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aprile 16, 2020

Fare squadra.

Di Gaetano Colantuono.

Abbiamo bisogno non di un leader mediatico, ossia funzionale ai media per vendere o vendersi, ma di un gruppo dirigente all’altezza dei compiti sul piano politico e anche umano.

Una squadra, insomma, non un leader. Fare squadra, non assumere leadership che per lo più hanno portato alla deriva. Assenza di settarismo interno ma collaborazione entro regole chiare.
Dare continuità al progetto negli enti locali, nel sindacato, nei movimenti e nelle auspicabili mobilitazioni popolari, senza delle quali noi siamo inutili, anzi siamo fritti.

Noi storicamente le congiure di palazzo le subiamo soltanto. Noi conoscemmo conquiste solo col binomio lotte popolari-lavoro nelle istituzioni.

1. NESSUNA VOCE PREVALGA SULLA DIFESA E ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE.
2. Casse di resistenza.
3. ABROGAZIONE DEI DECRETI SICUREZZA E RIPRISTINO DELL’ART. 18.
4. ABROGAZIONE DELLA REVISIONE DEL TITOLO V NEL 2001.
5. MULTIPOLARISMO COERENTE.

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aprile 16, 2020

In Danimarca riaprono le scuole, ma con nuove regole: banchi distanziati e più lezioni all’aperto

Da ieri in Danimarca le scuole stanno pian piano riaprendo. Naturalmente ci saranno regole nuove a cui attenersi: niente baci e abbracci, banchi separati e tante lezioni all’aperto.

La Danimarca è la prima nazione in Europa a riaprire le scuole. Tutti gli istituti di ogni ordine e grado erano stati chiusi dal 12 marzo nel tentativo di contenere l’aumento dei casi di Covid-19 ma da ieri però, sia pur con regole speciali, i bambini fino ai 11 anni sono tornati in classe. Anche altri Paesi europei vogliono sperimentare un rientro graduale in aula.

All’inizio di aprile, il governo del paese aveva annunciato la riapertura delle scuole a patto di rispettare le linee guida del National Board of Health per mantenere le distanze e garantire un’igiene adeguata.

Dunque aperti asili, scuole d’infanzia ed elementari, anche se non ancora in tutti i comuni, c’è  infatti chi si sta adeguando alle nuove norme di sicurezza (tutti saranno comunque operativi entro il 20 aprile).

Gli studenti più grandi, invece, quelli di medie e licei, riprenderanno il 10 maggio. La decisione comunque potrebbe essere rivista nel caso i contagi tornassero a salire.

C’è da dire che, come si poteva immaginare, non è tutto come prima, anzi, molto è cambiato. Diverse le modifiche necessarie per limitare la diffusione dei contagi da coronavirus: i banchi devono essere tenuti a due metri di distanza, le mani devono essere lavate più volte durante il giorno e gli intervalli sono organizzati in piccoli gruppi. Niente baci e abbracci ma, in compenso, la possibilità di fare molta più didattica all’aria aperta.

Tante scuole danesi stanno optando proprio per questa possibilità e si sono attrezzate per fare lezioni fuori dalle tradizionali aule, anche se piove o tira vento. Alcune si sono infatti dotate di apposite tende per poter rimane all’aperto anche in caso di maltempo.

Non tutti però sono soddisfatti di questa scelta. Alcuni genitori, preoccupati, hanno deciso comunque di non mandare i propri figli a scuola.

Nel resto d’Europa, anche altri paesi hanno già annunciato la riapertura delle scuole.  Pronta ad esempio la Norvegia, mentre in Francia, Emmanuel Macron, ha dichiarato che si tornerà gradualmente in classe a partire da maggio; in Germania e Lussemburgo si parla del 4 Maggio, 10 Maggio poi per la Grecia e persino la Spagna sta valutando una possibile riapertura, con le dovute cautele.

aprile 16, 2020

È morto Luis Sepúlveda.

