Posts tagged ‘Dante’

aprile 27, 2020

Kronos ultimo dio!

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di Beppe Sarno
Chi dobbiamo processare adesso che tutto sembra fermarsi in attesa di un evento salvifico che nessuna sa cosa sia e quando e se arriverà?
La moderna società capitalistica sì e sviluppata seguendo una regola costante e immodificabile perchè gli abbiamo conferito i contorni di un culto: quello della preziosità del tempo. “Il tempo è denaro!” si dice.
Una preziosità che si aggiunge ad altri simboli della venalità perchè trova il suo motore in uno degli istinti più bassi dell’uomo: la cupidigia.
Oh cieca cupidigia e ira folle/ che si ci sproni nella vita corta/ e ne l’etterna poi si mal c’immolle!
Così Dante scrive nel XII Canto dell’Inferno (vv. 49-51) della Divina Commedia. Con tali versi Dante intende spiegare che l’avidità di beni materiali e la rabbia (rivolta alle persone) guidano l’animo degli uomini ad azioni molto violente durante la loro breve vita terrena (nella vita ultraterrena Dante descrive i violenti in una pozza di sangue bollente immersi per gradi a seconda della gravita delle loro azioni).
Abbiamo assistito fino all’altro ieri ad una corsa a comprimere il maggior numero di eventi e di notizie nel più breve tempo possibile. una notizia su facebook dura qualche minuto e poi scompare divorata da altre notizie che si susseguono nell’arco di una giornata nella frenetica ingordigia di chi ha una insaziabile fame e mentre si ingozza di cibo, nasconde il cibo restante agli altri per portarselo via. “E’ la finanza” ci dicevano “è la globalizzazione” facevano eco gli stupidi.
Così il vivere civile si è strutturato in funzione di questa velocità. comprimere il tutto per riempire di più il sacco. Più eventi ma sempre più brevi. un articolo non deve superare le tremila parole altrimenti nessuno lo legge. Il bombardamento di informazioni che riceviamo in un giorno solo pochi anni fa avrebbero richiesto mesi, anni.
Malgrado ciò lavoravamo intenti al lavoro per produrre in maniera sempre più completa dal punto di vista qualitativo e quantitativo tanto che il prezzo che ci viene pagato o che viene pagato ai lavoratori in genere è ben poca cosa rispetto alle rinunce che vengono chieste in nome della produttività.
Una partita di pallone su sky, le vacanze al mare, la pizza al sabato sera. Per questo abbiamo svenduto la nostra dignità. Il merito però fino ad oggi veniva dato alla tecnologia, al progresso scientifico per cui chi avesse voluto accampare diritti, rivendicazioni sarebbe stato trattato come un ladro un traditore della classe dominate che ci consentiva tutto questo.
I lavoratori in questo ciclo infernale avevano ben poco da rallegrarsi.
La pandemia che stiamo vivendo ha però allargato il problema. Ci rendiamo conto che la folle corsa che stavamo facendo i nostri folli sforzi intesi ad accorciare i tempi e le distanze hanno coinvolto tutti non solo i lavoratori.
L’intera umanità si è dovuta fermare perchè quella folle corsa che stavamo facendo in nome dell’efficienza produttiva aveva bisogno di una energia che ricavavano dalla’avvelenamento costante dell’ambiente.
L’autogenocidio dell’umanità nasce da questo sforzo del sintema capitalistico di accorciare il tempi per renderli più funzionali al profitto e perciò più produttivi.
la tecnologia, il progresso hanno scaricato sulla natura il prezzo di questo prendere sempre senza rendesi conto che prima o poi sarebbe venuto il momenti do pagare il conto.
Il mito di Prometeo ci aveva accecati e non ci rendevamo conto di quanto il sistema fosse labile, pronto a collassare prima o poi.
Prima si è cominciato con le auto sempre più veloci ma impedite a muoversi per via del traffico, gli aerei uguale, tutto all’insegna della velocità, però poi ti rendevi conto che fra attese e ripartenze da Napoli a Milano impiegavi lo stesso tempo con il treno di quanto impiegavi con l’aereo.
Nelle fabbriche senza nessuna protezione sociale i tempi di produzione diventavano sempre più febbrili pena il trasferimento della produzione all’estero. Il lavoro come alienazione. Contemporaneamente le case farmaceutiche diffondevano farmaci elaborati con il preciso intento di curare quelle nevrosi causate dalla corsa contro il tempo.
Perchè è successo tutto questo?
Perchè non abbiamo capito che la vita ha cicli biologici legati al un unico concetto: ‘equilibrio” fra gli uomini, fra la natura e l’uomo, fra gli uomini e gli altri esseri viventi.
Tutti legati da rapporti di tempo lentamente variabili a cui anche il dio Kronos doveva sottomettersi.
Ci siamo illusi di poter corrompere Kronos.
la pandemia ci ha insegnato che tentare di spezzare i rapporti del tempo spezza a sua volta questo equilibrio fra uomo e la natura. Impadronirci dei delicati meccanismi del tempo ci ha dannati piegando la nostra presunzione che ci ha spinto ad illuderci che potevamo cambiare le regole incontrovertibili del gioco.
la natura ci ha fermato. Nel momento in cui ci apprestiamo ad uscire da questa bolla temporale dobbiamo riconsiderare i nostri progetti e provare a fermare la nostra folle ed inutile corsa.
Per fermare lo scempio dei patrimoni naturali e culturali per arrestare la dilapidazione della natura dobbiamo svestirci di questi due bassi istinti: la cupidigia e la presunzione.
Se no lo faremo la Natura come un flagello biblico non si fermerà e questa volta Kronos divorerà per sempre i suoi figli.
Beppe Sarno

