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gennaio 20, 2021

EMANUELE MACALUSO

di Felice Besostri

Tra le fortune legate all’attività politica, sempre più rare per chi sia collocato a sinistra in questo XXI° secolo, vi è stata quella della conoscenza, frequentazione, confidenza, reciproco rispetto, e amicizia, pur correndo il rischio di essere considerato presuntuoso, di Emanuele Macaluso. L’occasione è stata la vittoria dell’Ulivo del 1996 con la mia elezione nel Senato della Repubblica, come candidato socialista della Federazione Laburista, che  sarebbe confluita nel progetto dei DS (Democratici di Sinistra), sorto in seguito all’ assemblea degli Stati generali della sinistra  del 12, 13 e 14 febbraio 1998, a Firenze. Quel progetto, purtroppo, non fu all’altezza di quello che avrebbe potuto essere nell’intenzioni dei suoi promotori al vertice delle formazioni coinvolte, ma soprattutto nelle speranze dei militanti. Il fatto, che fosse stata battezzata giornalisticamente la «Cosa 2» ha, con il senno di poi, contribuito al suo insuccesso. Si era dissolta l’Unione sovietica nel dicembre del 1991, dopo che uno dei simboli della divisione dell’Europa, il muro di Berlino era crollato il 9 novembre del 1989 (un evento da me vissuto, per caso assolutamente fortuito, in presa diretta), la divisione storica della sinistra europea poteva essere ricomposta almeno nell’Europa a 12 membri, che si era allargata a Spagna e Portogallo nel 1986, finalmente liberate dai regimi fascisti instaurati da Salazar e Franco. Nel 1989 le terze elezioni dirette del Parlamento europeo si erano concluse con una vittoria dei socialisti, primo partito con 180 seggi su 518, che con i 42 dei comunisti e i 30 verdi totalizzavano 252 seggi  e il 48,65% dei voti, erano a un passo dalla maggioranza assoluta di 260 seggi. Ebbene si propone? Una «Cosa 2», una “cosa” appunto, senza attrattiva e continuista dopo l’evidente insuccesso della «Cosa 1: sarebbe stato meglio, che si fosse organizza un’ Assemblea della sinistra comune, dopo qualche decina di migliaia di incontri di base, territoriali o di gruppi tematici, invece che ”gli stati dei generali della sinistra”. 

All’interno del Gruppo senatoriale dei DS-Ulivo si era costituito un sottogruppo dei socialisti, laburisti e democratici progressisti, di cui ero stato nominato coordinatore, che aveva come riferimento la rivista fondata e diretta da Emanuele Macaluso, “Le Ragioni del Socialismo”. Macaluso nelle vicende della sinistra italiana è stato un gigante, non il solo, di cui un certo numero ancora attivi, tra i quali annovero Rino Formica, che ha per primo usato l’espressione alla notizia della morte a pochi mesi dal suo 97° compleanno, era nato il 21 marzo del 1924: “Macaluso un gigante. Quando cade un gigante non c‘è spazio per piangere”.

Sindacalista della CGIL e organizzatore, nella sua Sicilia, delle occupazione contadine delle terre, scontro non solo con gli avversari politici, ma anche con il sistema di potere e di controllo della mafia, di cui sono perenne testimonianza i sindacalisti socialisti Placido Rizzotto e Salvatore “Turi”Carnevale, a prezzo della loro vita. Basta pensare alla strage di Portella delle Ginestre nella Pian degli Albanesi del 1° maggio 1947, dove Emanuele, che aveva 23 anni tenne il primo comizio e nella stessa località nella ricorrenza del 2019 il suo ultimo alla presenza di 5.000 persone o meglio compagne e compagni. E’ stato un discorso di quelli da imparare a memoria come quello di Piero Calamandrei sulla Costituzione di Milano 1955, decisivo nella mia formazione. Li potete sentire e quello di Macaluso, anche vedere nella rete. Ai miei tempi del primo impegno politico nella Federazione Giovanile Socialista nei primi anni ’60, dopo i fatti di Genova e Reggio Emilia, c’erano ancora i comizi, a distanza di oltre 60 anni mi ricordo ancora di un comizio di Pietro Nenni, in piazza del Duomo a Milano per la pace e contro la bomba atomica o quello  al Congresso del PSOE del 1976 a Madrid, dove aveva combattuto 40 anni prima.

Macaluso come altri è stato parte della storia della sinistra e perciò anche dei suoi errori, altrimenti non sarebbe ridotta al lumicino, come forza politica e parlamentare, con la formazione del PD, alla quale Macaluso non risparmiò critiche. Ad essere precisi, una sinistra non di testimonianza non esiste più, semmai un centro-sinistra, con o senza trattino di separazione. Non era questa la prospettiva di Macaluso, che avrebbe voluto una ricomposizione della frattura storica tra comunisti e socialisti, di cui si celebrerà quest’anno il centenario della scissione di Livorno. A questa scelta di fondo non appartengono solo i suoi scritti polemici, senza sconti per nessuno, ma anche atti simbolici, come quando fece uscire insieme con il quotidiano il Riformista la testata storica dell’Avanti!.

