02:22 am | Un borsista di ricerca Marie Curie, insieme a un team di ricercatori internazionali, ha scoperto un potenziale alleato nella lotta contro l’obesità. Si tratta di un tipo di…
5 ottobre 2012 / Leggi tutto
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02:22 am | Un borsista di ricerca Marie Curie, insieme a un team di ricercatori internazionali, ha scoperto un potenziale alleato nella lotta contro l’obesità. Si tratta di un tipo di…
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Un vero e proprio “farmaco postino”, capace di portarsi sulle spalle il farmaco chemioterapico “addormentato”, entrare nella cellula tumorale (e solo in quella), e li’ sganciare il chemioterapico che si attiva e inizia a distruggerla, con una superiore efficacia e soprattutto una minore tossicita’.
I dati sul nuovo farmaco dal meccanismo rivoluzionario, T-DM1, sono stati presentati al congresso mondiale di oncologia Asco a Chicago: si tratta in realta’ di un doppio farmaco che agisce contro il carcinoma mammario HER2 positivo: trastuzumab, il biologico che funge da “postino”, e la mertansine, il chemioterapico portato a destinazione nelle cellule malate. Lo studio ha mostrato che il rischio di peggioramento della malattia, o di morte, si e’ ridotto del 35% in coloro che hanno ricevuto il T-DM1 rispetto a chi e’ stato trattato con chemioterapia a base di lapatinib in aggiunta a capecitabina.
Un traguardo “storico”, tutto italiano. I ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche guidati da Saverio Cinti hanno scoperto che la cellula endoteliale è il “serbatoio” delle cellule staminali adipose. Una ricerca durata anni, alla quale gli studiosi italiani sono arrivati per primi con uno studio pubblicato su Cell Metabolism e che apre le porte a nuove terapie contro obesità, diabete e aterosclerosi.
“Abbiamo identificato la cellula che dà origine agli adipociti, mentre prima di oggi si vagava nel buio nella ricerca delle staminali del tessuto adiposo”, dice a Salute24 Saverio Cinti. Le staminali degli adipociti hanno un importanza cruciale “perché hanno molte proprietà rigeneratrici”. La novità è che adesso è nota la fonte di queste staminali, fatto che “renderà più semplice, ad esempio, comprendere il meccanismo adrenergico – dice Cinti – attraverso il quale, stimolato dal freddo, il tessuto bianco si trasforma in tessuto bruno”.
Uno studio internazionale condotto da ricercatori dell’Universita’ di Padova in collaborazione con il College de France di Parigi, altri importanti Centri europei,e pubblicato sulla prestigiosa rivista “Hypertension”, la piu’ autorevole voce in materia di pressione arteriosa, chiarisce i meccanismi della piu’ comune forma di ipertensione arteriosa da causa endocrina: la ricerca ha messo in evidenza, in un terzo circa di pazienti affetti da tumori del surrene, con una maggiore frequenza tra le donne e i pazienti con gradi maggiori di iperaldosteronismo, mutazioni in quegli “interruttori” che nella membrana cellulare sono preposti alla regolazione del sodio e del potassio.
“Si tratta di una serie di mutazioni – spiega il professor Gian Paolo Rossi, direttore del dottorato internazionale in Ipertensione Arteriosa e della Clinica medica 4 dell’Universita’ di Padova – che comportano la perdita di selettivita’ del “filtro” del canale attraverso il quale il potassio esce dalla cellula (KCNJ5). Il “filtro” cosi’ funziona male, e anziche’ far solo uscire potassio, lascia anche entrare sodio”. L’alterazione di questi meccanismi comporta l’ingresso del calcio nelle cellule del tumore e quindi aumenta cronicamente la produzione di aldosterone, un ormone che aumenta la pressione arteriosa e, in presenza di un introito alimentare elevato di sale, danneggia cuore, reni e arterie.
Ricercatori dell’Università di Leicester nel Regno Unito hanno identificato una specifica proteina generata dal cervello in reazione allo stress.
I risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), potrebbero contribuire a migliorare le nostre conoscenze sulle malattie psichiatriche legate allo stress nelle persone, in particolare permettendoci di sapere come il cervello umano gestisce lo stress e come allevia il suo impatto. Lo studio è stato in parte finanziato da una borsa di eccellenza Marie Curie nell’ambito del Settimo programma quadro (7° PQ) dell’UE.
Gli scienziati del Dipartimento di fisiologia della cellula e di farmacologia di Leicester hanno studiato le parti “sottili” e “a forma di fungo” delle cellule nervose nel cervello che hanno un ruolo fondamentale nei processi di apprendimento e di memoria. Secondo i ricercatori, le persone possono modificare quello che ricordano, attenuando così lo stress dei ricordi dolorosi.
La scoperta della produzione di questa specifica proteina nel cervello che potrebbe aiutare a proteggere le persone dalla “troppa ansia” e dare agli organismi l’aiuto di cui hanno bisogno per gestire gli eventi negativi della vita è un risultato rivoluzionario di questo studio.
Mettere alla porta i rifiuti della cellula? Ci pensa un gene: a dimostrarlo e’ uno studio pubblicato sulla rivista Developmental Cell e coordinato da Andrea Ballabio, direttore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli e del laboratorio Telethon presso il Jan and Dan Duncan Neurological Research Institute di Houston.
In condizioni normali, spiegano i ricercatori, tutte le nostre cellule sono dotate di veri e propri ”spazzini molecolari”, i lisosomi, che garantiscono un corretto smaltimento delle sostanze di scarto prodotte dal metabolismo grazie a un ampio corredo di enzimi detossificanti. Ci sono pero’ delle malattie ereditarie, quelle da accumulo lisosomiale, in cui a causa di un errore nel Dna questo processo non si verifica correttamente.
Di conseguenza, i rifiuti non vengono smaltiti e si accumulano nei lisosomi, portando nel tempo le cellule alla morte: un fenomeno che si osserva anche in patologie degenerative molto piu’ comuni come Alzheimer e Parkinson o semplicemente nel corso dell’invecchiamento. Leader nel mondo in questo settore, Ballabio e il suo team hanno scoperto nel 2009 un gene, chiamato TFEB, capace di fare da direttore d’orchestra di tutto il processo di smaltimento dei rifiuti cellulari. A partire da questo risultato, che si e’ meritato le pagine di Science, i ricercatori partenopei si stanno chiedendo come sfruttarlo per fermare l’accumulo di sostanze tossiche ed evitare cosi’ i danni ai diversi tessuti – muscoli, fegato, occhi, sistema nervoso – a cui si assiste in queste gravi patologie. ”Parallelamente, grazie a una sofisticata strumentazione disponibile al Tigem, andremo a caccia di farmaci – dice Ballabio – capaci di indurre la fusione dei lisosomi con la membrana, attivi su TFEB ma anche su altri attori di questa via metabolica che stiamo via via scoprendo. E’ emozionante vedere come della nostra ricerca di base stiano nascendo prospettive concrete da applicare alla terapia delle malattie genetiche, che rimane sempre la nostra missione in quanto ricercatori Telethon”
Utilizzando un nuovo approccio di correzione del genoma, un gruppo di ricercatori ha sistematicamente sostituito un sequenza di tre lettere con un altra in un genoma di E. coli
Un nuovo metodo per apportare modifiche precise in tutto un genoma, utilizzando il materiale genomico di una cellula vivente come modello è stato sviluppato da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School, che lo illustra in un articolo pubblicato suScience a prima firma Farren Isaacs.La possibilità di modificare i geni è qualcosa di rivoluzionario, con risvolti di utilità immediata e dalle potenzialità illimitate, osservano i ricercatori. La maggior parte degli strumenti di modifica del DNA attualmente in uso è però lento, costoso e difficile da usare, un po’ come l’invenzione della macchina da stampa di Gutenberg, una tecnologia geniale ma ancora nella sua infanzia. Ora, i ricercatori di Harvard hanno iniziato a sviluppare uno strumento di “editing” del genoma più semplice e veloce, che ha permesso loro di riscrivere il genoma di cellule viventi usando l’equivalente genetico di quello che in un programma di elaborazione testi corrisponde al comando “cerca e sostituisci”.
