Di Beppe Sarno
In questo giubilare interessato del comunismo nostrano, mi piace ricordare un personaggio fuori dal tempo che può essere definito un comunista ante litteram nato e vissuto circa cinquecento anni fa.
Il personaggio è Tomas Munzer, di cui parla diffusamente Engels, ritenendolo uno dei maggiori rivoluzionari della storia.
Tomas Munzer nel maggio 1525 venne decapitato dopo orribili torture. Spariva così una figura di agitatore e apostolo dopo essersi battuto alla testa dei contadini tedeschi accerchiati insorti in una lotta impari contro i padroni dell’epoca. Con la morte di Tomas Munzer la guerra dei contadini che aveva sconvolto la Germania finiva miseramente. Ricercare l’origine di questa lotta e seguirne le vicende diventa necessario se si vuol conoscere in Tomas Munzer il filosofo e l’uomo politico che destò l’ammirazione e la stima di uno dei padri del comunismo.
Nel sedicesimo secolo in Germania vi era un’agricoltura arretrata, industria ed il commercio erano limitati a pochi centri ed esisteva un potere politico estremamente frastagliato. Questo decentramento politico determinava l’aggrupparsi si interessi economici per singole regioni fra loro contrastanti. I principi nati dai grandi feudatari medioevali erano di fatto indipendenti e tassavano e riscuotevano a loro piacimento. Per questi signori i contadini erano sottomessi in maniera completa ed assoluta. Le famiglie patrizie che amministravano le città ne erano di fatto i padroni assolti, le gerarchie ecclesiastiche usavano ogni mezzo che il loro enorme potere conferiva per arricchirsi: torture, rifiuto delle assoluzioni, scomunica. Nel grado più basso della gerarchia stavano i contadini. Sui contadini pesava tutta la società: principi, funzionari, nobiltà, preti, patrizi e mercanti borghesi.
Il contadino, a chiunque appartenesse, veniva trattato come una cosa, come una bestia da soma. La sua vita era contrassegnata da balzelli da pagare a questo o a quello. Ogni arbitrio era concesso a suo danno; la pesca la caccia, la coltivazione del fondo imponevano tasse da pagare e se al principe veniva in mente di prendersi la moglie esisteva lo ius primae noctis. Chi si ribellava finiva in galera o ammazzato. “ di tutti gli edificanti capitoli del codice criminale carolino che trattano del taglio delle orecchie del taglio del naso, del cavar gli occhi, del mozzare le dita o le mani, del decapitare, dell’arrotare, dell’abbruciare, dell’attanagliare con tenaglie roventi, dello squartare, non ce n’è uno che non sia applicato dai graziosi padroni ai propri contadini!”(F. Engels: La guerra dei contadini.)
La disperazione dei contadini determinò il nascere di sette che si fecero interpreti del loro malcontento perché era diventato impossibile tollerare lo stato delle cose. La violenza divenne l’unica risposta possibile. La finalità dei vari movimenti veniva mascherata dal presupposto formale dell’eresia religiosa che predicava il ritorno allo spirito autentico evangelico e all’uguaglianza di tutti davanti al Creatore. Sostanzialmente si chiedeva un’eguaglianza civile ed economica con l’abolizione di tutti i privilegi.
Mentre la piccola borghesia urbana si limitava a cercare un accomodamento, i contadini chiedevano una radicale inversione di tendenza. Si creò così una tendenza moderata ed una tendenza radicale cappeggiata da spiriti rivoluzionari. Lutero si fece interprete delle esigenze dei primi, mentre Munzer si schierò dalla parte dei contadini e divenne l’animatore dell’insurrezione. Lutero inizialmente incitava i suoi seguaci a “lavarsi le mani nel sangue” dei prelati della curia romana, poi quando capì che le cose prendevano un indirizzo diverso da quello da lui auspicato cominciò a predicare il vangelo della tolleranza e della calma. Malgrado le prediche di Lutero la rivolta non si fermò e rischiava di coinvolgere l’intera Germania e di sconvolgere l’ordinamento sociale. Lutero diventato frattanto il beniamino dei principi dimenticando il suo messaggio iniziale, invocò la rabbia di questi sui contadini che meritavano di essere “schiacciati, strangolati, e pubblicamente dove si può, come si ammazza un cane arrabbiato.” sicuramente se la sconfitta dei contadini può avere un padre questo è Martin Lutero.
