Posts tagged ‘ESC’

gennaio 14, 2011

Un derivato dei coralli del Mar Rosso aiuta a combattere i tumori della pelle.

Forse è nel meccanismo fotosintetico dei coralli una possibile sostanza benefica Forse è nel meccanismo fotosintetico dei coralli una possibile sostanza benefica

Un gruppo di scienziati della South Dakota State University stanno studiando i meccanismi per cui una sostanza derivata dal corallo del Mar Rosso potrebbe contribuire a curare il cancro della pelle. Lo studio ha continuato un precedente lavoro del professor Chandradhar Dwivedi il quale indicava che un composto di una sostanza chiamata sarcophine-diol, può essere isolato dal corallo soffice del Mar Rosso. Il nuovo studio indica che è possibile utilizzare questa sostanza nella prevenzione del cancro della pelle.

settembre 1, 2010

Scompenso cardiaco: arriva una molecola italiana salvavita.

Italia protagonista nella lotta contro lo scompenso cardiaco, patologia invalidante diffusa tra il 2-3% della popolazione mondiale e che incide pesantemente sulla qualita’ della vita. Un rivoluzionario studio (Shift – Sistolic Heart Failure Treatment with If inhibitor Ivabradine Trial) e’ stato presentato a Stoccolma in sessione plenaria al Congresso Europeo di Cardiologia (Esc), e in contemporanea su ‘Lancet’. L”arma’ che cambiera’ radicalmente la storia di questa malattia e’ la molecola ivabradina che agisce in maniera specifica per ridurre i battiti del cuore. E le stime sul suo uso sono davvero rivoluzionarie: un quarto dei morti in meno ogni anno tra gli oltre un milione 200mila pazienti italiani e una riduzione del 26% dei ricoveri ospedalieri.La molecola, gia’ disponibile per altre indicazioni, e’ l’unica con un’azione mirata sulla frequenza cardiaca, importante fattore di rischio. “I dati sono davvero eccezionali – commenta Roberto Ferrari, presidente dell’Esc, Societa’ europea di cardiologia – soprattutto perche’ chi era incluso nello studio gia’ riceveva cure ottimali, come previsto dalle linee guida. Si tratta inoltre di una molecola antischemica immediatamente disponibile, utilizzata in pazienti con angina e per prevenire eventi coronarici. Agisce riducendo la frequenza cardiaca, un fattore di rischio poco conosciuto ma importante al pari di ipertensione, colesterolo alto, fumo e sovrappeso”. Inoltre, aggiunge l’esperto, “permette una migliore ossigenazione del cuore quando e’ sottoposto a uno sforzo. A partire da questo Congresso, l’ivabradina diventera’ una risorsa imprescindibile anche per lo scompenso”.(liquidarea)

luglio 26, 2010

Un nuovo freno alle metastasi ossee.

Un principio attivo intelligente in grado di rallentare gli effetti delle metastasi ossee: si chiama denosumab, ed è l’anticorpo monoclonale che viene dal futuro, quello delle biotecnologie, l’ultima frontiera in tema di sviluppo farmacologico. Presentato oggi in California uno studio che dimostra la sua superiorità rispetto alle terapie attuali nel ridurre e ritardare la comparsa di metastasi ossee nelle pazienti affetti da cancro al seno in 2.049 pazienti affette da carcinoma mammario in stadio avanzato. La superiorità è stata dimostrata nel ritardare una serie di complicazioni ossee gravi, nell’insieme denominate SRE (o eventi scheletrici correlati) e che comprendono anche fratture e compressione del midollo spinale.

“Siamo estremamente lieti dei risultati di questo importante studio, che dimostra come questo anticorpo monoclinale può ridurre o ritardare le gravi complicanze delle metastasi ossee nelle pazienti affette da carcinoma mammario più efficacemente rispetto all’attuale standard terapeutico, e con un profilo beneficio/rischio favorevole – ha dichiarato Roger M. Perlmutter, M.D., Ph.D., Executive Vice President della Ricerca e Sviluppo Amgen – Questi risultati sottolineano l’importanza del RANK Ligand nella progressione delle malattie delle ossa, e promettono di migliorare le cure per le pazienti affette da carcinoma mammario in stadio avanzato”.
Si tratta del primo anticorpo monoclonale totalmente umano in fase finale di sviluppo clinico che bersaglia in maniera specifica il RANK Ligand, il regolatore essenziale degli osteoclasti (le cellule che degradano l’osso).

luglio 24, 2010

Test diagnostici meno esosi con nuove tecniche e senza costosi anticorpi.

Dal laboratorio del Nobel Sharpless  in molti test diagnostici sarà possibile sostituire il ricorso ai costosi e delicati anticorpi con peptidi stabili e altamente selettivi ottenuti grazie a una nuova tecnica di sintesi

L’identificazione di specifiche proteine in un preparato biologico viene oggi spesso eseguita ricorrendo all’uso di anticorpi. La tecnica, per quanto efficace, presenta tuttavia diversi inconvenienti, come il costo e la scarsa stabilità degli anticorpi stessi.

