di Alberto Angeli
L’invasione dell’Ucraina sta mettendo a repentaglio l’assetto economico e finanziario internazionale. E’ quanto ha affermato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel suo intervento a “Economia e Società, Disuguaglianze e democrazia, quale futuro per un capitalismo democratico?” E’ l’eco di quanto affermano altri istituti monetari e finanziari internazionali, i quali insistono anch’essi sul fatto che l’economia mondiale è entrata in un periodo di intensa incertezza poiché la guerra russa si combina con una inarrestabile pandemia, concorrendo così ad alimentare una rapida inflazione e a rendere più incerta una già fragile ripresa globale. Si tratta di una combinazione difficile che induce molti analisti a considerarla una sfida , impegnandosi intanto a ridurre l’inflazione senza però rallentare la crescita, non però così tanto da far scivolare l’economia in una recessione. Che ci sia incertezza lo dicono le previsioni delle organizzazioni internazionali e dei cosiddetti gruppi di analisti, i quali mettono in conto una riduzione della crescita e del commercio e, a causa della guerra, interruzioni alle forniture globali di energia, materie prime e forniture di cereali, e i blocchi sulle banchine della Cina di migliaia di container allo scopo di contenere le ondate di pandemia di coronavirus.
Una informativa allarmante proviene dal Fondo monetario internazionale, durante la sessione di martedì scorso nello svolgimento del suo World Economic Outlook sulla previsione della crisi, che rileva la possibilità che la produzione globale potrebbe rallentare quest’anno al 3,6%, dal 6,1% nel 2021. Sicuramente, un declassamento rispetto alle previsioni di gennaio del 4,4 per cento di crescita per quest’anno, un aggravamento delle prospettive economiche globali in parte dovute all’aggressione russa dell’Ucraina, riporta il documento finale, e in parte dalla lentezza della ripresa dell’economia globale spossata dalla pandemia del Covid 19. Nulla fa presagire che le cose possano migliorare nel breve periodo, soprattutto se non si giungerà presto ad un accordo di tregua a cui piegare Putin e quindi offrire una motivazione alle potenze occidentali a frenare le pressioni sulla Russia con le sanzioni. Questo perché è proprio a causa delle sanzioni che gli shock dei prezzi e dell’offerta si stanno già materializzando, aumentando le pressioni inflazionistiche globali, creando rischi per gli equilibri esterni e minando la ripresa, con gravi ripercussioni sulla parte più povera del mondo e sull’aumento delle disuguaglianze.
E’ sempre lo sesso FMI a ricordarci come l’aumento dei prezzi in tutto il mondo non mostra segni di diminuzione, e anche se i problemi della catena di approvvigionamento dovessero attenuarsi le previsioni mettono in conto che l’inflazione rimarrà elevata per tutto l’anno, proiettandola al 5,7% nelle economie avanzate e all’8,7% nei mercati emergenti. Già ora l’inflazione ha raggiunto l’8,5% negli Stati Uniti, mentre in Italia è al 6,2%, il ritmo più veloce in 12 mesi dal 1981. Mentre la Banca Mondiale ha avvertito come a causa della persistente pandemia, i lockdwon di Covid-19 in Cina e l’aumento dell’inflazione potrebbero amplificare la disuguaglianza di reddito e i tassi di povertà, rivedendo al ribasso la sua previsione di crescita per il 2022 al 3,2% dal 4,1%. A queste previsioni si associa la Banca dei regolamenti internazionali, secondo cui più della metà delle economie emergenti ha tassi di inflazione superiori al 7%. E il 60 per cento delle “economie avanzate”, compresi gli Stati Uniti e l’area dell’euro, manifesta un’inflazione superiore al 5%. Una situazione resa ancora più cupa dal fatto che si aggiungono i problemi del mercato azionario, con previsioni di crisi e chiusure di banche, mentre il conflitto ha già causato picchi vertiginosi nei prezzi dell’energia e sta inducendo l’Europa ad aumentare le sue spese militari sacrificando la parte sociale più esposta alla catena della crisi inflazionistica, che colpisce redditi, risparmi e spinge verso la povertà milioni di famiglie e sottrae risorse alla formazione e all’assistenza già fortemente stressata dalla pandemia virale che non accenna a ritirarsi.
Le restrizioni stanno nuovamente interrompendo le catene di approvvigionamento globali di elettronica, parti di automobili e di altri beni , riducendo le importazioni cinesi di petrolio, cibo e beni di consumo. Ancora, nonostante che la Cina sia il più grande importatore di petrolio al mondo, eppure, secondo IL FMI, si registra un forte raffreddamento della domanda, che ha indotto la scorsa settimana l’Agenzia internazionale per l’energia a ridurre le sue previsioni di crescita della domanda di petrolio per quest’anno a 1,9 milioni di barili al giorno, dai 5,6 milioni di barili/giorno dello scorso anno. Gli stessi dati mostrano che la crescita economica Cinese e le vendite al dettaglio segnala un rallentamento, poiché il governo impone ampi lockdown per debellare il coronavirus e le restrizioni stanno nuovamente interrompendo le catene di approvvigionamento globali di elettronica, parti di automobili e altri beni, riducendo le importazioni cinesi.
E, come prevedibile, le sanzioni imposte per punire Mosca minacciano anche di far precipitare le economie europee in recessione. La scorsa settimana, studi dei principali istituti economici tedeschi hanno previsto che un divieto europeo totale sulle importazioni di energia russe causerebbe una contrazione della produzione Tedesca del 2,2% l’anno prossimo e spingerebbe l’inflazione al 7,3%; un danno di oltre 400 mld di euro, un record per la Germania del dopoguerra. Ma risultati negativi su economia e inflazione sono parte delle previsioni per tutti i paesi dell’Europa, per cui dobbiamo aspettarci dalla crisi economica un incremento della povertà, un taglio ai redditi e alle pensioni e un aumento delle disuguaglianze, se non saranno adottati tempestivi e opportuni provvedimenti di sostegno alla parte più esposta della popolazione, seguendo la strada di far pagare a quanti ingrassano le loro fortune speculando sulla crisi.
Questa dovrebbe essere l’occasione, ammesso che il mondo non scivoli verso una guerra senza vincitori, per ripensare il modello economico capitalistico cercando di interpretare il dispaccio che ci proviene da un mondo in fiamme e alle prese con una guerra che, una volta terminata, ne cambierà l’ordine geopolitico e economico, ma non modificherà in nulla la matrice del potere finanziario, economico e politico. E dovrebbe essere un ripensamento da svolgere dentro un pensiero di un nuovo socialismo, che si carichi delle aspettative di quella parte di mondo che questa combinazione di crisi pandoeconomica ha impoverito e annichilito nel suo desiderio di pace e libertà.