Non cosi Tomas Munzer!
Il giovane monaco aveva un’anima ardente battagliera, intrepida e fin dalla prima giovinezza dedicò la sua missione all’idea di redimere il popolo tedesco dalla condizione di servaggio in cui era ridotto. Appena dottore si ribellò alla curia romana predicando dovunque contro i privilegi e le sopraffazioni dei preti e dei potenti. Fu ascoltato e seguito dal popolo che si riconosceva in lui e dovunque andava la sua parola veniva ascoltata con entusiasmo. La sua dottrina subordinava la Bibbia alla ragione e negava l’esistenza dello Spirito Santo al di fuori di noi. La sua dottrina è stata paragonata a ragione alla moderna speculazione positivistica. Comunista ante litteram la nuova società che lui predicava presupponeva la scomparsa delle classi esistenti, alle quali si doveva sostituire un’unica classe che doveva contenere tutta la collettività. La proprietà privata sarebbe dovuta scomparire a vantaggio della proprietà collettiva ed il lavoro doveva perdere il carattere di subordinazione e mortificazione che rivestiva. Nella sua visione lo Stato doveva essere la rappresentazione della volontà popolare. Non solo il cambio di paradigma non doveva avvenire solo in Germania, ma in tutta la cristianità. Munzer predicava l’insurrezione violenta delle masse salvo che le classi privilegiate non avessero acconsentito a rinunciare ai loro privilegi. Pochi decenni dopo un monaco calabrese, scriverà “La città del Sole”. Campanella condannato al carcere a vita dalle prigioni napoletana ove era rinchiuso parlerà come Munzer affermando che era giunto il momento, segnato nei cieli e indicato nelle profezie, di una riforma religiosa e politica che, nell’imminenza della fine dei tempi, portasse il cristianesimo alla sua radice universale e naturale e instaurasse una forma di governo repubblicano fondata su principî filosofici.
Desta meraviglia di fronte ai balbetti della politica odierna la modernità di questi precursori di Carlo Marx che avevano anticipato di secoli i principi della democrazia.
Tomas Munzer non si limitò ad essere un teorico, infatti, egli rompendo con Lutero da lui definito la mansueta volpe di Wittemberg, di cui aveva compreso i limiti si dedicò a preparare ed organizzare la rivolta dei contadini passando alla lotta armata. Creò una vasta lega, impartì istruzioni, percorse con i suoi fedeli anabattisti l’intera Germania e quando l’insurrezione precipitò dalla Svezia dilagando nella Turingia, nell’Eichsfeld, nell’Harz, nei ducati sassoni, nella Franconia superiore, nel Vogtland, Munzer si fece trovare pronto a capo deli contadini. Munzer, purtroppo, non era uno stratega, ai contadini mancavano armi e comandanti in grado di elaborare strategie di guerra e quindi la rivolta si risolse in una serie di battaglie locali mentre la reazione riusciva ad organizzarsi.
Il 15 maggio 1525 Munzer venne arrestato a Frankenhausen, dove era accorso in aiuto della città ribelle. A Munzer fu riservato un trattamento particolare: insultato, ingiuriato, schernito venne suppliziato e decapitato alla presenza del vincitore, il cristianissimo langravio Filippo d’Assia. Moriva così a soli ventotto anni questa intrepida figura di apostolo e rivoluzionario. Il suo martirio è stato celebrato da grandi storici. Io voglio ricordarlo come un precursore che ha combattuto contro l’ingiustizia in un periodo storico in cui essere dalla parte dei deboli costava la vita.