marzo 5, 2020

Livida palus: metafora di una città.

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Iniziano ex abrupto, come sempre, anche gli ultimi romanzi di Franco Festa, scrittore impropriamente definibile come giallista, invece maestro nell’ibridare il genere engagé con trame poliziesche. Alle prime pagine sembra che siamo assaliti e ingoiati da un torrente in piena, che fatica a trovare il fiume in cui confluire, e quel torrente trascina rami secchi, fa rotolare ciottoli, sbatte contro le rive sinuose, con acque scure e putride che sommergono. Eppure, quelle acque così sporche sentiamo di amarle, sono le nostre, a qualunque paese apparteniamo, e, come un personaggio dei tanti romanzi, forse anche qualcuno tra noi tutte le sere vorrebbe andare a trarne fuori frasche macere… plastica….abbandoni di un’umanità che disperde…. e si disperde.
Non riesco a immaginare le trame estranee al corpo sofferente della città che vi compare, la ‘nostra’ città. Vi riconosciamo angoli da amare, fischi di vento, raffiche gelate, e quel caldo umido che ammorba l’aria e sembra congiurare per la degradazione sempre più in basso, sempre più viscida e putrescente…come quelle acque ….livida palus, direbbe qualcuno… La città è una lividissima palus, e quindi, in un’interpretazione simbolica, una descensio ad Inferos, nell’inconscio più profondo, un labor-intus. E da qui la destrutturazione dei periodi, spezzati, lacerati , ridotti a monconi di dialoghi in cui non ci si comprende il più delle volte, e si parlano linguaggi da sordomuti, simbolici e infernali. La forma è il contenuto: è questa la chiave di lettura! Ed è anche, questo, un linguaggio espressivo che risente delle neoavanguardie tardonovecentesche: il cui piano non è assolutamente estetico-letterario, ma di un politico-ideologico portato a valenza estetica, se questo concetto è possibile logicamente: ed anche, il cosiddetto messaggio dell’anticorruzione e dell’anticapitalismo è fortunatamente non tout court progressista, perché è senza cattedre e palchi, senza microfoni o folle di adepti: no, si tratta qui di un’antidemagogia: della voce, anzi no, della resistenza di chi si spezza le gambe a fare il suo dovere, credendo nelle istituzioni civili . Livida palude di Caronte. Palus-pestis, stessa radice. Il caldo stagnante appiccicoso dell’estate in mezzo al cemento avellinese, quando l’aria non viene fuori dal climatizzatore della questura e il commissario Matarazzo soffre ancor più per la palude-peste dell’anima che lo deprime, lo opprime, che ha molto dello Spleen de Paris. Livia è lontana, forse l’ama, o forse non più, ma ciò che è tremendo e lo schianta è l’accusa implicita di non essere stato all’altezza della donna che poteva essere la sua donna, ma non si sa perché, che cosa non andasse, forse niente, e sembra tutto, forse nella guerra inconscia uomo-donna lui è sconfitto perché non ha capito che non c’è in realtà alcuna ostilità, che interagire è la vera forza, ma perché lei si rifiuta? Perché lui non riesce a farsi accettare? Una città e un amore malato che hanno tanto della livida palus virgiliana, dantesca, baudelairiana, sanguinetiana… Altro che Avellino! E non s’intravede resurrezione alcuna, né personale, né umana.