Ora, come viene riferito sulla rivista “Angewandte Chemie” un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) e del Scripps Research Institute diretti da K. Barry Sharpless, premio Nobel per la chimica nel 2001, e James R. Heath hanno sviluppato un protocollo che consente la produzione rapida ed economica di composti altamente stabili, costituiti da brevi catene di peptidi, che sono in grado di legare una particolare proteina con un’affinità e una selettività estremamente elevate.

Lo scorso anno Heath e colleghi avevano sviluppato un’apparecchiatura di diagnostica medica delle dimensioni di un vetrino da microscopio, l’Integrated Blood-Barcode Chip, che può separare e analizzare rapidamente decine di proteine presenti in una goccia di sangue.

“Ciò che ci limitava nella capacità di esaminare diciamo 200 proteine con il barcode chip è il fatto che gli anticorpi sono instabili e costosi” spiega Heath. “Così abbiamo cercato di sviluppare degli equivalenti degli anticorpi, che chiamiamo agenti di cattura delle proteine, che potessero legarsi a esse con alta affinità e selettività, e che fossero capaci si superare questo test: metterne una scorta nel portabagagli di una macchina ad agosto a Pasadena e, un anno dopo, ritrovarli ancora funzionali.”

Per ottenere il risultato i ricercatori hanno sfruttato la tecnica di “in situ click chemistry” introdotta proprio da Sharpless nel 2001, che permette la costruzione passo passo a partire da piccoli frammenti peptidi capaci di legarsi a una proteina di interesse.

luglio 17, 2010

Il cromosoma Y si sta deteriorando da secoli.

Maschi in via di estinzione? Il cromosoma Y, quello che possiedono solo i rappresentanti del “sesso forte”, si sta deteriorando da secoli. E potrebbe svanire in pochi milioni di anni. È quanto emerge da uno studio americano che, per la prima volta, ha messo in luce il processo evoluzionistico che controlla questo deterioramento. Una coppia di scienziate della Penn State University (Usa) ha infatti scoperto che questo cromosoma sessuale si è evoluto con una rapidità ben maggiore rispetto al cromosoma X (che possiedono sia i maschi che le femmine).

Un’evoluzione talmente veloce che ha portato a una drammatica perdita di geni sul cromosoma Y. Una specie di “emorragia” che, se proseguirà a questi ritmi, potrebbe portare alla completa scomparsa del cromosoma maschile. Lo studio, pubblicato su “Plos Genetics” dal team diretto da Kateryna Makova, analizza tre classi di mammiferi: marsupiali (con piccoli prematuri che completano lo sviluppo in una tasca materna come i canguri), monotremi (che depongono le uova come l’ornitorinco) e placentati (con piccoli che allo stato embrionale si alimentano mediante una placenta, come l’uomo). Gli esseri umani hanno 23 coppie di cromosomi, ma solo una è composta da cromosomi sessuali.

luglio 10, 2010

Parkinson: nuovi studi sulla proteina Parkin.

Una recente ricerca ha rivelato che i difetti dei geni associati al Parkinson sono la causa di circa il 10% dei casi di morbo di Parkinson, mentre altri studi hanno dimostrato che i mitocondri (che sono spesso descritti come gli impianti energetici delle cellule) danneggiati potrebbero essere un’altra causa. Un nuovo studio condotto da ricercatori in Germania collega questi due fenomeni, mostrando in modo efficace l’importanza di due geni associati al Parkinson nel mantenere la funzionalità mitocondriale. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Biological Chemistry.

“Le malattie come il Parkinson, dove almeno alcuni casi sono collegati chiaramente alla disfunzione di geni specifici, offrono una promettente opportunità di ricerca,” ha spiegato il biochimico, dott. Konstanze Winklhofer della Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco. “Quando capiremo la funzione di questi geni, potremo apprendere molte cose sulle cause della malattia, il suo decorso e le possibili nuove cure.”(liquidarea)

luglio 8, 2010

Tumori, ricercatori italiani scoprono il gene che blocca le metastasi.

Una ricerca svolta da studiosi delle Università di Padova di Modena e Reggio Emilia, pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cell ha individuato un gene in grado di proteggere l’organismo dalla diffusione delle metastasi tumorali, il gene p63. Due team guidati da Stefano Piccolo (Padova) e da Silvio Bicciato (Modena e Reggio Emilia) hanno infatti scoperto i meccanismi che fanno sì che un tumore non resti localizzato all’organo colpito ma si diffonda ad altre aree del corpo attraverso le metastasi.

Le cellule che formano un tumore non sono molto diverse dalle cellule staminali: entrambi sono infatti dotate di un grande potenziale riproduttivo e hanno la capacità di migrare e trasformarsi in cellule che hanno caratteristiche aspecifiche, in grado cioè di migrare, riprodursi, colonizzare tessuti diversi.