È morto Luis Sepúlveda, lo scrittore cileno aveva contratto il coronavirus

Era ricoverato da fine febbraio a Oviedo. Aveva 70 anni

di STEFANIA PARMEGGIANI

Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore dal passo ostinato e contrario, esordì con un racconto bollato come pornografia dal preside del suo liceo, a Santiago del Cile. “Era il ’63. Ci innamorammo tutti della nuova professoressa di storia. La signora Camacho, una pioniera della minigonna”. Un compagno di classe gli chiese di scrivere una storia su di lei. Quindici-diciotto pagine. Finirono nelle mani del preside: “Questa è pornografia”, gli disse. Provò a replicare: “Letteratura erotica”. “Pornografia – tagliò corto – ma scritta molto bene”.

Raccontava così Sepúlveda, pescando dal cilindro l’ennesimo saporito aneddoto quando di lui i lettori pensavano di conoscere già tutto: i lineamenti forti da guerriero stanco, gli occhi scuri che si accendevano di passioni, l’odore delle tante sigarette fumate. E lo faceva con quel talento da affabulatore che lo rendeva prima ancora che un abile scrittore, un inguaribile cantastorie. Scriveva favole Sepúlveda – e non ci riferiamo solo alla deliziosa Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – ma ai tanti romanzi al cui centro c’era l’eterna lotta tra il bene e il male. Non amava la cronaca puntigliosa, credeva che la letteratura fosse finzione e intrecciava i fili della narrativa per dare vita a personaggi picareschi e trame avventurose inzuppate di passioni e ideali. I suoi ovviamente, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto.

Con il suo esordio – Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, dedicato a Chico Mendes – regalò ai lettori un primo pezzo della sua intensa vita: sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. Nel 1977, espulso dal Cile dopo due anni e mezzo di carcere, si era unito a una missione dell’Unesco per studiare l’impatto della civiltà sulle popolazioni native. Nacque così una storia sospesa tra due mondi, quello degli indios diffidenti nei confronti dei bianchi (cacciatori di frodo, cercatori d’oro, avanguardie dell’industria più feroce) e quei bianchi che al protagonista avevano insegnato a leggere dandogli così un rifugio per la perdita della giovane moglie.

Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell’Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi.

Vita, attivismo e letteratura nelle stesse pagine. Alla militanza politica ci pensò La frontiera scomparsa: i racconti che compongono il libro seguono le tappe di un cileno che dalle prigioni di Pinochet ritrova la libertà attraversando l’Argentina, la Bolivia, il Perù, l’Ecuador, la Colombia, in treno o su veicoli di fortuna fino a Panama dove si imbarcherà per la Spagna. A chi gli chiedeva perché mai ci avesse messo tanto a trasformare quell’esperienza in letteratura lui rispondeva con un sorriso tagliente che per l’appunto, era letteratura quella che voleva fare, non psicoletteratura. Detestava il pathos, aveva bisogno di mettere tra lui e il Cile la giusta distanza. Dal dramma si risollevava con la lingua: semplice, netta, sintetica. Tutto il contrario di Marquez: molto realismo, nessuna magia. O forse la magia della realtà. Per dirla con Hemingway, parole da venti centesimi e nessuna costruzione barocca. Era già abbastanza fantasiosa la vita con i suoi fasti e le improvvise cadute.

aprile 16, 2020

Addio a Lee Konitz, uno degli ultimi grandi del jazz mondiale: suonò con Miles Davis

Coronavirus, addio a Lee Konitz, uno degli ultimi grandi del jazz mondiale: suonò con Miles Davis

Il sassofonista, geniale improvvisatore di uno degli strumenti protagonisti del genere, è morto a causa del Covid-19. Aveva 92 anni. Con Davis aveva registrato ‘Birth of the Cool’

Ha suonato per più di 70 anni, fino agli ultimi giorni, quando è rimasto vittima, come tanti altri, del coronavirus. Il prolifico Lee Konitz, uno dei più geniali sassofonisti jazz, stile inconfondibile e capacità geniale d’improvvisare, si è spento ieri, mercoledì 15 aprile al Lenox Hill Hospital di New York. Aveva 92 anni. Il figlio, Josh Konitz, ha confermato la notizia riportando che le cause del decesso sono da attribuirsi al Covid-19.
Lee Konitz era uno degli ultimi colossi del jazz, stile al quale si era avvicinato quando era appena un bambino. Nato a Chicago il 13 ottobre 1927 iniziò infatti a incidere agli inizi degli anni Quaranta, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, e durante la prolifica e lunghissima carriera – oltre settant’anni di storia – aveva suonato con altri giganti come Miles Davis (nel 1949-50 nelle session che si sarebbero poi trasformate, anni dopo, nel capolavoro Birth of the Cool), Michel Petrucciani (in Toot Sweet), e poi insieme a Charles Mingus Bill Evans, e ancora Ornette Coleman, Dave Brubeck, Gerry Mulligan, Max Roach e Bill Frisell, solo per citarne alcuni. In particolare, Konitz era rimasto l’unico sopravvissuto ad aver lavorato con Davis in quel disco-pietra miliare.

