
Nel 1902 l’anarchico Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921) scrisse questo fondamentale volume, che Elèuthera editrice ha meritoriamente fatto ristampare quest’a…
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Nel 1902 l’anarchico Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921) scrisse questo fondamentale volume, che Elèuthera editrice ha meritoriamente fatto ristampare quest’a…
L’uomo non africano si separò da quello africano tra 62.000 e 95.000 anni fa. Lo afferma un nuovo studio sul DNA mitocondriale di alcuni reperti paleontologici che permette di confermare la cronologia recente dell’evoluzione umana così come emerge dallo studio dei fossili. Sono così smentiti alcuni recenti risultati basati sulla stima delle mutazioni che intervengono da una generazione all’altra nel DNA nucleare e che volevano retrodatare tutte le tappe fondamentali della nostra storia filogenetica.
La storia evolutiva dell’uomo raccontata dal DNA dei fossili è corretta. Lo afferma un nuovo studio coordinato da Svante Pääbo, del Dipartimento di Genetica evolutiva del Max-Planck-Institut per l’Antropologia evoluzionistica a Leipzig, in Germania, che, sulla base dell’analisi del DNA mitocondriale di una decina di reperti paleontologici ben conservati, smentisce alcuni recenti risultati, basati sul confronto di sequenze genomiche di padri e figli, che volevano retrodatare tutte le più importanti tappe dell’evoluzione umana.
La teoria dell’evoluzione potrebbe non essere utile solo a ricostruire la nostra storia biologica, ma anche a trattare le piu’ difficili forme di cancro. Un nuovo studio pubblicato su Nature, infatti, mostra come si possa utilizzare i modelli matematici utilizzati dai biologi evoluzionisti per prevedere la diffusione del cancro all’interno del corpo, e di conseguenza trattarlo con maggiore efficacia. “Analizzando 28 pazienti in stato avanzato di cancro al colon trattato con anticorpi, abbiamo scoperto che le cellule tumorali con la mutazione che le resistenti ai farmaci appaiono circa 5-7 mesi dall’inizio del trattamento.
Alcuni scienziati stanno usando le più recenti tecnologie di scannerizzazione per tracciare l’evoluzione del volo, esaminando le dimensioni e la forma del cervello degli uccelli in varie specie, sia antiche che moderne. Il progetto riunisce ricercatori del Museo nazionale della Scozia e dell’Università di Abertray Dundee nel Regno Unito insieme all’Università di Lethbridge in Canada.
Il cervello degli uccelli cresce fino a riempire quasi completamente il cranio, il che significa che il cranio può essere usato per analizzare le dimensioni e la forma del cervello. Gli scienziati sono interessati in particolare alla struttura chiamata flocculo. Parte del cervelletto, il flocculo integra segnali visivi e di equilibrio durante il volo, permettendo all’uccello di concentrarsi sugli oggetti in movimento in tre dimensioni mentre sono in volo.
Una questione fondamentale è se le specie con un flocculo più grande siano più capaci di elaborare segnali visivi e di equilibrio durante il volo. Similmente gli scienziati desiderano scoprire se gli uccelli che hanno perduto la capacità di volare, come è successo per il dodo, hanno un flocculo più piccolo. Oltre a fare nuova luce sull’evoluzione del volo, i ricercatori sperano che i loro risultati riveleranno se alcuni dinosauri simili a uccelli fossero realmente dinosauri o uccelli che non erano più in grado di volare.
Ricostruire il quadro dell’evoluzione della vita prima della cosiddetta esplosione del Cambriano, 580 milioni di anni fa, è estremamente difficile, dato che ben raramente gli organismi a corpo molle vissuti nei tre miliardi di anni precedenti hanno lasciato reperti fossili. La traccia più sicura è di fatto il DNA che, sia pure con molti cambiamenti, gli organismi si sono tramandati di generazione in generazione.
Proprio seguendo queste tracce alcuni biologi computazionali del MIT hanno cercato di ricostruire i genomi e l’evoluzione delle prime forme di vita.
Come illustrano Eric Alm e Lawrence David in un articolo su Nature, essi hanno combinato le informazioni conservate nelle sempre più estese banche del genoma con un nuovo modello matematico che tenesse conto del modo in cui i geni evolvono: nuove famiglie geniche possono svilupparsi e venire ereditate; altri geni possono essere scambiati e trasferiti orizzontalmente fra differenti organismi; altri ancora possono venire duplicati all’interno di uno stesso genoma e, infine, alcuni possono andare persi.
Secondo lo studio, una cellula eucariotica media può supportare un numero di geni 200.000 volte maggiore rispetto a un batterio
L’evoluzione della vita complessa è strettamente dipendente dai mitocondri, le “centrali energetiche delle cellule”: è questa la conclusione di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature a firma di Nick Lane e colleghi dello University College di Londra.
Per 70 anni gli scienziati hanno dibattuto se l’evoluzione del nucleo sia stata la chiave per lo sviluppo della vita complessa. Ora Lane e colleghi sostengono che un ruolo ancora più importante sia stato rivestito dai mitocondri, anche per lo sviluppo di innovazioni complesse per la cellula, come lo stesso nucleo, in virtù della loro funzione di “stazioni energetiche”.
“Si tratta di un’ipotesi che va contro il punto di vista tradizionale secondo cui il ‘salto’ verso la complessa cellula eucariotica semplicemente richiederebbe le opportune mutazioni, mentre in realtà è necessaria una sorta di rivoluzione industriale in termini di produzione di energia”, ha commentato Lane.