Questo lo scenario degli ultimi libri di Franco Festa. Poi, chiunque, lettore del nord e del sud, può e deve astrarre da Avellino e scendere nei propri inferni, leggere dentro le storie un’allegoria cittadina che vale per noi tutti oggi, come l’Inferno di Dante nel M.Evo per l’intera umanità. Un inferno senza cielo come quello della cosmologia dantesca, una voragine in cui l’individualismo chiude ciascuna anima dannata nella propria dolorosa solitudine.
E agli antipodi la roccaforte. L’angelo salvifico che schiaccia il capo al serpente, nella forma del vecchio commissario Melillo, sempre biancovestito, che conversa amabilmente offrendo un profumato Aglianico tra le mura fresche e protettive, alte sull’abisso del nulla. Il centro storico, l’orologio che scandisce il tempo esatto dei giusti e la possibilità di ricordare che il Natale è ancora Natale e che il luogo, anche questo un archetipo, ma di segno rovesciato e positivo, è l’intimità della dimora domestica, raccolta e silenziosa, di chi si è speso tutto e sta per andar via dallo scenario del mondo.

Perugia, 4 Marzo 2020

Gina Ascolese

agosto 20, 2013

canto VII purgatorio.

Il canto settimo del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nell’Antipurgatorio, dove le anime dei negligenti (che trascurarono i loro doveri spirituali) attendono di poter iniziare la loro espiazione; siamo nel pomeriggio del 10 aprile 1300 (Pasqua), o secondo altri commentatori del 27 marzo 1300.

Virgilio e Sordello – versi 1-63

Dopo l’incontro affettuoso con Sordello, Virgilio presenta se stesso, indicando in sintesi l’epoca della propria morte e l’atto di non poter essere salvato per mancanza della fede cristiana. Sordello reagisce con perplesso stupore, quindi, chinandosi per abbracciargli le ginocchia, lo saluta come “gloria di Latin” (degli italiani) e domanda ulteriori spiegazioni. Virgilio risponde di essere stato guidato dal volere divino ad attraversare l’inferno, e di essere eternamente destinato al luogo malinconico (il Limbo) dove stanno i bimbi morti senza battesimo e gli uomini virtuosi dell’antichità che non ebbero i doni della fede. A sua volta chiede a Sordello indicazioni sul cammino da seguire per iniziare la salita del purgatorio.

Sordello replica che sta tramontando il sole, e la regola del purgatorio comporta che ci si fermi durante la notte. Può, nel frattempo, accompagnarlo verso un gruppo di anime che sostano poco lontano. Aggiunge che non c’è alcun ostacolo esterno al salire, e che solo l’ombra notturna toglie la volontà di farlo, mentre consente di vagare intorno alla montagna.