Sono convinto che per onorare Macaluso bisogna lavorare al suo progetto di ricomposizione dei filoni ideali

Storici della sinistra della italiana, che nel contesto europeo significa rimettere insieme socialisti, comunisti e libertari come suggerito da Edgar Morin a partire dal 2010, con il suo libro “Ma gauche” e che ha attualizzato alla vigilia di diventare centenario l’8 luglio 2021. Quest’anno non di potrà sfuggire al centenario di Livorno  che temo sarà un’occasione politicamente sprecata e spero ardentemente di sbagliarmi, se sarà un confronto su un passato, che non ha nulla da insegnare, invece di parlare del presente, che se non va in altra durezione esclude, che possa esserci un futuro. I compagni impegnati in questo progetto l’hanno intitolato “Dialogo Gramsci Matteotti” sapendo bene, che non c’è stato, anzi negli anni ’20 sarebbe stato impossibile, ora è semplicemente inevitabile.

gennaio 20, 2021

EM.MA.

di Franco Astengo

La sinistra italiana è rimasta orfana anche di Emanuele Macaluso, strenuo combattente per i diritti dei lavoratori, a 18 anni segretario della camera del lavoro di Caltanissetta.

Essere segretario della Camera del Lavoro di Caltanissetta in quel 1944 con la Sicilia occupata dagli americani e il separatismo in piena azione anche militare, voleva dire porsi il compito di difendere gli zolfatari da uno dei livelli di sfruttamento più inumani mai registrati nella storia del movimento operaio italiano.

Non è certo questa la sede per ripercorrere il suo cammino politico, la sua coerenza riformista, le sue travagliate vicende personali.

Nel PCI si era sempre distinto per la chiarezza della posizioni e la determinazione nel sostegno alle sue idee con l’utilizzo di una scienza politica ben degna del rappresentare uno degli ultimi epigoni della tradizione togliattiana.

Macaluso lo si poteva contrastare (e la sinistra comunista lo contrastò molto vivacemente in diverse occasioni) ma non certo senza riconoscergli coerenza e profonda onestà intellettuale

Em.Ma (come firmava i suoi editoriali all’epoca della direzione dell’Unità) sostenne sempre con grande forza le ragioni dell’unità a sinistra pensando anche ad un approdo di compiuta socialdemocratizzazione del Partito.

Per questo motivo, pur aderendo alla svolta occhettiana, restò sempre in posizione critica ritenendo quel processo politico non solo incompiuto ma oscillante e generico nelle sue coordinate di fondo: così sviluppò, ad esempio, il suo intervento nell’occasione della presentazione alla Camera del “Sarto di Ulm” di Lucio Magri, da lui distante per posizioni politiche ma sicuramente accostabile nel senso della tenacia di una ricerca per una dimensione diversa non dogmatica nella presenza della sinistra non soltanto all’interno del sistema politico italiano ma anche sul piano della dimensione internazionale.

Un ricordo politico coerente per Emanuele Macaluso allora può essere portato avanti anche nel solco di quel tentativo di superamento delle divisioni storiche che abbiamo cercato di realizzare attraverso il “Dialogo Gramsci – Matteotti”.

Sicuramente lui non si sarebbe fermato al “aveva ragione questo” o “aveva ragione quello” e neppure si sarebbe arreso considerando la sinistra vittima di una “eterna dannazione” come si sta cercando di descrivere in questi giorni, nei pressi del centenario di Livorno.

Ricordiamo allora Emanuele Macaluso ribadendo i punti di principio sui quali abbiamo cercato di elaborare, proprio nel nome del dialogo Gramsci – Matteotti, una visione strategica per una nuova sinistra.

Da molto tempo la sinistra italiana ha bisogno di avviare un processo di vera e propria ricostruzione.