Comincia con il clarinetto e, ad appena 11 anni, passa al sassofono, lo strumento della vita. Konitz era musicalmente quello che si può definire un onnivoro: per lui la musica era universale, passava da nomi importanti a progetti di seconda scelta, dalle big band ai duetti, sempre e solo per il gusto e il piacere di suonare. Infatti, non è mai diventato ricco con la musica. A quanto sembra, non ha mai avuto un ufficio stampa che promuovesse il suo lavoro, non aveva né un manager e neppure un indirizzo email dove contattarlo. Viveva di jazz perché bastava il jazz a dargli la vita.

In Italia, passava spesso, soprattutto a Umbria Jazz ma anche al Barga Jazz, suonando con nomi della nostra scena come Enrico Rava, Glauco Venier, Enrico Pieranunzi Ornella Vanoni. Nel 2001, insieme a Franco D’Andrea incide l’album Inside Rodgers, con Stefano Bollani, nel 2003, Suite for Paolo e, infine, The Soprano Sax Albums: Standards nel 2007 con il pianista Riccardo Arrighini.

A 82 anni era pronto a gettare la spugna, pensando di aver fatto abbastanza: “Ho ottenuto quella sorta di rispetto, sono un ‘vecchietto’, anche se non ho mai fatto grossi soldi o venduto tanti dischi. Però ho l’opportunità di suonare e questo è grandioso”. “Improvvisazione’ significa ‘imprevisto'”, spiegava, “e questa è una domanda che faccio sempre a coloro che si definiscono improvvisatori: quanto di ciò che ‘improvvisate’ è davvero pianificato? L’idea che la musica è piena di sorprese”.

aprile 16, 2020

Steve McCurry rende omaggio all’Italia con una serie di fotografie incredibili.

“Tribute to Italy”. Il grande fotografo statunitense Steve McCurry ha reso omaggio al nostro Paese con una serie di fotografie incredibili scattate lungo lo stivale.

Da Venezia a Ischia, passando per i borghi del Reatino. Come solo un grande artista sa fare, la selezione coglie lo spirito, le tradizioni e la bellezza dell’Italia, alle prese con il lockdown e l’emergenza del coronavirus.

“Sono vicino al popolo italiano. Siete sempre nel mio cuore. Durante la sfida mondiale al Covid-19, gli italiani hanno mostrato altruismo e coraggio nell’affrontare una tragedia inimmaginabile. Vivere bene e pienamente: è questa la filosofia di vita degli italiani. E la gioia di vivere non li ha abbandonati neppure in questo periodo”, scrive l’artista.

Dopo il celebre scatto della “Ragazza afgana” sulla copertina del National Geographic nel 1984, oggi queste parole e queste immagini sono destinate a diventare storia.

Accompagnate dalla citazione di Giuseppe Verdi “Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me” e dalla melodia di “Nessun dorma”, queste foto fanno bene al cuore all’anima.

Grazie Steve McCurry! Un’infusione di coraggio e resilienza!

aprile 16, 2020

Coronavirus: per gli USA è calamità in tutti gli Stati. La situazione

di Violetta Silvestri

Coronavirus: per gli USA è calamità in tutti gli Stati. La situazione

La situazione è grave e di assoluta emergenza. Con la dichiarazione dello stato di calamità nel Wyoming, la potenza statunitense si trova in una situazione inedita, mai successa nella sua storia: tutto il territorio è dichiarato in calamità.

Il Senato ha approvato un piano di interventi economici fondamentale per la nazione.

Nel mirino delle critiche resta il presidente Trump, che ha appena deciso di sospendere i finanziamenti all’OMS, incolpando l’organizzazione per i ritardi su informazioni e interventi contro la pandemia.

