L’esercizio fisico potrebbe avere l’effetto di ridurre il rischio di sviluppare un tumore del fegato chiamato carcinoma epatocellulare. Lo ha dimostrato uno studio, per ora solo sui topi, presentato all’International Liver Congress. Nello studio due gruppi di cavie predisposte al tumore al fegato sono stati sottoposti uno a una dieta controllata e l’altro a una ricca di grassi. A loro volta i gruppi erano divisi al loro interno, con una parte dei topi che faceva esercizio cinque volte a settimana e l’altra mantenuta sedentaria. Dopo 32 settimane il numero di topi con il tumore tra quelli con la dieta controllata era inferiore del 30%, e la stessa differenza si e’ vista anche tra i gruppi sedentari e quelli attivi. “Sappiamo che gli stili di vita poco salutari di oggi aumentano il rischio di tumori del fegato – spiega Jean-Francois Dufour dell’European Association for the study of liver – ma non era mai stato dimostrato prima che l’esercizio invece contribuisce a ridurli”.
Carcinoma epatocellulare: movimento fisico ne abbassa drasticamente l’incidenza.
Tumori del rene: stop al fumo per diminuirne l’incidenza fino al 28%.
01:51 am | Il fumo è uno dei più importanti fattori di rischio per il tumore al rene. Ed è la causa del 50% delle neoplasie della vescica. Azzerare il vizio…
24 ottobre 2012 / Leggi tutto
Carcinoma adrenocorticale: speranze da nuove cure. Passi avanti.

12:19 am | Sperimentato un nuovo mix di farmaci per il carcinoma adrenocorticale, forma rara e aggressiva Quello del surrene è un tumore rarissimo che colpisce le e ghiandole surrenali (o…
Tumori al fegato: rischio triplicato se già casi presenti in parenti di primo grado.
Con un parente di primo grado che ha avuto un tumore del fegato, il rischio di sviluppare la stessa neoplasia aumenta di tre volte. E’ quanto emerge da una ricerca italiana pubblicata nel numero di maggio di Hepatology, una rivista scientifica dell’American Association for the Study of Liver Diseases. La ricerca, mostra, inoltre, un rischio di oltre 70 volte piu’ elevato per coloro che hanno familiari con tumore del fegato e hanno contratto, in forma cronica, l’infezione da virus dell’epatite B o C.
Lo studio e’ frutto di una collaborazione tra il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano (PN), l’Istituto Tumori ‘Fondazione Pascale’ di Napoli e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ di Milano. I risultati sono stati ricavati dall’analisi statistica di dati raccolti, retrospettivamente, tra 229 persone affette da carcinoma epatocellulare e 431 persone ricoverate negli stessi ospedali per malattie non neoplastiche.
”I nostri risultati confermano che gli individui con familiarita’ di tumore del fegato hanno un rischio di sviluppare carcinoma epatocellulare tre volte superiore rispetto a chi non ha familiarita’ – osserva Renato Talamini del CRO di Aviano – il monitoraggio degli individui con epatite e storia familiare puo’ aiutare nell’identificazione precoce dei carcinomi epatocellulari, e quindi ridurre la mortalita’ per tumore del fegato”.
Carcinoma mammario: nuova soluzione sottocutanea del farmaco.
Presentati i risultati dello studio di fase III, HannaH, condotto su donne affette da carcinoma mammario in stadio precoce (eBC – early breast cancer) HER2-positivo, che per la prima volta dimostrano come una nuova via di somministrazione di trastuzumab, ovvero quella sottocutanea (SC), consenta di ottenere un’efficacia (sulla base della risposta patologica completa (pCR); completa eradicazione delle cellule tumorali nel seno) paragonabile alla via di somministrazione del farmaco per via endovenosa (EV), utilizzata attualmente.
Trastuzumab SC potrebbe fornire una maggiore praticita’ alle pazienti rispetto al metodo tradizionale EV, grazie alla via di somministrazione meno invasiva e a tempi di somministrazione piu’ rapidi (5 minuti rispetto a 30 – 90 minuti dell’infusione). Lo studio HannaH ha dimostrato inoltre che con la somministrazione sottocutanea si ottengono concentrazioni medie di trastuzumab nel sangue (farmacocinetica, PK) paragonabili a quelle della formulazione per via endovenosa. Il profilo di sicurezza globale in entrambi i bracci dello studio HannaH e’ stato in linea con quello previsto per il trattamento con trastuzumab e chemioterapia standard in questa indicazione. I risultati sono stati presentati all’8th European Breast Cancer Conference (EBCC-8) di Vienna durante la sessione del keynote symposium.
Lampade abbronzanti: il rischio di tumori alla pelle sale.