La valletta dei principi – vv. 64-90

A breve distanza, Dante si accorge che il fianco del monte è un po’ incavato e forma una valletta. Là, dice Sordello, attenderanno il nuovo giorno. Dante è colpito dalla ricchezza di colori dei fiori che punteggiano il verde del prato e che emanano un soave profumo. Sull’erba fiorita siedono anime che cantano Salve, Regina. Sordello si appresta ad indicare le anime dal luogo appena sopraelevato dove si trova con Virgilio e Dante, approfittando della luce ormai scarsa del sole.

Rassegna dei principi negligenti – vv. 91-136

Sordello indica vari personaggi di alto rango, identificandoli con gli atteggiamenti o con i tratti fisici più evidenti. Il primo è l’imperatore Rodolfo d’Asburgo, che non canta insieme agli altri e mostra rimorso per aver trascurato il suo maggior dovere (il riferimento all’Italia è evidente); accanto a lui, in atto di confortarlo, Ottacchero re di Boemia, certo migliore del proprio figlio Venceslao, ancora vivente e vizioso.

Seguono altri sovrani: Filippo III di Francia (col naso piccolo), in aria di confidenza con Enrico I di Navarra. I due, entrambi tristi e tormentati, sono padre e suocero di Filippo il Bello, definito “mal di Francia”, dalla vita “viziata e lorda”. Il corpulento Pietro III d’Aragona e Carlo I d’Angiò suo avversario in terra sono qui uniti e concordi nel canto. Alle spalle di Pietro, l’ultimo figlio, di promettente valore ma morto giovanissimo. Gli altri eredi invece non hanno saputo trasmettere il valore paterno: si tratta di Giacomo II d’Aragona e Federico II, re di Sicilia.

Dopo aver commentato quanto di rado la virtù dei padri si trasmetta alla discendenza, Sordello cita come esempio negativo la condizione di Puglia e Provenza sotto il regno di Carlo II d’Angiò. Commenta il valore rispettivo di Pietro d’Aragona, Carlo I e Carlo II d’Angiò facendo riferimento alle loro mogli. In solitudine siede Enrico III d’Inghilterra che ha una discendenza migliore. L’ultimo, seduto più in basso (perché non è un re) è il marchese Guglielmo VII di Monferrato, causa di lutti per le guerre mosse contro Alessandria e il Canavese.

agosto 18, 2013

La Divina Commedia. Purgatorio, canto VI° (Sordello). Lettura di Arnoldo Foà.

Il canto sesto del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nell’Antipurgatorio, dove le anime dei negligenti (coloro che trascurarono i propri doveri spirituali) attendono di poter iniziare la loro espiazione; siamo nel pomeriggio del 10 aprile 1300 (Pasqua), o secondo alcuni commentatori del 27 marzo 1300.tesi da lui espressa nel suo poema, in quanto le preghiere hanno valore solo in un mondo in cui è riconosciuta l’esistenza di Dio, mentre nel mondo pagano non avevano alcun effetto essendo recitate da persone che non erano sotto la grazia di Dio poiché erano pagani.

Abbraccio tra Sordello e Virgilio (vv. 58-75)

Virgilio indica a Dante un’anima solitaria che guarda verso di loro: essa potrà insegnare loro la via. I due pellegrini si avvicinano, e Dante è colpito dall’aspetto dignitoso ed austero di quell’anima, che seguiva i loro passi solo con lo sguardo. Virgilio si accosta chiedendo indicazioni sul cammino, ma l’anima invece di rispondere chiede chi siano essi e di che origine.

La risposta di Virgilio inizia con la parola “Mantua” ovvero Mantova; è sufficiente questa sola parola perché l’anima esca dal suo atteggiamento di severo distacco: balza in piedi esclamando di essere concittadino di chi gli sta dinanzi. Subito Sordello da Goito e Virgilio si abbracciano.

