Timothy Charles Buckley (Washington, 14 febbraio 1947 – Santa Monica, 29 giugno 1975) è stato un cantautore statunitense.
È considerato dalla critica uno dei cantanti più geniali ed innovativi dell’intera storia del rock.[1][2]
« Buckley fu per il canto ciò che Hendrix fu per la chitarra, Cecil Taylor per il piano e John Coltrane per il sassofono »
Nato a Washington, figlio di Elaine italoamericana e di Tim Charles Buckley Jr, pluridecorato della seconda guerra mondiale e con origini irlandesi. Trascorse l’infanzia a Amsterdam, cittadina industriale dello Stato di New York, dove ha i primi contatti con la musica: sua madre è fan di Miles Davis e il padre della musica country. Nel 1956 la famiglia si trasferì a Bell Gardens in California,[3].
A tredici anni impara a suonare il banjo e con il compagno di scuola Dan Gordon formò un gruppo ispirato al Kingston Trio. Entra nella squadra di football americano dove copre il ruolo di quarterback, e durante uno scontro di gioco si rompe le prime due dita della mano sinistra. Non riottenne mai l’uso completo delle dita, tanto che non poté più suonare il barré e ciò lo costrinse a usare accordi estesi. Durante il periodo delle scuole superiori conobbe Larry Beckett, autore della maggior parte dei testi dei suoi primi brani e Jim Fiedler. Il 25 ottobre del 1965, a diciannove anni, sposa la compagna di scuola Mary Guibert, dalla quale, un anno più tardi, ha un figlio, Jeff Buckley, anch’esso, negli anni novanta, divenuto musicista.
Finita la scuola inizia a esibirsi in diversi club di Los Angeles, e in uno di questi spettacoli viene notato da Jac Holzman, proprietario della Elektra Records, che lo mette sotto contratto, permettendogli di pubblicare nel dicembre del 1966 il suo primo LP, Tim Buckley. In supporto al disco comincia un lungo tour negli Stati Uniti, partecipando anche allo show televisivo di Johnny Carson[4].
Nel 1967, sempre per l’Elektra, pubblica Goodbye and Hello, disco fortemente influenzato dal Folk rock di Bob Dylan e dal Rock psichedelico in auge in quegli anni, considerato dalla critica il primo dei suoi capolavori[5]. I brani I Never Asked to Be Your Mountain e Once I Was verranno reinterpretati dal figlio Jeff durante il concerto in memoria del padre, tenutosi a New York il 26 aprile del 1991; un altro brano, Morning Glory, verrà reinterpretato dalla band inglese This Mortal Coil nell’album del 1986 Filigree & Shadow. Anche a questo disco fa seguito un lungo tour che giunge in Europa, dove suonerà per lo show radiofonico di John Peel.
Nel 1969 esce il terzo album, Happy Sad, influenzato questa volta dal jazz – in particolare da Miles Davis -, con brani più dilatati rispetto al disco precedente. Anche questo lavoro è ben valutato dalla critica, anche se riscuote uno scarso successo di vendite [6].
Nello stesso anno rescinde il contratto con l’Elektra, passando alla Straight Records di Frank Zappa e del produttore Herb Cohen. Per questa etichetta pubblica Blue Afternoon. Nel 1970 incide ancora una volta per l’Elektra Lorca, che è stato registrato contemporaneamente a Blue Afternoon[7]. Proprio Lorca, è generalmente considerato dalla critica come album di passaggio fra il “periodo folk” di Goodbye and Hello e Happy Sad a quello “psichedelico” di Starsailor[8].
Nel 1971 realizza Starsailor, disco più vicino alla sperimentazione, considerato da molti critici il suo massimo capolavoro, e indubbiamente uno dei più ardui esperimenti sul canto mai realizzati[9]. In questo disco è presente il brano Song to the Siren, probabilmente il più famoso di Buckley, la cui reinterpretazione della band inglese This Mortal Coil sull’album It’ll End in Tears del 1984 riscuoterà un notevole successo. Il brano verrà inoltre reinterpretato nel 2002 da Robert Plant sul suo album Dreamland, nel 2009 da John Frusciante su The Empyrean e nel 2010 da Sinéad O’Connor.
In seguito allo scarso successo commerciale dei suoi dischi, dopo la pubblicazione di Starsailor Buckley sospende temporaneamente l’attività musicale, cadendo preda della depressione e sviluppando dipendenza per l’alcool e per le droghe. Inoltre, si dedica ad altre attività, come il cinema, scrivendo sceneggiature e recitando nel film mai uscito Why?, di Victor Stoloff[10].
Del 1972 è il ritorno sulle scene con l’album, Greetings from L.A., che vira il suono verso il Funk, seguito, nel 1974 da Sefronia e Look at the Fool, due album considerati dalla critica il punto più basso della sua produzione[11][12].
Muore la sera del 29 giugno 1975 a Santa Monica in California, per overdose di eroina e alcool[13].