A 50 anni dalla sua invenzione, il laser ‘prende vita’. Lo fa usando come lente una cellula staminale umana, geneticamente modificata trasferendo al suo interno il gene di una medusa che la rende fluorescente.
Il risultato sa di fantascienza, ma i ricercatori americani che lo descrivono sulla rivista Nature Photonics pensano gia’ alle applicazioni, che potrebbero andare dalle diagnosi mediche alle comunicazioni su fibra ottica, all’informatica.
Ne sono convinti, per esempio, gli autori dello studio: ‘la capacita’ di generare la lucelaser da una sorgente biocompatibile posta nell’organismo del paziente potrebbe rivelarsi utile per nuovi esami diagnostici’, ha osservato Seok Hyun Yun, che ha condotto la ricerca con Malte Gather presso il centro di Fotomedicina del Massachusetts General Hospital. Il laservivente, ha aggiunto Yun, e’ promettente anche ‘per le terapie fotodinamiche, nelle quali i farmaci vengono attivati proprio da un fascio di luce’.
Il ripiegamento delle proteine è necessario per il funzionamento delle strutture tridimensionali nel corpo. Alcune parti delle proteine funzionali possono però rimanere non ripiegate, portando alla generazione di varie malattie debilitanti come le malattie neurodegenerative.
Alcuni ricercatori in Svizzera e nel Regno Unito hanno studiato l’errato ripiegamento delle proteine usando una sofisticata tecnica spettroscopica. Presentato sulla rivista Nature, lo studio rivela come l’errato ripiegamento può competere con il ripiegamento produttivo in particolare in proteine che contengono molti campi. Lo studio è stato in parte finanziato da una borsa di studio intraeuropea Marie Curie nell’ambito del Settimo programma quadro (7° PQ) dell’UE.
Ricercatori dell’Università di Zurigo e dell’Università di Cambridge spiegano che il misfolding avviene con più frequenza quando la sequenza di aminoacidi nei campi proteici vicini è molto simile. Gli esperti definiscono le proteine come le principali macchine molecolari nel nostro corpo. Il loro ruolo è molto ampio: non solo trattano le sostanze nutritive e le trasformano in energia ma aiutano la struttura cellulare e trasmettono segnali nelle cellule e in tutto il corpo.
Le proteine devono assumere una struttura ben definita e tridimensionale per assicurare l’espletamento delle loro funzioni specifiche e per lo più trovano questa struttura da sole una volta che si sono formate a partire dai singoli mattoni, gli aminoacidi, come una lunga catena di molecole nella cellula.
Alcuni ricercatori finanziati dall’UE e provenienti da Germania e Polonia hanno fatto delle scoperte rivoluzionarie sulla viscosità del citoplasma della cellula, che potrebbero fare avanzare le nostre conoscenze del citoplasma delle cellule del cancro.
Coordinato da ricercatori dell’Istituto di chimica fisica dell’Accademia polacca delle scienze (IPC PAS), il team è stato in parte sostenuto da un contributo per l’Economia innovativa del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).
La viscosità è una misura della resistenza o della densità di un fluido. Meno è viscoso il fluido, maggiore è la sua fluidità o la facilità di movimento al suo interno. L’acqua per esempio ha una viscosità bassa, mentre il miele, che è allo stesso tempo più denso e più corposo, ha una viscosità più alta.
È stato Albert Einstein a occuparsi per la prima volta della viscosità di fluidi complessi nel 1906 e da allora sono state condotte molte ricerche sulla viscosità del citoplasma della cellula.
Nel corso degli anni, sono state raccolte le prove che indicano che nonostante una viscosità del citoplasma alta (che in teoria risulta in una bassa facilità di movimento all’interno del citoplasma), la mobilità delle piccole proteine nel citoplasma è in realtà molto alta – diverse magnitudini più alta di quanto indica la formula di Einstein.