Pubblichiamo l’introduzione di Emiliano Brancaccio al volume di John Maynard Keynes, “Esortazioni e profezie“ (Il Saggiatore, Milano 2011; orig. 1931). Titolo originale: “La rivoluzione da Mosca a Cambridge”.
Brancaccio mette in evidenza come il tentativo keynesiano di portare una rivoluzione nel pensiero economico si incrocia con una fase storica in cui il capitalismo, pressato dalla presenza di un modello alternativo proveniente dalla Russia sovietica, è disposto ad accettare un compromesso riformista. Il pensiero di Keynes è colmo delle “contraddizioni feconde” di un pensatore educato ed influenzato, come egli stesso ammetteva, nella “cittadella” dell’ortodossia neoclassica, ma capace di mettere in crisi molti dei fondamenti di quella dottrina. Il testo di Brancaccio inoltre smonta alcuni luoghi comuni su Keynes, figli di una lettura fuori dal contesto di due sue notissime affermazioni: “Nel lungo periodo siamo tutti morti” e la metafora delle buche nel terreno.
Non è cosa di tutti i giorni vedere un ex membro del comitato esecutivo della BCE arrampicarsi sugli specchi dinanzi ad una serie di critiche puntuali. Mercoledì scorso ad Ancona, Lorenzo Bini Smaghi ha presentato e discusso con alcuni degli economisti italiani più capaci di criticare le ricette mainstream per uscire dalla crisi, il suo ultimo libro Morire di austerità. L’incontro era organizzato dal Mofir, un gruppo di ricerca estremamente vivace, attento all’analisi empirica delle principali variabili di politica monetaria e fiscale senza essere incline alla baloccometria (pericolo denunciato da de Finetti ben prima dello scandalo Reinahrt-Rogoff) e capace anche di aprirsi ad un pubblico di non specialisti.
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha dichiarato: «Il lavoro è il cuore di tutto. Se noi riusciamo sul lavoro a dare dei segnali positivi ce la faremo. Se sul lavoro non ci riusciamo, sono sicuro che non ce la faremo». Quanto alla riforma Fornero il premier ha commentato: «In un momento straordinario come questo è necessario un pochino meno di rigidità. Ci sono alcuni punti che in una fase recessiva stanno creando dei problemi come ad esempio le limitazioni sui contratti a termine, che sono necessarie in una fase economica normale, ma che in una fase di straordinaria recessione come quella l’attuale non sono utili, e per questo è necessaria una minore rigidità» (fonte: Il Sole 24 Ore). Un’argomentazione simile era stata sostenuta poco prima dal ministro del Welfare Enrico Giovannini.
Il gruppo EPIC (Economia Per I Cittadini) ha intervistato Emiliano Brancaccio, ricercatore e docente di Economia presso l’Università del Sannio.
Le cause della crisi europea, le divergenze tra paesi centrali e paesi periferici dell’Unione, gli ostacoli all’adozione di riforme in grado di contrastare le forze centrifughe in atto e la prospettiva di una implosione della zona euro. Una critica alla posizione di alcuni esponenti della Modern Money Theory favorevoli alle acquisizioni estere di capitali nazionali e un chiarimento sul fatto che esistono modi ben diversi di gestire una eventuale uscita dalla zona euro.
Per capire cosa è successo in Italia bisogna guardarla dall’estero. Ieri Paul Krugman spiegava che il nostro paese avrebbe votato Berlusconi e Grillo per protestare contro l’austerità di Monti. Oggi il Financial Times riprende lo stesso concetto: “Gli italiani arrabbiati dicono basta all’austerità”. E “basta” è scritto nella lingua di Dante, per sottolineare la sua perentorietà.
Il signor euro aveva più volte rischiato l’infarto. Il dottor Draghi decise allora di metterlo in coma farmacologico. Sulla cura però indugiava, e a intervalli periodici il dilemma amletico gli si ripresentava: lasciarlo dormire o farlo morire? Draghi insisteva per la prima soluzione. Ma ad un tratto il popolo italiano ha improvvisamente optato per la seconda: ormai l’euro è solo uno zombie, un morto che cammina. Volenti o nolenti, prendiamone atto.
Intervista ad Emiliano Brancaccio: l’interpretazione liberista della crisi del Montepaschi è fuorviante e manichea. il problema non è l’ingerenza della politica, ma l’adesione alla logica speculativa del mercato. Anziché tamponare con prestiti, lo stato dovrebbe avviare un percorso verso la nazionalizzazione.
Nel giugno di due anni fa un nutrito gruppo di economisti critici, su iniziativa di Bruno Bosco, Emiliano Brancaccio, Roberto Ciccone, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati, pubblica una lettera in cui si analizzano le cause della crisi, i pericoli che corre la moneta unica e le vie per uscirne. Sulla “lettera degli economisti” si accese all’epoca un vivace dibattito che vide contrapposti i firmatari a quelli che oggi sono i promotori del movimento “Fermare il declino”.
A più di due anni di distanza il testo rimane attuale e premonitore, in particolare riguardo gli effetti controproducenti dell’austerità, la necessità di riformare la BCE, l’esigenza di una efficace regolamentazione bancaria.
Lo riproponiamo ai nostri lettori come materiale di riflessione.
Se le buone intenzioni contenute nella “Carta d’intenti” dei progressisti italiani non fossero politicamente realizzabili per l’indifferenza di quelli tedeschi, la sinistra dovrà cominciare a elaborare una strategia di uscita dalla moneta unica e una revisione critica del mercato unico europeo
Intervista di Marco Berlinguer (Pubblico, 20 ottobre 2012)
La missione che si è dato Emiliano Brancaccio – brillante economista napoletano – è quantomai difficile. Nientedimeno che rompere un tabù: quello che si è creato attorno alla dottrina del libero commercio mondiale. La sua tesi è che con la crisi della globalizzazione capitalistica, nei fatti nuove forme di protezionismo e di controllo politico stanno crescendo. E che quella dottrina è in crisi e ormai superata. Ed è tempo che la sinistra se ne accorga, se non vuole che le proposte di limitazione dei movimenti di capitali e di merci – che incontrano crescenti consensi un po’ ovunque, anche in Italia – siano cavalcate soltanto da forze populistiche e nazionaliste.