Le donne che ricorrono alle lampade abbronzanti hanno un rischio aumentato di ammalarsi di cancro della pelle. Queste le conclusioni di uno studio promosso da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School che ha esaminato i dati di circa 730mila donne seguite per 20 anni.
Ebbene, i ricercatori hanno dimostrato il coinvolgimento dei lettini abbronzanti nello sviluppo del carcinoma basocellulare, la forma piu’ comune di cancro alla pelle. “La frequenza di utilizzo di lettini abbronzanti durante il liceo e’ risultata associata al rischio di sviluppo di carcinoma basocellulare dai 25 ai 36 anni”, ha scritto Jiali Han, a capo dell’indagine pubblicata sul Journal of Clinical Oncology.
Tumori: Veronesi lancia il centro “obiettivo mortalità zero”, ossia guerra al melanoma
Una task force di camici bianchi multidisciplinare e altamente specializzata in forze all’Istituto europeo di oncologia, ‘armata’ di tutti i mezzi a disposizione per la diagnosi ultra-precoce e la cura dei tumori della pelle. Umberto Veronesi presenta oggi a Milano il Melanoma Cancer Center (Mcc) e rilancia il suo slogan: “Obiettivo mortalità zero” anche contro il carcinoma cutaneo più temuto, “primo amore” dello scienziato che proprio al melanoma applicò inizialmente la tecnica del linfonodo sentinella, grazie alla quale ha poi rivoluzionato la chirurgia del cancro al seno. “Il melanoma può essere completamente eradicato”, assicura l’oncologo. “All’inizio del secolo scorso nessuno guariva; 50-60 anni fa la guaribilità era del 10-15%, mentre oggi salviamo oltre l’80% dei malati. Possiamo e dobbiamo arrivare al 100%. Le nostre ambizioni sono ragionate, non è certo pura fantasia”, ma “questo traguardo – avverte Veronesi – richiede la mobilitazione della popolazione e soprattutto dei medici di famiglia”.
Cancro al colon: la prevenzione assumendo acido folico è parte di uno studio studio.
risultati dello studio si aggiungono alle diverse evidenze scientifiche raccolte recentemente sui benefici del consumo di folato
L’assunzione di alti livelli di folato – o acido folico, che si trova naturalmente in molti cibi – può ridurre il rischio di tumore del colon-retto: è quanto afferma un articolo apparso sulla rivistaGastroenterology, organo ufficiale dell’American Gastroenterological Association (AGA) Institute.
“Ciò che abbiamo trovato è che tutte le forme di folato e tutte le fonti alimentari di questa vitamina sono associate a un minor rischio di carcinoma colorettale”, ha sottolineato Victoria Stevens, membro dell’American Cancer Society e primo autore dello studio. “La correlazione più forte è stata trovata con l’introito totale di folati, che quindi rappresenta la migliore misura per definire l’esposizione a questo nutriente poiché comprende tutte le sue possibili forme, da quelle che si trovano nei cibi naturali a quelle degli alimenti addizionati fino alle formulazioni in compresse per la supplementazione dietetica”.
Abiraterone acetato: aumenta significativamente la sopravvivenza nei casi di carcinoma prostatico.
Abiraterone Acetato incrementa significativamente la sopravvivenza complessiva nei pazienti affetti da carcinoma prostatico metastatico
resistente alla castrazione
Pubblicati oggi i risultati sul New England Journal of Medicine
Milano, 1° giugno 2011 – Pubblicato oggi sul New England Journal of Medicine uno studio condotto su pazienti affetti da cancro alla prostata metastatico sottoposti a chemioterapia e trattati successivamente con abiraterone acetato associato a prednisone, i cui risultati hanno mostrato un aumento della sopravvivenza complessiva rispetto ai pazienti trattati con placebo e prednisone.
Lo studio è stato sviluppato da Ortho Biotech Oncology Research & Development, Unit of Cougar Biotechnology, Inc., società affiliata di Janssen Pharmaceutical.
Lo studio di Fase III randomizzato, controllato verso placebo, COU-AA-301, ha dimostrato che la molecola abiraterone acetato, inibitore della biosintesi degli androgeni, aumenta la sopravvivenza globale nei pazienti affetti da carcinoma prostatico metastatico che non rispondono alla chemioterapia.
Gli androgeni sono ormoni che favoriscono lo sviluppo e il mantenimento dei caratteri sessuali maschili, ma nel cancro alla prostata possono stimolare la crescita tumorale. Se, infatti, la produzione di androgeni avviene generalmente nei testicoli e nelle ghiandole surrenali, nel carcinoma prostatico, il tessuto tumorale si inserisce come ulteriore fonte di rilascio degli stessi. Abiraterone acetato è un inibitore orale della biosintesi degli androgeni, che agisce attraverso l’inibizione selettiva dell’enzima complesso CYP17, necessario a queste tre fonti di produzione di testosterone.