La Casa Bianca, però, è stata accusata nuovamente di sottovalutazione del coronavirus e Trump ha mostrato molto nervosismo anche contro i governatoriminacciando “poteri assoluti” che, in realtà, la Costituzione non gli concede.

Intanto, il presidente degli Stati Uniti continua a ripetere che presto si potrà riaprire. Secondo la sua analisi, infatti, il picco è stato raggiunto e alcuni territori potrebbero allentare le misure già entro maggio.

Molti dubbi, però, restano da sciogliere, soprattutto quelli legati alla gestione sanitaria e dei tamponi.

Il coronavirus ha destabilizzato gli USA, non solo da un punto di vista economico e sanitario, ma anche sociale. La popolazione, infatti, ha reagito con [paure incontrollate, aumentando gli acquisti di armi.>/coronavirus-usa-armano-contro-epidemia-con-pistole].

aprile 16, 2020

Sankara: l’ultimo discorso (da scolpire nella pietra) che gli costò la vita

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29 anni fa un piccolo uomo dalla pelle nera sfidò i potenti del mondo.

Disse che la politica aveva senso solo se lavorava per la felicità dei popoli. Affermò, con il proprio esempio personale, che la politica era servizio, non potere o arricchimento personale. Sostenne le ragioni degli ultimi, dei diversi e delle donne. Denunciò lo strapotere criminale della grande finanza. Irrise le regole di un mondo fondato su di una competività che punisce sempre gli umili e chi lavora. E che arricchisce sempre i burattinai di questa stupida arena. Urlò che il mondo era per le donne e per gli uomini, tutte le donne e tutti gli uomini e che non era giusto che tanti, troppi, potessero solo guardare la vita di pochi e tentar di sopravvivere.

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Nel luglio del 1987, in occasione della riunione dell’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana) ad Addis Abeba, Thomas Sankara fece sentire la sua voce contro il debito africano (vedi video seguente).
Le sue idee al non determinato pagamento del presunto “debito pubblico” causarono disagio presso alcuni partecipanti all’assemblea che lo ritenevano un giovane in grado di sconvolgere il gioco di potere vigente in Africa.

Parole profetiche le sue quando disse “Se il Burkina Faso da solo, rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza. Invece col sostegno di tutti, potremo evitare di pagare, destinando le nostre magre risorse al nostro sviluppo.”
Gli altri presidenti presenti in sala applaudirono con entusiasmo l’intervento di Sankara ma nessuno di loro poi aderì alle sue proposte, lasciandolo di fatto solo ed isolato.

Tre mesi dopo questo discorso Sankara venne assassinato (15 ottobre 1987) in un colpo di Stato organizzato dal’ex-compagno d’armi e collaboratore Blaise Compaoré con l’appoggio di Francia, Stati Uniti d’America e militari liberiani.

Oltre a ucciderlo, tentarono di cancellarne ogni memoria.

Per chi volesse approfondire consigliamo il documentario “Sankara… e quel giorno uccisero la felicità” di Silvestro Montanaro, andato in onda su Rai3 nel 2013.

aprile 16, 2020

Caporalato in Emilia Romagna.

FORLì – Guadagnavano cinquanta euro al mese per raccogliere frutta e verdura o potare gli alberi, lavorando fino a 80 ore alla settimana. Così sono stati trattati, secondo le indagini della squadra mobile di Forlì circa 45 richiedenti asilo, in gran parte pachistani e afghani, sfruttati nei campi da un’organizzazione che li alloggiava in casolari senza acqua calda e con poco cibo e materassi a terra. Arrestati quattro pachistani, nell’ambito di un’operazione contro il ‘caporalato’, con l’ispettorato del lavoro e l’Inail. Gli indagati avrebbero reclutato direttamente i lavoratori, minacciati e intimiditi, accompagnati controllati quotidianamente, oltre che individuato e gestito i committenti. Si stima che abbiano guadagnato dagli 80 ai 100mila euro, inviati attraverso i canali western union o money gram in Pachistan su conti di persone fittizie. Denunciati anche titolari di aziende agricole romagnole che hanno impiegato gli stranieri.