In condizioni normali, la capacità delle cellule di riprodursi ad oltranza è bloccata da una proteina, la p63, che ha il compito di porre un limite al processo di riproduzione cellulare, cellule staminali comprese. Se infatti una cellula staminale si riproducesse all’infinito si comporterebbe né più né meno come una cellula neoplastica: invece, dopo che le cellule staminali hanno formato un particolare tessuto in un organo specifico, ad esempio il fegato o il cervello, la loro crescita viene bloccata da una specie di meccanismo di servocontrollo legato appunto alla proteina p63.

Ma se una cellula staminale tumorale manca del gene che codifica la proteina p63 o questo è inattivo, la cellula diventa potenzialmente immortale: la mancanza della proteina apre la porta a un comportamento aggressivo delle cellule tumorali, alla possibilità cioè di una loro migrazione, vale a dire alle metastasi.

luglio 5, 2010

Tumori, ricercatori italiani scoprono il gene che blocca le metastasi.

Una ricerca svolta da studiosi delle Università di Padova di Modena e Reggio Emilia, pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Cell ha individuato un gene in grado di proteggere l’organismo dalla diffusione delle metastasi tumorali, il gene p63. Due team guidati da Stefano Piccolo (Padova) e da Silvio Bicciato (Modena e Reggio Emilia) hanno infatti scoperto i meccanismi che fanno sì che un tumore non resti localizzato all’organo colpito ma si diffonda ad altre aree del corpo attraverso le metastasi.

Le cellule che formano un tumore non sono molto diverse dalle cellule staminali: entrambi sono infatti dotate di un grande potenziale riproduttivo e hanno la capacità di migrare e trasformarsi in cellule che hanno caratteristiche aspecifiche, in grado cioè di migrare, riprodursi, colonizzare tessuti diversi.

In condizioni normali, la capacità delle cellule di riprodursi ad oltranza è bloccata da una proteina, la p63, che ha il compito di porre un limite al processo di riproduzione cellulare, cellule staminali comprese. Se infatti una cellula staminale si riproducesse all’infinito si comporterebbe né più né meno come una cellula neoplastica: invece, dopo che le cellule staminali hanno formato un particolare tessuto in un organo specifico, ad esempio il fegato o il cervello, la loro crescita viene bloccata da una specie di meccanismo di servocontrollo legato appunto alla proteina p63.

Ma se una cellula staminale tumorale manca del gene che codifica la proteina p63 o questo è inattivo, la cellula diventa potenzialmente immortale: la mancanza della proteina apre la porta a un comportamento aggressivo delle cellule tumorali, alla possibilità cioè di una loro migrazione, vale a dire alle metastasi.

Il processo di crescita tumorale è regolato da un insieme di fattori: da un lato i fattori di crescita fanno proliferare le cellule neoplastiche e i vasi che le nutrono, dall’altro i fattori difensivi, come appunto il gene p63, sono in grado di bloccare o rallentare la proliferazione cellulare. Vi sono perciò tumori più aggressivi, pronti a formare metastasi, e tumori più contenuti, dotati di una minor carica proliferativa.

La scoperta dei ricercatori di Padova e di Reggio Emilia/Modena è importante in quanto p63 è una specie di spia molecolare potenziale che può permettere all’oncologo di conoscere se un tumore è più o meno aggressivo e quindi selezionare la terapia più adatta: ma in futuro potrebbe essere possibile utilizzare questa proteina per bloccare la crescita dei tumori.

giugno 12, 2010

Progetto TETRA: attacco su 4 fronti al carcinoma orale.

Otto nuovi casi ogni centomila abitanti ogni anno in Italia, con punte raddoppiate nel Nord Est. Oltre 3mila decessi l’anno, dopo terapie chemioterapiche e radio chirurgiche spesso inutili e altamente debilitanti. Una sopravvivenza inferiore al 15-20% per diagnosi tardive. Il tumore del cavo orale, a differenza di tante altre patologie, continua la sua inarrestabile ascesa, complice il vizio della sigaretta, dell’alcol, un’alimentazione scorretta. E se da un lato incidenza e mortalità, tipiche dell’età adulta, sembrano crescere lentamente, dall’altro si assiste ad un ‘boom’ tra le donne e i giovani, con percentuali in costante aumento. Purtroppo la diagnosi precoce è una rarità e quando il paziente giunge allo specialista è ormai troppo tardi: sette su dieci sono già negli stadi avanzati della patologia. La sopravvivenza media a 5 anni infatti è davvero bassa: appena il 40%.

Da queste premesse prende il via il ‘Progetto Tetra’, un attacco su quattro assi al cancro orale che, per la prima volta in Italia, vede unite la Commissione Nazionale Albo Odontoiatri (CAO) della FNOMCeO (Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri), presieduta dal dott. Giuseppe Renzo, e le società scientifiche istituzionali di riferimento in tema di salute orale SIPMO (Società Italiana di Patologia e Medicina Orale), presieduta dal Prof. Lorenzo Lo Muzio, Presidente del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Università di Foggia, e SIOCMF (Società Italiana di Odontoiatria e Chirurgia Maxillo-Facciale), presieduta dal Prof. Egidio Bertelli dell’Università di Siena, per pianificare un intervento di motivazione ed educazione alla prevenzione primaria, con contestuale presentazione di una rete di riferimento.

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