01:47 am | Risulta facile dimenticarsi l’ansia dopo aver affrontato un evento traumatico? Ricercatori in Germania hanno scoperto che è improbabile che sia così. In un nuovo studio, pubblicato nel The…
14 luglio 2012 / Leggi tutto »
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01:47 am | Risulta facile dimenticarsi l’ansia dopo aver affrontato un evento traumatico? Ricercatori in Germania hanno scoperto che è improbabile che sia così. In un nuovo studio, pubblicato nel The…
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Notti in bianco? Se non si tratta di episodi sporadici, meglio approfondire perché chi soffre di insonnia e non cura il disturbo rischia di sviluppare anche altre malattie. La notizia arriva dalla revisione di vari studi scientifici pubblicata oggi sulla versione online della rivista 1The Lancet. I ricercatori sono partiti dalla considerazione che l’insonnia è il disturbo del sonno più diffuso, ma nonostante i progressi nella diagnosi e nelle terapie spesso non viene ben identificata e neppure curata.
La revisione scientifica ribadisce proprio la necessità di diagnosticare e trattare il prima possibile questo disturbo per evitare il rischio di ammalarsi in futuro. Quando non è curata, infatti, l’insonnia può favorire l’insorgenza di depressione, diabete, ipertensione e può addirittura causare la morte.
Se ne conoscono i sintomi più comuni, apprensione, paura, difficoltà di concentrazione, la diffusione – quasi il 2-3% della popolazione – e le possibili terapie. Ora, uno condotto dall’Irccs Medea di San Vito al Tagliamento, in collaborazione con le università di Udine e di Verona, sembra averne identificato anche la causa. All’origine del disturbo di ansia generalizzato c’è un difetto di comunicazione tra diverse aree del cervello. Quando queste non “parlano” tra loro allora scatta il panico. Le zone “osservate” dai ricercatori sono quelle che controllano la risposta allo stress e le emozioni negative, situate nell’emisfero destro del cervello.
“Le aree parietali e callosali posteriori dell’emisfero destro si sa che partecipano alla percezione sociale e al riconocimento del proprio corpo nello spazio “, spiega Paolo Brambilla, 39 anni, coordinatore del team responsabile della ricerca, pubblicata sulla rivista dell’università di Cambridge “Psychological medicine. Gli studiosi hanno però compiuto un passo ulteriore, andando ad indagare l’interconnessione tra queste parti dell’encefalo. “Abbiamo applicato una metodica relativamente nuova, in collaborazione con l’istituto di radiologia dell’università di Udine, che permette di compiere degli studi di connettività tra le varie aree del cervello”, spiega Brambilla.
Gli omega 3, i grassi “buoni” contenuti nel pesce, nelle noci e in alcuni semi, funzionano come antidepressivo. Lo ha dimostrato uno studio canadese realizzato da una “rete” di università – Montreal, McGill, Laval, e Queen’s – su 432 volontari seguiti per quattro anni.
La ricerca, pubblicata su Journal of Clinical Psychiatry, indica che l’uso di integratori a base di Omega 3 su pazienti con depressione severa, resistenti ad alcuni antidepressivi e che non hanno disturbi d’ansia, ha buoni risultati.
Nel corso della sperimentazione la metà dei pazienti è stata trattata con integratori di acidi grassi (3 capsule al giorno) per otto settimane. L’altra metà, invece, con capsule placebo, riempite di olio di girasole. Nella prima analisi dei dati non era stato possibile accertare l’efficacia del trattamento. Ma da test successivi, condotti dai ricercatori diretti da Francois Lesperance, è risultato chiaro che gli Omega 3 erano particolarmente efficaci nelle persone con depressione maggiore, ma non nei pazienti con disturbi ansiosi.
Ora i ricercatori puntano a uno studio comparativo tra gli integratori di acidi grassi e gli antidepressivi tradizionali, per una conferma definitiva della cura alternativa che potrebbe aiutare a superare il problema dell’abbandono della terapia, frequente con i medicinali classici a causa degli effetti collaterali poco tollerati.
Gli omega 3, i grassi “buoni” contenuti nel pesce, nelle noci e in alcuni semi, funzionano come antidepressivo. Lo ha dimostrato uno studio canadese realizzato da una “rete” di università – Montreal, McGill, Laval, e Queen’s – su 432 volontari seguiti per quattro anni.
La ricerca, pubblicata su Journal of Clinical Psychiatry, indica che l’uso di integratori a base di Omega 3 su pazienti con depressione severa, resistenti ad alcuni antidepressivi e che non hanno disturbi d’ansia, ha buoni risultati. Nel corso della sperimentazione la metà dei pazienti è stata trattata con integratori di acidi grassi (3 capsule al giorno) per otto settimane. L’altra metà, invece, con capsule placebo, riempite di olio di girasole. Nella prima analisi dei dati non era stato possibile accertare l’efficacia del trattamento. Ma da test successivi, condotti dai ricercatori diretti da Francois Lesperance, è risultato chiaro che gli Omega 3 erano particolarmente efficaci nelle persone con depressione maggiore, ma non nei pazienti con disturbi ansiosi.
Ora i ricercatori puntano a uno studio comparativo tra gli integratori di acidi grassi e gli antidepressivi tradizionali, per una conferma definitiva della cura alternativa che potrebbe aiutare a superare il problema dell’abbandono della terapia, frequente con i medicinali classici a causa degli effetti collaterali poco tollerati.
La Stampa