Erano state costituite anche due ditte individuali, risultate poi fittizie in quanto gli indirizzi indicati corrispondevano a immobili in stato di abbandono. Ai lavoratori veniva promessa una retribuzione oraria di cinque euro netti, a fronte dei 9,6 euro previsti dalla legge, che si tramutavano in 250 euro mensili di cui 200 decurtati per il vitto e l’alloggio. A loro volta gli indagati ricevevano dai committenti una quota di 12-13 euro netti ad ora per lavoratore rispetto ai 20 che avrebbero dovuto versare per ogni operaio. Per questo sono stati denunciati in stato di libertà i titolari delle aziende agricole di Forlì, Rimini e Ravenna che da settembre a gennaio hanno impiegato i lavoratori, che non disponevano di approntamenti di cantiere, e non era loro consentito espletare durante il lavoro i propri bisogni fisiologici o consumare un pasto in ambiente ‘riparato’.

aprile 16, 2020

I malati di covid? Metteteli nelle case di riposo: l’incredibile delibera dell’8 marzo della Regione Lombardia

I malati di covid? Metteteli nelle case di riposo: l’incredibile delibera dell’8 marzo della Regione Lombardia

  • GF

Avanti con altri racconti drammatici che spiegano perché nella nostra regione, e in particolare nella nostra provincia, abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo a una strage senza limiti.
Oggi Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, associazione che raccoglie in un’unica sigla oltre quattrocento case di riposo, ha spiegato a Il Quotidiano del Sud perché da noi abbiamo assistito a un numero di vittime senza eguali nel resto d’Italia, soprattutto tra gli anziani.
Sipario alzato sulla delibera XI/2906 dell’8 marzo 2020 della giunta lombarda, che chiedeva alle aziende territoriali della sanità di individuare nelle case di riposo le strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità (pur con la richiesta di mettere i malati in padiglioni separati o in strutture fisicamente indipendenti).
«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle – spiega Luca Degani -. Dopo la delibera abbiamo chiesto chiarimenti, la maggior parte delle nostre strutture non hanno dato seguito alla richiesta della Regione. Ma c’è chi l’ha fatto. Dipendiamo per un buon 30% dai finanziamenti della Regione, logico che molti abbiano paura di perderli”.
Logica e drammatica la domanda che si pone lo stesso Luca Degani: “Come potevamo accettare malati ai quali non era stato fatto alcun tampone né prima né dopo? Senza dire, che il nostro personale sarebbe stato comunque a rischio. Si sono infettati medici e sanitari in strutture molto più attrezzate delle nostre. Non ci hanno dato i dispositivi di protezione ma volevano darci i malati… insomma».
Difficile commentare la decisione di chi amministra la Lombardia, visto che tutti sanno che nei ricoveri ci sono persone anziane, la media è di ottant’anni, spesso con pluripatologie. L’idea della giunta regionale è stata quella di affiancargli i malati di corona virus.
E mentre il presidente della Regione Attilio Fontana da ieri ha obbligato ognuno di noi a portare sempre con sé la mascherina, ci segnalano tanti cittadini, sia quelli di Bergamo, che del resto della nostra provincia, che in questo momento i dispositivi ora obbligatori sono pressoché introvabili.

Matteo Bonfanti

aprile 16, 2020

Il Nuovo dilemma di Antigone.

A proposito di “proporzionalità” delle misure di contenimento, di cui ho parlato negli ultimi giorni.

Non è un’ossessione garantista, ma piuttosto la base dello Stato di diritto costituzionale. Ed è, anche sul piano fattuale, il presupposto imprescindibile dell’effettività delle norme giuridiche. Cosa che un presidente del consiglio, che è nel contempo ordinario di diritto privato, dovrebbe sapere molto bene. E che anche i presidenti di regione, seppur meno qualificati culturalmente, dovrebbero anch’essi sapere. Mentre invece addirittura sul piano delle fonti del diritto lo spregio della Costituzione e l’ignoranza dilagano sovrane; e sono molto più semplici e deresponsabilizzanti misure draconiane, semplicistiche e stupidamente generalizzate, ma populisticamente – per il momento – efficaci ed accettate, e quindi per ciò solo ritenute legittime, senza troppo sottilizzare.

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