03:30 am | L’UE ha avviato un progetto integrato su vasta scala chiamato “BlueGenics” per combattere l’osteoporosi. Il progetto mira a trovare negli organismi marini i progetti genetici per nuovi farmaci…
15 dicembre 2012 / Leggi tutto »
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03:30 am | L’UE ha avviato un progetto integrato su vasta scala chiamato “BlueGenics” per combattere l’osteoporosi. Il progetto mira a trovare negli organismi marini i progetti genetici per nuovi farmaci…
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Grazie a un test su topi di laboratorio geneticamente modificati è stato possibile chiarire un meccanismo chiave per il quale due tipi di neuroni si attiverebbero in risposta a una “ricompensa” inattesa, rafforzando il comportamento che porta al premio.
Quali sono i meccanismi neurologici attraverso i quali viene rafforzatoun comportamento, dall’abuso di droghe fino all’apprendimento?
Una risposta, seppure parziale, viene ora da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard, guidato da Naoshige Uchida, professore associato di biologia cellulare e molecolare dello stesso ateneo.
La ricerca si è focalizzata in particolare su un processo noto come errore di previsione della ricompensa, ritenuto una componente chiave dell’apprendimento. Tale processo è stato ritenuto finora un prodotto dei neuroni dopaminergici, che si attiverebbero in risposta a una “ricompensa” inattesa, rinforzando il comportamento che porta alla ricompensa.
But Uchida e colleghi dell’Harvard and Beth Israel Deaconess Medical Center riferiscono nel loro articolo di resoconto sulla rivista “Nature” che la previsione dell’errore è in realtà il prodotto di complessi interscambi tra due tipologie di neuroni, quelli dopaminergici e quelli GABAergici (neuroni con funzione inibitoria che si basano sul neurotrasmettitore acido gamma-aminobutirrico).
Che cosa lega due malattie apparentemente distanti come la corea di Huntington e l’epilessia? La risposta è in un particolare gruppo di geni denominati Dlx, già noto per essere implicati nell’insorgenza di gravi malattie genetiche a carico dello scheletro nella fase embrionale, e che sono risultati importanti anche nello sviluppo di un tipo specializzato di cellule nervose, i neuroni GABAergici in un nuovo studio pubblicato sul Journal of Neuroscience a firma del gruppo di ricerca Telethon coordinato da Giorgio Merlo, dell’Università di Torino, con la collaborazione di Enzo Calautti e di Elena Cattaneo, rispettivamente delle università di Torino e Milano.
I neuroni GABAergici hanno un ruolo fisiologico importante nell’inibizione di altri neuroni che hanno un’attività troppo intensa o troppo prolungata ma sono implicati – qualora si verifichino alterazioni di numero o di qualità oppure problemi nel processo di differenziamento dalle cellule staminali neurali – nell’insorgenza della corea di Huntington, della sindrome di Rett, dell’epilessia, della sindrome fetale alcolica e forse anche dell’autismo. I problemi, come hanno mostrato i risultati di quest’ultimo studio sul modello murino, sono proprio legati ai geni Dlx.
Una ricerca innovativa dalla Germania mostra come le cellule sottoposte a stress aumentano la produzione di trombina, un’importante sostanza coagulante. Presentato nella rivista Molecular Cell, lo studio fornisce nuove ipotesi su come le cellule tumorali possono trarre vantaggio da questo processo.
I ricercatori potrebbero usare queste informazioni per sviluppare nuovi modi per trattare varie malattie.
Nel passato, lo stress era un segnale di pericolo imminente, che a sua volta poteva portare alla perdita di sangue. Gli esperti ci dicono che il nostro corpo ha imparato ad affrontare lo stress accumulando fattori di coagulazione del sangue. Ricercatori dalla Molecular Medicine Partnership Unit (MMPU), un partenariato lanciato nel 2002 tra il Laboratorio europeo di biologia molecolare(EMBL) e il centro medico dell’università di Heidelberg in Germania, affermano che le loro scoperte aiuteranno i medici non solo a combattere il cancro, ma anche la setticemia, una condizione in cui vi è la presenza di organismi patogeni nel sangue (avvelenamento del sangue). Il risultato è una maggiore coagulazione del sangue, che secondo gli esperti è una delle principali cause di morte.
Potrebbe rappresentare la chiave che unisce un eccessivo introito calorico all’insorgenza di patologie autoimmuni la molecola mTOR (mammalian target of rapamycin), che all’interno della cellula regola sia la captazione dei nutrienti sia i livelli energetici intracellulari.
Tale molecola, come hanno scoperto Giuseppe Matarese e colleghi del Laboratorio di immunologia, presso l’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale del Consiglio nazionale delle ricerche (Ieos-Cnr) di Napoli – che firmano un articolo sulla rivista Immunity – risulta essere sovraespressa nei linfociti T regolatori, che precedenti studi hanno mostrato essere cruciali a loro volta nei meccanismi che ci proteggono dalle patologie autoimmunitarie e infiammatorie.