Apostrofe di Dante all’Italia (vv. 76-151)

L’imprevisto abbraccio tra Sordello e Virgilio, nato dalla sola consapevolezza di venire dalla stessa terra, suscita nel poeta un’energica ed amara apostrofe all’Italia del presente (definita serva, luogo di dolore, nave senza guida, bordello): in essa dominano guerre e contese anche fra gli abitanti di una stessa città. Dante esorta l’Italia a cercare lungo le sue coste e poi nell’entroterra se vi sia qualche luogo in cui regni la pace. Eppure Giustiniano aveva dotato l’Italia di leggi appropriate, ma nessuno esercita il giusto potere per farle applicare. Invece si appropriano abusivamente del potere temporale gli uomini di chiesa che non sanno guidare l’Italia, divenuta ormai un destriero ingovernabile. Manca l’autorità dell’imperatore, dato che Alberto I d’Asburgo e suo padre Rodolfo, tutti presi dalle lotte politiche in Germania, hanno trascurato il giardino dell’impero.

Dopo aver invocato una giusta punizione sul loro successore Arrigo VII di Lussemburgo, Dante con una violenta anafora invita l’imperatore a venire in Italia e a vedere città per città la devastazione portata dalle lotte civili. Giunge infine a interpellare Cristo stesso, chiedendogli se per caso il suo sguardo non sia rivolto altrove; o forse, aggiunge subito il poeta, in tutti questi mali è nascosto il seme di un futuro bene che però ancora non è comprensibile.

Dante conclude l’appassionata invettiva rivolgendosi direttamente a Firenze. Con sarcasmo presenta la sua città come se fosse immune da questi mali; in realtà in essa dominano la superficialità e l’irresponsabilità di cittadini che fanno a gara per avere cariche pubbliche senza capacità o preparazione. Firenze può vantarsi di superare Atene e Sparta, poiché fa leggi tanto sottili da durare a mala pena un mese. Il passato di Firenze caratterizzato da continua instabilità fa apparire la città simile ad un’ammalata che non riesce a trovare una posizione adatta al suo riposo. Quest’immagine di doloroso e costante movimento verrà poi ripresa da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi.

agosto 12, 2013

La Divina Commedia. Purgatorio, canto IV° (I Negligenti; Belacqua). Le

Il canto quarto del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nell’Antipurgatorio, dove i negligenti (che tardarono a pentirsi per pigrizia) attendono di poter iniziare la loro espiazione; siamo nel mattino del 10 aprile 1300 (Pasqua), o secondo altri commentatori del 27 marzo 1300.

Il primo balzo dell’Antipurgatorio – versi 1-54 [modifica | modifica sorgente]

Parlando con Manfredi, Dante neppure si accorge del trascorrere delle ore; finché, dopo circa tre ore (il sole aveva percorso cinquanta gradi), le anime degli scomunicati indicano a lui ed a Virgilio l’ingresso di un sentiero che porta verso l’alto. La via è stretta e molto erta; Virgilio sprona il suo protetto a non deviare il cammino e a non arrendersi almeno fino al balzo poco più sopra, dove finalmente giunti possono sedersi e guardare con soddisfazione, ad oriente, l’ostacolo superato.

Spiegazioni dottrinali di Virgilio: il corso del sole… – vv. 55-84 [modifica | modifica sorgente]

Dante, ammirando lo spettacolo davanti a sé, nota con stupore che il sole si trova alla sua sinistra, ovvero a nord del punto d’osservazione (mentre a casa sua, nell’emisfero boreale e a nord del tropico del Cancro, esso si è sempre trovato a sud). Virgilio spiega la situazione con una serie di argomentazioni astronomiche e geografiche; tra l’altro, Dante comprende di trovarsi agli esatti antipodi di Gerusalemme, sicché tutti i fenomeni celesti devono essere debitamente ribaltati (ivi compresa, quindi, la posizione del Sole rispetto all’equatore celeste).

