02:45 am | Isolare gli oggetti su cui si è fissata la nostra attenzione dagli elementi che potrebbero distrarci è il compito di una regione cerebrale che fa parte del talamo:…
13 settembre 2012 / Leggi tutto
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02:45 am | Isolare gli oggetti su cui si è fissata la nostra attenzione dagli elementi che potrebbero distrarci è il compito di una regione cerebrale che fa parte del talamo:…
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| Uno studio mette in luce i pericoli per il cervello: smettere comporta nel tempo una diminuzione del fattore di rischio Che fumare nuoccia gravemente alla salute è un…
Gli interventi chirurgici sono diventati quasi prassi comune, ma la delicatezza delle procedure mediche che riguardano il cervello e il midollo spinale spingono medici e pazienti a prendere in considerazione altre alternative. La situazione potrebbe tuttavia cambiare, grazie ad alcuni ricercatori europei che hanno sviluppato un laser per la chirurgia mini-invasiva del cervello. Si tratta del risultato di un progetto interdisciplinare dell’UE in cui sono stati coinvolti partner provenienti da sette paesi europei, creando un sistema laser a stato solido da tavolo che riesce a tagliare il tessuto cerebrale con una precisione senza precedenti. Il progetto in questione, chiamato MIRSURG (“Mid-infrared solid-state laser systems for minimally invasive surgery”), ha ottenuto quasi 2,8 milioni di euro di finanziamenti nell’ambito del tema “Tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (TIC) del Settimo programma quadro dell’UE (7° PQ).
L’ispirazione per il progetto arrivò nel 1999, quando gli scienziati della Vanderbilt University negli Stati Uniti rimossero un tumore al cervello di un paziente con un laser a elettroni liberi a una lunghezza d’onda di 6,45 micron. La lunghezza d’onda è importante, in quanto questa lunghezza d’onda nella regione spettrale del medio infrarosso era stata riconosciuta essere la più adatta per tali operazioni chirurgiche in una serie di primi esperimenti con differenti tessuti molli. Nonostante questo riscontro, tale know-how tecnologico non è stato trasferito nella sala operatoria, in quanto le dimensioni dell’attrezzatura necessaria non andavano bene; i laser ad elettroni liberi, per esempio, sono impianti enormi e gli impianti basati su acceleratore sono costosi e in genere non adatti per l’uso di routine in ambiente clinico.
Stanley Prusiner, che nel 1997 vinse il Nobel per la medicina grazie alla scoperta dei prioni, propone una nuova spiegazione sull’origine di Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica e altre malattie degenerative del sistema nervoso. I diversi gruppi di aggregati proteici che si evidenziano nel sistema nervoso dei soggetti colpiti da queste patologie sarebbero da imputare tutti ai prioni, le proteine ripiegate in modo anomalo già note per causare la malattia di Kreutzfeld-Jakob e il morbo della mucca pazza .
Le prove accumulate negli ultimi anni sono sufficienti per ipotizzare un ruolo unificante dei prioni nelle malattie degenerative del sistema nervoso: lo afferma sulle pagine di “Science” Stanley Prusiner, dell’Istituto per le malattie degenerative e del Dipartimento di neurologia dell’Università della California, che nel 1997 fu insignito del premio Nobel per la medicina appunto per la sua scoperta dei prioni.
Secondo Prusiner, molte malattie degenerative, tra cui Alzheimer, Parkinson, la SLA e la malattia di Kreutzfeld-Jakob, hanno in comune due caratteristiche importanti: la prima è che nell’ottanta per cento dei casi si presentano in modo sporadico (ossia non legato a familiarità); la seconda è che le rispettive forme ereditarie mostrano un’insorgenza tardiva, benché le proteine mutate che le caratterizzano siano espresse già nella fase embrionale, il che fa ipotizzare che esista qualche tipo di evento che le rende patogene con l’avanzare dell’età.
Uno studio della Northwestern University (Usa) che sarà pubblicato su Pnas fornisce la prima prova biologica che il bilinguismo giova al sistema nervoso uditivo e porta a destreggiarsi fra i vari suoni in un modo che migliora l’attenzione e la memoria.
L’esperta in bilinguismo Viorica Marian e la neuroscienziata Nina Kraus hanno collaborato per studiare come il bilinguismo influenzi il cervello. In particolare, hanno osservato le regioni subcorticali uditive. Nello studio, i ricercatori hanno registrato le risposte del tronco cerebrale a suoni complessi in 23 adolescenti bilingue e 25 che parlavano solo inglese in due diverse condizioni.