Alcuni punti fermi di una tale rifondazione sono a nostro avviso ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali della possibile ripartenza:

1)   L’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento;

2)   la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni;

3)   è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”;

4)   Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la sua rifondazione è oggi più che mai una priorità per una nuova sinistra che voglia essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo;

5)   della crisi di sistema appena richiamata sono indizio anche alcune pulsioni che pensavamo ormai accantonate, da quelle nazionalistiche, a quelle imperialiste, al ritorno di fantasmi quali il razzismo e il fascismo. Anche tutto questo ovviamente deve essere inquadrato nel contesto del mutamento delle dinamiche internazionali degli ultimi decenni. La fase presenta infatti elementi di emersione di nuovi livelli di confronto tra le grandi potenze e di profonda modificazione del processo di globalizzazione, così come si era presentato alla fine del XX secolo e, successivamente, nella fase della “grande crisi” del 2007. “Grande crisi” riaperta improvvisamente all’inizio del 2019 con l’esplosione globale dell’emergenza sanitaria. Un’emergenza che reclama sicuramente un vero e proprio “mutamento di paradigma” nelle coordinate strategiche di qualsivoglia ipotesi di cambiamento rivolta al recupero del senso dell’uguaglianza, così ferito nel corso degli anni;

6)   In questo senso non ci interessa costruire una sorta di Pantheon comune fra compagne e compagni che hanno vissuto passate divisioni e che invece oggi sono unicamente impegnati ad affrontarne sfide nuove ed inedite; molto più interessante semmai una ricerca in mare aperto su quelle che definiamo “linee di successione” rispetto ai grandi del pensiero e dell’azione politica di sinistra del ‘900.

Queste la ragioni di fondo della nostra riflessione che abbiamo voluto intitolare ai due grandi martiri dell’antifascismo.

L’occasione dolorosa della scomparsa di Emanuele Macaluso nella sua proposta di laica forza del pensiero ci sembra proprio da cogliere per portare avanti il senso complessivo di questa nostra proposta di riflessione.

gennaio 20, 2021

Se cent’anni vi sembrano pochi!

di Felice Besostri

Siamo, idealmente, nel gennaio del 1891, abbiamo appena un anno davanti a noi prima di fondare un partito dei lavoratori italiani, nella città che offra le migliori condizioni logistiche per un’ampia partecipazione di lavoratori e delle loro associazioni, particolarmente presenti e organizzate nell’Italia settentrionale in varie forme, società di mutuo soccorso, casse di resistenza, leghe, camere del lavoro, circoli operai. Siamo in ritardo. In Germania è stato fondato nel 1863, in Austria è attivo dal 1874, persino la Spagna è più avanti di noi avendo fondato il suo nel 1879, mentre in Gran Bretagna nel 1881 si costituiva una prima formazione d’ispirazione socialista con la partecipazione di Eleanor Marx. Soltanto la Francia è più indietro dell’Italia, benché nel 1889, centenario  della Rivoluzione francese con la presa della Bastiglia, proprio a Parigi, sede di un’Esposizione Universale, si fosse riunita per la sua fondazione l’Internazionale Socialista, che radunò nel suo seno  tutte le diverse sensibilità socialiste, da quelle socialdemocratiche a quelle comuniste fino allo scoppio della prima guerra mondiale.

Nella situazione attuale della sinistra, scomparsa come forza politica influente in Italia, e in grave difficoltà in Europa, ma vince in Nuova Zelanda e in Bolivia, per invertire la tendenza dovremmo dedicare più tempo, energie fisiche ed intellettuali, nonché le limitate risorse materiali di cui disponiamo al 130° anniversario della fondazione, nel 1892, del primo partito dei lavoratori italiani, piuttosto che al centenario del Congresso di Livorno, inteso sia come data di fondazione del partito comunista in Italia, che come scissione del socialismo italiano al suo XVII° Congresso.  La situazione obiettiva non è paragonabile a quella degli anni Venti del XX° secolo, allora il Partito, ancora unico della sinistra, era il Partito di maggioranza relativa. Ora siamo come alla fine del XIX° senza un partito della sinistra, con quello che è rimasto non di può rifondare/ricostruire nulla, per non ripetere, bisogna come nel 1892 cominciare da capo.

