump. E i suoi collaboratori. Le loro cieche sanzioni; l’America prima di tutto; la loro attenzione alle esigenze dell’economia e il loro disinteresse per la salute dei propri concittadini. Conosciamo Orban e i suoi tanti attuali e potenziali imitatori; e vediamo come in tanti stati del mondo, dall’Europa dell’est, al Medio oriente, all’Asia meridionale, all’America latina, la crisi del coronavirus è vista come un’occasione d’oro per limitare al massimo libertà, democrazia e diritti. Ma conosciamo anche le anime morte; prime tra tutte i poteri forti d’Europa disposti a concedere libertà d’azione e di spesa agli stati in difficoltà, ma sperando che si tratti di una concessione momentanea e negandosi stupidamente a solidarietà collettive.
A nostro favore, almeno per ora, soltanto l’evidenza dei fatti e l’evolvere delle coscienze. Un conto sentirsi snocciolare da emeriti studiosi dati statistici sulla povertà e sulle disuguaglianze nel mondo. Tutt’altro conto è vedere gli indiani che fuggono dalle città per rifugiarsi sugli alberi dei loro villaggi in assenza di altri luoghi in cui andare; o i senza tetto di Los Angeles allineati in parcheggio all’aperto della città e a distanza di sicurezza; o i rider attaccati nelle città italiane per rubare le pizze, non certo ad opera della criminalità organizzata o dei cinesi. Tre, quattro, poche immagini che non riescono ancora a scuoterti; ma quando saranno cento e mille o ti metterai a piangere o ti dirai “dobbiamo fare qualcosa”.
A nostro favore il numero crescente di “pentiti”. Parliamo di quanti – politici, studiosi, opinionisti, operatori economici e sociali – hanno cantato le lodi delle “magnifiche sorti e progressive” susseguenti alla caduta del muro e che oggi hanno cambiato idee e orientamenti e riscoperto antichi valori. Un fenomeno molto più consistente di quanto si pensi. E che non va assolutamente sottovalutato e men che meno disprezzato. Dopo tutto, se San Paolo non fosse stato colpito sulla via di Damasco, il messaggio cristiano avrebbe fatalmente tardato ad assumere la sua dimensione universalistica. Mentre senza il compromesso tra capitalismo e democrazia non ci sarebbero stati i “trenta gloriosi” del secondo dopoguerra. E, fatto che ci riguarda più direttamente, senza Roosevelt non ci sarebbero stati né il “new deal”, né la lotta vittoriosa contro il nazifascismo, né il “welfare state”.
“Noi, nostri”: ma di chi e di che cosa stiamo parlando? La domanda è non solo legittima ma essenziale per chi voglia capire la situazione in cui viviamo. E agire di conseguenza.
E la risposta è: con la parola noi intendiamo parlare della cultura universale del socialismo democratico che aggiunge alla parola libertà quella di eguaglianza e soprattutto di fraternità. E a quanti, nel mondo, pensano, agiscono, lottano e soffrono per difendere questi valori. E quando parliamo di sinistra, quanti, provenienti da altri orizzonti politici e culturali, sono disposti a battersi al loro fianco contro i fautori del vecchio ordine e contro la barbarie incombente. Ma non certamente ai socialismi e alle sinistre ufficialmente presenti sulla scena. E per il semplice fatto che questi sono diventati simulacri privi di vita.
Lo sono diventati dal giorno in cui hanno cessato di scommettere sul loro futuro perché convinti della vittoria del loro tradizionale antagonista, il capitalismo finanziario, globalizzato e, come dire, convinto della propria autosufficienza. Convinzione curiosamente condivisa da una sinistra radicale, afflitta, non a caso, dalla stessa impotenza.
Da allora in poi, tutti separati l’uno dall’altro. E tutti portati a giocare nel giardinetto di casa, sotto sorveglianza e fino all’ora di cena; e senza impicciarsi minimamente di quello che stava avvenendo all’esterno.
Un’impotenza procurata. Che li ha resi tutti, dico tutti, incapaci sempre di capire ciò che stava accadendo, dalla crisi del 2007/2008 in poi; e di reagirvi nel modo giusto.
Oggi, nell’era del coronavirus – sono passati due/tre mesi e sembra un’eternità – abbiamo sentito migliaia di voci; ma praticamente nessuna che fosse oltre il minimo sindacale da parte della sinistra ufficialmente iscritta all’albo.
