Posts tagged ‘AUSCHWITZ’

febbraio 13, 2021

10 FEBBRAIO 1936 IL GENOCIDIO ITALIANO DI AMBA ARADAM!

un episodio dimenticato quello avvenuto sull’altopiano etiope di Amba Aradam. Nella memoria è rimasta solo una parola che storpiando leggermente il nome del luogo di battaglia, significa confusione: è successo un ambaradan. Un capolavoro della propaganda fascista. La parola nacque poiché in quello scontro regnò il caos: gli italiani si accordarono con tribù, che andarono poi ad allearsi con le truppe abissine, per poi riallearsi con i fascisti, rendendo la battaglia assolutamente confusa.Nel 1929 il duce decise di far tornare il paese ai fasti dell’impero e l’Italia prese la rincorsa per eguagliare un piccolo posto nel mondo colonialista europeo. Tra i paesi rimasti a disposizione, la debole e arretrata Etiopia sembrava perfetta per il ridicolo e mal equipaggiato esercito italiano. Nel 1935 il duce decide quindi di far partire la campagna contro i “selvaggi” guidata da Pietro Badoglio.Le atrocità che i soldati italiani compirono sulla popolazione etiope sono innumerevoli, tra torture, stupri di “belle abissine”, teste di nemici tagliate ed esposte sulle strade e molto altro, tra cui l’episodio della battaglia di cui oggi ricorre l’anniversario sull’altura di Amba Aradam.Qui vi si rifugiarono circa 20.000 etiopi in fuga dalle razzie dei fascisti “brava gente”, guidati da Mulugeta. La compagnia italiana certa della vittoria, salì con sicurezza il pendio, ma un attacco in salita è difficile anche contro sassi, e qualche fucile di chi sta proteggendo con tutte le sue forze e la determinazione che ha in corpo, le proprie donne e bambini che si erano rifugiati nelle grotte del monte.L’incredibile resistenza durò ben una settimana, fino al 17 febbraio quando a seguito degli aggiornamenti dall’Africa, Mussolini in persona rispose chiaramente: “Dovete stanarli”.E fu così che in completa violazione della Convenzione di Ginevra, gli italiani usarono i gas e le armi chimiche. L’aviazione italiana utilizzò su larga scala il gas iprite, spargendolo a bassa quota, con lo scopo di terrorizzare sia i soldati che i civili e piegarne ogni resistenza, mentre le truppe italiane a terra lanciavano con l’artiglieria proiettili al fosgene e arsina.Sopravvivono non si sa come, 800 donne e bambini che vennero fucilati sul posto; Altre 1.500 persone, in maggioranza bambini che si erano nascosti nelle profonde grotte, vengono stanati e bruciati vivi con i lanciafiamme. A fine battaglia si contarono tra gli italiani 36 ufficiali e 621 soldati morti, 143 morti locali alleati con gli italiani, e oltre 20 mila morti etiopi.Fu un massacro tremendo, dimenticato per quasi 70 anni quando uno studente universitario di storia scopre in un faldone impolverato in un ufficio anonimo di Roma la vicenda, e la riporta alla luce.La propaganda fascista nascose ovviamente tutte le atrocità, dai gas, al massacro, alla tortura, le fucilazioni, le gole squarciate, le impiccagioni di donne e bambini, delle gambe e le braccia strappate dal corpo, le teste mozzate, le persone bruciate vive e chissà che altro successe in quegli anni di colonizzazione fuori tempo massimo. Le sofferenze in Etiopia proseguirono fino al 1941 sotto il comando di Rodolfo Graziani che venne inserito nella lista dei criminali di guerra per violazione dei diritti umani (vedi il caso di Debre Libanos e il massacro di Debra Brehan).Per concludere, è bene avere presente l’etimologia della parola Ambaradan. Perché nel nostro paese non vogliamo riconoscere l’orrore che abbiamo seminato e così, cosa avremo mai fatto? Abbiamo fatto un ambaradan! Quando, ogni volta che entriamo in un posto disordinato, diciamo: “Che ambaradan che c’è qui!”…è un po’ come se un tedesco entrasse in casa nostra e dicesse: “Però, che Auschwitz che c’è qui!”

marzo 25, 2020

Considerate la vostra semenza!

Nel suo libro “Se questo è un uomo” Primo Levi racconta che durante la prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz  ogni giorno recitava a ad un suo compagno di sventura polacco certo Jan,  il XXVI° canto dell’Inferno. Riportando questo episodio Levi fa comprendere come con questa pratica quotidiana i due internati, grazie a Dante, ritrovavano la loro dignità umana,

il viaggio di Ulisse infatti ha sempre rappresentato  un appello alla dignità attiva della ragione umana anche in condizioni estreme in cui si trovavano Primo e Jean. Recuperando la propria dimensione razionale, i deportati, costretti a vivere come bruti, riacquistano la loro dignità umana..

