Nel suo libro “Se questo è un uomo” Primo Levi racconta che durante la prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz ogni giorno recitava a ad un suo compagno di sventura polacco certo Jan, il XXVI° canto dell’Inferno. Riportando questo episodio Levi fa comprendere come con questa pratica quotidiana i due internati, grazie a Dante, ritrovavano la loro dignità umana,
il viaggio di Ulisse infatti ha sempre rappresentato un appello alla dignità attiva della ragione umana anche in condizioni estreme in cui si trovavano Primo e Jean. Recuperando la propria dimensione razionale, i deportati, costretti a vivere come bruti, riacquistano la loro dignità umana..
Il naufragio di Ulisse richiama il naufragio di Primo e di Jean: perchè Ulisse non è più soltanto l’astuto ingannatore, bensì l’uomo di ogni tempo che dedica l’intera propria vita alla conoscenza. Qual è, dunque, la sua colpa? Il peccato commesso da Ulisse è quello di riscattare la propria vita nel proprio nel momento in cui sta cercando di oltrepassare i limiti posti al sapere umano, raffigurati nelle Colonne d’Ercole.
Oggi è il giorno dedicato a Dante, in un momento così difficile per l’intera collettività riascoltiamo anche noi le parole che servono a ricordarci di non perdere mai la nostra dignità e voglia di conoscenza.