… e la natura del monte del Purgatorio – vv. 85-96 [modifica | modifica sorgente]

Rispondendo a un’altra domanda, Virgilio spiega inoltre che la salita andrà via via addolcendosi, mentre quello corrente è invece il momento iniziale ed il più ostico; perciò si sarebbe dovuto perseverare nella salita fino a quando si sarebbe addolcita tanto da permettere un meritato riposo.

Belacqua – vv. 97-139 [modifica | modifica sorgente]

Una voce interviene a chiosare ironicamente la spiegazione della guida di Dante: “Ma, forse, sentirai bisogno di riposarti ben prima di quel momento!” Nascoste da un enorme masso, sulla sinistra, si trovano le anime dei negligenti, che ora aspettano di accedere al Purgatorio scontando il loro pentimento colpevolmente tardivo. Quello che aveva gridato se ne sta con la testa sulle ginocchia, punzecchiando con corte parole il nuovo arrivato e la sua foga di salire; gli chiede con divertita pigrizia se “hai ben veduto come ‘l sole/ da l’omero sinistro il carro mena?”. Il poeta, riconosciutolo come Belacqua, sorridendo nota come l’amico perso sia stato ritrovato nell’aldilà senza che neppure un poco dei suoi vizi si fosse diradato. Il canto si conclude con la spiegazione dell’anima: inutile affannarsi, già è deciso che avrebbe dovuto aspettare lì tanti anni quanti quelli della sua vita (a meno che qualche anima pia non avesse pregato per lui, abbreviandone l’attesa). Spinto da Virgilio, Dante riprende quindi la dura ascesa.

luglio 31, 2013

Dante, la divina commedia, II° canto del Purgatorio.

Il canto secondo del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge sulla spiaggia ai piedi della montagna del Purgatorio, dove arrivano le anime per iniziare la propria espiazione; siamo all’alba del 10 aprile 1300 (Pasqua), o secondo altri commentatori del 27 marzo 1300.

È l’alba, descritta con molti particolari astronomici e già il cielo da vermiglio diventa dorato, quando ancora i due poeti si guardano intorno alla ricerca del cammino migliore da intraprendere, sulla spiaggia del monte del Purgatorio. Improvvisamente notano l’avvicinarsi di un punto luminosissimo che si muove a grande velocità, finché non riconoscono un angelo che, con la sola forza delle ali eterne ed immacolate, fa avanzare l’imbarcazione nella quale sono trasportate dalla foce del Tevere fino all’isola del Purgatorio le anime destinate alla redenzione. Come i due poeti, anche le anime che approdano sono spaesate.

Le anime si accorgono che Dante è ancora vivo e si accalcano attorno (come la folla fa attorno ad un uomo con un ramo d’ulivo in mano, dice Dante), e fra esse lo riconosce il musico fiorentino Casella. Si abbracciano – o cercano di farlo: Dante infatti, quasi traducendo un verso del libro VI dell’Eneide, esprime come inutilmente tenti di abbracciare quell’anima intangibile -; quindi Casella spiega perché solo ora arrivi al Purgatorio (infatti l’angelo, secondo la volontà di Dio, non accoglie sempre immediatamente le anime dei morti: ma ora che è iniziato il Giubileo egli le traghetta tutte). Dante, ricordandosi dei bei tempi, prega il musico di intonare una canzone che dia sollievo alla sua anima affannata dal viaggio attraverso l’Inferno. Casella intona una canzone del Convivio, «Amor che ne la mente mi ragiona», con tale dolcezza che tutti rimangono estasiati ad ascoltare, ma all’improvviso irrompe Catone a rimproverare le anime e a spronare verso il cammino di redenzione loro, ma implicitamente anche Dante. La folla dopo il richiamo di Catone si disperde e torna sui suoi passi.

 

luglio 27, 2013

Dante, Divina Commedia, canto II purgatorio.