In una situazione tranquilla, i gruppi hanno risposto in modo simile. Ma in presenza di rumore di fondo, la performance del cervello dei bilingue è risultata significativamente migliore nel codificare i suoni, cosa che è stata collegata con un vantaggio a livello di attenzione uditiva. “La gente fa le parole crociate e altre attività per mantenere la mente brillante – commenta Marian – ma i vantaggi che abbiamo scoperto in questo studio derivano semplicemente dal conoscere e usare due lingue”.(ADNKRONOS)
Scoperto un collegamento tra un network cerebrale associato all’impulsivita’ e l’abuso di droghe. I teenager che hanno una ridotta attivita’ in una zona frontale del cervello hanno infatti piu’ probabilita’ di aver sperimentato con droghe, alcool e sigarette, come rivela un nuovo studio pubblicato su Nature Neuroscience. “La ridotta attivita’ cerebrale di questa zona e’ da tempo associata all’impulsitivita’.
Stranamente, non si tratta della stessa area associata ai deficit d’attenzione (ADHD)” ha spiegato Hugh Garavan dell’ University of Vermont negli Stati Uniti, neuroscienziato a capo dello studio che e’ stato effettuato su un campione di 1896 quattordicenni. “Questo ci suggerisce che l’ADHD potrebbe non essere un fattore di rischio per l’abuso di sostanze stupefacenti come si sospettava in precedenza. Questo studio ci mostra quindi come l’impulsivita’ possa derivare dall’insieme di piu’ elementi combinati in diverse zone del cervello” ha concluso Garavan.
La tecnica (utilizzata su 87 prematuri) favorisce il deflusso del liquido che si accumula nel cranio e comprime il cervello
Una minivite per favorire il deflusso del liquido che si accumula nel cranio e comprime il cervello, da applicare quando occorre ripulire la scatola cranica dei neonati prematuri di peso inferiore al chilo e mezzo, particolarmente a rischio di idrocefalo legato ad emorragie cerebrale. E’ l’innovativa strategia di approccio a questa condizione proposta dall’Unità Operativa di Neurochirurgia dell’Ospedale Gaslini di Genova, presentata in occasione del Congresso internazionale sulla diagnosi e le cure all’avanguardia in Europa per i bambini prematuri (One day on intraventricular haemorrhage of preterm babies) tenutosi presso il Centro Internazionale Studi e Formazione (Cisef) dello stesso nosocomio.
LA TECNICA – Il sistema presentato oggi, già utilizzato con successo su 87 pazienti, ha richiesto diversi anni di progressivi accorgimenti per ottimizzare tecnica, materiali e dimensioni. La tecnica messa a punto dall’equipe diretta da Armando Cama, si basa su un sistema miniaturizzato composto da una mini vite (di 15 millimetri) detta “newborn skull miniscrew” applicabile al cranio in maniera transitoria ma per lunghi periodi, che ha la caratteristica di essere a perfetta tenuta stagna.
Si trovano nel pesce azzurro, dalle alici alle sardine fino agli sgombri e sono un salutare ‘elisir’. Sono gli acidi grassi insaturi del tipo omega-3.
Una dieta priva di questi fondamentali mattoni della nutrizione può accelerare l’invecchiamento del cervello e mettere a repentaglio le capacità cognitive come la memoria. A svelarlo è un studio dell”University of California’ (Los Angeles), pubblicato sulla rivista ‘Neurology’.
Da un nuovo studio basato su tecniche di imaging cerebrale condotto dalla University of North Carolina, Chapel Hill, emergono delle differenze significative nello sviluppo del cervello nei bambini ad alto rischio di autismo gia’ dall’eta’ di 6 mesi.
“Si tratta di una scoperta molto importante – ha detto Jason J. Wolff, ricercatore presso il Carolina Institute for Developmental Disabilities (CIDD) e primo autore dello studio pubblicato sul Journal of Psychiatry – perche’ rappresenta un primo passo verso lo sviluppo di un biomarker per il rischio di autismo, uno strumento molto piu’ precoce rispetto agli attuali mezzi diagnostici”. Lo studio suggerisce, inoltre, che l’autismo non appare improvvisamente nei bambini piccoli, ma si sviluppa nel tempo durante l’infanzia.
I ricercatori dell’Universita’ di Turku e Aalto hanno individuato nuove evidenze circa l’alterazione delle funzioni del cervello nei pazienti obesi.
Nella maggior parte dei paesi occidentali, la crescita del tasso di obesita’ rappresenta uno dei fattori di sanita’ pubblica piu’ preoccupanti. Da tempo e’ noto che alcune persone sono inclini al sovrappeso e aumento di peso a causa di disfunzioni del sistema nervoso. Il sistema nervoso centrale, infatti, e’ intimamente coinvolto nella elaborazione dei segnali della fame. Ora i ricercatori dell’Universita’ di Turku e Aalto hanno trovato nuove prove circa il ruolo del cervello nell’obesita’.