La fondazione  partito dei lavoratori a Genova, per profittare delle agevolazioni ferroviarie per le celebrazioni della scoperta delle Americhe del 1492, era stata preceduta da una separazione, quella dei socialisti dagli anarchici, non una scissione, in senso tecnico, perché non si era formata un’organizzazione unica, perché sarebbe stato impossibile formarla per ragioni politiche ed ideologiche delle sue componenti.  Nel giro di pochi anni il partito dei lavoratori si sarebbe definito socialista, come nel resto d’Europa ad eccezione della Scandinavia e della Gran Bretagna, con varie combinazioni di aggettivi, che prescindevano dall’adesione o meno al marxismo, compreso il Partito Operaio Socialdemocratico Russo fondato a Minsk nel 1898, che comprendeva sia i bolscevichi, comunisti e rivoluzionari, che i menscevichi, socialisti democratici. Le vicende di quel partito strettamente legate alla Rivoluzione russa, un fatto epocale, sono in parte all’origine dell’evento  per Left del 8 gennaio 2021 Livorno 1921, come “c’è scissione e scissione, non tutto è dannazione”, perché ridurla al fatto dell’autoemarginazione dei comunisti per fondare il PCdI, esito non voluto se non da Amedeo Bordiga il leader della frazione d‘allora, in contrapposizione all’espulsione dei riformisti, chiesta nelle 21 condizioni dell’Internazionale Comunista, significa rimanere prigionieri del passato. Stabilire oggi politicamente, se avesse ragione Amedeo Bordiga, tra l’altro eliminato dalla storia ufficiale del PCI, come Lev Trotsky non compare in nessuna foto del PCUS, o Filippo Turati, ci renderebbe prigionieri, für ewig, del passato, porteremmo mattoni in più alla costruzione del muro, che ha diviso socialisti e comunisti, le principali componenti, anche se non esclusive, ideali e storiche della sinistra italiana, europea e mondiale. Erano due minoranze, che, anche sommate (58.783 i comunisti e 14.695 la mozione riformista), erano molto lontane da 98.628 voti dei massimalisti di Giacinto Menotti Serrati. Il confronto tra di loro, chiunque avesse vinto, non avrebbe evitato la sconfitta ad opera dei fascisti e dei loro alleati e/o complici, altrettanto determinanti degli squadristi. La verifica la si avrebbe avuta da lì a poco con le elezioni del  15 maggio 1921 il Partito Socialista Italiano era ancora il primo partito italiano con 1 631 435 voti e il 24,7% e 123 seggi, ma rispetto al 1919 -33 seggi e -7,6%, una perdita non compensata dal risultato del Partito Comunista con il 4,41% e 15 deputati.

Che la situazione stesse precipitando e che l’oggettiva situazione rivoluzionaria, preconizzata de Bordiga ma anche del Terracini nel suo discorso di Livorno fosse tramontata, fosse mai esistita se non come pio desiderio di “fare come in Russia” di convinti militanti senza base di massa, si manifestò nel giro di poco più di un anno: marcia su Roma del 28 ottobre 1922, incarico di Presidente del Consiglio del 30 ottobre a Benito Mussolini. Seguirono le elezioni del 6 aprile 1924 con violenze squadriste e brogli e con la legge Acerbo caratterizzata da un premio dei 2/3 dei seggi a chi avesse superato il 25% dei voti validi e l’assassinio di Giacomo Matteotti del 10  giugno 1924. Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani, nei quali la sinistra era rappresentata da 24 Socialisti unitari e 22 socialisti italiani e nel complesso del Parlamento del 1924 anche da 19 comunisti               per un totale del 14,67%: una percentuale paragonabile al 16,57% dei DS alle elezioni dei 2001, dopo la fondazione del PD con la scomparsa dell’ultima formazione erede nella sua stragrande maggioranza del PCI, non sono più possibili paragoni. La sinistra non esiste più, c’è un centro-sinistra con partito egemone il PD, aderente tardivo, grazie a Renzi, al PSE, ma non più ad un’Internazionale Socialista, nel frattempo smobilitata e una sinistra fuori dal PD e in Parlamento temporaneamente raccolta in Liberi e Uguali alleata con PD nel Governo Conte bis e fuori dal Parlamento quel che resta di Rifondazione Comunista e, forse Potere al Popolo, un abbozzo di progetto verde-rosso e un Comitato per l’Unità Socialista, che ha aderito al Manifesto promosso dall’ANPI.

Tutte queste forze nel nostro Paese non hanno un consenso superiore, sulla base delle elezioni col Rosatellum del 2018 e quelle regionali del 2019- 2020, a quello del solo PSU nelle elezioni del 1924, cioè, ad essere ottimisti, il 5,90%. Da quello che ho letto e visto o so si sta preparando per il centenario di Livorno, sono giunto alla brutale, ma spero provvisoria conclusione, che sarà un’occasione politicamente perduta, sul piano storico non mi pronuncio e neppure mi interessa la nostalgia di come eravamo. Livorno non ha nulla da insegnare, né sulla consapevolezza di chi siamo oggi come sinistra, ma soprattutto su cosa dovremmo pensare e fare per influire sugli eventi e acquistare consensi, formando cittadini partecipanti consapevoli.

Questo è il compito principale di forze preoccupate per la crescita delle diseguaglianze dovunque, anche nei paesi cosiddetti “sviluppati” e che non assicurano in troppe aree del mondo, dove vive la maggioranza della sua popolazione, il soddisfacimento dei bisogni primari alimentari, sanitari e educativi, per la sopravvivenza del pianeta, per la crescita esponenziale del potere di centri decisionali sottratti ad ogni forma di controllo pubblico politico democratico e a un prelievo fiscale equo e progressivo, ma che controllano la comunicazione sociale e influenzando i comportamenti individuali e collettivi, in altre semplici parole, che vogliono un mondo diverso e migliore.

Milano 18 gennaio 2021, terzo giorno del Congresso di Livorno cent’anni fa.