Il naufragio di Ulisse richiama il naufragio di Primo e di Jean: perchè Ulisse  non è più soltanto l’astuto ingannatore, bensì l’uomo di ogni tempo che dedica l’intera propria vita alla conoscenza. Qual è, dunque, la sua colpa? Il peccato commesso da Ulisse è quello di riscattare la propria vita nel proprio nel momento in cui sta cercando di oltrepassare i limiti posti al sapere umano, raffigurati nelle Colonne d’Ercole.

Oggi è il giorno dedicato a Dante, in un momento così difficile per l’intera collettività riascoltiamo anche noi le parole che servono a ricordarci di non perdere mai la nostra dignità e voglia di conoscenza.

agosto 2, 2012

Quando l’America non è Bob Dylan.

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leggete questo articolo e guardatevi le foto. Sono abbastanza vecchio ma mi rendo conto che al peggio non c’è mai fine.

gennaio 27, 2011

I treni della memoria: un’altra Italia è possibile.

Un sogno. E una legge che rendeva possibile trasformarlo in realtà. Ugo Caffaz, nel 2001 era direttore generale del dipartimento cultura e istruzione della Regione Toscana. Furono lui, l’allora presidente Claudio Martini e l’assessore Paolo Benesperi a dire che, sì, ci potevano, ci dovevano provare. Così nacque il Treno della Memoria. Dall’Italia alla Polonia a bordo di un convoglio per compiere quello che non è solo un viaggio fisico. E nemmeno solo un appuntamento simbolico. Era il 2002 quando per la prima volta il treno lasciò la stazione di Firenze in direzione di Oswiecim (Auschwitz in polacco) e Birkenau. Quasi 1300 chilometri di binari attraverso la neve dell’Austria e della Repubblica Ceca. Quasi due lustri dopo, sono sette i treni partiti dallo Stivale. Firenze, Torino, Milano, Brescia, Bolzano, Fossoli-Carpi, perfino Foggia. A bordo migliaia di ragazzi (studenti e universitari) e i loro professori. Che hanno ripercorso le orme di altre migliaia di giovani che in questo lasso di tempo hanno potuto toccare conmanol’orrore della Shoah.

gennaio 27, 2010

Dov’è Dio?

“Le tre vittime montarono insieme sugli sgabelli.

I tre colli furono infilati nei cappi allo stesso momento. Ad un segno del comandante del campo, i tre sgabelli rotolarono… Cominciò la marcia dinanzi alle forche. I due grandi non vivevano più. Le lingue cianotiche penzolavano gonfie.

Ma la terza corda si muoveva ancora; così leggero, il ragazzo era ancora vivo… Stette là per più di mezz’ora, lottando tra la vita e la morte, morendo d’una lenta agonia sotto i nostri occhi. E lo dovemmo guardare bene in faccia.

Era ancora vivo quando io passai. La lingua ancora rossa, gli occhi non ancora vitrei.

Dietro di me, udii lo stesso di prima domandare: “Dov’è Dio adesso?” E udii una voce dentro di me rispondergli: “Dov’è? Eccolo lì – appeso a quella forca…”

tratto da La Notte diElie Wiesel ( Fonte le Ragioni.it )

dicembre 21, 2009

Ritrovata la scritta di Auschwitz

La targa di Auschwitz, quella con la sinistra scritta ‘Arbeit macht frei’ (il lavoro rende liberi), rubata nella notte tra giovedì e venerdì, è stata ritrovata e sarà restituita al museo-memoriale dell’ex lager nazista, la più grande e atroce fabbrica della morte dell’Olocausto, il più grande cimitero del mondo. Con un blitz notturno, la polizia polacca, agenti speciali della Guardia di frontiera, del servizio segreto e dei reparti scelti del ministero della Difesa hanno preso d’assalto un’abitazione privata nel nord del Paese. Là hanno ritrovato la targa, tagliata in tre parti per renderla trasportabile. Là, hanno detto i portavoce della polizia, hanno sorpreso e arrestato i cinque presunti ladri-profanatori, cinque uomini tra i 20 e i 39 anni. Nelle prossime ore le autorità forniranno nuovi dettagli.

Grazie Polonia

dicembre 18, 2009

Furto-profanazione ad Auschwitz: rubata l’insegna “Arbeit macht frei”

Divelta la scritta in ferro battuto.

 I ladri sono entrati recidendo il filo spinato.L’iscrizione era stata realizzata dagli stessi prigionieri e installata nel 1940.Svitata da un lato e strappata dall’altro. Così è stato rubata l’insegna in ferro battuto, tragicamente celebre, che reca la scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”), che campeggiava al di sopra del cancello di ingresso del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau, nel sud della Polonia.

Non abbiamo voglia di fare alcun commento a riguardo tranne ricordare che in quel campo di concentramento morirono oltre un milione di persone per mano della follia nazi-fascista.

« Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. »
(Elie Wiesel, tratto da La notte. Wiesel fu rinchiuso ad Auschwitz all’età di 15 anni)