Staminali sicure, abbondanti e senza bisogno di distruggere embrioni. La “pietra filosofale” della medicina era apparsa nel 2007 in un laboratorio di Kyoto, quando il ricercatore giapponese Shinya Yamanaka aveva preso delle cellule adulte ed era riuscito a trasformarle in staminali “bambine”.
Il dibattito etico pareva sul punto di dissolversi: grazie a questo metodo era possibile ottenere staminali della stessa qualità di quelle embrionali, ma senza bisogno di distruggere embrioni. Trovare la via sgombra da ostacoli però sarebbe stato un sogno irrealistico.
Oggi infatti un gruppo di ricercatori italiani ha scoperto che le staminali ottenute con il metodo Yamanaka non sono del tutto sicure. Durante il processo di riprogrammazione (la trasformazione da adulte in staminali), il Dna delle cellule subisce uno stress. Dei piccoli frammenti si cancellano, altri vengono alterati. E la cellula che si ottiene nel vetrino di laboratorio rischia più facilmente delle altre di diventare tumorale. La scoperta (pubblicata su Cell death and differentiation) è frutto di uno studio milanese, cui hanno collaborato alcuni ricercatori svizzeri. Agli esperimenti hanno partecipato Ifom (Istituto Firc di oncologia molecolare), Istituto europeo di oncologia, San Raffaele e Università di Milano.
Il sentore che le staminali di Yamanaka (dette Ips: induced pluripotent stem cells) non fossero del tutto sicure gli scienziati lo avevano da un paio d’anni. Per questo nessun medico le ha mai usate in una sperimentazione clinica. L’effetto della scoperta italiana sarà piuttosto quello di reindirizzare gli studi per ottenere staminali prive di rischi attraverso strade alternative.
Molti batteri producono tossine che attaccano e danneggiano o distrugono le cellule che li ospitano. Per evitare che questa arma colpisca anche chi l’ha prodotta, essi sfruttano diverse strategie, spesso producendo contemporaneamente antitossine protettive.
Ora un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis è riuscito a determinare la struttura della tossina e dell’antitossina in Streptococcus pyogenes, un batterio molto diffuso che è all’origine di una varietà di patologie, dal comune mal di gola alle febbri reumatiche.La scoperta apre le porte alla possibilità di progettare una nuova classe di antibiotici che sfrutti la tossina per distruggere il batterio stesso.
I ricercatori ritenevano che i neuroni nel cervello comunicassero mediante collegamenti fisici chiamati sinapsi. Tuttavia, neuroscienziati finanziati dall’UE hanno trovato solide prove che i neuroni comunicano tra loro anche mediante deboli campi elettrici, una scoperta che ci potrebbe aiutare a capire come la biofisica crea la cognizione.
Lo studio, pubblicato nella rivista Nature Neuroscience, è stato in parte finanziato dal progetto EUSYNAPSE (“From molecules to networks: understanding synaptic physiology and pathology in the brain through mouse models”), che ha ricevuto 8 milioni di euro nell’ambito dell’area tematica “Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute” del Sesto programma quadro (6° PQ) dell’UE.
L’autore principale, il dott. Costas Anastassiou, un borsista post dottorato presso il Californian Institute of Technology (Caltech) negli Stati Uniti, assieme ai suoi colleghi spiega come il cervello sia una complessa rete di singole cellule nervose, i neuroni, che usano segnali elettrici o chimici per comunicare tra loro.
Ogni volta che un impulso elettrico corre lungo la ramificazione di un neurone, un piccolo campo elettrico circonda quella cellula. Pochi neuroni sono come degli individui che parlano tra loro e hanno delle brevi conversazioni. Ma quando essi si attivano tutti assieme, l’effetto è quello del frastuono della folla durante una partita di calcio.
Il risultato è ritenuto importante per progettare nuove strategie terapeutiche contro malattie, come l’artrite reumatoide, caratterizzate da una risposta infiammatoria abnorme.
Una proteina che funge da “interruttore generale” in alcuni globuli bianchi determinando la promozione o l’inibizione del processo d’infiammazione è stata scoperta da un gruppo di ricercatori dell’Imperial College di Londra, che ne riferiscono in un articolo sulla rivista Nature Immunology.
Il risultato è ritenuto importante per progettare nuove strategie terapeutiche contro malattie, come l’artrite reumatoide, caratterizzate da una risposta infiammatoria abnorme dell’organismo.
Le risposte infiammatorie non sono sempre patologiche, ovviamente; anzi rappresentano un’importante meccanismo di difesa dell’organismo nei confronti di infezioni e danni ai tessuti.
Le cellule del sistema immunitario denominate macrofagi possono sia stimolare l’infiammazione sia sopprimerla rilasciando segnali chimici che alterano il comportamento di altre cellule. Il nuovo studio ha dimostrato che la proteina IRF5 rappresenta un interruttore molecolare che dà il via a un processo invece che all’altro. Tale circostanza suggerisce che bloccare la produzione di IRF5 nei macrofagi potrebbe essere un modo efficace per trattare un ampio range di patologie autoimmuni, quali l’artrite reumatoide, la sindrome del colon irritabile, il lupus e la sclerosi multipla.