E allora, la “sinistra che verrà” non nascerà da quella ufficiale. Perché non avrà la fisionomia partitica ma piuttosto quella di un fronte costituito dal comune sentire di aree diverse tra loro. Perché avrà, necessariamente, una dimensione internazionale e internazionalista. Perché non nascerà da accordi di vertice ma sarà il frutto della crescita di tanti movimenti e di tante esperienze separate. Perchè suo fattore determinante sarà il crescere dell’indignazione e della protesta suscitata dall’enormità delle sofferenze dei governati rapportata alla cecità criminosa dei governanti; fino al grido liberatore del “mai più/nunca mas”. E, infine e soprattutto, perché crescerà e si solidificherà lungo la discriminante tra cultura della solidarietà e cultura e quella del barbarie.
Una scommessa, magari a 50 o a 100 contro uno? Un’utopia? Un mito?
Semmai, un’idea/forza; l’unica a nostra disposizione.
Perché i morti di Prato sono italiani.

Non cercate qualcosa di sinistra sull’Unità, leggete Famiglia Cristiana. Ve lo dice uno che cerca di informarsi, di trovare quel rivolo di idee di sinistra che sono state sepolte dal berlusconismo e che il suo nipotino di sinistra cerca di coprire sotto una pietra tombale.
Perché i morti di Prato sono italiani
Questo è il titolo dell’articolo che ho letto su Famiglia Cristiana, molto interessante perchè ormai nessun quotidiano si interessa nel modo giusto della cosiddetta globalizzazione che altro non è che l’esportazione dello sfruttamento e della miseria in morte parti del mondo. 402 more words
IL CAPITALISMO NON PUO’ ESSERE RIFORMATO
MICKEY Z (worldnewstrust.com) – “L’essenza del capitalismo è trasformare la natura in merci e le merci in capitali”
– Michael Parenti
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Keynes e la sua rivoluzione nel pensiero economico.
Pubblichiamo l’introduzione di Emiliano Brancaccio al volume di John Maynard Keynes, “Esortazioni e profezie“ (Il Saggiatore, Milano 2011; orig. 1931). Titolo originale: “La rivoluzione da Mosca a Cambridge”.
Brancaccio mette in evidenza come il tentativo keynesiano di portare una rivoluzione nel pensiero economico si incrocia con una fase storica in cui il capitalismo, pressato dalla presenza di un modello alternativo proveniente dalla Russia sovietica, è disposto ad accettare un compromesso riformista. Il pensiero di Keynes è colmo delle “contraddizioni feconde” di un pensatore educato ed influenzato, come egli stesso ammetteva, nella “cittadella” dell’ortodossia neoclassica, ma capace di mettere in crisi molti dei fondamenti di quella dottrina. Il testo di Brancaccio inoltre smonta alcuni luoghi comuni su Keynes, figli di una lettura fuori dal contesto di due sue notissime affermazioni: “Nel lungo periodo siamo tutti morti” e la metafora delle buche nel terreno.
di Emiliano Brancaccio
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La democrazia delle multinazionali.
E’ di 23 feriti il bilancio della manifestazione indetta dai dipendenti della marchio americano in Cambogia. I sindacati denunciano: “Usati manganelli elettrici, una donna incinta ha avuto un aborto”
Almeno 23 operai cambogiani di una fabbrica che produce abbigliamento per la Nike sono rimasti feriti sotto le cariche della …Visualizza altro
Smontiamo i luoghi comuni: il keynesismo non è più attuale a causa della globalizzazione?
La globalizzazione è un fenomeno tutt’altro che recente. In effetti, come abbiamo visto, il capitalismo nasce con le borse in cui si trattavano gli scambi commerciali internazionali.
L’importanza di controllare i movimenti di capitali e la timidezza del FMI
E’ ufficiale. Il Fondo Monetario Internazionale ha approvato il controllo sui capitali legittimando l’utilizzo delle imposte e di altre misure di restrizione sui flussi finanziari transnazionali.
Fino a poco tempo fa, l’FMI aveva spinto i paesi, ricchi e poveri, ad aprirsi ai finanziamenti stranieri. Ora ha riconosciuto la realtà dei fatti, ovvero che la globalizzazione finanziaria può essere distruttiva e indurre a crisi finanziarie e a movimenti valutari economicamente sfavorevoli. Continua a leggere »