Il Purgatorio è la palestra dove la volontà fa i suoi duri esercizi sotto lo sguardo severo di Catone, la volontà di alleggerirsi della grave condensazione della materia infernale, dall’oggetto distogliere lo sguardo per posarlo sull’altro, in una relazione che di rimando in rimando guarda alla totalità degli uomini.
Se l’inferno è Possessione, rappresentazione statica ed immutabile data in eterno, il purgatorio attiene alla Relazione, relazioni io — tu e noi — voi, oltre che al soggetto, all’io-pensante, e posto che non si può pensare senza segni, si potrebbe considerarlo come regno della semiotica, forse, che sta in mezzo tra la cieca percezione sensibile e l’interpretante logico, Dio, che risiede nell’empireo della conoscenza sotto il nome di Verità.
Il Purgatorio è pertanto il regno di un’umana comunità di anime, quando l’inferno indicava soltanto l’identità con la materia, la fisica della natura, il determinismo di una azione meccanicamente perenne; nel luogo dell’umano v’è ancora la materia, ma qui, quel che conta ora, è la relazione (d’amore, d’affetto, di simpatia, di amicizia di lontananza, ecc) che si instaura tra uomo e uomo (viventi o deceduti) in un rapporto dialogico.
Fermo restando che l’inferno e il purgatorio appartengono ambedue al Regno della Fisica, uno v’appartiene nella materia bruta, l’altro fino al limite delle cause determinanti e l’inizio della libertà, dove comincia l’uomo, non nel senso che oltrepassato quel limite cessano le leggi deterministiche che legano alla materia, ma nel senso che rientra nella pienezza delle prerogative umane la facoltà di non dare loro cura, non dare loro ascolto, prescindere da esse.
E’ grazie alla prescissione dall’oggetto come scopo, contemplato senza concetto, che può aprirsi nel regno dei sogni, dei canti, dell’amicizia, il fiore più umano della bellezza e i canti del purgatorio sotto l’aspetto del bello è il cantico più riuscito.
De Sanctis si domandava se il purgatorio sovrastà o sottostà di bellezza l’inferno, ma non si sarebbe posto la domanda se si fosse rappresentato la Montagna come il regno dove ha dominio l’umano e la Bellezza, appunto, è riferita esclusivamente all’uomo, parimenti la Libertà, ma essa viene conquistata al termine della salita, dopo il purgatorio e la cancellazione delle P, dopo l’attraversamento del fuoco e prima del Paradiso Terrestre: è qui che Dante festeggia il trionfo, poiché ora può agire incondizionatamente, senza riguardo agli appetiti e ai piaceri del corpo; può finalmente mettere il libero timone della ragione sulla rotta del cielo, tra le vette eccelse della morale, la santità del Paradiso.
Bellezza e Libertà vanno a braccetto nell’Eden, in seguito, nei cieli, la bellezza trasmoda e la libertà diviene, senza sforzo, totale adesioni ai precetti divini, la Morale, appunto, del Cristallino.

luglio 26, 2013

Dante, la Commedia, Purgatorio primo canto.

Il canto primo del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge ai piedi della montagna del Purgatorio, sulla spiaggia; siamo nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1300 (Pasqua), o secondo altri commentatori tra il 26 e il 27 marzo 1300.

luglio 18, 2013

Dante , Inferno, canto XXXI°

Il canto trentunesimo dell’Inferno di Dante Alighieri si svolge tra l’ottavo e il nono cerchio, nel Pozzo dei giganti, puniti per essersi opposti a Dio; siamo nel pomeriggio del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.

Si tratta di un canto di raccordo tra due zone diverse dell’Inferno, come lo era stato il canto IX (presso le mura della città di Dite) tra i peccatori di incontinenza e quelli di malizia, e i canti XVI e XVII (con il volo di Gerione) tra violenti e fraudolenti.

luglio 12, 2013

LA DIVINA COMMEDIA inferno,canti da 25 a 30

Il canto ventottesimo dell’Inferno di Dante Alighieri si svolge nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, ove sono puniti i seminatori di discordie; siamo al pomeriggio del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.